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Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo - Judicium

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Academic year: 2022

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MASSIMO FABIANI

Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo

SOMMARIO: 1. I confini dell’indagine. – 2. Uno sguardo alle dispute ideologiche sulla affermata o negata innovatività dell’art. 111 Cost. – 3. Giudice terzo e imparziale: dall’endiadi al sintagma. – 4.

La terzietà. – 5. L’imparzialità. – 6. Le ipotesi critiche prima della Riforma. – 7. L’evoluzione giurisprudenziale conservativa. – 8. L’adeguamento del legislatore. – 8.1. Iniziativa del p.m.

sollecitata dal tribunale fallimentare. – 8.2. L’opposizione agli atti esecutivi. - 8.3. Ipotesi critiche residuali in ambito concorsuale. - 9. I casi irrisolti. – 9.1. Le impugnazioni straordinarie e i giudizi di rinvio. – 9.2. Fattispecie di tutela sommaria. - 10. Tecniche di selezione dei parametri dell’imparzialità. - 10.1. Possibili soluzioni per i casi irrisolti. - 11. La frontiera dell’imparzialità nelle attività del giudice nei diversi modelli processuali. – 12. La discrezionalità imparziale nell’approccio sulle prove: l’iniziativa. – 12.1. La regola sull’onere probatorio. – 12.2. La funzione integrativa della prova officiosa. – 12.3. L’iniziativa officiosa come potere-dovere. - 13.

Conclusioni.

1. Dal confezionamento della legge costituzionale 2/1999 è, oramai, trascorso un decennio; un periodo che consente riflessioni più mature ed anche più meditate sui valori del “giusto processo”.

Nel corso di questi anni abbiamo assistito ad ulteriori cambiamenti dell’assetto del processo civile, alcuni dei quali sono diretta derivazione della riforma dell’art. 111 Cost.; ed ancora molte modifiche sono state apportate dal legislatore alla materia del diritto fallimentare, la materia che ai più è apparsa il terreno elettivo delle problematiche che attengono al giusto processo nella sua declinazione di processo che si deve svolgere davanti ad un giudice terzo e imparziale.

Sappiamo bene e tutti ne sono convinti, che la tessitura dell'art. 111 Cost. venne cucita da un sarto-legislatore che aveva come obiettivo quello di vestire di garanzie l’abito del processo penale, così da affermarne il valore di “giusto processo penale”.

Ma chiunque per curiosità voglia scoprire quanto il tema del giusto processo sia stato trattato nelle varie discipline processuali, si renderà facilmente conto sulla base di una semplice indagine compiuta su una seria banca-dati, che di giusto processo si discute non solo in ambito penalistico e, in misura minore, nel contesto del processo civile, ma anche e piuttosto frequentemente con riguardo al processo amministrativo, contabile e, soprattutto, al processo tributario.

Procediamo con ordine e tracciamo, subito, una serie di circonferenze sempre più strette al fine di marcare l’oggetto dell’esposizione. La prima, più ampia, è la circonferenza che coincide con il processo civile e più in particolare con i profili che riguardano il giudice. All’interno di questo cerchio posizioneremo le nozioni di terzietà ed imparzialità del giudice. Di poi, in una circonferenza sempre più ristretta inseriremo le fattispecie critiche che erano state selezionate negli anni

“novanta”, con due appendici perché si tratterà di vedere quale è stato l’atteggiamento della giurisprudenza rispetto ai problemi del giusto processo e quale è stata la replica del legislatore.

Infine nella circonferenza concentrica minore vedremo le fattispecie irrisolte e quali sono i possibili parametri da utilizzare per risolverle. L’indagine potrebbe chiudersi qui e così facendo credo si

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www.judicium.it riuscirebbe ad assolvere integralmente il compito affidato, visto che questa è la tradizionale impostazione.

Provando a contravvenire, almeno un poco, alla tradizione, in una seconda parte tenterò di affrontare il tema dell’imparzialità del giudice visto non più dal cono visivo del processo fra due parti specifiche, ma dalla prospettiva del modello processuale, là dove opera la semplificazione o là dove incide la discrezionalità (oltre ai casi in cui semplificazione e discrezionalità si affiancano e si sommano) con particolare attenzione al tema delle prove.

Al modo di una ulteriore premessa mi sono chiesto quali sono le ragioni che suggeriscono una nuova riflessione sul giusto processo. Nella consapevolezza ampiamente condivisa che la Riforma dell’art. 111 Cost. gemma dalle esigenze del processo penale, pur tuttavia per una non inconsueta eterogenesi dei fini, larga parte del nuovo art. 111 ben si presta alle speculazioni del processualcivilista1.

Come è stato notato, per ciò che attiene più nello specifico al profilo dell’imparzialità del giudice, il tema (già assunto come rivelatore di un certo disagio per le parti in anni meno recenti2) è tornato a galla negli anni novanta – ben prima della Riforma - in concomitanza con la proliferazione di modelli di tutela sommaria e anticipatoria indotti dalla esplosione della crisi dei tempi del processo civile; più si sono diffusi provvedimenti interlocutori ma non meramente strumentali (come quelli istruttori), più ci si è chiesti se l’adozione di tali provvedimenti non potesse inquinare il giudizio finale di merito3. A questo rinnovato interesse non erano estranee né l’opzione per il giudizio monocratico (1990) né l’istituzione del giudice unico di primo grado (1998).

Ora trascorso un decennio dalla Riforma4, val la pena riparlare del giusto processo civile quanto meno per due ordini di motivi: i) il tema dell’imparzialità del giudice che in parte afferisce alla disciplina dell’ordinamento giudiziario come criterio guida delle regole di organizzazione, pur tuttavia nelle coscienze dei giuristi esprime principalmente il valore del giusto processo5; ii) il valore del giusto processo torna di incipiente attualità perché è trasmodato dalla legislazione costituzionale a quella ordinaria là dove l’attuale art. 360 bis c.p.c. stabilisce che se il ricorso si

1 L’indagine, quindi, presuppone l’autonomia delle speculazioni sul processo civile e si distacca dai condizionamenti del processo penale (gemmati da Corte cost., 15 settembre 1995, n.432, Foro it., 1996, I, 411 che ha aperto la stagione delle nuove incompatibilità nel processo penale). Non credo che il netto distinguo fra processo penale e processo civile declamato delle pronunce della Consulta (sembra di leggere nelle pieghe che il giudice civile può essere un po’ meno imparziale del giudice penale perché solo questo si occupa del bene primario della libertà personale) meriti un incondizionato plauso e pur tuttavia nel comparto del diritto processuale civile si può giungere ad “oneste” conclusioni che non sia troppo condizionate dalle suggestioni che rinvengono dal processo penale.

2 FAZZALARI, L’imparzialità del giudice, in Riv.dir.proc., 1972, 193.

3 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, in Riv.dir.proc., 2002, 1150,

4 Ex multis, per i contributi a ridosso della riforma, v., CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costizuione e il processo civile, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di M.G. Civinini e C. Verardi, Milano 2001, 13 ss., spec. 16; TROCKER, Il valore costituzionale del " giusto processo ", in Il nuovo articolo 111, cit., 36 ss.; COSTANTINO, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il " giusto processo civile ". Le garanzie, ivi, 255 ss.; PROTO PISANI, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it. 2000, V, 241 ss.; TARZIA, L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, in Riv. dir. proc. 2001, 1 ss.; LANFRANCHI, Giusto processo: I) Processo civile, in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento, vol. X, Roma 2002, 7 ss.; TOMMASEO, Giustizia civile e principi del " giusto processo ", in Studium juris 2002, 600.

