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La moneta lavoro ; con un'appendice su Alcune altre forme socialiste di scambio

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(1)

LUIGI FE DE RICI

Prof_re incaricato nella Università Commerciale L. Boccooi . Milaoo

LA M()NETA

LAVORO

con un'"

APPENDICE"

8U

ALCUNE ALTRE FORME SOCIALISTE DI SCAMBIO

(2)

È

in corso

di

stampa la seconda

edi-ZIOne molto attesa di un trattato di

eccezionale

interesse:

LUIGI FEDE

R

I CI

PARTI

E

CAPITOL

I

1'IIrie l'rimo: LA MONETA

1. J.~ fl\nzlonl drllo monetn. - II. l\1onrta-m~rcr e Monrta-.rgno. _ IlL La ?\fonctn-Iuvoro. - iV. Il valnre della 1110neto. - V. Il valore della moneta (contilltul1lonel. -VI. 11 valore della moneta (contlnuazionel. - VII. 11 Villar. dellu moneta e la moneta neutratr.

l'arfe Seconda: L'ORO

VIli. La moneta d'oro ed i surrogati monetari. - IX. Il si-!'>h~mn DurtO in ipotesi di mercato aperto. - X. Gucrrn r .Istemo uurt'o. - XI. II sistema di cumbio ollreO. -Xli. L'olTertn dI oro nuovo. - XIII. Le dOlllunde di nro. - XIV. Le cOllse dell'antieconomico dlstrihuzione d .. lI'ol"o. - XV. La teorIa dc; fondi di controllo dd camhi. - XVI. L'e perlenza del • fondo" Inglese. -XVII. L'e.p~ril'n71l dd • fondo' degli Stati UnitI. -Appendice gencmlc. - Indice degli autori. - Indice analitico.

DALLA STAMPA

Il saggio critico dell'aulore è frullo di lllngo illielliyente

e diligellte sludio delln vasia letteralura mOlle/oria inlernn-%iollale. L'una e l'ollra parle dell'opera costi/lli •• rollo un COII-Iribllio serio allo sludlo delle questioni mOllelarie leoriche

e prariclte.

Ar.FON~O DE PIRTRJ·TO!'liELLl

In • Rivista di politica economica»

Conlribulo cospicuo di elementi leorici ~ di osservazioni indllitive alle discllssioni sul problema della slslemazione mOllrlm'ia poslbellica offre qllesto volume ... che forni.tee o tll/ii i iellori non lecniri la ha se per un'adeuuala {'onnsctn:n

delle piu recellii ,lollrine sulla monela e dei problemi od

e."l/H·ritnt~ c/te { fenomeni monetari dall'inizio di questo se-colo III l'resenle con{lillo offl"Ono.

GJ 'o DORC:H.TTA

Las~ito

J

tN HJ

te o

NJ

(3)
(4)

PROPRIETA LETTERARIA RISERVATA

LE COPIE NON FIRMATE DALL'AUTORE S'INTEplDat)0 CONTRAFFATTE

S

-IJ-h,~~

(5)

LUIGI FE DE RICI

Professore incaricato nella Università Commerciale L. Bocconi . Milano

LA MONETA LAVORO

con un'" APPENDICE"

su

ALCUNE ALTRE FORME SOCIALISTE DI SCAMBIO

CASA EDITRICE AMBROSIAN A

.

MILANO 1943 · XXI

(6)

,

.

.

(7)

PREFAZIONE

Questo scritto costituisce

il terzo

capitolo della seconda edizione,

om

tn

corso di stampa,

del mio

volume

su

<!

La

moneta

e

l'oro

».

Dato il particolare inteTesse che suscita nell'attuale

periodo

l'idea

d'una

moneta lavoro, ho giudicato utile pubblicare sepamtarnente

questa rice'

rca

nella

fid1~cia

che la sua conoscenza possa essere profittevole

a tutte le

pet·-sone colte

le

quali s'intet'essano alla suddetta proposta

d1'

riforma

del tipo

monetario.

L. F.

(8)
(9)

LA MONETA LAVORO

1.

. Gli economisti

classici individuGirono nel

larvoro

la

causa

del va·

lore soltanto ai

fini

dell'

analisi scientifica e

non pretesero di trarre

dalla loro

teoria una norma di riforma monetaria.,

La

così

detta «moneta

l

avoro» è

una

specie di moneta-segno

la

quale

merita di essere considerata

in

modo pa

r

tico

l

are,

perchè -

oltre ad essere

soggetta alle critiche generiche che si possono muovere a qua

l

s

ia

s

i

moneta

di quel tipo

-

è discutibile per motivi specifici suggeriti dalla sua

pecu-liare natura

.

Questa moneta trae orig

i

ne concettua

l

e dalla teoria

pre-classica

e

clas-sica

che

individua

il

valore (1) con

il

costo d

i

produzione, inteso

come costo

in lavoro (2); ma essa

è,

in definitiva

,

elaborazione esclusiva dei

riformatori

utopisti e

de

i

socialist

i

dell '800,

i

quali le

« d

i

edero corpo»

interpretando alla

lettera e

trasportando sul

piano

concreto dell'organizzaz

io

ne economica alc

u-(l) Dapprima in senso generale e, più tardi, in quello di valore di scambio. (2) Fin dalla seconda metà del sec. XVII si trova accennata, in molte opere di eco-nomia, di filosofia e di politica, l'idea che il valore dipenda, almeno in parte, dal lavoro. Così: secondo su W. PETTY (A treatise ot taxes and contribution, showing the natu1'e and measures ot Crown lands, ecc., Londra, 1662, cap. IV, ~ 18) tutte le cose debbono essere valutate mediante due naturali misure, che sono la terra ed il lavoro; secondo J. LOCKE (Essay on dvii government, Londra, 1690, Cap. IV)-il valore è dovuto intera

-mente al lavoro, quantunque la tena collabori, sia pure iu migura assai tenue, a formarlo. Dello stesso parere di Locke sono, in seguito, R.. CANTILLON (Essai s~!r la nature dI!

com-merce eH général (rist.), Londra, 1931, p. I, cap. X) e J. HARRrs (Essay on 7/wney and coins, Londra, 1757, pagg. 11-12), ecc.

Prima del '600, invece, era opinione prevalente che il valore di scambio non dipen-desse - o, almeno, non dipendesse in modo esclusivo - dal lavoro.

Già ARISTOTELE aveva affermato che la misura comune a tutt'i valori di scambio

è l'attitudine che hanno le merci di soddisfare i bisogni degli uomini, vale a dire l'ut

i-lità. Infatti egli scrisse:

«òel: &po.:

é'll

1:"~V~ 7;tY.'I1:"'7.

l'.e1:"pEI:G.5-o.:!:

..

,

TO\ho

ò'

È(J'i:"l

1:"-

?i,

l'.È.'I

bJ

'

:f).5-ù'{-

'/), !..petlZ,

'1)

7;t7.'I't"IZ

GUVé!..E!»

(Etica Nic., V, 8, 1133,

a

.

25).

Nel medio evo San Tonimaso, ed in seguito gli altri teologi - parlando, è vero, del prezzo e non del valore di scambio, ma è la stessa cosa - ripresero il tema dell'utilità,

(10)

ne affermazioni

dottrinarie

di A SMITH,

di

D

.

