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ORGANISMO UNITARIO DELL AVVOCATURA ITALIANA. Rassegna stampa

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Ufficio stampa

Rassegna stampa

11 ottobre 2005

Responsabile :

Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:claudio.rao@oua.it)

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SOMMARIO

Pag. 3 ASSICURAZIONI: Dall'Oua raccolta di firme contro l'indennizzo diretto (il sole 24 ore)

Pag. 4 ASSICURAZIONI: Indennizzo diretto penalizzante (italia oggi) Pag. 5 ASSICURAZIONI: Comunicato stampa dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura

Pag. 6 ASSICURAZIONI: Oua - Manifesto per la raccolta delle firme

Pag. 7 ASSICURAZIONI: Rc auto: analisi delle incongruenze in attesa dei successivi interventi legislativi - di Maurizio Hazan - Avvocato

Pag. 18 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO: Superprocuratori vicini al debutto (italia oggi)

Pag.19 RIFORMA FALLIMENTARE:Nuovi fallimenti, magistrati contro(italia oggi) Pag.20 PRESCRIZIONE: Recidiva e valzer dei numeri: Castelli chiede

chiarimenti alla Cassazione (diritto e giustizia)

Pag.22 PRESCRIZIONE: Cirielli (An) corregge ex proposta (italia oggi)

Pag.23 LEGITTIMA DIFESA: No degli accademici alla riforma stile Far West (diritto e giustizia)

11/10/2005

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IL SOLE 24 ORE

AVVOCATI

Dall'Oua raccolta di firme contro l'indennizzo diretto

L'Oua (Organismo unitario dell'avvocatura) lancia una raccolta di firme per modificare il cosiddetto

"indennizzo diretto" nel nuovo Codice delle Àssicurazioni. L'iniziativa è stata avviata in tutti i tribunali italiani contro la norma che, eliminando l'assistenza tecnica nella prima fase del contenzioso sui sinistri stradali, rischia - secondo gli avvocati – non di agevolare ma di danneggiare gli utenti con risarcimenti più bassi. «li rinnovato sistema di risarcimento dei danni da circolazione stradale – si legge in una nota dell'Oua - dettato dal nuovo Codice delle Assicurazioni con il cosiddetto indennizzo diretto non garantisce uno solo degli obiettivi dichiarati e

penalizza pesantemente i giusti diritti dei cittadini».

11/10/2005

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ITALIA OGGI

Nota dell'oua

Indennizzo diretto penalizzante

Il rinnovato sistema di risarcimento dei danni da circolazione stradale dettato dal nuovo codice delle assicurazioni con il cosiddetto indennizzo diretto non garantisce uno solo degli obiettivi dichiarati e penalizza i giusti diritti dei cittadini. È quanto afferma l'Oua, Organismo unitario dell'avvocatura, in una nota, che lancia una raccolta di firme per modificare la norma. ´Con le nuove norme i cittadini saranno ancora più deboli e le assicurazioni sempre più forti. Con il miraggio di indennizzi più rapidi si indurranno i danneggiati ad accettare le offerte elargite dall'assicurazione senza alcuna possibilità di verificarne l'adeguatezza. Le statistiche dimostrano', secondo l'Oua, ´che senza la consulenza degli avvocati i risarcimenti sono sensibilmente più bassi. Contro una norma che inganna i cittadini per ciò che sottrae (equi risarcimenti e tutela dei diritti) e per ciò che promette (tariffe più basse e tempi più rapidi), l'Oua intende continuare a dare battaglia a tutti i livelli fino all'ultimo giorno utile. Invitiamo il governo a far sì che i regolamenti di attuazione scongiurino i denunziati rischi'.

11/10/2005

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COMUNICATO STAMPA

DALLA PARTE DEI DANNEGGIATI

NO ALL’INDENNIZZO, SI AL GIUSTO RISARCIMENTO

Gli avvocati lanciano una raccolta di firme per modificare il cosiddetto

“indennizzo diretto” nel nuovo Codice delle Assicurazioni

Il rinnovato sistema di risarcimento dei danni da circolazione stradale dettato dal nuovo Codice delle Assicurazioni con il cosiddetto indennizzo diretto non garantisce uno solo degli obiettivi dichiarati e penalizza pesantemente i giusti diritti dei cittadini.

Non esiste un solo Paese al mondo nel quale un diritto viene meglio tutelato eliminando la garanzia dell’assistenza tecnica. La verità è che con le nuove norme i cittadini saranno ancora più deboli e le assicurazioni sempre più forti. Con il miraggio di indennizzi più rapidi si indurranno i danneggiati ad accettare le offerte elargite dall’assicurazione senza alcuna possibilità di verificarne l’adeguatezza.

Le statistiche dimostrano che senza la consulenza degli avvocati i risarcimenti sono sensibilmente più bassi. D’altra parte chi ha il coltello dalla parte del manico non è certo il singolo danneggiato, ma la compagnia assicurativa.

Contro una norma che inganna i cittadini per ciò che sottrae (equi risarcimenti e tutela dei diritti) e per ciò che promette (tariffe più basse e tempi più rapidi), l’Organismo Unitario dell’Avvocatura intende continuare a dare battaglia a tutti i livelli fino all’ultimo giorno utile.

Invitiamo il Governo a far sì che i regolamenti di attuazione della normativa scongiurino i denunziati rischi.