5 SCARSELLI, L’imparzialità del giudice e il suo controllo, in Foro it., 2000, I, 772.

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www.judicium.it fonda su una violazione delle regole del giusto processo, la comminatoria della inammissibilità (il cd. filtro) non può trovare spazio6.

2. È ben noto come in letteratura all’indomani della Riforma si fossero formati due indirizzi interpretativi contrapposti volti da una parte a sminuire la portata innovativa e dall’altra parte ad esaltarne il significato7. Così mentre taluni autori sostenevano che niuna norma processuale sarebbe stata destinata ad una declaratoria di illegittimità costituzionale che non potesse sortire analoga sorte prima del 1999 (sì che il pregio maggiore era solo quello della chiarezza in merito all’importanza di taluni principi8), da altri si auspicava che i giudici di merito sottoponessero alla Consulta varie fattispecie assertivamente collidenti con la novellata carta costituzionale9.

A distanza di un decennio forse non ha più tanta importanza una investigazione sul se e come l'art. 111 abbia mutato la cornice di diritto positivo applicato. Ci basti qui precisare che la declamazione della terzietà ed imparzialità ci esime, ora, di fronte ad una fattispecie critica dal dover effettuare uno scrutinio indiretto di costituzionalità che passi per il combinato disposto degli artt. 3, 24 e 101 Cost.; adesso senza entrare nel tortuoso circuito di norme, possiamo con immediatezza affermare che è incostituzionale quella disposizione che non garantisce direttamente la terzietà e l’imparzialità del giudicante10. Questo tanto basta per apprezzare la novità e per concludere che l’art. 111 Cost. non è stato scritto inutilmente.

Se dovessimo impostare un bilancio della disputa fra i due “partiti”, possiamo concludere che il match si è concluso in parità: il primo round se lo è aggiudicato la dottrina “conservatrice” ed il secondo la dottrina “innovatrice”. Infatti registriamo un atteggiamento piuttosto distaccato del giudice delle leggi che non ha forzato l’interpretazione dell’art. 111 Cost., cui però è seguita da parte del legislatore la scelta di recepire in modo più pervasivo la novità costituzionale. Di questi

6 Sulla portata dell’art. 360 bis c.p.c., e sulla estrema ambiguità del cd. filtro relativo al “giusto processo”, v., GRAZIOSI, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio di cassazione, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2010, 54; G.F. RICCI, Ancora insoluto il problema del ricorso per cassazione, in Riv.dir.proc., 2010, 111; BRIGUGLIO, Ecco il ‹‹ filtro››! (l’ultima riforma del giudizio di cassazione), in Riv.dir.proc., 2009, 1286; CONSOLO, Una buona

"novella" al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr.giur., 2009, 737.

7 VIGNERA, Le garanzie costituzionali del processo civile alla luce del «nuovo» art. 111 cost., in Riv.trim.dir.proc.civ., 2003, 1189, definisce icasticamente come abissale la distanza fra le due impostazioni.

8 BOVE, Art. 111 cost. e ‹‹ giusto processo civile ››, in Riv.dir.proc., 2002, 482; CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costizuione e il processo civile, cit., 16; MARUFFI, L'art. 111 Cost. e l'incompatibilità del giudice nel processo civile, in Riv.dir.proc., 2003, 1166.

9 PROTO PISANI, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, cit., 241.

10 Secondo gran parte della letteratura il principio di neutralità del giudice era ricavabile dal divieto [per vero inespresso] di iniziativa processuale d’ufficio (art.24), dalla garanzia del giudice naturale (art.25), dal divieto di costituire giudici speciali (art.102), dalla soggezione dei giudici alla legge (art.101), dalla garanzia di indipendenza della magistratura (art.104), dal principio di eguaglianza (art.3). Dalla lettura in controluce di queste disposizioni, in base a tale impostazione, era quindi agevole arguire la costituzionalizzazione del giusto processo (TROCKER,Processo civile e costituzione, Milano, 1974; CAPPELLETTI-VIGORITI,I diritti costituzionali delle parti nel processo civile italiano, in Riv.dir.proc., 1971, 604 ss. ), quale giudizio tenuto da un giudice terzo e imparziale. La rilevanza costituzionale del giusto processo passava pur tuttavia per la verifica della compatibilità di singole norme ordinarie con singole norme primarie, con la conseguenza che il principio della terzietà del giudice non poteva considerarsi violato quando pur risultando per breve periodo compresso il principio della domanda di parte come presupposto dell’esercizio della giurisdizione, il contraddittorio non fosse sostanzialmente eroso. In sostanza la garanzia del contraddittorio (espresso con formule anche disomogenee) poteva temperare il divieto della iniziativa officiosa. Adesso l’effettività del contraddittorio non dovrebbe supplire al principio nemo iudex sine actore, sì che la compressione della regola della domanda non può più essere tollerata, neppure quando la saldezza del valore del giudice-terzo venga posta a confronto, ai fini di un bilanciamento di interessi, con le esigenze di tutela di altri valori.

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www.judicium.it argomenti si tratterà a breve, ma è necessario subito darne conto per capire bene ciò che è accaduto con riguardo al tema dell’imparzialità del giudice, intesa nella sua accezione tradizionale come equidistanza rispetto alle parti (ma accezione che presto cercherò di meglio precisare).

Quando, invece, dell’imparzialità preleviamo l’accezione che sconfina nella discrezionalità e nell’interventismo giudiziale, ecco che le posizioni si ribaltano, perché riscontriamo come in un primo momento abbiano prevalso gli innovatori, per poi essere soppiantati da un certo qual atteggiamento di restaurazione. Mi riferisco, ovviamente, al pendolo legislativo che raggiunge l’apice quando si eleva il ruolo di estraneità del giudice rispetto al processo al processo (e ciò è accaduto con il rito societario), per poi infrangersi nella voragine della sua abrogazione, non disgiunta, per di più, dalla proposizione di un modello di tutela dichiarativa semplificata che va nella direzione opposta del processo societario (cfr., artt. 702 bis ss. c.p.c.).

Come si nota, una situazione che qualcuno potrebbe definire dissociata e che invece pare purtroppo una costante nella legiferazione in materia di processo civile.

Chiuso questo quadro di sintesi, già però indirizzato a porre in luce le criticità persistenti del giusto processo visto nella declinazione del “giudice terzo e imparziale”, è il momento di leggere questi due lemmi per vedere qual è il significato più congruo che ad essi possiamo associare.

3. “Giudice terzo e imparziale”, recita il 2° comma dell’art. 111, ma questa formula che ci pare così consueta quasi da sembrare un refrain, non è poi così consolidata perché nella stesura del progetto di riforma, si utilizzava solo l’espressione “giudice terzo”. Si è aggiunto anche “imparziale” e, forse, già la cronaca dell’andamento dei lavori parlamentari dovrebbe far riflettere sulla bontà della tesi per cui quella in essere sarebbe una figura retorica espressa come endiadi. Prima di vedere quali sono i motivi che ci spingono a preferire la soluzione opposta, è utile ricordare che nei testi germinati dalla normativa sovranazionale, il termine “imparziale” è di solito associato a

“indipendente”11.