RICARDO

e di parecchi

altri

economisti appartenenti, oppure no, alla scuola ricardiana (1).

Partendo dalla premessa della divisione del

l

avoro

Smith osservò infatti

che il valore

di

qualunque merce

è,

per chi la possiede e vuole scambiarla,

«eguale alla quantità di

lavoro ch

'essa lo

abilita a

comprare o a disporre

»

(2)

.

Dato, però, che

qualsiasi

produzione richiede lavoro, anche la moneta

e

le

merci che si cedono

contengono

il valore d

'una

certa quantità di lavoro

com

-piuto; di maniera

che « quel che si compra con

il danaro o

con

le

merci è

ac-quistato cedendo lavoro.

come

lo

è ciò che si ottiene con la pena

del proprio

corpo»

(3)

e

lo

scambio avviene «per ciò che si suppone contenere,

nel

me-desimo tempo, il valore d'una eguale

quantità

[di

lavoro]

» (4).

Il lavoro

<I:

è

dunque la

reale misura del valore di scambio

di

tutte

le

merci»

(5)

ed

«evidentemente

appare

essere la

sola

universale

.

.

.

esatta

misura del valo

-re» (6). Ne consegue,

conclude Smith, che «i

l

lavoro

è

stato

il primo

mezzo,

equus quam uuus servus, sed secundum quod res in usum hominis veniunt» (TOMMASO

D'AQUINO, Sumnna theol., 2, 2, q. 77, u. 2 ad 3). Nello stesso senso scrissero D. SOTO (in De just. et jure, VI, q. 2, a. 3) e Sant'ALFONSO DE' LIGUORI (Theol. MorI. 3, pago 801 e segg.) il quale anzi affermò in modo esplicito che il prezzo non dipende soltanto dal la· varo occorso a produrre la merce, ma da molte altre circostanze, fra cui l'utilità, la do· manda ed offerta.

(l) Fra i tanti si possono ricordare Mac Cullo ch, De Quincey, Malthus, Senior, J. Stuart Mill, ecc.

L'idea fu accettata contemporaneamente da G. F. HEGEL il quale, ricavandola da Smith più che da Ricardo, ne fece un caposaldo della dottrina sociale esposta nel System der SitUich7ceit (scritto nel 1802 ma edito per la prima volta dal Mollat nel 1893; v. soprattutto a pagg. 42-43) e nella Philosophie des Rechts (del 1820; v. in particolare i §§ 63, 189-199). Accenni si trovano anche nel lib. V della Logi7c. Dalla filosofia di Hegel sorse il ceppo robusto del socialismo tedesco.

(2) A. SMITII, Ricerche ecc., cit., pago 20. (3) Ibidem.

(4) Ibidem. (5) Ibidem.

(6) Idem, pago 25. Ed ancora: «Il lavoro solamente ... , non variando di ,alare, è la sola l'ultima e la reale misura con cui il valore di tutte le merci può, in ogni tempo B

luo~o, e

ssere stimato e paragonato. Esso è il loro prezzo reale, la moneta è solamente il

loro prezzo nominale» (Idem, pago 22).

Si noti che il pensiero di Smith è poco chiaro. Secondo il passo citato alla nota (2)

il valore della merce è eguale alla quantità di lavoro che la merce compra; secondo il

passo citato alla nota (3) esso è in vece eguale alla quantità di lavoro che la merce è costata. Tale incertezza fu notata e criticata, fin dall'inizio dell'SOO, da T. R. MALTIIUS, Primcipii ecc., cit., pago 194, da D. RrcARDo, Principii ecc., cit., pago 372, da R. TOllRENS, Saggio eco., cit., pago 25 e da altri economisti.

Il Ricardo partì anzi da tale critica per affermare - come presto sarà detto nel

testo - che il valore va misurato soltanto con la quantità di lavoro che forma il costo di produzione. Se il salario dell 'operaio, egli osserva, fosse proporzionale alla quantità di merce prodotta, allora vi sarebbe eguaglianza fra la quantità di lavoro impiegato e la quantità di lavoro acquistabile cedendo il prodotto e le due quantità potrebbero - co·

me fa Smith - adoperarsi indifferentemente come misura del valore. Ma poichè l'egua· glianza non si verifica ne consegue che la quantità di lavoro acquistabile varia per

circo-stanze relative alle merci comprate, e che soltanto la quantità di lavoro applicata alla

(11)

l'originaria moneta

che

si

è

pagata per

l

'acquisto

di qualunque cosa» (1).

Il tempo passato con cui è costruita

codesta

proposizione definitiva,

ed

il

riferimento alle origini ch 'essa contiene, avvertono, tuttavia che Smi

th

-

in

contrasto con quanto

di

primo acchito si

potrebbe credere

-

non

pen-sava

affatto

di sostenere che i beni si scambiano, nella

realtà

odierna,

in

ra

-gione de

l lavoro

che

sono costati e, tanto

meno,

che

il

lavoro possa essere

as-sunto di fatto come base dello strumento

moneta

rio.

In verità Smith riferiva

in

modo esplicito il suo discorso ad un'epoca primitiva, ad un'economia ele

-mentare (2) le

cui caratteristiche essenziali

-

e

cioè

la

gratuità

del fattore

natur

a

e l'inesistenza del capitale

-

erano

già ai

suoi tempi scomparsi da

millenni. Perciò egli parla d'un mitico

«prezzo

reale» delle cose, costituito

appunto dalla quantità di lavoro ch

'è stata

necessaria per produrle,

in

op-posizione

ad

un normativa «prezzo naturale» -

rappresentato dalla

som-ma

dei salari,

dei profitti e delle rendite pagate per la produzione

-

e ad

un

concreto"

prezzo

effettivo»

il quale

è

determinato sul mercato dal giuoco

della

domanda

e dell

'offerta (3)

.

Inoltre

egli

distrugge subito, anche

per

l'ipotesi dell

'economia

primitiva, la semplice teoria che

i

beni si scambino in

proporzione delle quantità di

l

avoro che

sono

costati,

rilevando con molto

buon

senso

che

«sovente

è difficile accertare

la

proporzione tra due

diffe-renti

quantità

di

l

avoro ».

Infatti

-

egli osserva

-

«i

l

tempo speso in

due

differenti

specie

di opere non sempre può determinare da solo

tale

propor

-zione [perchè] i differenti gradi della fatica patita e

dell

'ingegno

impiegato

debbono parimenti

essere

tenuti in conto

...

Ma

non

è

facile trovare

un'accu-rata

misu

ra

della fatica o dell

'ingegno» (4).

Quindi

«benchè il

lavoro

sia

la

produzione è invariabile norma del valore. Quindi ancbe il valore del lavoro muta (D. RrcARDo, Pri:ncipii ecc., cit., pagg. 372·374).

Fu questa la teoria che diede lo spunto alla dottrina socialista del valore elaborata

da C. MARx, secondo cui il capitalista - comprando dall 'operaio non il prodotto ma la

forza del lavoro - si appropria una parte del prodotto procacciandosi un profitto. Ricardo invece diceva che il salario non è proporzionato al prodotto perchè devono essere

remunerati anche gli altri fattori di produzione (capitale e natura). Nella specie il con·

tributo di questi fattori al processo produttivo egli lo considerava sempre come apporto

di quantità di lavoro, fatto in tempi precedenti (ad es. per la costruzione di macchine).

