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Al MAXXI una futuristica residenza russa dialoga con una casa barocca italiana

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Academic year: 2022

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Al MAXXI una futuristica residenza russa dialoga con una casa barocca italiana

The Capital Hill dell’architetto Zaha Hadid si confronta con Casa Baldi di Paolo Portoghesi nell’affascinate esposizione At Home 20.20

At Home 20.20

Al MAXXI la futuristica residenza russa, The Capital Hill, di proprietà del magnate Vladislav Doronin dialoga con il barocco della Casa Baldi di Portoghesi. Cosa ha in comune una casa romana in tufo e mattoni con una residenza futuristica a più livelli? La passione del suo architetto, Zaha Hadid, per il barocco romano. E’ questo il fil rouge che unisce i due progetti, ed è per questo che il MAXXI le ha messe a confronto. Infatti, come vedremo, le due strutture architettoniche nella loro concezione estetica sono lontane solo apparentemente.

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Si chiama At Home 20.20 la mostra allestita al MAXXI sul mondo dell’abitare. Un viaggio affascinante tra residenze imponenti e case mozzafiato. Ce n’è per tutti i gusti, ma io ho scelto di raccontarvi queste due imponenti costruzioni, perché anche se sembrano distanti anni luce hanno in realtà tanti elementi che le accomunano, innanzitutto da un punto di vista emozionale. I loro architetti, Zaha Hadid e Paolo Portoghesi erano dei visionari, con un occhio all’estetica innovatrice dei loro progetti, ed un occhio alle emozioni che ricevevano dall’arte e dalla natura.

The Capital Hill: al MAXXI la futuristica

residenza russa

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Il barocco romano dicevamo. E’ questo uno dei punti che unisce le due residenze. L’architetto Zaha Hadid, ha sempre avuto nel cuore il barocco italiano e per la residenza di Vladislav Doronin (The Capital Hill) si è ispirata alle linee dinamiche del barocco e alla sua capacità di permearsi e plasmare lo spazio urbano. Al MAXXI, la futuristica residenza russa ci catapulta in una dimensione quasi nel surreale. La sua imponente struttura (2650 metri quadri) su due livelli sembra un’enorme statua di marmo bianco che campeggia in una sconfinata distesa verde fuori dal tempo. L’ultimo livello della residenza è alto 20 metri e sovrasta la distesa di pini e betulle russe, per offrire al magnate una vista mozzafiato.

E queste erano proprio le intenzioni di Vladislav Doronin quando commissionò il progetto a Zaha Hadid.

“mi voglio svegliare la mattina e vedere solo il blu del cielo. Capisci? Voglio essere sopra gli alberi”.

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Detto, fatto. Questa è Capital Hill. E la camera da letto a vetrate di Vladislav Doronin è proprio lì, oltre gli alberi.

che punta solo il blu del cielo all’orizzonte, circondato da un materasso verde, le betulle della foresta di Barvicha a pochi chilometri da Mosca.

Casa Baldi

E Casa Baldi? Perché mettere a confronto The Capital Hill con la residenza romana progettata daPortoghesi?

Perché Portoghesi come Zaha Hadid era un visionario, e la sua residenza si

ispirava all’arte, alla natura e alla cultura italiana.

Portoghesi realizzò

Casa Baldi a soli 28 anni. Il suo, era un progetto dell’anima.

La struttura

doveva integrarsi perfettamente con il paesaggio circostante, abbracciarlo e

assorbirne la storia e la cultura. La residenza è su tre livelli e segue

armoniosamente il declivio della collina su cui è adagiata, snodando pareti

convesse all’interno della casa e pareti concave all’esterno.

Casa Baldi è nata

tra la natura, proprio come The Capital Hill. Su una collina tufacea immersa nel verde,

lontana dal centro di Roma, Portoghesi realizzò la sua Casa Baldi, dove il

verde e alcuni resti archeologici ne completavano il fascino.

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Una sinuosità che richiama quelle di The Capital Hill, le cui forme geometriche si integrano perfettamente nell’ambiente circostante, trasmettendo al contempo dinamicità e innovazione. Le due abitazioni perciò, oltre al paesaggio hanno in comune la fluidità delle forme che le rende uniche e originali.