Ecco, dunque, che il processo è giusto se si svolge davanti ad un giudice terzo e imparziale, ma che sia pure indipendente, visto che la qualità dell’indipendenza e, aggiungiamo, dell’autonomia certo si ritrovano in Costituzione.

Indipendenza ed autonomia incidono sull’organizzazione e si presentano come una pre- condizione della terzietà ed imparzialità12. Si vuole che il giudice eserciti la giurisdizione essendo soggetto solo alla legge, estraneo a condizionamenti politici e autonomo in quanto sottoposto ad una organizzazione sostanzialmente corporativa. La circostanza che il giudice sia indipendente da altri Poteri vale a farne un giudice potenzialmente imparziale, ma da sola vale poco perché la garanzia dell’indipendenza riguarda più la funzione [del magistrato] che il concreto esercizio dell’attività giurisdizionale nel singolo processo.

Terzietà e imparzialità, dunque, costituiscono valori del giusto processo additivi rispetto al valore dell’ “indipendenza” di cui all’art. 101 Cost., nel senso che non riguardano i profili di separatezza rispetto agli altri poteri dello Stato. Certo un giudice non è terzo quando accondiscende alle seduzioni che provengono dagli altri poteri dello Stato, ma l’indipendenza affermata in Costituzione assicura la separatezza fra poteri, più che l’estraneità del singolo magistrato agli

11 L’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo del 1950; l’art. 10 della dichiarazione universale del 1948.

12 PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, I, I soggetti e gli atti, Torino, 2010, 144.

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www.judicium.it influssi esterni. Le considerazioni che verranno non si soffermeranno sul valore “alto”

dell’indipendenza.

Ma neppure, come già accennato, terzietà e imparzialità esprimono un unico concetto13, sì che l’una parola sarebbe solo rafforzativa dell’altra. Da una verifica semantica di ciascun termine possiamo notare che all’imparzialità si associano, come sinonimi molte parole che evocano l’idea della giustizia (equanimità, giustizia, neutralità, obiettività), invece alla terzietà si accompagna l’idea della “estraneità”.

Mi pare, allora, che i due termini vadano assemblati per rafforzare l’idea della assoluta estraneità del giudice rispetto alla res litigiosa, da ogni versante la si guardi, sì che il processo è davvero giusto sol quando il giudice è terzo e imparziale14. E per chi crede che la vera forza innovativa dell’art. 111 Cost. sia la sua attitudine a indicare che è giusto quel processo che è organizzato in modo da giungere alla soluzione giusta15, è evidente che la giustizia della decisione è più facilmente conseguibile da parte di un giudice privo di vincoli e di contiguità alla causa.

Terzietà ed imparzialità sono le colonne portanti per un esercizio effettivo della giurisdizione, al punto che difettando uno dei due requisiti potrebbe quasi dirsi che siamo al cospetto di un simulacro di processo16 (nel senso che il giudizio reso da una parte non è un giudizio17), ma su questo si tornerà per discutere dei mezzi di reazione al realizzarsi di queste patologie.

Per ora possiamo rilevare che: i) dal punto di vista linguistico i due termini esprimono concetti diversi, ii) nell’iter della Riforma, il lemma imparzialità è stato aggiunto, iii) nessuno dei due vocaboli va associato alla nozione di indipendenza del giudice18.

Ciò posto è ora giunto il momento di indagare più da vicino il significato di giudice terzo e imparziale.

4. Se riflettiamo sulla genesi della Riforma, possiamo rammentare che in origine si parlava solo di

“giudice terzo” e ciò ben rappresentava le suggestioni derivanti dal processo penale e in particolare quelle correlate alla necessità di separare il giudice dal pubblico ministero (senza che si debba indugiare sul fatto che questa separatezza sia funzionale ad una piena separazione di carriera fra giudice e pubblico ministero19).

13 Così, invece, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2009, 28; CHIARLONI, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2008, 142; BOVE, Art. 111 cost. e ‹‹ giusto processo civile ››, cit., 505.

14 CAPPONI, Brevi considerazioni sull’articolo 111 della Costituzione (procedimento monitorio, processo contumaciale, art. 186 quater c.p.c.), in Il nuovo articolo 111, cit., 105.

15 CHIARLONI, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, cit., 144; CARRATTA, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, in Riv.dir.proc., 2003, 36; PIVETTI, Per un processo civile giusto e ragionevole, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, cit., 62.

16 MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, cit., 317.

17 CIANFEROTTI, Logica del processo, logica del giudizio ed opinione pubblica, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2009, 1430; SATTA, Il mistero del processo, in SATTA, Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, 17.

18 MONTESANO,ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001, 414.

19 COMOGLIO, Etica e tecnica del giusto processo, Torino, 2004, 40.

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www.judicium.it Questa lettura non è irrilevante neppure nella cornice del processo civile. Se la terzietà del giudice nel processo penale è rappresentativa della necessità di allontanare il giudice dall’accusa in modo da pareggiare il rapporto con la difesa, nel processo civile la terzietà vuole rappresentare un distacco del giudice dalle domande delle parti, quindi il giudice non può mai rivestire tale ruolo in una causa propria: il giudice non può confezionare la domanda e poi deciderla. Se il processo civile (contenzioso, qualunque sia il modello di procedimento) è caratterizzato dalla necessaria compresenza di almeno tre soggetti – chi propone una domanda, chi resiste e chi decide – quando pensiamo al difetto di terzietà ci sovviene l'immagine del processo in cui manca una parte perché il ruolo di parte è assunto dal giudice che in qualche modo partecipa o alla formazione del thema decidendi o vi dà impulso senza concorrenti sollecitazione di parte20, e ciò in contraddizione con l’esaltazione del brocardo ‹‹ nemo iudex causa propria ››, ‹‹ ne procedat iudex ex officio ››. E la parte può mancare quando chi propone la domanda è proprio chi è chiamato, poi, a decidere, cioè il giudice. Questo difetto di terzietà incide proprio sull’essenza della funzione giurisdizionale e non significa affatto, o quanto meno non significa automaticamente, che quel giudice non sia imparziale nel momento in cui è chiamato a decidere21.

Ci si deve porre, allora questo interrogativo: è adeguato un sistema processuale che conosce fattispecie in cui alla tutela giurisdizionale dei diritti si procede per iniziativa d’ufficio del giudice?

L’art. 2907 c.c. è molto chiaro perché ammette che, sia pure in casi predeterminati, si proceda d’ufficio non già per promuovere un qualunque procedimento, ma proprio per promuovere un processo che ha per oggetto un diritto soggettivo (o uno status), o un potere.

La ratio di una siffatta previsione è sempre stata identificata nell’opportunità che in talune materie ove sono preminenti interessi pubblici o quanto meno superindividuali, l’iniziativa non fosse lasciata ai privati e al pubblico ministero. Per più di cinquant’anni non si è mai dubitato (se non, davvero, molto sporadicamente e sul piano dell’opportunità) che tali iniziative officiose fossero in contrasto con le norme costituzionali (pur se non mancavano espressioni di perplessità sulla compatibilità dell’officiosità col principio della domanda)22; pertanto quando il clima è mutato e cioè a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ciò è accaduto a ridosso della Riforma costituzionale, e direi, non per caso.