(1) A. SMITH, Ricerche ecc., cit., pago 20.

(2) <t In quel primitivo rozzo stato della società, che precede l'accumulazione del

capitale e l'appropriazione della terra, la proporzione tra la quantità del lavoro necessa· rio per acquistare differenti oggetti, sembra essere la sola circostanza che può offrire alcuna regola per cambiarli l'un l'altro» (A. SMITH, Ricerche ecc., cit., pago 32).

Si noti che le critiche di Malthus, di Ricardo, ecc. a Smith di assumere come misura ileI valore una volta In. quantità di lavoro applicato alla produzione e un 'altra la quantità di lavoro contro cui si scambia il prodotto (v. nota (6) alla pagina precedente) perdono di significato se si ragiona nell 'ipotesi smithiana di un'economia in cui l'unico fattore produttivo da remunerare è il lavoro. Esse invece costituiscono l'indispensabile premessa al tentativo di applicare la teoria del valore· lavoro ad un 'organizzazione economica evoluta.

(3) A. SMITH, Ricerche eee., cit., I,. cap. VI e cap. VII.

(12)

reale misura del valore di scambio delle merci, pure esso

non

è

ciò

con cui

quel valore

è comunemente stimato»

(1).

La messa a punto smithiana

è dunque

precisa

e radicale. Vi

può essere

più lavoro

in un 'opera difficile

di un

'ora che

in un

'opera

facile

di

due ore,

oppure nell 'applicazione di un 'ora ad una

professione

che abbia

richiesto

molti anni di studio, anzi che

in

quella d'un mese

ad

un mestiere facile

ed

ordinario. Codeste differenze d'intensità

e

di qualità

dovrebbero

essere

mi-surate per determinare

le

quantità

di

lavoro richieste dalla

'

produzione di

ogni bene.

Ma poichè non esistono nè

un

'unità

nè un criterio che possano

consentire una misura del

genere

è

inammissibile sul

piano

concreto

-

ed

anche nell

'ipotesi

semplificata d'una economia originaria

-

che

i

beni

siano

scambiati in ragione delle rispettive quantità di lavoro

che

hanno

richie-sto (2). In altre parole, fatto salvo

il

principio fondamentale del

valore-la-voro, Smith riconosce

ed

esplicitamente dichiara la sterilità della sua teoria

come

schema interpretativo dell 'esperienza

.

Non ostante tale

giustificato

scetticismo D.

RICARDO

prese

un

partito

opposto e -

seppure con una considerevole ambiguità di pensiero e di

espres-sione

(3) ....:... in sostanza decisamente sostenne

che

le

merci,

utili e

riproduci-(l) A. SMITH, Ricerche ecc., cit., pago 2l.

(2) :Malgrado la sua avvedutezza Smith apina - manifestamente a torto -che «Uguale quantità di lavoro in ogni tempo e luogo può dirsi d'ugual valore per il lavorante. Nel suo ordinario stato di serenità, di forza e di spiriti, nell'ordinario stato della sua perizia e destrezza, egli deve sempre sacrificare la medesima porzione del suo riposo, della sua libertà, della sua felicità» (A. SMITR, Ricerche ecc., cit., pago 22). È vero, infatti, che Smith ha fatto abbondante uso della clausola coeteris paribu,s; ma propTio tale condizione difficilmente si trova rispettata in pratica perchè basta l'introduzione del fattore tempo per far mutare il contenuto di «ordinario stato» di perizia, forza, ecc. su cui si basa il ragionamento. La questione, del resto, si riduce sempre al significato da attribuire alla frase «quantità di lavoro », e qui si contesta che quella quantità - intesa nel senso pl\J.ri.c1imensionale di durata, intensità e qualità del lavoro - sia egua· le, anche per lo stesso individuo, in tempi ed in luoghi diversi.

Analogo, e forse maggiore, scetticismo suscita poi l'altra affermazione di Smith secondo cui «Il lavorJ ... evidentemente appare essere ... la sola norma con la quale pos-siamo paragonare i valori delle differenti mercanzie in ogni tempo ed in ogni luogo l> (idem, pago 25). Questa formula, basata sul convincimento che l'unico valore (di sca m-bio) invariabile sia quello del lavoro (Idem, pago 22), fu già sostanzialmente contestata da D. RICARDO (PrincipVi ecc., cit., pago 373) quando chiese: «Non è il valore del lavoro ugualmente variabile, essendo non soltanto infuenzato, come tutte le altre cose, dalla pro-porzione tra l'offerta e la domanda ... ma anche dal prezzo ... dei viveri e delle altre cose necessarie in cui sono spesi i salari ~ ». Ma, a parte ciò, è chiaro che il lavoro non può essere quella misura valida per tutt'i luoghi e per tutt'i tempi che vorrebbe Smith per-chè - sia per lo stesso uomo, sia, e tanto più, per uomini diversi - esso varia d'intensità e di qualità, pur in un'economia di natura, a seconda dell 'ambiente e della capacità, della forza, ecc. di chi lo compie.

(13)

bili

,

si scambiano in ra

g

ione dei loro c

os

ti i

n

l

a

voro (l

)

.

A

v

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e sem

br

a

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ce

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punto

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h

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li vo

g

li

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si

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'

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a

pri

mo

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l

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acchè para

f

rasa

nd

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mi

t

h -

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resto

cita a

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nforzo de

ll

a tesi

-

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l

i a

ff

e

r

ma che «Ne

i

pe

ri

od

i pri

m

i

t

ivi d

e

ll

a

società

..

.

l

a

r

egola che

d

etermina quanto

d

'

un

a

[

merce

ri

prod

u

cibi

l

e

l

sarà

dato in cambio di un'altra dipende quasi esclusivame

n

te da

ll

a

qu

ant

i

d

i

lavoro speso

i

n ciascuna» (2)

.

Ma

l

'impressione d'un lim

i

te s

u

gge

ri

to

d

a

l

senso comune e dall 'osservazione dei fatti viene subito dist

r

u

t

ta

si

a da

ll

a

generalità della dichiarazione programmatica -

posta a

t

ito

l

o de

l

primo

paragrafo dei

Principil: -

secondo cui «

Il

valore d'una me

r

ce

..

.

d

ipe

n

de

dalla quantità relativa di lavoro necessario alla sua produzione, e non g

i

à

dal maggiore o minore compenso che a un tale

l

avoro s

i

accord

i

», sia da

l

contesto di tutto il capito

l

o sul valore, sia dall'enfasi con cui proclama che

il principio del costo è i

l

« reale fondamento de

l

valore di scam

b

io» di tutte

le cose riproduc

i

bi

li

e, come tale, «una

d

ottrina

di

somma

i

m

p

o

rt

an

z

a» per

la

scienza

economica (3).

Tale dottrina deve però ev

i

dentemente tener conto, per

l

e

r

agioni c

he

già erano state viste da Smith, delle diverse qualità di

l

avoro

.

