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La conciliazione extragiudiziale tra le associazioni dei consumatori ed il professionista nell'interesse collettivo dei consumatori e degli utenti ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo. - Judicium

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Fabio Santangeli

La conciliazione extragiudiziale tra le associazioni dei consumatori ed il

professionista nell'interesse collettivo dei consumatori e degli utenti ai sensi dell'art.

140 del codice del consumo.

Sommario: 1. Premessa; 2. La mediazione obbligatoria ed il rapporto con la disciplina del codice del consumo. Il tentativo facoltativo di conciliazione dell'azione collettiva inibitoria; 2.1. Segue. La mediazione facoltativa e giudiziale dell'azione collettiva inibitoria nella forma elaborata dal decreto legislativo 28/2010; 3. Il procedimento di conciliazione tra gli enti esponenziali ed i professionisti nell'art. 140 del codice del consumo; 3.1. Segue. Gli organismi davanti ai quali è esperibile il procedimento di conciliazione. 3.2. Segue. Il tentativo di conciliazione promosso dal professionista;

3.3. Segue. Efficacia del verbale di conciliazione; 4. Il rapporto tra la conciliazione collettiva e il successivo giudizio tra il singolo consumatore ed il professionista; 4.1. Segue. Il rapporto tra la conciliazione collettiva e i successivi giudizi inibitori promossi da altre associazioni; 5.

Delimitazione dell'oggetto della conciliazione collettiva. L'efficacia di eventuali determinazioni direttamente rivolte a favore dei singoli consumatori; 6. L'impossibilità di attivare un procedimento di conciliazione tra le associazioni dei consumatori e i gestori di servizi innanzi all'AGCOM.

1. Premessa.

La composizione extragiudiziale in materia di controversie dei consumatori rappresenta un fenomeno di significativa rilevanza, come peraltro dimostra la risalente attività delle Istituzioni comunitarie tesa a promuovere forme alternative di risoluzione delle liti (ADR Alternative Dispute Resolution) in questo specifico settore più che in altri1.

La sproporzione fra la modesta consistenza economica delle controversie in materia di consumo e i costi e i tempi necessari per la risoluzione giurisdizionale della lite - che porta il consumatore danneggiato a non esercitare i propri diritti - sono all'origine delle numerose proposte comunitarie di utilizzazione di procedure alternative alla giurisdizione, funzionali a una rapida risoluzione delle

1 Già il Libro Verde del 16 novembre 1993 sull'accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell'ambito del mercato unico descrive la situazione dei singoli Stati membri in relazione alle procedure alternative alla giurisdizione e auspica un'armonizzazione delle diverse discipline nazionali; fra i tanti contributi sul Libro verde, cfr. CAPPONI B., Il Libro verde sull'accesso ai consumatori alla giustizia, in Documenti giustizia, 1994, 362. Sulla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, COM(1998) 198; COM(1998) 257 e COM(2001) 310 sull'ampliamento dell'accesso dei consumatori alla risoluzione alternativa delle controversie; Libro verde COM(2002) 196, esteso a tutte le controversie in materia civile e commerciale.

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controversie a costi ridotti2. In più, i sistemi non giurisdizionali in materia di consumo - purché vengano assicurate le medesime garanzie offerte dal processo ordinario - rappresentano uno strumento in grado di garantire al consumatore una tutela più adeguata rispetto alla giurisdizione tradizionale3, perché in grado di offrire soluzioni più duttili.

Il favor di fondo verso le ADR in tale settore risponde al principio dell'accesso alla giustizia della parte debole di un rapporto contrattuale che si pone inevitabilmente in relazione con gli obiettivi di giustizia sostanziale4. Anche se, a mio avviso, la tutela del consumatore, proprio in quanto parte debole del rapporto, è ancor meglio assicurata da una risposta di un giudice, attraverso lo schema dell'azione di classe - che già in sé ha un effetto deflattivo del contenzioso5 - e della figura dell'aderente che partecipa agli esiti del processo senza sostenerne i costi6, rispetto allo strumento della conciliazione tra consumatore e produttore, che ha il vantaggio del risparmio dei tempi e dei costi della lite giudiziale ma che non offre le garanzie di un processo, in quanto può risentire del disequilibrio delle parti e della non neutralità dell'organo conciliativo rispetto al conflitto7.

Sulla spinta della normativa comunitaria, il legislatore italiano dapprima con una legge di generale promozione della conciliazione per le controversie dei consumatori (29 dicembre 1993, n.

2 Per la ricognizione della normativa comunitaria sui rimedi alternativi di giurisdizione in materia di consumo, si veda STICCHI DAMIANI S., Le forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione. Disciplina vigente e prospettive di misurazione statistica. Le iniziative comunitarie e del Consiglio d'Europa, in Riv. it. Dir. pubbl.

com., 2003, 743 ss.

3 Ciò è evidenziato dalla Commissione europea nelle raccomandazioni 98/257/CE e 2001/310/CE. Tali raccomandazioni hanno introdotto una serie di principi ai quali ispirare le procedure nazionali non giurisdizionali al fine di operare un'armonizzazione tra le variegate discipline operanti negli Stati membri. I principi individuati in queste raccomandazioni, limitatamente alla materia del consumo hanno trovano poi corrispondenza nella Direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Si veda ZUCCONI GALLI FONSECA E., La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 653 ss.

4 Cfr. ZENO-ZENCOVICH-PAGLIETTI, Diritto processuale dei consumatori, Milano, 2009, 21; CUOMO ULLOA F., La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Cedam, 2008, 198 ss.

5 L'azione di classe, oltre ad un aumento della protezione del consumatore, specie in caso di small claims, persegue l'obiettivo di risolvere mediante un unico processo una controversia coinvolgente una pluralità di consumatori o utenti, evitando che una moltitudine di giudizi individuali - condizionati dalla risoluzione di una comune questione di fatto o di diritto - ingolfi gli uffici giudiziari, peraltro con il possibile contrasto di giudicati.

6 Attraverso il meccanismo dell'adesione, il consumatore ha il vantaggio di far valere il suo diritto senza affrontare l'onere delle spese processuali e senza il rischio di affrontare tali spese in caso di non accoglimento dell'azione di classe. Sugli effetti dell'adesione all'azione di classe di cui all'art. 140 cod. cons., si veda SANTANGELI- PARISI, Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l'azione di classe dopo le recenti modifiche all'art. 140-bis cod. cons., in www.judiucium.it, 2010, § 8.