Quando vengono in gioco diritti soggettivi e status l’idea che sia un giudice a promuovere l’iniziativa processuale, per poi deciderla, contrasta con il bisogno, potremmo dire quasi di diritto naturale, di assicurare che il giudice sia terzo23. Ciò che più stride è che vi sia un giudice che ricerca i fatti dai quali scaturisce la fattispecie che poi è sottoposta al suo esame.

20 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1153.

21 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1154.

22 MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato Vassalli, XIV, 4, Torino, 1994, 25 ss.; BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale dei diritti, in Comm. Scialoja-Branca al cod.civ., Bologna-Roma, 1999, 12 ss.; VERDE, Domanda, in Enc.giur Treccani, Roma, 1989, XII, 1; LA CHINA, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato Rescigno, 19, I, Torino, 1985, 24; FABBRINI,Potere del giudice (dir.proc.civ.), in Enc.dir., Milano, 1985, XXXIV, 721; ANDRIOLI, Prova, in Noviss. Dig., Torino, 1967, XIV, 278 ss.; LIEBMAN, Fondamento del principio dispositivo, in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, 11 ss.; .FAZZALARI, La imparzialità del giudice, in Studi in memoria di C. Furno, Milano, 1973, 337 ss.; una posizione molto più decisa era assunta invece da CALAMANDREI,Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1943, I, 102, a proposito della necessità di tenere il giudice separato dalla iniziativa del processo.

23 PROTO PISANI, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, cit., 244; SCARSELLI, Brevi note sul giusto processo fallimentare, in Foro it., 2001, I, 115; VERDE, Diritto processuale civile. 1. Parte generale, Bologna, 2010, 5.

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www.judicium.it In questo caso il giudice assume, senza troppi infingimenti, le sembianze dell’attore così da inquinare l’aspettativa della necessaria terzietà nel processo. Sappiamo bene, peraltro, che assai raramente l’iniziativa officiosa si esternava attraverso queste modalità; non era il giudice a ricercare i fatti ma, sollecitato dall’esterno da chi era privo di legittimatio ad agendum , organizzava il materiale raccolto per poi decidere nel contraddittorio del destinatario della misura richiesta.

Normalmente il giudice si limitava a supplire, dando una veste formale alla iniziativa, alla carenza di legittimazione di taluni soggetti, anche se talora è accaduto che fosse direttamente il giudice a ricercare i fatti da sottoporre al proprio controllo in una sorta di egemonia processuale temperata solo dal contraddittorio.

Salvo questi casi estremi l’esternità della segnalazione quanto meno consentiva al giudice di mantenere psicologicamente un certo distacco dalla vicenda; nondimeno era innegabile che anche in quelle situazioni, mancando un attore, la ricerca e l’allegazione dei fatti, nonché le iniziative probatorie fossero affidate al giudice, talché a ben vedere l’approccio poteva egualmente risultare ombreggiato da queste attività.

Per quanto, ripeto, giustificabile in relazione alla tipicità superindividuale degli interessi, la scelta di affidare al giudice l’iniziativa processuale non sembrava allineata al valore della terzietà del giudice.

Quando parliamo di difetto di terzietà è naturale pensare al fatto che non può essere terzo quel giudice dove il contraddittorio è monco. Qui la patologia non riguarda il magistrato persona ma il giudice istituzione. Non si discorre dell’applicazione degli istituti della ricusazione e dell’astensione perché non c’è un giudice incompatibile, ma tutti i giudici sono incompatibili perché ciò che difetta è proprio la possibilità di esercitare la giurisdizione.

Laddove accada che un processo venga promosso da un giudice, al momento di decidere la res litigiosa il giudice ravvedutosi del proprio errore dovrebbe dichiarare la nullità del rapporto processuale e ove ciò non accadesse, nelle successive fasi di impugnazione il giudice del gravame dovrebbe annullare la sentenza per vizio di costituzione del giudice24, ma non escluderei neppure la più grave conseguenza indotta dalla sentenza resa da chi non può essere considerato giudice perché parte. Due conseguenze, come ognun vede molto diverse e ben più incisive rispetto a quanto regolato nell’art. 51 c.p.c. , perché non “pregiudicate” dalla proposizione del formale procedimento di ricusazione.

Pertanto, quando difetta la terzietà del giudice non credo proprio possa invocarsi la ormai tralatizia declamazione per cui qualora non sia stata proposta, ai sensi dell’art. 51 c.p.c., istanza di ricusazione, il vizio relativo alla costituzione del giudice per la violazione dell’obbligo di astensione non può essere dedotta quale motivo di nullità della sentenza, ex art. 158 c.p.c.25. Qui ciò che preoccupa è il difetto di alterità rispetto all’oggetto della lite.

24 Il ragionamento della giurisprudenza si trova esemplificato in Cass., 16 aprile 2004, n. 7252, ove si è statuito che anche a seguito della modifica dell’art. 111 cost. introdotta dalla l.cost. 23 novembre 1999 n. 2, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa (a meno che egli non abbia un interesse proprio e diretto nella causa), giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità-terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, come ha affermato la corte costituzionale (sentenza n. 387 del 1999), in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l’imparzialità-terzietà del giudice solo attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione; conforme, Cass., 27 febbraio 2004, n. 3974 [ n.d.A., le sentenze d’ora in poi citate senza collocazione, sono reperibili in massima sui repertori cartacei ed elettronici e non sono pubblicate per esteso].

25 Ex multis, Cass., 27 maggio 2009, n. 12263; Cass., 12 gennaio 2007, n. 565; . Cass., 29 marzo 2007, n. 7702; Cass. 28 giugno 2002, n.

9483, in Foro it., Rep. 2002, voce Astensione, ricusazione, n. 43; Cass., 11 marzo 2002, n. 3527, ibid., n. 39; Cass., 13 agosto 2001, n. 11070,

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www.judicium.it Quando è violato il principio della terzietà non ci interessano le garanzie apprestate dall’art.

51 c.p.c., perché il vizio sta proprio nell’inosservanza del valore espresso nell’art. 111 Cost. e se si vuole nell’art. 24 Cost.; non c’è un giudice da ricusare per la semplice ragione che tutti i giudici sono incompatibili a giudicare, compreso il caso del giudice che avvia il processo ed altro che lo decide. Qui come ho ipotizzato il problema non investe l’imparzialità da pre-cognizione, ma proprio l’inesistenza del valore della giurisdizione.

Dobbiamo dunque concludere che l’esercizio della giurisdizione, contrariamente a quanto stabilito nell’art. 2907 c.c. non può più essere avviato d’ufficio, talché se nell’ordinamento ancora si ritrovano iniziative officiose queste debbono intendersi non più in armonia con la Costituzione.

Quali le conseguenze? Se per conseguenza intendiamo sanzione, a me pare che le norme che ancor oggi stabiliscono iniziative officiose debbano considerarsi incostituzionali e dunque affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice deve reputarsi la sentenza che sia stata emessa ciò nonostante. Se per conseguenza intendiamo effetti a più ampio raggio, allora occorre immaginare che per quegli interessi pubblici o superindividuali per i quali la tutela officiosa era apprestata, oggi sia indispensabile affidare il potere di iniziativa al pubblico ministero in modo che il processo come rapporto fra almeno tre parti sia ricostituito. In un successivo § proverò a scrutinare quanto accaduto con la riforma del fallimento al modo di un paradigma dei rapporti fra giudice civile e pubblico ministero.