R

i

cardo

lo

riconosce ed avverte che

«

Nel parlare ... del lavoro come fondame

n

to d

i

t

u

tti

i

valori, e della quantità relativa de

l

lavoro come di ciò che quas

i

esc

l

usiva-mente determina il valore relativo de

ll

e merci, non deve suppors

i

c

h

e

[

egli

l

non metta attenzione alle diverse qualiti1 del lavoro ed alla difficoltà di para

-gonare

il

lavoro di un'ora o di un giorno, in un impiego, con

l

a medesima

(l) La decisione di cui si parla non risulta da chiare, esplicite affermazioni, bensì dal contesto della teoria ricardiana del valore (D. RICARDO, Principii ecc., c.it., Oap. I). Luogo per luogo possono anzi sorgere dubbi sul reale intendimento dello scrittore, così come là dove scrive che «Possedendo utilità le merci derivano il loro valore di scambio da due sorgenti: dalla loro scarsezza e dalla quantità del lavoro richiesto per ottener le » (Idem, pago 370). Subito dopo egli aggiunge: «Vi sono alcune merci il cui valore è determinato soltanto dalla scarsità: nessun lavoro può aumentare la quantità di simili oggetti e perciò il loro ,alo re non può svilire per ragione di accresciuta offerta» (Ib idem) e nella stessa pagina precisa che il suo discorso sul valore di scambio vuoi riferirsi non a tali merci ma alle altre «le quali possono essere aumentate in quantità coli 'esercizio dell'umana industria ». Ora, se ben si osserva, codesta distinzione non autorizza affatto a concludere che il valore di scambio delle merci riproducibili dipenda soltanto dalla quantità (li lavoro. Ricardo non esprime opinioni in proposito; e poichè ha posto come proposizione generale che le fonti del valore sono la scarsità ed il lavoro il suo silenzio autorizzerebbe piuttosto a ricondurre il caso particolare alla norma generale.

L'equivoco è, a nostro avviso, accresciuto dal Oannan il quale, interpretando il passo fondamentale sopra detto - quello relativo alle due sorgenti del valore - scrive: «Ciò non significa che ogni merce derivi il suo valore dalle dette due fonti; ma che vi sono due classi di merci [le non riproducibili il cui valore dipende dalla scarsità ~ le riproducibilil ». (E. CANNAN, Rassegna ecc., cit., pago 155). Con quel «Ciò non significa », e con l'espediente di lasciare la conclusione in sospeso, Cannan forza il pensiero locale di Ricardo, suggerendo al lettore, per forza di contrasto, che la seconda classe di merci derivi il suo valore soltanto dal lavoro.

(2) D. RICARDO, Principii ecc., cit., pago 370. (3) Idem, pago 371.

(14)

durata di lavoro in un altro;.) (1)

.

Ma individuato l'ostacolo

egli

lo

gira,

invece

di superarlo, perchè,

(j:

siccome la

[sua]

ricerca ..

.

si riferisce

all'ef-f

etto

delle variazioni nel valore relativo, e non nel valore assoluto,

delle

merci

»,

reputa

che

4:

sarà

di

poca importanza esaminare il

grado

comparato

di stima in cui

i

diversi

generi

del lavoro umano sono tenuti»

(2)

.

Quindi

Ricardo

si

limita a

trasformare

il problema della

misura delle diverse

quali-tà

di

lavoro nel

problema

della

misura delle

diverse

remunerazioni per

differenti lavori di

egual durata, ed a risolvere quest'ultimo con

la

peti-zione di principio

che

4:

La

stima

delle

diverse qualità di lavoro viene

subito

determinata dal

mercato,

con

sufficiente

precisione,

per tutti

gli

scopi

pra-tici

(3)

...

La scala, una volta formata, va soggetta

a piccole variazioni.

Se

il

l

avoro

d'un

giorno d'un

gio

ielliere

vale più

che

il

lavoro d'un

giorno

d'un

operaio comune, ciò fu già da lungo tempo determinato,

e ciascuno prese

la

propria posizione nella scala del

valore» (4).

In definitiva, dunque,

Ricardo lasciò

in

sospeso la questione

essenziale

suscitata dalla sua

teoria.

Il lavoro

non esiste allo stato astratto; esso

dif-ferisce di qualità fra

gli individui

e

d'intensità

nel

tempo.

Come

dargli le

caratteristiche

di omogeneità qualitativa

e

quantitativa

1 Secondo

MAEX

«Ri-cardo trae dal tempo di lavoro la determinazione

del valore della merce

...

Le [sue] ricerche si

limi

tano

esclusivamente

alla grandezza del valore

.

.

.

Per

(l) D. RICARDO, Principii ecc., cit., pago 375. (2) Idem, pago 376.

(3) A sostegno ili questo ripiego empirico Ricardo cita l'opinione di Smith se· condo cui, non potendosi misurare la qualità e l'intensità del lavoro, nello scambio delle

diverse produzioni "qualche concessione si fa comunemente alle une ed alle altre».

L'adeguamento dei valori dei lavori quindi avviene «non per mezzo di esatta misura;

ma per mezzo di quel contendere e patteggiare che si fa sul mercato, secondo quella spllcie di eguaglianza approssimativa la quale ... è sufficiente a condurre gli affari ordi-nari della vita l> (A. SMITH, Ricerche ecc., cit., pago 21). Ma Ricardo non s'accorge che il ragionamento ili Smith - essendo la conclusione rinunciataria di chi riconosce l '~m·

possibilità di misurm·e differenti la vari - indebolisce e non ,rafforza la sua tesi che il

tipo del valore sia il lavoro.

(4) D. RICA.RDO, Prinoipii ecc., cit., pagg. 375·376. Codesta presunta immobilità

della graduatoria di stima dei diversi lavori è ribadita dal Ricardo ove scrive: «Noi

possiamo... concludere che qualunque disuguaglianza potesse essere originariamente [esi· stita fra i lavori degli uomini], qualunque l'ingegno, l'abilità o il tempo necessari per

acquistare una specie di destrezza manuale più che un 'altra, il valore continua quasi lo stesso da una generazione all'altra, o almeno ... la variazione è pochissimo considerevole da un anno all'altro e perciò può avere poco effetto, entro brevi periodi, sul valore re·

lativo delle merci» (D. RICAlUlO, Idem, pago 376). Allo stesso modo - ma riferendosi

alle remunerazioni del lavoro e del capitale - Smith aveva già scritto: «La proporzione

fra i iliversi saggi di ealario e di profitto nei diversi impieghi di lavoro e del capitale sembra non essere molto modificata ... dalla ricchezza o povertà, dallo stato progrediente, stazionario o declinante della società» percbè tali fenomeni «debbono alla fine influire ugualmente in tutt 'i differenti impieghi» (A. SMITH, Ricchezze ecc., cit., pago 100).

V'è una differenza fra la tesi di Ricardo e quella di Smith e mentre quest'ultima è amo missibile la prima è contestabile anche per brevi periodi. Ed invero com 'è possibile che

la stima dei diversi layori resti immutata nel tempo se il progresso tecnico, nou essendo

uniforme nei vari settori produttivi, può fare mutare le difficoltà relative delle singole

(15)

esempio egli dice che la determinazione della grandezza del valore secondo il

tempo

di

lavoro non vale che per le merci le quali possono

essere accresciutl'

in

modo

illimitato ...

»

(1). Ma questa

è

un 'interpretazione

ad

usum Delphini

che

tradisce

il

pensiero

ricardiano

e

travisa il

testo originale, nel quale mai

si trova il preteso accostamento del

valore della merce

con

la durata de

l

lavo

r

o che fu necessario per produrla,

perchè

Ricardo non identificò mai

la

quantità

di

lavoro

con

il

tempo

di lavoro.