La Casa Baldi fu una rivoluzione sin dal suo concepimento. Ben lontana dai canoni architettonici degli anni Sessanta, la casa di Portoghesi infatti, si presentò da subito come un unicum nel panorama edilizio dell’epoca, con forti richiami al tocco barocco dell’italiano Francesco Borromini e all’audacia creativa di Gaudì. Casa Baldi inoltre, è stata costruita tutta con materiali tradizionali tra cui il tufo e mattoni trattati in maniera artigianale. Anche se elementi della tradizione sembrano cozzare con la concezione innovativa delle linee e

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della struttura, in realtà la frizione è solo apparente. Essa infatti, sarà un tratto distintivo e originale di tutte le opere future di Portoghesi.

interno di Casa Baldi

In conclusione, per gli amanti dell’architettura, ma anche dell’abitare in generale, consiglio vivamente la mostra At Home2020, perché ci dà una visione completa di come si è evoluto il concetto di casa nel mondo dal dopoguerra ad oggi.

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Festival del libro 2020 in Piazza Rossa. E la pandemia?

Mosca conferma l’evento dal 6 all’8 giugno come da

programma. Presenze dimezzate ma, come si dice,

The show must go on

La Russia in pole position

Il Festival del libro 2020 in Piazza Rossa si terrà. La Russia non vuole rinunciare al tradizionale evento che anima il cuore di Mosca e che quest’anno è arrivato alla sesta edizione. Per mantenere alta la bandiera della propria leadership sullo scacchiere internazionale, la Russia con questa mossa si è aggiudicata il primato di cavaliere senza macchia e senza paura. il consigliere alla cultura Vladimir Tolstoj ha annunciato che il Festival sarà il primo grande evento culturale al mondo dopo la pandemia, che è una festa culturale importante e che è tanto attesa da tutti. Ma, avvertono gli organizzatori, le precauzioni ci saranno.

Mascherine e guanti obbligatori per tutti, termoscanner per la temperatura, disinfezione della piazza, distanziamento sociale e divieto di accesso per i minori di 7 anni e i maggiori di 65 anni. Lo sgomento collettivo regna sovrano a tutti i livelli.

Gli organizzatori hanno affermato che è stato difficilissimo

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mettere in piedi il Festival in una settimana, ma alla fine ce l’hanno fatta. Perplessità anche tra gli editori che hanno annunciato numerose defezioni. Molti hanno ancora paura del contagio e si conta che gli espositori saranno circa la metà rispetto all’edizione precedente. Dei 400 editori, se ne presenteranno circa 200; questo però non influirà sul Festival che sarà comunque ricco di eventi e spettacoli.

Festival del Libro 2016, ex ministro Medvedev agli stands

Per chi ha deciso di restare a casa perché non ha smaltito

gli strascichi della pandemia, può guardare il Festival on line; inoltre, gli

organizzatori hanno realizzato diversi programmi a corredo della manifestazione

da fruire sempre on line proprio per chi ha deciso di restare a casa.

Ogni stand ospiterà uno più scrittori, ci saranno performance teatrali e laboratori di scrittura per i più piccoli. Il Festival, nonostante tutto è ricco di eventi e sul sito ufficiale potete scegliere l’appuntamento che più vi aggrada.

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Festival del libro 2020 in Piazza Rossa:

istruzioni per l’uso

Lo sappiamo che non sarà un Festival come gli altri, ma è

comunque una festa tanto attesa e allora, tanto vale farla, e farla con tutti i

crismi dettati dal momento storico.

Per consentire il distanziamento sociale la

piazza dovrà rivedere il numero delle presenze. Pertanto tutti i visitatori

sono obbligati a registrarsi sul sito ufficiale del festival e scegliere gli

eventi di interesse.

Solo se si è in possesso della mail di risposta

sarà possibile entrare al Festival e seguire gli appuntamenti scelti.

Poiché le precauzioni non sono mai troppe,

munitevi del pass per circolare in città e ricordatevi di portarlo con voi prima

di uscire di casa.

Speriamo solo che il

tempo non metta la ciliegina sulla torta, quest’anno alquanto dietetica

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Tanta fatica per progettare l’Arco di Trionfo e poi non vederlo: Giuseppe Bove

L’arco di Trionfo a Mosca fu progettato dall’architetto Giuseppe Bove che morì pochi mesi prima della sua inaugurazione

Un infaticabile lavoratore

L’arco di trionfo di Giuseppe Bove è uno dei monumenti più importanti di Mosca. Continuiamo il nostro viaggio indietro nel tempo alla scoperta delle opere di questo grande architetto italo-russo (San Pietroburgo 1784- Mosca 1834) che fu a capo della commissione speciale (“la spedizione per il Cremlino) che ricostruì Mosca dopo l’incendio del 1812.

Giuseppe Bove in qualità di architetto ebbe l’incarico di progettare tantissimi edifici, molti dei quali di grande prestigio. Tra i tanti ricordiamo l’Arco di trionfo, il Teatro Bol’šoj, La Galleria dei Mercanti sulla Piazza Rossa, il maneggio, il primo ospedale comunale, la casa del principe Gagarin. Pensate, a soli 32 anni, Giuseppe Bove aveva già progettato 33 edifici!