Quando si afferma che l’iniziativa officiosa va espunta dal sistema occorre precisare che ci si riferisce a situazioni nelle quali il giudice esercita la giurisdizione nell’ambito di processi in cui l’oggetto è un diritto soggettivo (o status) o un potere. Quando, invece, il giudice svolge una funzione che potrebbe essere assunta da un qualunque organo dell’amministrazione attiva, allora il profilo della terzietà non è più necessario, fermo restando, invece, il profilo della imparzialità26.

Sui profili correlati alla espunzione dell’iniziativa d’ufficio si avrà modo di tornare nei §§ 8 e 9.

5. Quando parliamo di difetto di imparzialità ci viene spontaneo pensare al giudice che parteggia per una parte così che difetta il necessario rapporto di equidistanza (questa è l’impressione

ibid., n. 29; Cass., 12 luglio 2001, n. 9418, id., Rep. 2001, voce cit., n. 34; Cass., 23 aprile 2001, n. 170, ibid., n. 31; sino a risalire senza soluzione di continuità a Cass. 21 novembre 1981, n. 6221, id., 1982, I, 1096.

26 Proprio per rimanere nel contesto concorsuale, la vicenda costituzionale del vecchio art. 146 l.fall. appare emblematica. I profili rilevanti che tale norma poneva attenevano al quesito se fosse conforme ai valori della costituzione la natura officiosa del procedimento di sequestro fallimentare e la posizione del giudice delegato quale organo davvero terzo e imparziale. Al primo quesito il giudice delle leggi fornì una risposta prima del mutamento della costituzione (Corte cost., 8 maggio 1996, n.148, in Foro it., 1996, I, 2648), osservando che l’impulso d’ufficio nel procedimento ex art.146 l.fall. non rappresentava un vulnus ai valori della costituzione sia perché al principio nemo iudex sine actore deroga[va]no diverse disposizioni, sia perché l’officiosità si limitava alla fase introduttiva del procedimento visto che poi trovando applicazione le norme del procedimento cautelare uniforme si assisteva ad una rapida e completa riespansione del contraddittorio. La relazione fra principio della iniziativa processuale di parte e terzietà ed imparzialità del giudice non era quindi per il giudice delle leggi un valore assoluto, anche se ad una più attenta lettura si nota come nella pronuncia si sia voluto rimarcare che nell'esercizio del potere cautelare, il giudice delegato, pur tenendo conto degli elementi risultanti dall'istanza del curatore e con l'ulteriore ausilio di sommarie e dirette informazioni, agiva non come attore, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes, valutando i requisiti che devono essere la sicura base di qualsiasi provvedimento cautelare (il fumus boni iuris ed un effettivo periculum in mora), sentendo le parti — seppure dopo l'adozione del provvedimento per non pregiudicare l'attuazione della misura stessa — e sempre con la garanzia dei successivi mezzi di impugnazione. In questo procedimento, pertanto, sempre secondo il giudice costituzionale, i soggetti passivi delle misure cautelari venivano a trovarsi in contraddittorio, non col mero convincimento di un ‹‹giudice-attore›› (è una espressione mutuata da MONTESANO,La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato Vassalli, Torino, XIV, 4, 32) ma con gli interessi e le ragioni sostenute dalla controparte, e con strumenti processuali, certo peculiari per la specificità della materia, ma pur sempre sufficienti a garantire la tutela del diritto di difesa, sia sotto il profilo della terzietà del giudice, sia per l'essenziale dialettica processuale (ampie riserve sulla scelta di mantenere un basso profilo di costituzionalizzazione della regola della iniziativa di parte erano espresse da E.FABIANI,L'art.146 l.fall.:

problemi di costituzionalità e di compatibilità con il procedimento cautelare uniforme, in Foro it., 1996, I, 2648).

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www.judicium.it che si ricava dalla lettura dell’art. 51 nn. 1, 2, 3 e 5 c.p.c.). Al contempo il pensiero va anche al giudice che non ha piena serenità di giudizio, perché il suo approccio alla lite è condizionato dalla forza della prevenzione27 indotta dalla conoscenza che il giudice abbia già avuto di quella determinata causa, o determinata vicenda (prima che si trasformasse in controversia), v., art. 51 n.4 c.p.c.

Ecco, allora, che le fonti della non imparzialità le ritroviamo declinate nel diritto positivo posto che il difetto di imparzialità viene associato alle ipotesi che giustificano l’istanza di ricusazione e dunque alle fattispecie indicate nell’art. 51 c.p.c. Se possiamo convenire in ordine al fatto che ciascuno dei casi incide sulla serenità di giudizio e sulla effettività della neutralità, notiamo però che per ciò che attiene ai nn. 1, 2, 3 e 5 difetta l’equidistanza del giudice rispetto alle parti; il giudice trovandosi in una delle predette situazioni può essere indotto a favorire o danneggiare l’una o l’altra parte.

Diversamente, nel caso dell’art. 51 n.4, il giudice è indifferente rispetto a chi siano le parti;

ciò che può inquinare il suo giudizio è la circostanza di avere già avuto un ruolo in quella medesima vicenda sostanziale. Qui ciò che mina la serenità di giudizio è quella che viene usualmente definita come la forza della prevenzione28; si tratta pur sempre di una incompatibilità soggettiva, ma verrebbe da precisare “obiettivizzata” dalla decisione29; la patologia (sempre che di patologia si possa discutere) riguarda un profilo cognitivo diverso perché in questo caso ciò che difetta non è la neutralità rispetto ai litiganti, ma la neutralità rispetto alla decisione presa30. Il giudice che si trovi a conoscere di una lite che ha già prima conosciuto la affronta, se si vuole, con maggiori informazioni (rispetto al giudice che vi si accosta per la prima volta) ma anche con molte maggiori riserve perché è indotto naturalmente a confermare le decisioni assunte in precedenza. Si dice che è insita nell’animo umano la difficoltà di riconoscere i propri errori e di ritornare sui propri passi, ma forse è anche vero che la prevenzione può atteggiarsi come espressione della volontà del giudice di confermare la precedente decisione perché ritenuta giusta31.

È questa una convinzione diffusa ma non so quanto, davvero, persuasiva. Se così fosse, dovremmo pensare che l’istituto della revoca (di un provvedimento) è un inutile orpello, offerto alle parti ma privo, in realtà, di sbocchi concreti. La revoca, ammessa pur quando non sia mutata la situazione di fatto, esprime proprio questa (attesa, auspicata) capacità del giudice di ritornare sulle proprie decisioni. Ed effettivamente se guardiamo l’art. 51 n.4 c.p.c. ci avvediamo che il legislatore ordinario non ha affatto voluto imporre l’alterità del giudice ogni volta che si possa presentare l’occasione di rivedere una certa decisione assunta, ma lo ha fatto con riferimento ai gradi di giudizio.