Un 'identificazione del genere fu opera

degli

scrittori socialisti, come

fu opera degli stessi

-

a differenza di quello che pensano alcuni, fra

i

quali

11-1.

A UCUy

(2)

-

l'esp

e

diente d

e

l tutto v

e

rbal

e

di ri

so

l

ve

r

e

i l

a

vori

complessi, per maggiore applicazione, per più

lungo

tirocinio o per

superio-rità d

'

ingegno, in lavoro semplice

.

I classici in genere, e Ricardo nella specie,

si limitarono ad affermare

c

he la quantità di lavoro applicato alla

produ-zion

e

è

il fondamento del valore di scambio d

e

l pr

o

do

tt

o. E

ss

i

c

ad

e

vano

nel vec

c

hio errore aristotelico di credere nell'esistenza d

'

un metro dei

va-lori

;

e poichè riconoscevano che alcun prodotto del

lavoro

possiede un

im-mut

ab

i

l

e valore di sca

m

bio, imma

g

inarono

che proprio il lavoro potesse

co-stituire il tipo di

riferimento

che cercavano. In questo modo assegnavano

al l

a

y

o

r

o

un valore proprio, a se stante

(3).

Ce

rto è

,

tuttavia, che l'identificazione nel lavoro della norma di misura

del

va

l

o

re fu da es

s

i proclamata sempre e soltanto come

un

concetto puro,

come

un

semplice criterio scientifico d'analisi e giammai fu presentata

come un 'idea capace di ricevere un 'applicazione pratica nella realtà dei

rap-porti di scambio.

2.

-

Gli inconvenienti

sociali

d'una moneta-merce secondo l'ideologia

umanitaria di

R.

OWEN.

I

«

buoni di lavoro» avrebbero dovuto

assicurare l'equità degli scambi, eliminare le crisi economiche e

promuovere un illimitato sviluppo della produzione.

Ad

una

moneta lavoro come effettivo strumento di scambio pensò per

la pri

m

a volta

R.

OWEN, uno dei più celebri riformatori utopisti del

seco-l

o

XIX (4

)

.

Owen credeva che tutt'i mali rilevabili nella moderna organizzazione

econ

o

mico-sociale dipendano dal fatto che gli

uomini

usano

una

moneta

me-tallica la quale è

4:

un segno

immaginario»

e non

~

un segno reale della

(l) K. MARX, Per la critica ecc., cit., pago 29.

(2) M. Aucuy, Les systèrne3 ecc., cit., pago 50 (nota).

(3) Contro tale opinione si veda, fra gli stessi classici, R. TORRENS, Saggio ecc., cit., cap. I passim e in particolare pago 25 e segg.; S. BAILEY, Dissertazione ecc., cit.,

pa.ssim ed in particolare pago 183.

(16)

ricchezza» (1)

.

Infatti -

egli argomentava

-

non basta ad un individuo

produrre

una

certa merce

per avere la disponibilità del potere d'acquisto

ne-cessario

alla

soddisfazione

d

e

i

suoi

biso

gn

i

.

Dato che tutto viene

scambiato

contro

oro

occorre che ognuno si

procuri il

metallo per

com

prare

ciò

che

vuol~

consumare. Perciò nel r

egi

me esistente, a meno di essere provvisti

della merce che

serve da

int

ermediar

io

degli scambi

-

e cioè a meno

di

averla

precedentemente acquistata, con la cessione del nostro lavoro, da

coloro

che

la

posseggono e

che, possedendola, dispongono del nostro potere di

soddisfare i

nostri

bisogni

-

noi possiamo soffrire privazioni pur in mezzo

all

'

abbondanza.

Il

l

avorat

or

e

deve insomma

pro

curars

i l

a

moneta;

ma

poich

è

l'oro

è scarso

relativamente alla quantità

di

tutti

gli altr

i

prodotti

contro

cui

deve scambiarsi,

l'operaio deve

accontentarsi

di

r

iceverne

meno di quan·

to

gli competerebbe

per il

l

avoro compi

u

to

(2).

Così

si

spiega

-

continua-va

Owen

-

l'impossibilità

in cui

si

trova ognuno

di

ricomprare il

suo

pro-dot

to

con

il

metano ricevuto in pagamento e,

in

generale,

l

'impossibilità ça

parte del consumo di assorbire tutta

la produzione

(3).

Dunque

«

è alle imperfezioni dell

'inte

rmedia

r

io

degli scambi che si può

attribuire

l

a miseria

che

r

egna

...

n

ella

società e

le

cris

i

temporanee che

at-traversano il

mondo degli affari

. L

e

forze produttive

...

sono capac

i

di

creare

tutta

l

a

ricchezza

che si

può desiderare; ma non esistono mezzi di

circola-zione capaci di

assicurare l'azione

favorevo

l

e delle facoltà produttive ma

-nuali

e

scientifiche» (4). La moneta metallica

diventa

in tal modo «la

ca

usa

chito rapidamente per merito della sua abilità e del suo ingegno Owen dedicò vita e

ricchezza alla realizzazione del proprio ideale; ma riuscì solta.nto a dilapidare il cospicuo patrimonio accumulato, spendendo a piene mani per la propaganda delle proprie idee

c per fondare due colonie - quella di New·Hannoms, nel 1824, negli Stati Uniti e quella

di Orbiston, qualche anno dopo, in Iscozia - con le quali tentò, inutilmente, di dimo·

strare la possibilità di organizzare una società comunista.

L'unico esperimento di riforma riuscito ad Owen fu quello compiuto a New·Lanark ove - verso il 1821 - si limitò a migliorare eonsiderevolmente le condizioni di vita fisica e morale degli operai d'uno stahilimento da lui diretto.

Ampie informazioni sulla vita di Owen e sulla sua attività sociale si trovano in:

The lite ot R. D. ecc., cit.; E. DOLLÉANS, Robert Owen, cit.; G. D. H. COLE, Robert OlVen,

cit.; H. DENIS, Histoire ecc., cit.; «The Economist », maggio 1860, giugno 1860. Owen ai avvalse, per la propaganda delle sue idee, non soltanto di conferenze ma anche di libri, di giornali e ili riviste. L'elenco completo delle sue numerosissime pubbli·· razioni si trova in appendice del citato libro di Dolléans.

(1) R. OWEN, Il libro ecc., cit., pago 96.

(2) «Ma se la moneta è scarsa, se l'intermediario non è disposto a prendere il prodotto offerto, il produttore deve fare un sacrificio considerevole ... » (<< The Crisis »,

val. I, n. del 30 giugno 1832, pago 59, cito in E. DOLLÉA.NS, Robert Owen, cit., pago 274). (3) R. OWF..N, Report to the Country ot Lanark, in The lite ecc., cit., voI. I A,

passim.

(4) Articolo in «The Crisis» del 16 giugno 1832, voI. I, pago 50 (cit. in :E. DOLLÉA.NS, Robert OlVen, cit., pagg. 272-273).

(17)

d'una immensa criminalità, d'una profonda ingiustiz

i

a, ...

un

a de

ll

e co

n

di

-zioni ambientali che tendono a deformare

il

carattere

[

degli uom

i

ni

]

e a

fare

della terra un pandemonio

.

È

stato

così' e continuerà ad

essere

così

fino a quando ... , [invece

di essere un simbolo a creare

la ricchezza, non

sarà]

la

ricchezza a creare

il

suo

titolo rappresentativo: i 'buoni

di

lavoro'

('

labour notes

')>>

(1)

.