7 Ad esempio nel caso di conciliazione mediante negoziazioni paritetiche, costituite da un rappresentante dei consumatori e un rappresentante dell'azienda (spesso organico componente dell'azienda, con conseguenti perplessità sull'effettiva esplicazione del principio di imparzialità e neutralità dell'organo). Peraltro, in alcuni schemi regolamentari è previsto che la commissione paritetica non si limita ad adoperarsi alla risoluzione della controversia ma la risolve sulla base di un pieno mandato a transigere del consumatore alla associazione che lo rappresenta, senza che sia prevista la formulazione di una proposta da sottoporre al consumatore, che eventualmente può rifiutare.

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580)8, poi con la legge n. 281 del 1998 “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti” e da ultimo con il Codice del consumo (D.Lgs n. 206/2005) ha dettato alcune regole fondamentali sulla composizione extragiudiziale tra le associazioni rappresentative dei consumatori e i professionisti, relativa agli interessi collettivi dei consumatori (art. 140), e tra consumatori e professionisti relativa agli interessi individuali dei consumatori (art. 141), alle quali si aggiungono le regole contenute negli schemi regolamentari dei singoli organismi conciliativi9.

Dall'analisi della prassiemerge che la composizione delle controversie tra singoli consumatori e aziende mediante procedimenti di ADR rappresenta oggi una sviluppata componente della conciliazione in Italia10, a differenza della composizione extragiudiziale tra associazioni dei consumatori e imprese per le controversie inerenti gli interessi collettivi dei consumatori. In particolare, stando almeno ai dati disponibili, non si registrano finora conciliazioni extragiudiziali tra associazioni dei consumatori e imprese relative all'azione inibitoria di atti o comportamenti imprenditoriali illeciti.

In realtà, il procedimento di conciliazione nell'interesse collettivo dei consumatori, prima regolato dall'art. 3 della L. 281/98 ed ora dall'art. 140 del codice del consumo, è uno strumento negletto dalle associazioni dei consumatori.

Ciò è, probabilmente, da correlare al fatto che fino all'emanazione del codice del consumo il tentativo di conciliazione era esperibile solo dinanzi alle Camere di Commercio; procedimento però non prediletto dalle associazioni per lo svolgimento della conciliazione, anzi in un certo qual modo osteggiato11. E poi non è da escludere che concorrano delle ragioni di ordine propagandistico, poiché la promozione dell'azione giurisdizionale nei confronti dell'impresa, responsabile della

8 Con tale legge il legislatore ha individuato nelle Camere di Commercio gli organi competenti a svolgere la conciliazione delle controversie tra imprese, e tra imprese e consumatori. Nel procedimento camerale la soluzione del conflitto è imputabile ad un collegio composto da un presidente terzo rispetto ai rappresentanti del consumatore e dell'impresa. Sulla conciliazione camerale si veda, MINERVINI E., Le camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 940; Id. La conciliazione amministrata dalle camere di commercio, in I contratti di composizione delle liti, a cura di GABRIELLI, LUISO, vol. 4, 2005, 242 ss.; MARTINELLO P., Accesso dei consumatori alla giustizia e camere di commercio, in Questione giustizia, 2/1998, 402 ss.

9 Sullo sviluppo della conciliazione in Italia in materia di controversie consumeristiche, SCANNICCHIO N., I metodi alternativi nella soluzione delle controversie dei consumatori, Bari, 2007; in generale sulla conciliazione in materia di consumo, BARTOLOMUCCI P., Arbitrato e conciliazione nelle controversie del consumo, pulitintorie e turismo, in BUONFRATE, GIOVANNUCCI ORLANDI, Codice degli arbitrati, 238 ss.

10 Sul sito www.isdaci.it sono leggibili e scaricabili i rapporti dell'Istituto scientifico per l'arbitrato, la mediazione e il diritto commerciale, sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia. Dall'ultimo rapporto, relativo al 2009, risulta che «nel 2009 la gran parte delle procedure di ADR (intorno alle 88.000 sulle 93.406 rilevata) riguarda controversie promosse dai consumatori, per questioni di modico valore, relative soprattutto alle telecomunicazioni». Si veda, BONSIGNORE V., La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2009: i risultati di una ricerca, op. cit., 107.

11 Sono indicative le numerose iniziative intraprese dalle associazioni dei consumatori con le aziende, in relazione alla conciliazione delle controversie tra singolo consumatore e azienda, per la realizzazione di un sistema di risoluzione extragiudiziale alternativo al sistema generale di conciliazione davanti le Camere di Commercio, cioè il sistema di negoziazione paritetica, che si fonda sull'adozione di un protocollo d'intesa sottoscritto fra associazioni dei consumatori e aziende.

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condotta illecita, rispetto all'avvio della procedura di conciliazione extragiudiziale ha sicuramente un impatto mediatico più forte, e di conseguenza un ritorno in termini d'immagine per l'associazione che si riflette sull'incremento delle iscrizioni.

Tuttavia, nel presente lavoro si offre una lettura delle norme dell'art. 140 cod. cons. con riferimento al procedimento di conciliazione - anche alla luce dell'impatto del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 in materia di mediazione civile e commerciale - che può rendere utilizzabile in futuro questo strumento di definizione negoziale della controversia collettiva.

2. La mediazione obbligatoria ed il rapporto con la disciplina del codice del consumo. Il tentativo facoltativo di conciliazione dell'azione collettiva inibitoria.

Con il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, emanato in attuazione della delega contenuta nell'art. 60, legge 18 giugno 2009, n. 6912, il legislatore ha previsto un procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili, caratterizzato dalla figura del conciliatore che si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole per la composizione della controversia13. E ha, altresì, previsto l'istituto della

12 Sul contenuto della delega, LUISO F. P., La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 1257 ss.; RAITI G., La delega in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali ex art. 60 legge n. 69 del 2009, in Sull'arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, a cura di AULETTA F., CALIFANO G.P., DELLA PIETRA G., RASCIO N., Jovene, 2010, 675 ss.; PUNZI C., Mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 853 ss.; Id., Le riforme del processo civile e degli strumenti alternativi per la soluzione delle controversie, in Riv.

dir. proc., 2009, 1231 ss.; BOVE M., La riforma in materia di conciliazione tra delega e decreto legislativo, in Riv. dir.

proc., 2010, 343 ss.; CAPONI R., Delega in materia di conciliazione delle controversie, in Foro it., 2009, V, 354 ss.