Era l’architetto del momento, e poiché lo zar Nicola I

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desiderava

un monumento che ricordasse la vittoria su Napoleone, venne scelto proprio lui nel

1826 per il progetto architettonico. In

realtà l’Arco di Trionfo già esisteva, era stato progettato anni prima, nel

1814 alla fine dell’attuale via Gorkij. Il monumento però era stato costruito

in legno e iniziò a deteriorarsi con sorprendente velocità. Si decise così, dopo

circa 12 anni (nel 1826 appunto) di ricostruirlo in pietra. Il progetto fu

affidato all’architetto più in voga del momento, Giuseppe Bove, mentre la parte

delle decorazioni all’italiano Giovanni Vitali e al russo Ivan Timofeev.

Giuseppe Bove era un lavoratore infaticabile come sottolinea Ettore lo Gatto (1890- 1983) slavista, critico letterario e traduttore nelle note del Vol 1 di Gli artisti italiani in Russia,Libri Scheiwiller, Milano. Quando gli venne affidato l’incarico dell’Arco di Trionfo, riuscì a completare i disegni p r e p a r a t o r i n e l l o s t e s s o a n n o i n c u i g l i v e n n e r o commissionati!

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tomba di Giuseppe Bove al monastero maschile di Donskoj (Mosca)

La “vita travagliata” dell’Arco di Trionfo di Bove

Ma Giuseppe non ebbe vita facile con questo progetto. Una serie di lungaggini, compromisero la sua tabella di marcia, e la realizzazione dell’arco slittò di parecchi anni.

Innanzitutto nacque l’esigenza di ridisegnare la mappa della strada che portava da San Pietroburgo a Mosca, pertanto, dovette necessariamente rielaborare il progetto iniziale.

Questo portò via i primi tre anni. I lavori iniziarono ufficialmente nel 1826, ma ben presto si arenarono (si dice per mancanza di fondi dovuti all’indifferenza delle autorità verso il progetto di Nicola I).

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I lavori ripresero, e dopo 5 anni il monumento fece bella mostra di sé nella città di Mosca. L’arco di Trionfo venne inaugurato nel 1834 e rifletteva perfettamente lo spirito con cui l’aveva progettato Bove: l’arco doveva magnificare la grandezza della Russia e il valore dei suoi soldati. Bove ebbe il grande merito di aver realizzo un progetto che esprimeva perfettamente la Russia che era riuscita a non soccombere ,“sorta dalle ceneri”, così come specificato nell’iscrizione in cima all’arco. Il nostro architetto, però, ebbe la sfortuna di morire due mesi prima dell’inaugurazione del monumento, avvenuto a settembre del 1834.

E’ sepolto al monastero di Donskoj (Mosca)

L’iscrizione sull’Arco di Trionfo

Se avesse visto l’Arco di trionfo completamente finito, i suoi occhi avrebbero ammirato sei coppie di possenti colonne adagiate su imponenti piedistalli sormontati da grandi statue di antichi guerrieri. Se il suo sguardo si fosse allungato verso il cielo, avrebbe visto sui capitelli delle colonne, 36 stemmi (compresi quelli reali) delle allora provincie russe che avevano partecipato, con valore, alla grande guerra patriottica del 1812. E poi, ancora più su, con la mano a ripararsi dal sole, avrebbe scorto l’arco sormontato dal Carro della Vittoria sotto al quale spiccavano due scritte in onore dello zar Alessandro I, esaltato come salvatore della Patria.

Avrebbe notato che la scritta verso l’interno della città era in russo e che quella verso l’esterno era in latino. Avrebbe strizzato gli occhi e forse sarebbe riuscito a leggere l’iscrizione che ben conosceva e che così recitava:

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Alla beata memoria di Alessandro I che recuperò dalle ceneri e adornò con cura paterna di molti monumenti questa prima capitale messa a fuoco nell’estate del 1812 durante l’invasione dei Galli e di tanti altri popoli

L’arco fu distrutto nel 1936 secondo le direttive

staliniane di riorganizzazione urbana e ricostruito nel 1968 così come appariva

al momento della sua demolizione. L’unica cosa che venne cambiata fu l’iscrizione

allo zar Alessandro I

Ricette al tempo del coronavirus: pastilà russa

Ci vuole tanto tempo per preparare la pastilà russa, perché allora non sperimentarla in questo periodo di riposo forzato?