27 BOVE, Art. 111 cost. e ‹‹ giusto processo civile ››, cit., 507

28 Non ci si sofferma su quelle ipotesi in cui giustamente (v., Cass., 23 febbraio 2006, n. 4024) si è ritenuto che l’obbligo del giudice di astenersi si riferisce ai casi in cui egli abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, e non anche ai casi in cui abbia avuto conoscenza, come magistrato, di una causa diversa che verta su un oggetto analogo e che comporti la risoluzione di una medesima problematica; v., anche Corte cost. , 18 luglio 2002, n. 361, in Giur.cost., 2002, 2707.

29 Sulla distinzione, prelevata dalla giurisprudenza della CEDU fra imparzialità “oggettiva” e imparzialità “soggettiva”, v., MARUFFI, L'art. 111 Cost. e l'incompatibilità del giudice nel processo civile, cit., 1172.

30 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1159.

31 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1159.

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www.judicium.it In tale prospettiva mi pare che il divieto per il giudice di conoscere in altro grado la medesima lite non sia tanto, o solo, la reazione alla forza della prevenzione, ma risponda anche e soprattutto ad un’altra esigenza: quella per la quale si vuole che il riesame o il controllo su un certo provvedimento (quello che l’art. 51 n.4 evoca è l’”impugnazione per gradi”) sia affidata, sempre, ad un giudice diverso32.

In letteratura è stato obiettato che non è affatto necessario che il giudice del controllo – o forse meglio dell’impugnazione intesa in senso stretto – sia “diverso” e ciò per il rilievo, a mio modo di vedere paradossale, che il difetto di costituzionalizzazione del cd. doppio grado di merito, non impone necessariamente l’alterità del giudicante, in quanto le parti non vi avrebbero costituzionalmente diritto33. Si tratta di una rappresentazione “provocatoria” che mi pare non tenga conto del fatto che, giusto o sbagliato che sia, il legislatore ordinario ha descritto questa situazione come espressione di una possibile patologia sul piano della imparzialità e non della incompatibilità.

Rovesciando l’impostazione, troverei assai più condivisibile estrarre il caso descritto nell’art. 51 n.4 dal fenomeno della ricusazione per sostenere che un giudice che in appello decide una causa che ha egli stesso deciso anche in tribunale, non andrebbe tanto ricusato, quanto dovrebbe essere considerato un “non – giudice [d’appello]”, sì che il difetto andrebbe riguardato sotto la lente delle nullità processuali extraformali34. Mi rendo però ben conto che la scelta del legislatore è stata diversa confezionando una reazione alla violazione del divieto, decisamente tenue perché è affidato alla iniziativa di parte e alla sensibilità del giudice impedire in concreto che ad una siffatta violazione si giunga35.

Il doppio ruolo del giudice, che prima decide e poi controlla la propria decisione non è trattato in modo diverso dal caso del giudice che può parteggiare per una delle parti perché con essa ha un certo rapporto di conoscenza. Si può discutere su quale sia l’ipotesi più pericolosa per una corretta decisione della lite, ma i profili di patologia mi paiono diversi e così diverse dovrebbero

32 PIVETTI, Per un processo civile giusto e ragionevole, cit., 83; DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1159;

MARUFFI, L'art. 111 Cost. e l'incompatibilità del giudice nel processo civile, cit., 1183.

33 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1163.

34 DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit, 1173, banalizza questa ipotetica sanzione osservando che non cambierebbe il risultato visto che il giudice d’appello non potrebbe annullare la sentenza e rinviare al primo giudice, visti i limiti di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. Mi pare invece che se la sentenza potesse essere dichiarata nulla per difetto di costituzione del giudice di primo grado, quello di appello dovrebbe rinnovare l’intero processo e non direi che sia conseguenza di poco conto per l’interesse della parte, considerando il nostro appello come una impugnazione tendenzialmente poco aperta ai nova..

35 Infatti, pure di recente Cass., 4 giugno 2008, n. 14807, ha affermato che anche a seguito della modifica dell’art. 111 cost., introdotta dalla l.cost. n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (art. 51, 1º comma, n. 4, c.p.c.) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione; né detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto delle parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 cost. Ed infatti sulla insussistenza di una causa di nullità della decisione derivante dall’omessa astensione, la giurisprudenza è quanto mai ferma, v., Cass., 14 luglio 2006, n. 16119, in Giur. it., 2007, 1460; v., BOVE, Art. 111 cost. e ‹‹ giusto processo civile ››, cit., 489.

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www.judicium.it essere le reazioni. Non va dimenticato che talora il legislatore stesso, di fronte a certe situazioni in cui si palesava il rischio di intaccare il principio di imparzialità per un sospetto di non equidistanza, ha persino adottato la strada della deviazione della competenza: ciò è accaduto rispetto al foro per le cause in cui fosse parte un magistrato (v. , art. 30 bis c.p.c.)36. Quindi le reazioni possono essere svariate e rilevanti direttamente sul piano del processo.

È giusto segnalare anche che nonostante la giurisprudenza abbia da tempo assunto un atteggiamento monolitico in relazione alla circostanza che il mancato utilizzo del rimedio della ricusazione sia impeditivo di una successiva impugnazione per nullità della sentenza, le decisioni sull’argomento da parte della Suprema Corte siano tutt’ora moltissime, il che mi pare stia a denotare che nella coscienza del giurista l’istituto della ricusazione appare come uno strumento inadeguato per sanzionare situazioni in cui si può discutere della corretta costituzione del giudice37. Al momento, visto il diritto positivo (che raggruppa sotto lo stesso ombrello protettivo tutte queste situazioni), forse si deve sentire appagati dalla svolta giurisprudenziale che riconosce al procedimento incidentale di ricusazione un effetto condizionante non preclusivo sul prosieguo del giudizio38, nel senso che se la parte attiva il procedimento di ricusazione con esito sfavorevole, l’eventuale successivo accertamento della sussistenza della causa di ricusazione può essere dedotto come motivo di impugnazione39.

Una volta stabilito che non è imparziale il giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado, tutto sta a vedere cosa si intenda per grado di giudizio e a questo interrogativo cercheremo di dare una risposta nei §§ successivi dopo avere esaminato le fattispecie critiche che emergevano prima della Riforma e quale approccio vi sia stato, dopo, da parte della giurisprudenza e da parte del legislatore.

6. Più di qualche autore aveva, prima e dopo la riforma costituzionale, formato un palinsesto delle norme di diritto positivo in contrasto con i principi di terzietà e imparzialità del giudice40.

Per quanto riguarda la terzietà i casi paradigmatici erano costituiti dal procedimento per dichiarazione di fallimento, dalle misure cautelari che il giudice delegato poteva emettere d’ufficio in relazione ad azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società, dalle misure in tema di persone minori o incapaci41.

36 Sul fatto che l’art. 30 bis c.p.c. sia posto a garanzia della terzietà ed indipendenza [ma io direi, dell’imparzialità] dell’esercizio della funzione giudiziaria, Cass., 23 giugno 2009, n. 14761.

37 Un segnale di discontinuità rispetto a tale monolitico orientamento può vedersi nella recente decisione (Cass., 13 novembre 2009, n.

24178, in Fallimento, 2010, 15) con cui si è affermata la nullità della sentenza resa da un collegio della corte d’appello cui aveva partecipato un giudice che aveva composto il collegio che aveva deciso sull’opposizione al fallimento. La vicenda presenta, peraltro, tali anomalie (in ordine alla sostituzione del giudice e poi alla surroga del sostituto) da non potersi definire il paradigma di un possibile revirement.