Per un esame dell'istituto della mediazione antecedente al decreto legislativo n. 28/2010 dopo la direttiva europea n.

2008/52/CE, cfr. GHIRGA M. F., Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto (Riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva), in Riv. dir. proc., 2009, 357 ss.;

VIGORITI V., La direttiva europea sulla mediation. Quale attuazione? in Riv. arb., 2009, 1 ss.

13 Secondo le definizioni fornite dallo stesso decreto all'art. 1, per mediazione si intende «l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa», e per conciliazione «la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione». Il procedimento di mediazione si avvia con una domanda di parte depositata presso un organismo scelto tra quelli riconosciuti dal Ministero con indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4).

Il responsabile dell’organismo adito designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda, termine però non perentorio. L’intero procedimento non deve avere durata superiore a quattro mesi dal deposito della domanda, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa, in caso di mediazione giudiziale (art. 6). La domanda andrà, poi, comunicata a cura sia dell’organismo di conciliazione sia dalla parte interessata. Il procedimento si svolge senza formalità nella sede dell’organo adito. Nel caso in cui le parti della mediazione raggiungono un accordo amichevole il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo (art. 8); in caso contrario – ovvero nell’ipotesi in cui ne facciano concorde richiesta le parti – il mediatore formula una proposta di conciliazione, comunicata alle parti a cui le stesse devono far pervenire

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mediazione obbligatoria, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, per le azioni in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari14.

Nella nuova normativa il legislatore non si occupa specificamente della mediazione in relazione alle controversie consumeristiche, tuttavia regolamenta alcuni aspetti del rapporto con la previgente disciplina del Codice del consumo.

Segnatamente, con riferimento alle azioni a tutela degli interessi collettivi dei consumatori il legislatore esclude l'applicazione della fase di mediazione obbligatoria.

L'art. 5 del D.Lgs n. 28, infatti, dopo aver disposto l'obbligatorietà del preventivo procedimento di mediazione per le controversie ivi individuate, specifica che «il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo», ovvero all'azione inibitoria in materia di clausole vessatorie inserite nelle condizioni generali di contratto, all'azione inibitoria di atti o comportamenti del professionista lesivi degli interessi collettivi dei consumatori e alla nuova azione di classe a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori15.

l’accettazione o il proprio rifiuto. Nel caso in cui la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale – depositato presso l’organo di mediazione – con l'indicazione della proposta (art. 11). Ove il verbale di conciliazione non sia contrario a norme di ordine pubblico o a norme imperative è omologato, su richiesta di una delle parti, dal presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo (art. 12). Il verbale omologato costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Per un esame dettagliato della nuova disciplina, CALIFANO G. P., Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011.

14 L'art. 5 D.lgs 4 marzo 2010, n. 28 «Condizioni di procedibilità e rapporti con il processo» dispone che «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli art 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni». Sulla dubbia costituzionalità dell'istituto della mediazione obbligatoria, ZINGALES I., La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali, in www.judicium.it, sulle conseguenze del mancato avvio del procedimento di mediazione obbligatoria, SANTANGELI F., La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium.it, 1,

15 È da evidenziare che l'art. 5 del D.lgs 28/2010 si limita a richiamare l'art. 37, 140 e 140 cod. cons. e non anche l'art. 141 cod. cons, che prevede la conciliazione facoltativa extragiudiziale delle controversie in materia di consumo tra singolo consumatore e professionista. Da ciò si può desumere che, mentre la nuova disciplina sulla mediazione obbligatoria non si applica alle controversie espressamente indicate, a contrario si applica alle controversie tra singoli consumatori e aziende. Ne consegue che per le controversie relative a quelle materie ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 5 del decreto, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Restando, invece, in vigore la disciplina facoltativa sulla composizione extragiudiziale dinanzi agli organismi di cui all'art. 141 cod. cons. per le controversie non rientranti nelle materie individuate dalla novella

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Ciò implica che per le domande giudiziali ex art. 37 e 140 cod. cons., promosse dagli enti esponenziali legittimati, continua a trovare applicazione la previgente disciplina dell'art. 140 cod.

cons.16. E, atteso che a mente dell'art. 140 cod. cons. il ricorso ante causam alla procedura conciliativa, ivi disciplinata, non costituisce una condizione di procedibilità dell'azione giurisdizionale, ma una procedura facoltativa, gli enti esponenziali deputati alla tutela degli interessi collettivi non saranno obbligati al previo esperimento del tentativo di conciliazione17.

La soluzione del legislatore delegato circa l'esclusione delle azioni inibitorie a tutela dei consumatori dal raggio applicativo della mediazione obbligatoria appare del resto facilmente comprensibile, non ponendosi per queste controversie un'esigenza deflattiva18, poiché la cessazione della condotta imprenditoriale illecita in esito all'azione giudiziale soddisfa automaticamente tutti i soggetti appartenenti alla categoria.

2.1. Segue. La mediazione facoltativa e giudiziale dell'azione collettiva inibitoria nella forma elaborata dal decreto legislativo 28/2010.

Il testo del decreto legislativo 28/2010 offre poi alcuni spunti di ricostruzione della disciplina in materia di conciliazione delle controversie inerenti gli interessi collettivi dei consumatori.

Esclusa l'applicabilità della mediazione obbligatoria alle azioni ex artt. 37 e 140 cod. cons., non sembra tuttavia preclusa la possibilità di ricorrere alla mediazione facoltativa secondo la forma elaborata nel decreto legislativo. E ciò trova riscontro nel principio enunciato dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo,

16 Va rilevato che l'art. 37 cod. cons. relativo all'inibitoria contrattuale non contiene una corrispondente disciplina sulla procedura conciliativa, tuttavia trova applicazione la disciplina prevista dall'art. 140 cod. cons., stante il rinvio dell'art. 37: «per quanto non previsto dal presente articolo, alle azioni inibitorie esercitate dalle associazioni dei consumatori di cui al comma 1 si applicano le disposizioni dell'art. 140».