Qualche notizia sulla pastilà russa

La pastilà russa è un dolce tradizionale della cucina russa a base di ingredienti genuini e semplici, pensate la ricetta ha solo 3 ingredienti: mele, zucchero e albume! La pastilà è un

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dolce antichissimo e si produceva principalmente nella città di Kolomna, a un centinaio di km da Mosca. Anche la città di Beljov, sud ovest di Mosca, era rinomata per la sua pastilà.

Una variante della pastilà infatti si chiama beljovskaja pastilà, ed è quella che vi proporrò oggi. Poiché gli ingredienti sono semplici, la pastilà può avere tantissime varianti, basta aggiungere nell’impasto ciò che preferite, anche se l’ideale è della granella di frutta secca o una composta di frutta.

La caratteristica di questo dolce sono le mele. Viene utilizzata solo la qualità Antonov, una mela tipica di queste zone, particolarmente acidula che ha un sapore simile alle nostre renette (utilizzeremo queste ovviamente ). Passiamo all’azione. Vi comunico che ci vogliono circa 7 ore per la preparazione Pronti?

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Ingredienti per la pastilà russa:

8-10 mele renette (o anche mele verdi) zucchero semolato

zucchero a velo 1 albume d’ uovo

Preparazione della pastilà russa:

La preparazione è molto lunga come vi dicevo. Per prima cosa bisogna ammorbidire le mele nel forno e poi farne una purea.

Quindi:

Ricoprite la teglia del forno con della carta da forno ben bagnata e leggermente strizzata

Tagliate le mele a metà e privatele del torsolo

Mettete la teglia in forno preriscaldato e infornate per 50 minuti a 180° (attenzione a non farle bruciare!

Quando le mele saranno ben cotte, togliete la buccia, schiacciatele con una forchetta e mettetele in una ciotolina e con un mixer fate una purea

Aggiungete lo zucchero alla purea ancora calda e mescolate energicamente con una frusta (o mixer)

Trasferite il composto in una ciotola molto più grande e mettetelo in frigo per qualche minuto, il tempo di montare a neve l’albume

Quando avrete montato a neve l’albume (per circa 5 minuti fino a quando non si forma una massa molto voluminosa e spumosa), aggiungetelo al composto che avete messo in frigo. Lavorate il tutto con un mixer e terminate solo quando il purè è diventato bianco e quasi il doppio del volume iniziale (perciò prima vi ho

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suggerito di cambiare ciotola )

Riempite una tazza grande (quella da latte per intenderci) con il composto appena fatto e mettetela da parte in frigo. Ora dovete cuocere il vostro composto.

Seconda fase della preparazione della pastilà russa

Riutilizzate la teglia del forno e ricopritela di carta forno senza bagnarla. Versateci sopra il composto (che deve essere alto circa 2 cm), livellate bene il tutto con una spatola e con altra carta da forno (questa volta bagnata e strizzata!) coprite anche sopra la vostra purea

Fate cuocere il tutto 3-4 ore in forno a 100° lasciando il forno un po’ aperto. La purea si seccherà, diventerà consistente e si scurirà.

Quando la purea sarà pronta, toglietela dalla carta da forno e adagiatela su un grosso tagliere o sulla tavola A questo punto tagliate con un coltello questa tavoletta di pasta in tre parti uguali

Recuperate la tazza di composto dal frigo e spalmatene una parte su ogni fetta, poi mettete le fette una sopra l’altra. A questo punto, dovrete ricoprire tutta la vostra pastilà con il composto restante, anche i lati quindi.

Ora trasferite nuovamente il tutto nella teglia da forno e lasciate asciugare il dolce in forno a max 100° per 1 ora e mezza

Terminato questo processo lasciate raffreddare il vostro dolce per una mezz’ora

Quando sarà a temperatura ambiente, con le dita, strofinate su tutta la superficie della pastilà russa lo zucchero a velo

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Stanchi? Penso proprio di sì, ma ne sarà valsa la pena, ne sono

sicura!

Suggerimenti:

v i c o n s i g l i o q u e s t o v i d e o (https://www.youtube.com/watch?v=SgNnqnXCK7Q)innanzitutt o per vedere come togliere la carta da forno al vostro dolce quando è pronto. Attenzione però che il procedimento utilizzato è diverso dal mio!

vi segnalo inoltre il sito, per chi conosce il russo, sul Museo della Pastilà della città di Kolomna

L’architetto Giuseppe Bove e il Teatro Bol’šoj

L’architetto Giuseppe Bove, come

accennato in articoli precedenti, è

ricordato innanzitutto per aver

ridato un volto architettonico alla

città di Mosca, distrutta

dall’incendio del 1812

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il Teatro Bol’šoj

Giuseppe Bove, che faceva parte della cosiddetta “Spedizione per il Cremlino”, ristrutturò e progettò alcuni degli edifici più belli di Mosca tra cui il Teatro Bol’šoj. L’idea di costruire un nuovo teatro dove un tempo era sorto quello di Pietro in Grande (distrutto da un incendio), venne in mente al governatore di Mosca nel 1820. Il progetto del nuovo teatro venne affidato all’Accademia di Belle Arti di S.Pietroburgo che presentò al governatore 5 progetti , tra cui quello di 3 italiani: Bove, Lamoni e Beretti.