.Ai

buoni di

lavoro

Owen aveva

pensato da tempo, reputandoli un

espe

-diente

idon

eo

a rendere concreto il concetto smithiano di

pr

ezzo

naturale

e

un mezzo capace di

modificare

il

meccanismo

della distribuzion

e

descritto

da

Ricardo

(2).

Se il lavoro

è

la

misura

naturale del valore, perchè non

farne

l'uni

ca

reale

misura?

T

'ras

formando in

moneta

il lavoro incorporato

da ogni individuo nel suo prodotto ogni persona avrebbe potuto procurarsi

direttamente

i

beni necessari alla soddisfazione

dei propri bi

sogn

i,

senza es

-se

re

costretta a cedere contro

l'oro,

merce

in

termediar

ia, il risultat

o

delle

sue

fatiche. In tal modo

si

sarebbe anzitutto assicurata

l'equità de

g

li

scambi,

perchè ogni

l

avoratore avrebbe

precisamente ricevuto,

in forma

merceolo-g

ica

diversa, tanto lavoro quanto

n

e

avrebbe

ceduto. Sarebbe

stato così

eli-lninato

il

profitto dei capitalisti e -

attraverso

la

stabilità dei

rapporti di

valore

del

l

avoro

-

si

sarebbe

ottenuto

la

stabilità della

remun

erazio

ne del

lavoro

in

generale.

Poi

si sarebbero

scongiurate

le

crisi economiche,

g

i

acc

il

consumo avrebbe

sempre esattamente assorbita

la

produzione.

Infine

que-st

'

ult

ima

avrebbe potuto

crescere

senza limiti, sia

per il

fatto che

avrebbe

sempre trovato

in

se

stessa i suoi

sboc

chi,

sia

perch

è

-

in

conseguenza

del-volumi, alla Biblioteca di Londra. Le nostre citazi'oni, come quelle dali 'altro giornale di Owen, la <1: Millenial Gazette », sono per necessità di seconda mano e sono tratte dalle opere ricordate di Dolléans e di Denis.

(l) Articolo Money in <1: MiUenial Gazette» del 22 marzo 1856 (cit. in H. DENIS, Histoirc ecc., cit., vol. II, pago 481).

Analogamente Owen aveva già scritto venti anni prima: <1: Sino Il. quando la società non sia divenuta savia e atta a creare un segno reale della ricchezza, invece di un segno immaginario, per adoperarlo negli scambi, e sino a quando si sentirà il bisogno di un simbolo negli scambi, i due estremi - ricchezza e povertà - esisteranno, e cresceI'anno e aumenteranno in proporzIOne delitti, miseria, schiavitù e oppressione che nascono ap· punto dalla ricchezza e dalla povertà ... ». (R. OWEN, Il libro ecc., cit., pago 96; corsivo dell'A.). E questo per cM, come aveva già spiegato, «In uno stato sociale debitamente costituito o razionale, l'oro e l'argento e la carta· moneta di credito [non possono essere] adoperati come mezzi di distribuzione della ricchezza. Il mezzo ... per il facile vantaggio· so ed utile scambio della ricchezza, sino a che d'un mezzo qualsiasi si avrà bisogno, deve possedere la qualità di espandersi e restringersi con la più esatta proporzione alla espan· sione e alla contrazlone della ricchezza. Deve anche, come segno della ricchezza, esseTe immutabile nel suo valore» (Ibidem, pago 95).

(2) Fin dal 1820 egli aveva infatti sostenuto - ricalcando il pensiero ricardiano reso noto con le prime due edizioni, nel 1817 e nel 1819, dei Principles - che «la mi· sura naturale del lavoro è ... [anche nelle società moderne] il lavoro umano o la potenza manuale e la 'potenza mentale degli individui combinate e poste in opera» e che perciò sarebbe stato «non soltanto assai vantaggioso ma assolutamente necessario tradurre tale principio in pratica inlmediata» (R. OWEN, Report to the CO'Untry 01 Lanark in ,The

lile ecc., cit., vol. I A). '

(18)

l

'e

qua permuta del lavoro contro il

lavoro e del contatto diretto fra

i

pro

-duttori -

la domanda di lavoro umana non

sarebbe stata

più

abbandonata

al capriccio dei possessori di capitali,

le

energie

produttive latenti

sarebbe-ro

state risvegliate e

desideri di nuovi

consumi

si sarebbero

continuamente

diffusi

nella popolazione

.

Insomma,

facendo

sì che il

lavoro

funzionasse oltre che da fattore

pro-duttivo anche da strumento di scambio, si sarebbe restituito alla classe

ope-raia

il

diritto all

'integrale

consumo del proprio prodotto

(1)

con un

consi-derevole vantaggio per il progressivo benessere di tutta

la

società. Perchè

allora

la

dimensione del consumo sarebbe stata condizionata

soltanto

dal

di-ritto

a

consumare

derivante ad ogni persona

da

ll

a

quantità di lavoro

appli-cata a

produrre,

e

l

'i

nevitabile

desiderio di tutti

gli

individui di accrescere

i

propri consumi avrebbe dato, nell 'insieme

e di volta in volta, una spinta

poderosa alla produzione

(2).

Codesta idea del buono

di lavoro,

e del

conseguente

prezzo naturale

delle

merci,

dopo

averla molto

propugnata,

Owen tentò di realizzarla

fon-dando

una

«Banca

di scambio del lavoro» (3) la quale rilasciava

-

a

chiunque

le

vendeva merci

-

un buono che dava diritto a prelevare, dal

magazzino dell '

istituto,

qualsiasi altra cosa avente lo stesso valore, in

la-voro,

della

merce venduta. Con tale sistema, affermava Owen,

l'operaio

può

consumare senza

limiti

purchè

produca

senza limiti. Infatti a qualsiasi atto

di produzione

seguito da

una

vendita alla banca corrisponde

la

possibilità

di un atto

di

consumo su

domanda di prodotto allo stesso magazzino. E

quindi «invece

di

attendere

un impiego

per soddisfare

i

suoi bisogni,

qua-lunque

persona

potrà

immediatamente procurarsi

le

merci di cui ha bisogno,

mettendosi al

lavoro

e

cedendone

il

prodotto

alla banca

».

Questa apre "un

nuovo

sbocco di

grande ampiezza

[ai

produttori] e

permetterà

di occupare

(l) In questo modo il socialismo deduceva dalla scienza economica classica gli elementi concettuali per la costruzione d'un nuovo diritto economico che - ancora vago in Owen ed in Fourier come lo era stato in Saint-Simon - doveva precisarsi con Prou-dhon, Lassalle, Marx, Engels e gli altri socialisti, riformatori o rivoluzionari, della seconda metà del sec. XIX.

(2) R. OWEN, Report to the COu1ttry ot Lanark, in The lite ecc., cit., voI. I A, pagg. 264-268 e «T<he Crisis », voI. I," numeri dal 16 al 22 giugno 1832.