17 L'art. 140, comma 2, cod. cons., prevede che: «Le associazioni di cui al comma 1, nonché i soggetti di cui all'articolo 139, comma 2, possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, a norma dell'articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, nonché agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a norma dell'articolo 141. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta giorni.»

18 Nella Relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo «Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare Senato della Repubblica XVI Legislatura atto n. 150, l'esclusione delle azioni inibitorie e dell'azione di classe è accompagnata dall'osservazione che «Nel caso delle azioni a tutela degli interessi superindividuali, l'esclusione nasce dall'esistenza di un'autonoma condizione di procedibilità o dalla constatazione che non è concepibile una mediazione nell'azione di classe fino a quando quest'ultima non ha assunto i connotati che permetterebbero una mediazione allargata al maggior numero di membri della collettività danneggiata, fino dunque alla scadenza del termine per le adesioni».

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www.judicium.it per il quale «Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili...»; e tali sono da considerare gli interessi collettivi dei consumatori, oggetto delle azioni inibitorie, in quanto lo stesso legislatore già nell'art. 140 cod. cons.

ha attribuito alle associazioni rappresentative dei consumatori il potere di risolvere in via extragiudiziale la controversia collettiva.

Di conseguenza, in riferimento alla conciliazione delle azioni inibitorie a tutela dei consumatori concorrono due differenti procedimenti: il procedimento conciliativo regolato dall'art. 140 cod. cons. e il procedimento di mediazione facoltativo regolato dal decreto.

Le regole del meccanismo di mediazione non appaiano contrastanti con le regole essenziali dettate dal legislatore nell'art. 140 cod. cons19. E ciò in ragione del fatto che il punto di riferimento della nuova normativa è la direttiva comunitaria 2008/52/CE, i cui principi discendono dai principi che si sono affermati in sede comunitaria in materia di risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo.

In effetti, l'aspetto più interessante che consegue al ritenere applicabile il meccanismo di mediazione previsto nella nuova normativa è la mediazione avviata su indicazione del giudice, ipotesi non contemplata dal legislatore del codice del consumo. L'art. 5, comma 2, del decreto, stabilisce infatti che il giudice - prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista - in base alla natura della causa, allo stato dell'istruzione e al comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione20.

Abilitati a gestire il procedimento di mediazione ai sensi del decreto legislativo sono gli organismi competenti in materia di consumo, pubblici e privati, iscritti nel registro degli organismi di mediazione istituito presso il Ministero della giustizia.

È poi da rilevare che anche gli organismi di conciliazione individuati dall'art. 141 cod. cons.21 - davanti ai quali, in virtù della novità introdotta con l'art. 140 cod. cons., è esperibile la conciliazione collettiva - per essere abilitati alla funzione conciliativa dovranno provvedere all'iscrizione nel nuovo registro degli organismi di mediazione, secondo le modalità e i criteri stabiliti nel decreto ministeriale 18 ottobre 2010. L'art. 16 del decreto legislativo 28/2010, infatti, dopo aver previsto che la formazione del registro, l'iscrizione, la sospensione, la cancellazione degli iscritti e l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze in materia di consumo, sono disciplinate con

19 Il legislatore delegato ha rimesso la definizione delle prevalenti regole di procedura ai regolamenti degli organismi di mediazione, e si è limitato alla fissazione dei punti rilevanti in ordine al contenuto di tali regolamenti. Tra cui in particolare la garanzia di riservatezza del procedimento, le modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico (Art. 3, comma 2, D.Lgs), la durata del procedimento non superiore a quattro mesi, l'effetto sul termine di prescrizione del diritto della domanda di mediazione, l'efficacia del verbale di conciliazione omologato di titolo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, la condanna alle spese del giudizio di cognizione che si concluda con un provvedimento di contenuto identico alla proposta di conciliazione formulata dal mediatore a carico della parte che non l'ha accettata, anche se vincitrice.

20 Art. 5, comma 2, dispone che «Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all'invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione».

21 L'art. 141 cod. cons., come modificato dall'art. 18 D.Lgs 23 ottobre 2007, n. 221, sancisce che le procedure conciliative facoltative tra consumatore e professionista possono essere esperite dinanzi alle Camere di Commercio e agli altri organi di composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo «..che si conformano ai principi della raccomandazione 98/257/CE della Commissione, del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, e della raccomandazione 2001/310/CE della Commissione, del 4 aprile 2001, concernente i principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo...». Gli organismi che operano in conformità alle raccomandazioni europee sono iscritti in un elenco gestito dal Ministero delle attività produttive.

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www.judicium.it appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo con il Ministro dello sviluppo economico, stabilisce che a tali disposizioni dovranno conformarsi gli organismi di composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo previsti dall'art.

141 del codice del consumo22.

3. Il procedimento di conciliazione tra gli enti esponenziali ed i professionisti nell'art. 140 del codice del consumo.

Esaminate le interazioni tra la nuova disciplina in tema di mediazione delle controversie civili e commerciali e la disciplina del codice del consumo, dedichiamo la nostra attenzione alle norme sulla conciliazione collettiva, contenute nell'art. 140 cod. cons.

Tale norma, disciplinante le azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, prevede che le associazioni rappresentative dei consumatori23 e gli altri enti legittimati all'azione24 possono attivare prima del ricorso al giudice la procedura di conciliazione.

22 L'art. 16 rubricato «Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori», al comma 2 stabilisce che: «La formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all'adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni». In attuazione di questa norma l'art. 3 del regolamento integrativo, ha previsto l'istituzione del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione, e ha individua due apposite articolazioni, una relativa agli enti pubblici e una agli enti privati, con tre sezioni ciascuna che indicano rispettivamente l’elenco dei mediatori, i mediatori specializzati nella materia internazionale e quelli specializzati nella materia dei rapporti di consumo. Il registro degli organismi di mediazione è visualizzabile sul sito del Ministero della giustizia, www.giustizia.it.

Anche le Camere di commercio dovranno attenersi alle previsioni dei decreti ministeriali: «..gli organismi istituiti ai sensi dell'art. 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'art. 16», ('art.

19, comma 2).

23 Le associazione dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale sono iscritte in un apposito elenco, tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico. L'iscrizione secondo quanto previsto dall'art. 137 cod. cons.