38 LUISO, Diritto processuale civile, I, Principi generali, Milano, 2009, 142; PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, I, cit., 296.

39 Cass., 12 gennaio 2007, n. 565; Cass., 28 marzo 2007, n. 7578; Cass., s.u., 20 novembre 2003, n. 17636, in Guida al dir., 2003, fasc.

50, 20.

40 VIGNERA, Le garanzie costituzionali del processo civile alla luce del «nuovo» art. 111 cost., cit., 1209; SCARSELLI, Articolo 111 della Costituzione e incompatibilità del giudice nel processo civile, fallimentare e minorile, cit., 95 ss.; M. FABIANI, Giusto processo e ruolo del giudice delegato, in Fallimento, 2002, 271.

41 MONTESANO,ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, II, 1, Padova, 2002, 945.

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www.judicium.it Per quanto riguarda l’imparzialità, ancora si trovavano molte disposizioni della legge fallimentare e direi tutte quelle in cui si assisteva ad una commistione di funzioni in capo al giudice delegato42 (funzioni gestorie e funzioni giurisdizionali spesso sovrapposte, cfr., l’autorizzazione a stare in giudizio e poi l’assunzione della veste di giudice della lite autorizzata43; provvedimento gestorio del giudice delegato e reclamo al collegio ex art. 26 l.fall.), oltre a quelle in cui si apriva una fase successiva davanti allo stesso organo che già aveva assunto una decisione (sentenza di fallimento e opposizione alla sentenza; decreto di esecutività dello stato passivo e successive opposizioni e impugnazioni)44. Ma se era la legge fallimentare il terreno elettivo delle incompatibilità45, molti dubbi ruotavano attorno al decreto ingiuntivo e successiva opposizione, al rapporto fra misura cautelare e giudizio di merito, al rapporto fra fase sommaria del giudizio ex art.

28 st.lav. e fase a cognizione piena oppositoria; alle opposizioni esecutive, al rapporto fra fase di ammissibilità di una domanda e successiva fase di merito, all’opposizione allo stato di adottabilità46.

42 Il legislatore in effetti ha sciolto queste ambiguità (cfr., infra § 8), ma anziché togliere al giudice delegato le competenze giurisdizionali (come auspicava SCARSELLI, Brevi note sul giusto processo fallimentare, cit., 116), ha preferito emarginare il giudice dalla direzione del procedimento, assegnandogli compiti di vigilanza e di controllo (art. 25 l.fall.), L’equivoco di fondo sembrava proprio annidarsi nella commistione fra esercizio di poteri amministrativi e di direzione della procedura che competono al giudice delegato ed esercizio dei poteri giurisdizionali. Quanto ai primi, laddove il giudice delegato, unitamente al curatore, agisca come organo della procedura è logico e connaturale al sistema che assuma determinate iniziative in via officiosa. Quando invece vengono in gioco i poteri giurisdizionali, l’impulso d’ufficio confligge con il principio della terzietà del giudice.

43 Qui la situazione era particolarmente delicata in quanto pur facendo applicazione dei principi espansivi sulla nozione di grado, in via meramente interpretativa assai difficilmente si sarebbe potuti giungere ad una soluzione appagante. Infatti anche accedendo ad una nozione assai estesa di fase del giudizio, il rapporto fra giudice delegato che autorizza (ex art.31 l.fall.) il curatore a proporre una determinata azione e giudice affidatario della causa di merito non poteva essere inteso come espressione di più fasi di un medesimo giudizio (Trib.

Vigevano, 13 luglio 1999, in Foro it., 2000, I, 2361 ) dal momento che il decreto autorizzatorio si pone come condizione di procedibilità della domanda, condizione estranea al processo di merito (Corte cost., 21 novembre 1997, n.351, in Foro it., 1998, I, 1006, aveva rimarcato come l’autorizzazione non è un provvedimento giurisdizionale di carattere decisorio, ma è espressione delle generali funzioni di controllo esercitate dal giudice delegato nel corso della procedura fallimentare. Il caso che si presentava era quello del rapporto fra il magistrato che in funzione di giudice delegato ha autorizzato la curatela a costituirsi parte civile nel processo penale e quello stesso chiamato a svolgere il ruolo di giudice del dibattimento penale). Solo in via normativa, come poi è accaduto, si poteva dipanare l’intreccio fra giudice gestore e giudice del “contenzioso”.

44 Per tutte queste ipotesi TARZIA, Il processo di fallimento e l’imparzialità del giudice, in Riv.dir.proc., 1997, 16, riteneva che vi dovesse essere la necessaria dissociazione fra giudice delegato e giudice del “controllo”

45 SCARSELLI, Brevi note sul giusto processo fallimentare, cit., 114; M. FABIANI, Giusto processo e giudice delegato, cit., 271; TARZIA, Il processo di fallimento e l’imparzialità del giudice, cit., 13; SIRACUSANO,Osservazioni sulla pretesa incompatibilità del giudice della cautela rispetto al merito, in Giust.civ., 1997, I, 2005; BONFATTI,L’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da Ragusa Maggiore e Costa, III, Torino, 1997, 313; CAPUTO,La partecipazione del giudice delegato alla decisione delle cause da lui autorizzate, in Dir.fall., 1996, II, 99. Altri Autori ritenevano che alcune delle denunciate situazioni di incompatibilità non fossero fondate: COSTANTINO, Il giusto processo, in Fallimento, 2002, 253, riteneva giustificato che il giudice delegato potesse anche decidere dell’opposizione allo stato passivo e dei reclami endofallimentari; in termini simili, CHIARLONI, Giusto processo e fallimento, in Fallimento, 2002, 264.

46 L’attuale art. 17 della l. 184/1983 prevede che l’opposizione si svolga davanti alla corte d’appello, ma ancora di recente il giudice di legittimità (v., Cass., 24 aprile 2008, n. 10645) aveva affermato che la mancata previsione dell’incompatibilità tra giudice che pronuncia il decreto dichiarativo dello stato di adottabilità e quello che decida la relativa opposizione non comporta una apprezzabile limitazione del diritto di difesa, in quanto il decreto dichiarativo dello stato di adottabilità del minore, ai sensi della l. 4 maggio 1983 n. 184, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 28 marzo 2001 n. 149, viene emesso al termine di un procedimento non contenzioso, mentre l’opposizione allo stesso decreto dà luogo ad un giudizio contenzioso; è, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni della l. n. 184 del 1983, che regolano la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità.

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www.judicium.it In tutti questi casi si opinava da parte autorevole della dottrina che la Corte costituzionale avrebbe dovuto dichiarare l’incostituzionalità della disciplina là dove non era espressamente prevista l’alterità del giudice.

Al cospetto di una letteratura che spingeva per alzare l’asticella delle garanzie, si contrapponeva un diverso orientamento secondo il quale era fortemente inopportuno spingersi oltre il crinale della necessaria alterità perché questo da un lato avrebbe potuto far germinare effetti non voluti o comunque peggiorativi in termini di efficienza (al punto che veniva evocata la necessità di contemperare l’art. 111 Cost. con l’art. 97 Cost, a proposito del buona andamento dell’Amministrazione)47, e dall’altro lato avrebbe potuto provocare un frazionamento esasperato (fra giudici) delle fasi processuali. Dietro l’angolo si finiva l’agitare lo spettro della giuria popolare, quale unico rimedio alla pre-cognizione del giudice.