Si noti che l'eguaglianza inevitabile fra produzione e consumo su cui insisteva Owen fin dal 1820 doveva essere sostanzialmente assicurata dallo stesso meccanismo che J. B. SAY aveva indicato, già nel 1803, con il nome di «legge degli sbocchi ». Formal-mente, invece, essa era garantita dal fatto che la moneta lavoro avrebbe dovuto essere ad offerta infinitamente elastica., e cioè tale da realizzare un perfetto adattamento delia massa di strumenti di scambio ai bisogni della circolazione determinati, a prezzi costanti, dal volume della produzione.

(19)

tutt 'i disoccupati, trasformando in consumatori

milioni

di persone che

pri

-ma erano,

a pena, nient 'altro

che

produttori» (1).

La

r

ealtà fu

invece

assai meno

facile della teoria e subito sorsero

consi-derevoli inconvenienti di

var

i

o

tipo

(2).

Nella specie

le

maggiori difficoltà

risultarono

connesse, e

non

poteva essere

diversamente,

a

ll

a

valutazione del

lav

oro contenuto nelle merci. Infatti,

pur essendo

limitata l

'app

li

cazione

del sistema soltanto alle merci

in

senso st

r

etto, e

cioè

a

i

prodotti del

lavoro

materiale, con quale criterio si poteva stabilire

l'intensità e

la

qualità

della

fatica compiuta da ogni produttore

1

(3).

Il

quesito era essem:iale ed è quello che sta

a fondamento

d

i qualsia

s

i

tentativo

per realizzare

una moneta

lavoro.

G

i

acchè convenuto che

sia

che

1

ora

od

x ore

d'un

certo

lavoro

rappresent

in

o

l

'un

it

à

di moneta, non

si

può stab

ilir

e quanto di quella

unità

si

deve dare in

cambio

del prodotto di

un

cert 'altro

lavoro

se non si conosce

.

oltre

il n

umero

delle

ore impi

egate

per questo

l

avoro

,

anche

il ra

pporto

in

c

ui 1

ora della

seconda fatica sta

ad 1 ora della

prima.

Due sono dunque

le

inc

ogn

i

te che

occorre determinare

(l) In «The Crisis », voI I, numeri dal 16 al 23 giugno 1832, ed in particolare quest 'ultimo, a pago 59 (Cit. in E. DOLLÉANs, Robert Owen, cit., pago 275).

Sulla convenienza di istituzioni del genere Owen insistè anche dopo che la sua

banca era fallita. Infatti ancora nel 1836 egli scriveva: «Come una tappa tra lo stato irrazionale e lo stato razionale della società, dovrebbero istituirsi alcune banche di ric· chezza reale, sostituendole alle banche di ricchezza immaginaria o di titoli di credito. Quando queste banche di ricchezza reale saranno ordinate e messe all 'opera, come faeil· mente può farsi (siG), l'ozio, la miseria, il delitto, la povertà scompariranno gradata· mente ... » (R. Ow.w, Il libro ecc., cit., pago 97).

(2) Fra l'altro parecchi commercianti poco scrupolosi cedettero alla banca merci che da anni non riuscivano a vendere, ritirando con i buoni ricevuti merci nuove e molto richieste. Sembra che questa sia stata una delle cause principali del dissesto dell'istituto di Owen.

In ogni modo - ai nostri scopi - tali difficoltà di gestione non interessano. (3) Merita intanto d'essere rilevato che, a causa della suddetta limitazione, il si· stema escogitato da Owen avrebbe perduto in ogni caso - e quindi anche in quello d'una corretta misurazione delle differenti specie di lavoro - gra.n parte dell 'efficacia teorica assegnatagli deduttivamente dali 'inventore.

In,ero erano esclusi dal beneficio dello scambio diretto non soltanto i prodotti del lavoro intellettuale ma anche i prodotti così detti immateriali, e cioè i servizi, del lavoro manuale; perchè gli uni e gli altri anzitutto non sono immagazzinabili e poi non sono di tipo definito, bensì variano da caso a caso in dipendenza delle condizioni in cui sono prestati (si pensi all'opera del medico) e delle finalità per cui sono richiesti (si pensi al patro~inio dell'avvocato). Codeste due difficoltà si potrebbero superare «immagazzina

n-do », per così dire, non il prodotto ma la facoltà di prodture del lavoratore: come è fatto per l'opera del medico o del legale al servizio di mutue o di sindacati. Tuttavia l'espe

-diente non sarebbe stato valido nei confronti del sistema di Owen il quale presupponeva

la precedenza della produzione sul consumo.

Del resto anche limitatamente alle merci il sistema in questione poteva f)lnzionare soltanto a beneficio degli artigiani. Gli operai salariati non potevano portare alla banca le merci prodotte nelle officine con l'ausilio di fattori produttivi che non erano di loro

proprietà.

(20)

se

s

i vuol

e

che le

merc

i

si

scamb

ino in ragi

one

dei lavori

che so

no

costate

(l).

Owei1, tuttavia, non

s

i

pose affatto

tali

problemi

e

per raggiungere

i

s

uoi

scopi pratici ricorse a

sempl

ici

superficiali artifici.

Per

quanto

riguarda il primo punto

egli rinunciò a cercare

quale fosse,

easo

per caso, il tempo

occorso

al

l

avo

r

atore

per produrre

l

a

sua

merce.

Il

tempo

di lavoro impiegato per la fabbrièazione di qualsiasi

cosa

portata in

vendita alla

«Banca

di

scambio» era infatti

sempre stimato

uguale

a quello

che sarebbe

occorso ad un

l

avoratore

ordinario

per compiere

la

stessa ope

-ra

(2). Ma è chiaro che con questo

e

s

pedi

ente

-

il quale

realizzava ante

-l

ettera

il

concetto di «tempo di

lavoro nor

ma

le

»

del RODBERTUS (3) e, a

ben guardare, quello

di lavoro

«generalmente o socialmente necessario» del

SrSMONDI

(4)

e del MARx (5) -

non

veniva rispetta

to

il principio socialista

dell 'equità contrattua

l

e o. se si

vuole

.

del

prezzo reale

smithiano

.

giacchè

il

la

vora

tore più

a

b

i

l

e era

avyantaggiato rispetto

a quello meno capace (6).

Codesta deficienza era senza

dubbio

considerevole

per

un

sistema

il

quale dichiaratamente

mirava

a fini

di

g

iustizia

distributiva, partendo dal

principio

che

ognuno doves

se

essere remunerato in proporzione

alla

fatica

compi

u

ta

.

Se quella proporzione

non v'era

i

«profittator

i

»

non sarebbero

scomparsi

.

Epperò

un

difetto ancora

più

grave

nasceva

da

l

secondo

ripiego,

volto a s

up

erare

la difficoltà di

compara

re lavori

differenti.

In linea di principio

Owen

ammetteva -

sull 'esempio di Smith e di

Ricardo, da cui

è evidente

la

der

i

vazione

del suo pensiero

-

che, a parità

di durata, il

lavoro

del manovale valga meno di quello dell

'o

rolo

giaio

(7) e

che si

possa

stimare

l

'uno rispetto a

ll

'altro secondo

l

a scala empirica

dei

salar

i

esistente sul mercato

.

Quest'ultima opinione

è manifestamente errata

perchè

la

graduatoria delle

pa

ghe

-

essendo d

i

volta

in

volta determinata

anche dalle

condizioii

i

di domanda e di

offerta dei singoli prodotti -

non

(l) Il nostro discorso, sia esplicitamente chiarito, prescinde a questo punto dal dissenso di principio sulla questi.one fondamentale che il valore di scambio delle merci debba essere eguale al rappo[to f)'a le quantità di lavoro che le merci sono rispettiva· mente costate. In altre parole noi qtÙ ragioniamo concedendo, ma non a=ettendo, che quella proposizione sia vera.