è subordinata al possesso di una serie di requisiti, come l'avvenuta costituzione da almeno tre anni, il possesso di uno statuto che preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori, senza fine di lucro; un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni; lo svolgimento di una attività continuativa nei tre anni precedenti. Dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal codice del consumo, e a tal fine possono chiedere al tribunale ai sensi dall'art. 140 cod. cons.: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

24 L'art. 139 cod. cons. prevede che anche gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell'Unione europea ed inseriti in un elenco, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono agire secondo le modalità di cui dall'art. 140, nei confronti dei comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato.

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Preme rilevare che il ricorso alla procedura conciliativa non è subordinato, a differenza dell'azione giudiziaria, alla condizione di procedibilità prevista dalla necessità di una diffida mediante lettera raccomandata al professionista, ritenuto responsabile, di cessazione del comportamento lesivo degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti (art. 140, comma 5, cod. cons.)25. Ciò si ricava agevolmente dall'interpretazione letterale del combinato disposto del comma 1 e del comma 5 dell'art. 140 cod. cons. Quest'ultimo, infatti, dispone che «in ogni caso l'azione di cui al comma 1 può essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo raccomandata....», e atteso che il comma 1 prende in considerazione l'azione giudiziale ne consegue che le associazioni dei consumatori sono onerate della previa diffida di cessazione del comportamento solo ai fini della proposizione di questa e non anche ai fini dell'esperimento del tentativo di conciliazione, al quale il comma 5 non fa alcun richiamo.

La procedura deve essere definita entro sessanta giorni26, e in caso di esito positivo il verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell'organismo di composizione extragiudiziale adìto27, deve depositarsi per l'omologazione nella cancelleria del tribunale del luogo ove si è svolto il procedimento di conciliazione. Accertata dal Tribunale, in composizione monocratica, la regolarità formale del verbale di conciliazione, viene dichiarato esecutivo con decreto.

3.1. Segue. Gli organismi davanti ai quali è esperibile il procedimento il procedimento di conciliazione collettiva.

Quanto poi agli organismi abilitati a svolgere la conciliazione l'art. 140 cod. cons. dispone che le associazioni rappresentative e i soggetti legittimati all'azione possono attivare la procedura dinanzi alle Camere di commercio competenti per territorio istituite a norma dell'articolo 2, comma 4, lett.

25 Diverso il pensiero di COMOGLIO P., Aspetti processuali della tutela del consumatore, in Riv. dir. proc., 2007, 312 ss., il quale ritiene che gli enti esponenziali possono attivare le procedure di conciliazione solo dopo la diffida al professionista di cessazione del comportamento lesivo; nello stesso senso ZENO-ZENCOVICH-PAGLIETTI, Diritto processuale dei consumatori, cit., 26.

26 Tale termine viene considerato ordinatorio, si veda BARTOLOMUCCI P., voce «Conciliazione extragiudiziale», in Digesto IV ed. Disc. priv., sez. civ., 2007, 263.

27 Per rappresentante dell'organismo di composizione extragiudiziale si intende il conciliatore che interviene per promuovere la conciliazione.

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a), della legge 29 dicembre 1993 n. 58028, o in alternativa dinanzi agli altri organismi di composizione extragiudiziale competenti per la risoluzione delle controversie tra il singolo consumatore e il professionista, individuati dall'art. 141 cod. cons.

Tale disposizione, insieme all'art. 141 cod. cons. come recentemente modificato29, presenta un elemento di rilevante novità, in quanto estende la funzione conciliativa - prima di esclusiva competenza delle Camere di commercio – anche ad altri organismi di conciliazione30, la cui attività è conforme ai principi delle raccomandazioni europee 98/57/CE e 2001/310/CE, in materia di consumo31. La possibilità di avviare il procedimento di conciliazione nell'interesse collettivo dinanzi organismi conciliativi diversi dalle Camere di commercio, è un elemento che potrebbe avere delle ricadute positive, rendendo concretamente utilizzabile il meccanismo conciliativo regolato dall'art. 140 cod. cons

Come già accennato, gli organismi di conciliazione, individuati dall'art. 141 cod. cons., per essere abilitati a svolgere la funzione conciliativa dovranno provvedere all'iscrizione nel nuovo registro degli organismi di mediazione, secondo le modalità stabilite nel decreto ministeriale 18 ottobre 201032. Tale decreto ha dettato i criteri per l'iscrizione nel registro, ponendo un particolare accento sulla capacità finanziaria e organizzativa del soggetto, sui criteri di determinazione delle indennità spettanti agli organismi, sui requisiti soggettivi degli amministratori e dei soci, sui requisiti di qualificazione professionale dei mediatori, e sulle garanzie di imparzialità, indipendenza, trasparenza, riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione. L'osservanza di tali criteri da parte degli organismi non pone problemi di incompatibilità con i principi ispiratori delle menzionate raccomandazioni europee: imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità, ai quali - secondo il disposto dall'art. 141 cod. cons. - devono conformarsi per poter svolgere la funzione conciliativa. D'altronde, tali principi trovano corrispondenza nella fonte d'origine europea della recente normativa in tema di mediazione: la direttiva n. 52 del 2008, relativa alla mediazione in materia civile e commerciale, che rappresenta l'esito di un percorso europeo iniziato da tempo proprio in materia di risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo33.

Permane invece l'impossibilità di far ricorso alle negoziazioni paritetiche quale meccanismo di risoluzione extragiudiziale tra le associazioni e le imprese delle azioni inibitorie ex artt. 37 e 140 cod. cons. Il modello delle negoziazioni paritetiche, infatti, che si fonda su protocolli d'intesa tra le associazioni dei consumatori e le aziende - sulla base dei quale vengono poi adottati i regolamenti di conciliazione che disciplinano le modalità pratiche di svolgimento della procedura di

28 La facoltà per gli enti esponenziali di attivare la procedura di conciliazione dinanzi alle camere di commercio, era già prevista dall'art. 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281 “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”.

29 Il comma 2 dell'art. 141 è stato sostituito dall'art. 18, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

30 Tale novità si inserisce in un generale tendenza legislativa volta a favorire procedimenti di risoluzione extragiudiziale delle controversie.

31 Le due raccomandazioni della Commissione stabiliscono i criteri minimi di qualità degli organismi che svolgono funzioni conciliative in materia di consumo.