Il governatore di Mosca scelse quello di Giuseppe Bove che iniziò subito una febbrile attività di costruzione. I lavori durarono 5 anni, e il 18 gennaio del 1825, si inaugurò il Teatro tra l’entusiasmo e gli applausi dei presenti.

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Mosca dopo l’incendio

Il Teatro Bol’šoj di Giuseppe Bove si inserisce un progetto ben più ampio pensato per l’intera città di Mosca. Il fuoco dell’incendio aveva creato ampi spazi che avrebbero consentito una costruzione all’europea e permesso di realizzare con molti edifici nell’imponente stile neoclassico. Si decise di stravolgere completamente la Piazza Rossa: i chioschi che la caratterizzavano e che le davano la percezione di uno spazio chiuso (quello del mercato) sparirono a beneficio di uno spazio più grande e sgombro. La maggior parte delle stradine furono demolite per far spazio a strade più larghe e dritte.

Una di queste strade fu proprio quella della piazza del Teatro con il Bol’šoj al centro. In breve tempo Mosca cambiò volto, e accanto a molte delle strade centrali ricostruite, apparvero nuove dimore, prevalentemente private (ville e giardini).

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Poca fortuna

Sul teatro Bol’šoj sembrava che aleggiasse un’aria di disgrazia e anche Giuseppe Bove poté fare poco. Purtroppo, infatti, un incendio nel 1853 distrusse il Teatro e del suo aspetto originario ne resta qualche traccia solo in rare incisioni antiche. Anche per il nuovo edificio si scelse un architetto italiano, Alberto Cavos che decise di lasciare intatto il progetto dell’imponente facciata realizzata da Giuseppe Bove. Faceva bella mostra di sé un portico con ben otto colonne sormontate da Apollo su un carro trainato da tre cavalli che guarda la piazza.

Oggi il teatro gode di ottima salute ed è uno dei più importanti del mondo, grazie, soprattutto a due grandi architetti italiani.

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Fonti:

Ettore Lo Gatto,Gli artisti italiani in Russia,Libri Scheiwiller, Milano

Orlando Figes, La danza di Nataša

https://www.culture.ru/persons/8397/osip-bove

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L’architetto Giuseppe Bove e la “spedizione per il Cremlino”

La “Spedizione per il Cremlino” fu una speciale task force messa in piedi dal governo per restaurare e ricostruire parte degli edifici statali di Mosca distrutti dopo l’incendio del 1812

Un artista poco creativo?

Ritorniamo a parlare di questo importante architetto, perché è a n c h e g r a z i e a l u i s e M o s c a r i t r o v ò l o s p l e n d o r e architettonico di un tempo. A differenza di Domenico Gilardi, un altro importantissimo architetto italiano che lavorò in Russia, Giuseppe Bove non riuscì a liberarsi dall’influenza del suo maestro Kazakòv; ciò portò alcuni critici ad affermare che le opere di Giuseppe Bove mancavano spesso di spontaneità e slanci originali. Non per spezzare una lancia a suo favore, ma dobbiamo anche ricordare che Giuseppe Bove non fu messo affatto nelle condizioni di poter esprimere al meglio il proprio estro creativo. L’artista infatti, faceva parte della cosiddetta “Spedizione per il Cremlino” .

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ritratto di G.Bove realizzato da G.G Černezov

Cos’era la “Spedizione per il Cremlino”

La “Spedizione per il Cremlino” era una commissione speciale creata con l’obiettivo di ristrutturare e rendere nuovamente agibili palazzi, torri, monumenti e mura danneggiati dal terribile incendio di Mosca durante l’occupazione francese.

Nel 1814 venne creato un ufficio speciale che con una delibera diede l’avvio al recupero delle costruzioni statali o di interesse comune. Quest’ultima prescrizione limitava enormemente l’estro di Giuseppe Bove. Egli infatti, si ritrovò a lavorare quasi esclusivamente per lo stato, obbligato a rifacimenti e riparazioni che non gli consentivano di esprimere appieno le sue capacità. Poiché la mole di lavoro era enorme, Giuseppe Bove si ritrovò a fare opere di ingegneria, declinando spesso richieste di lavoro provenienti da privati. Queste ultime, sicuramente gli avrebbero fatto lievitare il portafogli, accrescendogli probabilmente la fama e stimolando la sua vena artistica, che si sarebbe potuta esprimere senza condizionamenti.