Non credo che le frange estreme di queste ideologie ci aiutino per capire bene il fenomeno che, al fondo, è solo quello di garantire alle parti una giusta decisione, più facilmente raggiungibile se il giudice che la deve assumere ha condizionamenti ridotti al minimo.

È ben vero che da tempo gli ordinamenti moderni hanno rinunciato all’idea che il giudice sia solo un tecnico in grado di fare buona applicazione del ragionamento sillogistico48; il giudice è un protagonista della società che “conosce il mondo”, che ha le sue fedi e i suoi agnosticismi, che ne possono influenzare la caratura culturale, ma non debbono condizionarne direttamente la decisione49. Non diversamente il giudice quando studia il processo è influenzato dagli orientamenti giurisprudenziali propri e altrui, ma ciò non deve impedire che nella singola lite, l’approccio sia quanto più laico possibile. Il contorno culturale è influenzabile, non altrettanto lo deve essere la scelta della decisione.

E così quando parliamo di decisione dobbiamo anche intenderci nel senso che la garanzia del giusto processo riguarda solo il processo contenzioso, oppure si estende anche ai procedimenti di cd. volontaria giurisdizione? A stretto rigore terminologico, si potrebbe essere tentati dal dire che le garanzie sono necessarie solo nei processi con le parti in posizione antagonista per sfumare del tutto nei procedimenti camerali unilaterali. Questa soluzione non mi convince del tutto; se il legislatore ha ritenuto che certe materie siano attribuite al giudice (quando per il tipo di intervento richiesto potrebbero essere affidate al funzionario amministrativo o al notaio), ciò dipende dal bisogno di disporre di un soggetto che offra certe garanzie e la garanzia fondamentale che da un giudice dobbiamo attenderci è proprio quella dell’imparzialità, principio che vedo coerente anche

47 TROCKER, Il valore costituzionale del " giusto processo ", cit., 47. DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, cit., 1161, chiarisce che l’art. 97 Cost. è applicabile al caso in quanto l’art. 51 n.4 c.p.c. detta forme di incompatibilità processuale che afferiscono all’ordinamento giudiziario e dunque alla organizzazione dello Stato e dei suoi apparati amministrativi. Per MARUFFI, L'art. 111 Cost. e l'incompatibilità del giudice nel processo civile, cit., 1182, sottrarre la decisione della causa al magistrato che di essa si sia già occupato, per affidarla ad un soggetto completamente ignaro dei fatti controversi, non andrebbe sempre a favore dell’attuazione di un giusto processo.

Sicuramente la previsione dell’incompatibilità comporterebbe una dilatazione dei tempi processuali necessari per addivenire ad una statuizione sul merito, dando luogo, così, ad un fenomeno che, tuttavia, non è trascurabile, atteso che la garanzia di ottenere giustizia in un periodo congruo è una di quelle alle quali il legislatore ha voluto dare espresso riconoscimento nel nuovo art. 111 Cost.; inoltre, la scelta di assicurare a tutti i costi alle parti un giudice scevro di condizionamento potrebbe far sorgere anche alcuni problemi di organizzazione giudiziaria, specie in quei tribunali dotati di un numero esiguo di magistrati.

48 PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, I, cit., 138.

49 MARENGO, La discrezionalità del giudice civile, Torino, 1996, 63. Come ricorda PRENDINI, Imparzialità ed apparenza di imparzialità del giudice. L’esperienza inglese, in Int’l lis, 2008, 38, il giudice Rehnquist, penultimo Chief Justice della Corte Suprema degli U.S.A., affermò che la dimostrazione (ove mai fosse possibile) che la mente del giudice, all'atto del suo insediamento, è stata soggetta ad un'integrale tabula rasa ciò comporterebbe unicamente, più che la mancanza di pregiudizio, una mancanza di preparazione e di qualificazione

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www.judicium.it con i procedimenti di giurisdizione volontaria (per tali intendendo quelli in senso stretto e non piegati alla tutela dei diritti)50. A maggior ragione l’ imparzialità non va certo espulsa dal processo di esecuzione51.

7. Come ho già ricordato, la giurisprudenza di legittimità all’inizio degli anni “duemila” ha confermato una lettura fortemente riduttiva dell’art. 111 Cost., negando profili di incompatibilità per molte delle fattispecie elencate nel palinsesto di cui ho parlato. Si segnalano le pronunce in tema di reclamo ex art. 26 l.fall. 52, in tema di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento53, di opposizione allo stato passivo54, di opposizione agli atti esecutivi55.

Non diverso è l’orientamento che registriamo sul versante della giustizia costituzionale.

Le decisioni più importanti che la Consulta ha adottato sul fronte dell’imparzialità del giudice – dopo la Riforma dell’art. 111 Cost. - sono:

Corte cost., 31 maggio 2000, n. 16856, che ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, 1º comma, n. 4 c.p.c., nella parte in cui non prevede l’obbligo di astensione a definire la controversia con sentenza da parte del giudice che abbia già provveduto con l’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione ex art. 186 quater c.p.c., in riferimento agli art. 3 e 24 cost.

Corte cost., 28 maggio 2001, n. 16757, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 98 e 99 legge fall., nella parte in cui designano il giudice delegato al fallimento a decidere le opposizioni allo stato passivo, in riferimento agli art. 3, 24, 101, 104 e 111 cost.

Corte cost., 31 maggio 2001, n. 17658, secondo la quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice delegato del fallimento, il quale abbia autorizzato il curatore a promuovere contro gli amministratori della società fallita azione di responsabilità nonché il sequestro dei beni degli amministratori medesimi, debba astenersi dal giudicare nella causa medesima, in riferimento agli art. 3 e 24 cost.

50 Certo se per talune materie vi può essere un processo di osmosi fra direzione da parte di un soggetto che appartiene all’ordine giudiziario e direzione da parte un soggetto riconducibile all’Amministrazione, si potrebbe anche pensare che è la materia in sé che richiede l’imparzialità del “funzionario”, chiunque esso sia, giudice o altro.

51 TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv.dir.proc., 2002, 336

52 Cass., 9 luglio 2005, n. 14471 in Fallimento, 2006, 644; Cass., 13 luglio 2004, n. 12969; Cass., 25 gennaio 2001, n. 1072, in Fallimento, 2001, 1005; Cass., 4 gennaio 2001, n. 70, in Foro it., 2001, I, 3682; sulla falsariga di Corte cost. 6 novembre 1998, n. 363, in Foro it., 1998, I, 3033.

53 Cass., 19 settembre 2000, n. 12410, in Foro it., 2001, I, 113; Cass. 5 dicembre 2003, n. 18629, id., 2004, I, 743; Cass., , 1° luglio 2004, n. 12029 in Giust. civ., 2005, I, 1044.

5454 Cass., 7 marzo 2001, n. 3272.

55 Cass., 8 aprile 2003, n. 5510

56 In Foro it., 2000, I, 2425 ; Corte cost. , 23 novembre 2000, n. 533, in Giur.cost., 2000, 4177.

57 In Foro it., 2001, I, 3450; già preceduta da Corte cost., ord. 18 luglio 1998, n. 304, in Foro it., 1998, I, 3024.

58 In Foro it., 2001, I, , 3450.

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