32 Gli organismi unitamente alla domanda di iscrizione, devono depositare il codice etico e il proprio regolamento di procedura, al quale devono essere allegate anche le tabelle delle indennità richieste dall'organismo privato. Gli organismi costituiti dalle Camere di commercio, ai sensi dell'art. 4 del decreto ministeriale, sono iscritti su semplice domanda, all'esito della verifica della sussistenza del solo requisito di cui al comma 1, lettera b), cioè il possesso della polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000,00 euro per la responsabilità derivante dallo svolgimento dell'attività di mediazione, e della sussistenza dei requisiti di qualificazione dei mediatori.

33 Cfr. ZUCCONI GALLI FONSECA E., La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, cit., 655.

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conciliazione - è caratterizzato dal fatto che la risoluzione delle controversie avviene attraverso il confronto tra consumatore ed azienda per il tramite di loro rispettivi rappresentanti (un'associazione dei consumatori, cui conferisce mandato il consumatore, e un rappresentante dell'azienda) senza l'intervento di un conciliatore terzo34. Al di là del fatto che i regolamenti adottati dalle commissioni paritetiche prendono in considerazione solo le controversie tra singoli consumatori e imprese, il limite principale all'utilizzo di questo sistema per la risoluzione della controversia collettiva discende dall'evidente mancanza di terzietà della commissione paritetica: sia l'associazione che l'impresa sarebbero rappresentanti di se stessi. Di conseguenza, non verrebbe attuato quel principio di terzietà richiesto dalle raccomandazioni 98/57/CE e 2001/310/CE35..

3.2. Segue. Il tentativo di conciliazione promosso dal professionista.

La facoltà di attivazione del tentativo di conciliazione è riconosciuta anche al professionista, con la particolarità che egli può promuoverlo anche dopo l'instaurazione del giudizio.

L'art. 140, comma 6, fa infatti riferimento al soggetto al quale sia intimata la cessazione del comportamento lesivo o già convenuto in giudizio36.

Al fine di evitare comportamenti dilatori, la possibilità del professionista di promuovere il tentativo di conciliazione non incide però in alcun modo sul diritto delle associazioni di intraprendere l'azione giudiziale nei suoi confronti, in quanto l'attivazione non comporta né una sospensione ai fini del ricorso in sede giurisdizionale, né la sospensione del giudizio già avviato

34 La conciliazione paritetica ha avuto una notevole diffusione tra le grandi aziende, poiché consente alle imprese di risolvere in maniera economicamente vantaggiosa un numero elevato di controversie di natura seriale, preservando anche dal rischio che eventuali sentenze di condanna siano denunciate sui mezzi di informazione con un conseguente danno all'immagine, e ai consumatori consente invece di ottenere soluzioni rapide e generalmente senza affrontare alcun costo. Tra i più rilevanti protocolli di intesa stipulati si annoverano quelli tra associazioni dei consumatori e Telecom, Poste Italiane, Enel, Eni, Banca Intesa, Monte dei Paschi di Siena, Trenitalia,Vodaphone, HG3, Wind, Fastweb. Nel 2009 si sono registrate 30.213 domande di negoziazione paritetica, che hanno costituito il 32,3% di tutte le domande ADR registrate nell'anno. Cfr. BONSIGNORE V., La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2009: i risultati di una ricerca, op. cit.

È da evidenziare che le negoziazioni paritetiche non sono precluse dal decreto legislativo 28/2010, l'art. 2, comma 2, stabilisce che «il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalla carte dei servizi»

35 Sui principi ispiratori della disciplina europea in materia di conciliazione delle di consumo da ultimo, ZUCCONI GALLI FONSECA E., La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, cit., 653 ss.

36 Art. 140, comma 6: «Il soggetto al quale viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo ai sensi del comma 5, o che sia stato chiamato in giudizio ai sensi del comma 1, può attivare la procedura di conciliazione di cui al comma 2 senza alcun pregiudizio per l'azione giudiziale da avviarsi o già avviata. La favorevole conclusione, anche nella fase esecutiva, del procedimento di conciliazione viene valutata ai fini della cessazione della materia del contendere».

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dalle associazioni fino al decorso dei sessanta giorni per la conclusione del procedimento di conciliazione. E ciò è scritto in maniera limpida dal legislatore: «senza alcun pregiudizio per l'azione giudiziale già avviata o da avviare»37.

In caso di esito positivo del procedimento conciliativo è prevista una ricaduta diretta sul giudizio già in corso: l'art. 140 al comma 6, cod. cons. statuisce che la favorevole conclusione, anche nella fase esecutiva, del procedimento viene valutata dal giudice ai fini della cessazione della materia del contendere. Si crea in questo modo lo spazio affinché il giudice possa conoscere e verificare, in contraddittorio con le parti, l'effettiva cessazione della lite per l'intervenuta definizione conciliativa38.

Ove dovesse verificarsi quest’ultima evenienza, sarà inammissibile quindi da parte della stessa associazione agente della conciliazione una sua azione inibitoria successivamente promossa39. La dichiarazione infatti della cessazione della materia del contendere, conseguente all'accertamento dell'avvenuta conciliazione tra le parti, impedisce la riproposizione di una domanda dall'identico contenuto tra le parti del giudizio.

3.3. Segue. Efficacia del verbale di conciliazione.

Come già detto, il verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell'organismo può essere omologato ai fini dell'esecuzione forzata.

Il verbale di conciliazione è poi accompagnato da un altro elemento che contribuisce a conferire una particolare efficacia allo stesso: il verbale - pur costituendo un negozio giuridico40 - è soggetto allo stesso meccanismo delle astreintes previsto per l'inadempimento del provvedimento giudiziale inibitorio, che impone obblighi di astensione dal comportamento illegittimo ed, eventualmente, obblighi di adozione di misure idonee all'eliminazione degli effetti dannosi41, per loro natura infungibili. In particolare, l'art. 140, comma 7, cod. cons. dispone che in caso di inosservanza da

37 Cfr. art. 140, comma 6, cod. cons.

38 Cfr. CUOMO ULLOA F., La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Padova, 2008, 380 ss.

39 Quanto invece alle (limitate) conseguenze della conciliazione rispetto alle azioni inibitorie successivamente promosse da altre associazioni, vedi più avanti al par. 4.1.