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La Commissione che seguiva la “Spedizione per il

Cremlino”, divise, per comodità, la città in quattro settori, ognuno dei

quali fu assegnato ad un architetto e ai suoi assistenti.

Giuseppe Bove divenne

architetto del distretto centrale di Mosca, e sotto la sua responsabilità si

portarono avanti i lavori di rifacimento delle zone della Tverskaja, Arbatskaja,

Presnenskaja, Novinskaja e Gorodskaj.

Fonti:

Ettore Lo Gatto,Gli artisti italiani in Russia,Libri Scheiwiller, Milano

https://www.culture.ru/persons/8397/osip-bove

Puntualizziamo, l’architetto

Giuseppe Bove non era

francese! le origini erano

italiane

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L’architetto Giuseppe Bove, noto per aver ridato a Mosca un volto architettonico dopo l’incendio del 1812, era italo – russo. La sua famiglia proveniva da Napoli.

Le origini italiane di Giuseppe Bove

Se provate a digitare in russo su Google translate Oсип Бове (Osip Bove),

il traduttore automatico vi restituirà in italiano Osip Beauvais. Osip Bove era

il nome con cui l’architetto italiano Giuseppe Bove era conosciuto in Russia.

Perché allora il traduttore ci restituisce un cognome francese?

Non è un errore, o meglio è un errore, ma ha una spiegazione.

I napoletani fanno sempre un sacco di impicci, si sa, e il padre dell’architetto Giuseppe Bove, involontariamente, contribuì a rendere nebulosa la faccenda. Ma partiamo dall’inizio, e cioè dalla famiglia del nostro architetto.

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Giuseppe Bove

Giuseppe Bove apparteneva ad una famiglia di artisti. Il padre, Vincenzo Giovanni Bova (badate bene, Bova), pittore, nato a Napoli, si trasferì a San Pietroburgo con moglie e 4 figli nel 1782. Qui iniziò a lavorare all’Ermitage e prese la cittadinanza russa. Dopo qualche anno si trasferì con tutta la famiglia Mosca e in quell’occasione cambiò il cognome in Beauvais (Bovè). Ecco l’impiccio, e spiegato l’arcano.

Tuttavia, nonostante le ricostruzioni e le evidenze dello storico dell’arte russo Grabar’ sull’argomento, alcuni storici come Oscar Wulff e S.V Bezsonov continuavano ad attribuirgli origini francesi. E certe cose si sa sono dure a morire…

Appurata l’origine italiana del nostro architetto, passo ad elencare, e tra qualche post a dettagliare, i suoi contributi alla splendida

città di Mosca (almeno quelli più importanti):

Il Teatro Bol’šoj L’Arco di trionfo

Il palazzo del principe Gagarin

La Galleria dei Mercanti sulla Piazza Rossa

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Il primo ospedale Municipale

La sistemazione del grande giardino di Alessandro sotto le mura del Cremlino Il Maneggio e la Galleria dei Mercanti

Mosaici a confronto: la metro Kievskaja e quella di Toledo

La metro Kievskaja e quella di Toledo

sono state realizzate in periodi diversissimi e non hanno quasi niente in comune se non dei meravigliosi mosaici.

I temi dei mosaici

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metro Kievskaja

La metro di Kievskaja e quella di Toledo si ricordano per gli splendidi mosaici che le caratterizzano. Lo dicevo prima, non hanno nulla in comune se non queste meravigliose opere d’arte.

Tutti i mosaici della metro di Kievskaja sono dedicati al tema dell’amicizia tra Ucraina e Russia; i mosaici di cui è tappezzata invece la metro di Via Toledo a Napoli, si richiamano al paesaggio partenopeo. Mare, terra e tufo sono rappresentati da mosaici rispettivamente nei colori del blu, del nero e dell’ocra. Inoltre due grandi mosaici che richiamano l’arte romana e pompeiana (e tra le varie figure c’è anche quella dell’autore del mosaico,

William Kentridge, che ritrae se stesso) decorano la fermata della metro di Via Toledo.