(2) A. J. BOOTH, Robert Owen ecc., cit., pago 146. Precisamente la Banca stinlava separatamente, nella merce, il valore della materia prima e quello del lavoro con il cri· terio suddetto.

(3) K. RODBERTUS, Der Norm,alarbeitstag, cit., passim.

(4) S. DE SrSMONDI, Études sur l'economie politique, Bruxelles, 1837, voI. II, pagg. 164·166.

(5) K. MARX, Per la c?'itica ecc., cit., p. I, passim e Il capitale, cit., pago lO. (6) Per un giud.izio analogo v. A. J, BOOTH, Robert Owen ecc., cit., pago 147 e W. L. SARGANT, RobeTt Owen ecc., cit., pago 309.

(l) A causa delle ilifferenze di tirocinio, abilità, ingegno, ecc. che richiedono, e quindi pl'escindendo dalla richiesta relativa che - in ogni istante - si fa dell'opera dcI· l'uno e di quella dell'altro. Giacchè facendo intervenire questa seconda consitlerazione può ben darsi che non soltanto per l'individuo, ma anche per la società, il lavoro del ma· novale valga, alle volto, più di quello dell'orologiaio.

(21)

può corrispondere

alla simultanea

graduatoria

delle qualità dei diversi 1a

-vori. Di maniera che se si assume

la scala dei

salari come

una rappresenta

-zione

della gerarchia

qualitat

i

va delle fatiche si ammette -

in ovvio

contra

-sto con

la

finalità di riforma

distributiva

a cui

tende la moneta lavoro

-che le merci già

si

scambino

in

ragione delle quantità di

lavoro

che sono

rispettivamente

costate.

È

legittimo

dunque

affermare che Owen non tentò

nemmeno

di risolvere

la

spinosa

questione della riduzione del lavoro

com-plesso in

lavoro

semplice

(l)

e che

-

sempre

sul

piano concettuale -

si

li

-mitò a

ricondurre,

come avevano già fatto i

classici, il primo

al secondo

avva-lendosi

soltanto del dato empirico. Ma sul piano

pratico,

e cioè nell

'applica-zione del suo sistema, la posi'applica-zione rinunciataria di Owen assunse un aspetto

ancora più manifesto giacchè, rifiutando perfino di avvalersi della norma

che riteneva desumibile dal mercato, egli abolì addirittura

qualsiasi

diffe

-renza di valore fra

le

diverse specie di fatiche.

Questa ingiustificabile idea egualitaria

Owen la nutriva

da

molto

tem-po,

forse perchè si era reso esattamente

conto delle difficoltà -

logiche

e

pratiche

-

che solleva un 'integrale applicazione del principio del

lavoro-va-lore

.

Fin dall'epoca

del

Report

egli pensava infatti

che il punto

più delicato

ed importante della questione fosse quello di stabilire il valore esatto

del-l'unità

di

lavoro

che si sarebbe convenuto di assumere come

unità

di

valore,

ed al riguardo reputava che

quell 'unità dovesse

appagare

due

condizioni:

doveva, cioè, valere una somma di moneta metallica sufficiente a soddisfare

le necessità e

le

comodità della vita

d'un individuo

e doveva corrispondere

alla remunerazione giornaliera

d'un

operaio

di

abilità media il quale avesse

lavorato moderatamente. Nel

Report

egli stimò quella somma nell 'ammonta

-re di 5 scellini; per il funzionamento della «Banca di scambio» egli valutò

in 6 pence

l'equivalente

di

un'ora

di

lavoro,

e

questa

cifra corrisponde

alla prima

per una

giornata

lavorativa -

a quell 'epoca comune

-

di

dieci ore.

(22)

all'ozio»

(1). Nella specie

esso

risulta favorevole a

coloro

il

cui

lavoro

è, per

una

ragione

o

per l'altra, remunerato

di

meno dal

mercato, mentre opera

a sfavore di quelli il cui

lavoro

è remunerato

di

più (2).

Come si vede, dunque,

il

sistema escogitato da Owen presentava

pa-recchie fondamentali

imperfezioni,

le quali impedivano che potesse essere

durevolmente applicato. Ed

invero la

«Banca di scambio» ebbe una vita

breve e difficile, precisamente a causa del disinteresse con cui, dopo

l'ini-ziale favore suscitato dalla novità dell 'esperienza, la considerarono gli operai.

Ma a parte questo merita d

'essere rilevato che il sistema era soprattutto

vi-ziato da due difetti logici i quali -

pur restando sul piano concettuale

-vietano di giudicarlo come un fecondo tentativo di soluzione del problema

della moneta

lavoro.

3 ..

I due difetti logici del sistema

oweniano. L'impossibilità

di attuare

un socialismo di scambio in un' economia che non sia organizzata

a piani.

Il primo

difetto,

che traspare a

prima

vista, è

la

mancanza di una

razio-nale unità di valore (3

)

.

Questa unità doveva

logicamente

essere costituita

da una certa

quantità di

lavoro

j

viceversa Owen

la identificava

nel

salario

necessario e

sufficiente

che avrebbe dovuto guadagnare

-

in

una

unità

di

tempo -

il

lavoratore

ordinario con una moderata applicazione di fatica.

Ne consegue che sostituendo

la remunerazione

(in moneta metallica) del

lavoro

alla quantità di

lavoro,

Owen conservava

in

sostanza alla moneta

me-t

allica quella funzione

di

misura dei valori che avrebbe voluto abolire

perchè

-

a suo giudizio -

era all'origine

di tutt'i

mali di cui soffriva la

società. La sua

riforma

perciò consisteva soltanto

nel

privare

la

moneta

me-tallica della funzione di strumento di scambio,

introducendo

sul mercato

una

moneta (buoni

di

lavoro) la quale permetteva di esprimere in funzione di

una unità

di conto

ideale

e puramente convenzionale (6 pence) i poteri di

acquisto relativi delle merci e dei

lavori

(4). Infatti

-

come osserva

il

(l) K. RODBERTUS, Der Nor'T1'U1larbeitstag, cit., pago 350.

(2) Naturalmente le deviazioni provocate dai due artifici di Owen tendevano, in una certa misura a compensarsi. A causa del primo espediente (periodo normale di la-voro) gli operai più abili erano favoriti; a causa del secondo (saggio salariale uniform~) quegli stessi operai erano danneggiati. Ma non si può tuttavia affermare che l'effetto definitivo fosse - o tanto meno dovesse essere - uno scambio delle merci secondo il 101'0 così detto prezz~ reale. '

(3) Qui si discute, sia ben chiaro, ammettendo ma non accettando la tesi che esista un <I metro» dei valori.

(4) Si osservi infatti, dice Aucuy, l'operazione mentale dello stimato re della «Ban-ca di scambio ». Egli valutava le merci che gli erano offerte in vendita 4: come un c

om-merciante [e cioè] in base a ciò che pensava Ji poterne ricavare; x sterline. Poi per la salvaguardia apparente dei principi trasformava la sua valutazione in ore di lavoro, al metro di 6 pence... La moneta metallica conservava la funzione di misura dei valori l>

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