40 In questo senso LUISO, La conciliazione giudiziale, in AA.VV., I contratti di composizione delle liti, a cura di GABRIELLI e LUISO, Torino 2005, 330 ss.

41 Si veda art. 140, comma 7, cod. cons., così già art. 3, comma 5 bis L. 281 del 1998.

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parte del professionista degli obblighi assunti in sede di verbale di conciliazione, l'associazione può adire il tribunale con procedimento in camera di consiglio, affinché accertato l'inadempimento disponga il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro per ogni inadempimento o giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto42. L'importo verrà poi versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinato ad un fondo istituto presso il Ministero dello sviluppo economico da utilizzare per attività a vantaggio dei consumatori.

Il legislatore rende così possibile il ricorso al meccanismo delle astreintes a prescindere da un accordo in tal senso delle parti in seno al verbale di conciliazione, come invece avviene, in virtù della nuova normativa del 2010 in materia di mediazione delle controversie civili, ove è previsto che nel caso in cui le parti non rispettino gli obblighi stabiliti nel verbale di conciliazione le astreintes potranno farsi valere solo se contemplate nell'accordo43. E, per questa via attribuisce al verbale di conciliazione tra le associazioni dei consumatori e il produttore un'efficacia cogente che risulta essere in linea con quel modello di forte tutela del consumatore elaborato dalle Istituzioni comunitarie.

4. Il rapporto tra la conciliazione collettiva e il successivo giudizio tra il singolo consumatore ed il professionista.

La conciliazione intercorsa tra l'ente esponenziale ed il professionista vincola gli stessi in relazione alle obbligazioni assunte circa la condotta futura, ma non esplica efficacia in termini di accertamento circa la lesività del comportamento imprenditoriale o l'abusività delle clausole.

L'accordo conciliativo, in quanto negozio giuridico volto alla risoluzione della controversia, mediante l'assunzione di obblighi idonei a porre fine alla condotta lesiva dei diritti dei consumatori o utenti, prescinde dall'accertamento circa la questione fattuale o giuridica sottostante.

Nondimeno, nel verbale di conciliazione potrebbe distinguersi anche un momento accertativo circa l'attuazione della comportamento lesivo dei diritti dei consumatori da parte del professionista;

42 Cfr. art 140, comma 7, cod. cons.

43 Cfr. art. 11, comma 3, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Si veda PAGNI I., Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti, in La società, 2010, 624 ss.

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in tal caso, le relative dichiarazioni attinenti il comportamento tenuto non avranno efficacia vincolante per le parti stipulanti44, né per il giudice investito dell'accertamento del medesimo comportamento in sede di successivo giudizio intrapreso dal singolo consumatore per i danni subiti45.

Esse, seppur non vincolanti sotto il profilo sostanziale, possono assumere valenza sotto il profilo probatorio nel successivo giudizio individuale promosso dal consumatore, alla stregua di una confessione stragiudiziale resa dal professionista a un terzo, in quanto dichiarazioni di scienza contra se46.

44 La transazione in quanto volta alla costituzione di una nuova situazione giuridica o alla modificazione di una situazione giuridica preesistente è un negozio dispositivo, e non un negozio di accertamento. Quest'ultimo ha lo scopo di fissare la situazione giuridica preesistente, la transazione invece tende alla composizione contrattuale della controversia senza la necessità di effettuare un accertamento della preesistente situazione giuridica e, sulla base del volere dei transigenti, realizza una funzione costitutiva; diversamente l'accertamento, che si risolve in una dichiarazione ricognitiva dell'esistenza di un rapporto obbligatorio o reale, realizza una funzione dichiarativa. E, qualora l'accordo concluso tra le parti, oltre la regolamentazione del rapporto, includa anche un accertamento della situazione giuridica sostanziale, sotto questo profilo non avrà efficacia vincolante tra le parti, avendo il negozio struttura costitutiva e non dichiarativa. Sulle divergenze tra i due istituti, si veda SANTORO PASSARELLI F., L'accertamento negoziale e la transazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 1 ss.; ID. La transazione, Napoli, 1986; GIORGIANNI, M., Il negozio di accertamento, Milano, 1939; FURNO C., Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, Firenze, 1948;

BOVE, Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc., 1999, 707 ss. Sull'ammissibilità del negozio di accertamento, da ultimo FORNACIARI M., Lineamenti di teoria generale dell'accertamento giuridico, Torino, 2002.

In giurisprudenza, si veda Cass. Civ. 13 ottobre 2005, n. 19883, ivi si afferma che «il negozio di accertamento ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico presistente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo: in quanto le parti, in virtù della loro autonomia negoziale possono chiarire dubbi ed incertezza insorti intorno ad un preesistente negozio, con un regolamento, che deve, però, corrispondere alla situazione preesistente; e che perciò non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, ma rende definitive ed immutabili situazioni effettuali già in stato di obbiettiva incertezza...Per tali caratteri detto negozio non solo differisce dalla promessa e dalla ricognizione di debito, ma risulta del tutto incompatibile con le trattative per comporre bonariamente la vertenza, le proposte, le concessioni e le rinunzie fatte a scopo transattivo (e a maggior ragione con la transazione) che non hanno una funzione meramente dichiarativa della situazione giuridica preesistente, né come proprio presupposto l'ammissione totale o parziale della pretesa controversia; e non comportano neppure implicito riconoscimento della validità di una o di entrambe le contrapposte tesi delle parti...».

45 Sull'efficacia della conciliazione collettiva nella lite individuale si veda, SCALAMOGNA M., L'efficacia dell'accertamento collettivo nelle liti individuali secondo il codice del consumo, in Riv. dir. proc., 2008, 681 ss.