Le peculiarità delle metro

Entrambe le metro hanno delle caratteristiche uniche che le rendono originali e affascinanti. La metro Kievskaja ha la

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peculiarità di essere stata realizzata interamente da architetti di Kiev ( E. Katonin, , V.K.Skugarev , G.E.Golubev e A.A Morova). Tutti gli archi dei colonnati della metro, sono rifiniti in stucco dorato-bronzato tipico dell’architettura ucraina del XVII sec. La stazione conta in tutto 18 colonnati, ognuno dei quali è caratterizzato da mosaici in smalto e pietre preziose (realizzate appunto da A.V. Mizin) e lussuosi lampadari dorati. Tutti i mosaici sono ornati da elaborate cornici in stucco che richiamano alcuni simboli tipici della cultura ucraina tra cui ghirlande, foglie e gemme. Ogni mosaico inoltre, ha alla base un rotolo in marmo con il nome dell’opera.

metro di Via Toledo (NA)

La metro di Via Toledo è diventata una vera e propria meta turistica (come del resto la Kievskaja). Profonda 50 metri, è formata da tre livelli: il primo, quello più basso, con mosaici neri che richiamano l’asfalto della città; il secondo, è caratterizzato da mosaici e mattonelle ocra e gialle che richiamano il tufo delle mura aragonesi e il colore del sole;

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il terzo livello che accoglie il visitatore con un turbinio di luci al LED, un ambiente psichedelico, la galleria del mare di Robert

Wilson, composta da mosaici vìola e blu a motivi marini che richiama il movimento continuo delle onde.

Gli autori dei mosaici di Kievskaja e Toledo

Si chiamano A.V. Mizin (1900-1984), William Kentridge (1955) e Robert Wilson (1941) gli autori dei mosaici delle due metro.

Mizin è stato un insegnante, un artista di manifesti e un grafico. Era membro dell’associazione di Arte rivoluzionaria dell’Ucraina e lavorò nell’arte di propaganda di massa. Lo si ricorda specialmente per le sue opere monumentali e per i mosaici della metro.

metro Kievskaja

William Kentridge è un artista sudafricano, noto per i suoi

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disegni ma sopratutto per i suoi disegni di animazione. La sua arte coniuga sempre politica e poetica; tratta argomenti come l’apartheid, il totalitarismo e il colonialismo rendendo le sue opere al contempo forti nel messaggio e affascinanti nell’esecuzione.

Robert Wilson invece, è un regista e drammaturgo statunitense, ma ha lavorato anche come designer di suono e luci. La sua formazione è nel campo della pittura e dell’architettura verso le quali ha indirizzato il proprio futuro professionale.

metro Via Toledo (NA)

La metro di Via Toledo è stata considerata dal quotidiano inglese Daiy Telegraph, la più bella d’Europa; la metro Kievskaja è una delle più fotografate di Mosca

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Metro Kievskaja

Qui si lavora anche la domenica e si fa manutenzione. Manutenzione?

di cosa??!!

Sono al parco Zarjade (Mosca). E’ il 9 giugno e sto passeggiando. E’ presto e c’è poca gente. Quella poca che c’è, mi lascia senza parole. Vedo una fila di persone china a terra che, con gesti lenti e meticolosi, pulisce le panchine in legno che puntellano il parco. Manutenzione delle

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panchine???!!! Fantascienza…

Le panchine dei nostri parchi (e parlo di Roma) sono in uno stato ignobile. Quelle di legno sono sfondate (ovviamente non tutte, ma la maggior parte sì) nel senso che mancano alcune assi e quindi non ci si può proprio sedere; quelle in metallo invece sono arrugginite e sudice. Dalla foto che ho scattato si vedono solo un uomo e una donna, ma in realtà alle mie spalle ce ne erano altri due. Quattro persone quindi che alle dieci di mattina limavano, riverniciavano e pulivano le panchine!

E’ stato un vero piacere sedersi. Ricorderò quel momento con profonda soddisfazione . Le panchine hanno design perfettamente in linea con l’ambiente circostante, sono ampie

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e comodissime. E’ stato davvero un piacere stare seduta lì per qualche minuto e ammirare il paesaggio circostante nel più totale silenzio…su una panchina appena pulita poi!

Mi ha lasciata senza parole non solo il fatto che queste persone stessero lavorando con tanta dedizione (sembrava che stessero mettendo a posto la panchina del proprio giardino!), ma il fatto che fosse domenica!? Impiegati pubblici che lavorano di domenica…Questo paese non smetterà mai di stupirmi.

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La mostra Mostra “Terragni e Golosov al Museo statale di Architettura Ščusev di Mosca

Non avrò l’opportunità di vedere questa Mostra che si concluderà il 4 novembre 2019, tuttavia ho deciso di spendere due parole sull’oggetto dell’esposizione, perché trovo la scelta dei curatori molto interessante. Come già anticipato in questo articolo, la mostra mette a confronto due opere architettoniche, il Novocomum a Como e il Club Zuev a Mosca, realizzate da due artisti diversissimi tra loro. Erano diversi per formazione culturale, perché operavano in due paesi distinti e con due regimi politici ideologicamente lontani.

Tuttavia, li accomunava il desiderio di realizzare e diffondere un nuovo concetto di architettura, rivoluzionaria e moderna. Parliamo dell’architetto italiano Giuseppe Terragni (1904-1943) e dell’architetto russo Il’ja Aleksandrovič Golosov (1883-1945) di cui racconta la mostra “Terragni e Golosov. Novocomum a Como – Club Zuev a Mosca. Avanguardie e confronto” . L’esposizione mette a confronto le due opere maggiori di questi architetti perché le similitudini nella struttura compositiva sono molto evidenti (un corpo cilindrico in vetro realizzato su un angolo dell’edificio). L’edificio residenziale Novocomum a Como e il Circolo operaio Zuev r a c c o n t a n o l a s t o r i a d i u n a p a s s i o n e , q u e l l a p e r l’architettura e la storia di due paesi, l’Italia e la Russia durante le due guerre mondiali. La storia di Terragni mi fa una tenerezza infinita…

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Terragni, Novocomum a Como – Foto di Roberto Conte

Terragni e Golosov

Come Golosov, anche Giuseppe Terragni era considerato uno dei grandi architetti del XX secolo. Entrambi erano personaggi di spicco nel panorama artistico e architettonico dell’epoca.

Giuseppe Terragni (1904-1943) faceva parte di quel gruppo di giovani che volevano rinnovare l’architettura e che nel 1927 firmarono il manifesto del Razionalismo italiano (corrente architettonica diffusasi in Italia tra il 1920 e il 1930 e legata al principio del funzionalismo nell’architettura), divenendo negli anni successivi il maggior esponente del Movimento Italiano di Architettura Razionale. Giuseppe Terragni era un fascista convinto e un uomo di grande rettitudine morale che morì a soli 39 anni a causa di una profonda crisi esistenziale che vide crollare i suoi ideali, imperniati sulla diffusione, attraverso l’architettura, dei

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principi etici e sociali del primo fascismo, un fascismo rivoluzionario e innovatore. Poiché l’architettura concepita dal Terragni era un’architettura nuova e rivoluzionaria come l o e r a i l m o v i m e n t o f a s c i s t a , s e c o n d o T e a r r a g n i , l’architettura moderna non poteva che essere l’architettura del fascismo. Operoso e instancabile lavoratore, partecipò a molti progetti importanti dell’epoca.

Golosov, Circolo operaio Zuev, Museo statale dell’architettura Ščusev

Quando venne chiamato alle armi e mandato in Jugoslavia nel 1941 (e poi Russia) subì un trauma così forte che al suo ritorno in patria non resse, morendo per una trombosi fulminante sul pianerottolo di casa. Il Novocomum, un isolato a cinque piani che doveva rappresentare la nuova architettura, fu tra i suoi primi edifici. L’opera però, non incontrò il

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consenso del pubblico (venne definita il “transatlantico” e considerata uno scandalo) e solo per pura fortuna scampò alla demolizione. L’opera invece che lo consacrò a livello internazionale fu la Casa del Fascio, realizzata tra il 1932 e il 1936.

Il nome di Il’ja Aleksandrovič Golosov (1883-1945) invece è legato all’avanguardia russa e all’attività di pianificazione urbanistica di Mosca negli anni ’20. Golosov era membro della Sezione degli architetti delle costruzioni socialiste e, come Giuseppe Terragni, promuoveva un’architettura rivoluzionaria e innovativa, sempre più funzionale e orientata alle esigenze moderne. Diede un grande contributo all’architettura sovietica, rimanendo però fedele alle tradizioni e operando contestualmente interventi moderni senza stravolgere l’equilibrio estetico dell’edificio. Raggiunse la fama con la realizzazione del circolo operaio a Mosca (il Club Zuev), un e d i f i c i o d a l l a f o r m a n u o v a e o r i g i n a l e , s i a n e l l a realizzazione dell’esterno sia nella struttura degli interni.

L’immagine dinamica dell’edificio, con il motivo del cilindro di vetro trasparente, era una chiara espressione del simbolismo del lavoro. Col tempo l’attività appassionata di Golosov cominciò a trasformarsi in evidenti eccessi e le sue posizioni, estremamente innovative nei confronti dell’eredità degli anni 20 e 30 ,non trovarono più grande sostegno; tutto ciò, però, non scalfì la sua fama. Morì nel 1945 all’età di 62 anni.

Fonti:

https://www.archivioterragni.it/terragni-biography/

https://iicmosca.esteri.it/iic_mosca/it/gli_eventi/calendario/

2019/09/mostra-terragni-e-golosov-novocomum.html

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http://famous.totalarch.com/i_golosov

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