46 Il tema della portata confessoria delle dichiarazioni di scienza contenute in una transazione è stato spesso oggetto di esame da parte della Suprema Corte. All'orientamento tendente a non riconoscere natura confessoria alle dichiarazioni per mancanza dell'animus confitendi, cioè della consapevolezza e volontà di ammettere un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte, si è contrapposto l'orientamento secondo cui è ravvisabile nel contenuto complessivo di una transazione anche un momento accertativo della situazione di fatto preesistente, che assume valore confessorio qualora tale dichiarazione abbia ad oggetto la ricognizione di situazioni di fatto o di diritto, e quanto all'elemento soggettivo della confessione «..(animus confitendi), si configura come volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto affermato, obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte, senza che sia necessario l'ulteriore requisito della consapevolezza di tale obiettiva incidenza e delle eventuali conseguenze giuridiche che da essa possono derivare». Così, Cass. Civ. 11 aprile 2000, n. 4608, in Giust. Civ. Mass., 2000, 783. In senso favorevole al valore confessorio, cfr. Cass. Civ., 6 febbraio 2009, n. 3033, in I Contratti, 2009, 894 ss., con nota di GALLO D., Transazione: accertamento della situazione di fatto e valore confessorio delle dichiarazioni di scienza;;

Cass. Civ. 30 maggio 1996 n. 5019, in Giust. Civ. Mass., 1996, 800 ss.; Cass. Civ. 14 febbraio 1996, n. 1102; contra Cass. Civ. 13 ottobre 2005, n. 19883, ibidem, 2005, 10; Cass. Civ., 23 gennaio 1997, n. 712 ibidem, 1997, 118; Cass.

Civ., 14 settembre 1983, n. 5564, ibidem, 189.

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Il valore confessorio ascrivibile alle dichiarazioni del professionista, contenute nel verbale di conciliazione, è però condizionato al fatto che esse abbiano per oggetto la ricognizione fattuale della condotta lesiva o della situazione giuridica considerata “sub specie facti” (quale un contratto contenente condizioni generali), e non anche le dichiarazioni aventi ad oggetto la valutazione giuridica dei fatti. Detto in altri termini, se in sede di verbale il professionista abbia ammesso di aver distribuito un prodotto con un determinato difetto, la dichiarazione di riconoscimento sarà spendibile dal consumatore nell'eventuale processo come dichiarazione confessoria. Viceversa, non potrà essere attribuito valore confessorio alle dichiarazioni del professionista in riferimento all'utilizzo di condizioni generali di contratto abusive; infatti anche se il professionista abbia riconosciuto la vessatorietà delle stesse, la dichiarazione avrà ad oggetto non un fatto ma una valutazione giuridica, e come tale inidonea ad integrare confessione stragiudiziale.

Nel caso in cui invece il singolo consumatore intraprenda ai sensi dell'art. 141 cod. cons. un procedimento di composizione extragiudiziale delle controversie dinanzi ad un organismo abilitato, in virtù dell'art. 7, lett. c. comma 2, del regolamento attuativo del nuovo decreto legislativo n. 28 del 2010, l'organismo di mediazione potrebbe utilizzare i risultati di una precedente negoziazione paritetica tra altro consumatore e il professionista in ordine alla stessa condotta illecita47.

4.1. Segue. Il rapporto tra la conciliazione collettiva e i successivi giudizi inibitori promossi da altre associazioni.

Quanto poi all'efficacia della conciliazione tra l'ente esponenziale ed il produttore rispetto agli altri enti legittimati all'esercizio dell'azione inibitoria ex art. 140 cod. cons. è da rilevare che essa non implica un vincolo. Se così non fosse, si finirebbe per attribuire alla conciliazione una forza superiore allo stesso provvedimento giudiziale inibitorio che non comporta la consumazione dell'azione48.

47 Il legislatore nell'art. 7, utilizzando impropriamente l'espressione «aventi per oggetto la medesima controversia», fa riferimento alla possibile utilizzazione dei risultati delle negoziazioni paritetiche tra un altro consumatore e professionista in ordine alle conseguenze dannose scaturite dal medesimo comportamento illecito.

48 Se si privilegia la prospettiva che la nozione di interessi collettivi individua quelle posizioni giuridiche soggettive appartenenti ai singoli consumatori - titolari in modo pieno - caratterizzate dall'essere conformi, si configura un concorso di azioni.

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Pertanto, a mio avviso, un altro ente esponenziale ben potrà avviare il procedimento conciliativo o l'azione giudiziale, laddove l'accordo conciliativo stipulato per porre fine al comportamento lesivo sia insoddisfacente ai fini della tutela degli interessi collettivi dei consumatori, e a fortiori in caso di inadempimento da parte del professionista degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione con la conseguente persistenza della condotta lesiva, sebbene in teoria l'adempimento dovrebbe essere assicurato dal meccanismo delle astreintes,

5. Delimitazione dell'oggetto della conciliazione collettiva. L'efficacia di eventuali determinazioni direttamente rivolte a favore dei singoli consumatori.

Per delimitare correttamente l'oggetto della conciliazione collettiva bisogna muovere dalla considerazione che il procedimento conciliativo è stato disposto dall'art. 140 del codice del consumo come forma alternativa all'esercizio dell'azione inibitoria di atti o comportamenti lesivi del professionista. Pertanto, la conciliazione può intervenire solo in ordine alla tutela di quei diritti dei consumatori enucleati dall'art. 2 del cod. cons., che in via giurisdizionale si sostanzia appunto nell'azione inibitoria dell'atto o del comportamento lesivo, nella pubblicazione del provvedimento e nelle misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi.

Quest'ultime vanno adottate, unitamente all'accoglimento dell'inibitoria, per la rimozione di quegli effetti della condotta illecita - la cui permanenza contribuirebbe a provocare la lesione degli interessi collettivi dei consumatori - e devono essere circoscritte alla rimessione in pristinum dello stato di fatto o di diritto turbato a causa della pratica illecita.

Tuttavia, la dizione poco felice della lettera b) dell'art. 140 cod. cons. concernente detti rimedi, insieme alla lacuna normativa solo (recentemente colmata dall'art. 140 bis cod. cons.) di uno strumento collettivo risarcitorio o restitutorio, ha talora comportato l'emanazione di provvedimenti giudiziali platealmente sconfinanti nella tutela degli interessi individuali omogenei dei consumatori, pur non essendo a ciò legittimate le associazioni dei consumatori49.

In modo corrispondente, la facoltà di conciliare delle associazioni dei consumatori o degli altri soggetti legittimati all'esercizio dell'azione promossa ai sensi dell'art. 140 cod. cons. deve essere

49 Sul contenuto delle misure idonee ad eliminare gli effetti dannosi, DI SALVO C. La tutela dei diritti individuali-collettivi nel codice del consumo: tra inibitoria, obblighi ripristinatori e inibitoria cautelare, in via di pubblicazione.

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