L’Avvocatura non farà venir meno la sua vigilanza ed il suo apporto di interlocutore qualificato nella delicata fase di scrittura del regolamento di attuazione, in modo da evitare ulteriori danni ai cittadini. Questi ultimi saranno coinvolti e informati adeguatamente e per fare ciò è stata avviata

una raccolta di firme in tutti i tribunali italiani.

Roma, 10 ottobre 2005

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DIRITTO E GIUSTIZIA

Rc auto: analisi delle incongruenze in attesa dei successivi interventi legislativi

di Maurizio Hazan - Avvocato

L'esigenza di semplificazione della materia assicurativa e di riassetto del relativo compendio normativo, andato affastellandosi sull'impianto del Cc nel corso degli ultimi 60 anni (ed, in particolare, dell'ultimo decennio), ha condotto all'emanazione del cosiddetto “Codice delle Assicurazioni”. Trattasi di Tu redatto, con pretesa di completezza, sull'esempio di precedenti autorevoli (quali il Tu finanziario, il codice della proprietà industriale, il codice del consumo ecc.)L'obiettivo del Legislatore, apprezzabile e, di fatto, improcrastinabile, non poteva non costituire occasione per una rivisitazione sistematica e spunto per dar corso ad interventi riformatori in grado, almeno nelle intenzioni, di fornire soluzioni al passo coi tempi ed adeguate alle attuali esigenze socio economiche.In questo contesto “sistematico/riformista” gioca il ruolo del protagonista l'assicurazione della Rca, quale prodotto assicurativo di massa largamente più diffuso ed avente, in quanto tale, primaria rilevanza sociale.Ciò anche, e forse soprattutto, in relazione alla tematica afferente i livelli tariffari ed il prezzo del servizio assicurativo, il contenimento dei quali costituisce, da anni, unitamente alla creazione di un mercato effettivamente competitivo e concorrenziale, uno degli argomenti più dibattuti in sede istituzionale.Di qui l'esigenza, da più parti segnalata, di riformare il sistema dell'assicurazione Rca intervenendo in modo energico sul processo di controllo e contenimento dei costi dei risarcimenti e della gestione delle procedure liquidative.Non può, invero, negarsi - ed anche il neofita della materia potrebbe rendersene conto, sol che prenda conoscenza di quanto avviene nella prassi - che i processi di liquidazione dei danni, soprattutto nella Rca, risultano largamente gravati da oneri sovente evitabili e spesso riconducibili all'alimentazione di contenziosi legali.Costi che, a mio parere, ben avrebbero potuto essere contenuti già nell'attuale sistema normativo, senza dover ricorrere a discutibili riforme copernicane ed attraverso una gestione oculata, da parte delle compagnie, delle proprie procedure risarcitorie (unitamente ad una corretta e rigorosa applicazione, da parte degli interpreti e degli operatori di settore, degli strumenti già offerti dalla legge al fine di prevenire il diffuso manifestarsi di conflittualità latenti).

Sul punto torneremo più avanti.Basti, per l'intanto osservare, come l'ampio dibattito che ha preceduto l'approvazione del codice delle assicurazioni private ha coinvolto ripetutamente il tema dell'indennizzo diretto, quale strumento primo di controllo dei costi dei risarcimenti assicurativi per la Rca.Tema analizzato in via preventiva tanto dall'Ania quanto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, le quali avevano già espresso un parere sostanzialmente favorevole all'introduzione di un sistema di assicurazione Rc Auto basato proprio sull'indennizzo diretto.

Sistema che, si è sostenuto, avrebbe garantito:

- il naturale sviluppo della concorrenzialità del mercato, assicurata dall'adozione di politiche tariffarie collegate alla qualità ed alle modalità del servizio liquidativo. Servizio che verrebbe reso non più a favore di un danneggiato terzo (ed estraneo al rapporto assicurativo) bensì nei confronti di un danneggiato che è parte di quel rapporto; il tutto a vantaggio dei potenziali assicurati, messi in condizione di orientarsi sul mercato tenendo conto non solo dell'elemento tariffario ma anche delle procedure di liquidazione adottate dalle diverse compagnie assicuratrici. Compagnie che, da parte loro, avrebbero interesse a qualificarsi offrendo ai propri assicurati servizi liquidativi più rapidi ed efficienti.

- la possibilità per gli enti assicuratori di prevedere sconti sul premio in funzione di franchigie ovvero dell'impegno dell'assicurato/danneggiato di far riparare il proprio veicolo presso carrozzerie convenzionate (con conseguente limitazione e controllo dei costi):

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- la diminuzione della conflittualità tra assicuratore e danneggiato, il quale, in un sistema di indennizzo diretto, potrebbe non aver interesse ad alimentare contese con la propria compagnia assicurativa (laddove, al contrario, l'indennizzo indiretto indurrebbe “naturalmente” il danneggiato, in assenza di qualsiasi vincolo negoziale con l'ente assicuratore, ad assumere atteggiamenti litigiosi, con aggravi di costi legali).

Sulla scorta (anche) di tali considerazioni, l'elaborazione del Tu delle assicurazioni è sfociata proprio nell'introduzione, accanto alla tradizionale procedura indiretta, della liquidazione per indennizzo diretto, quale momento centrale della riforma codicistica. Problematica attorno alla quale si sono rapidamente sviluppati accesi dibattiti ed interpretazioni di fantasia, sovente incentrati sulla questione della - da più parti affermata - eliminazione dei costi di assistenza legale del danneggiato, che risulterebbero radiati dalla procedura di indennizzo diretto.Senonchè, al di là della ridda di voci incontrollate (e talvolta ingiustificate) succedutesi sull'argomento, le questioni interpretative introdotte dal nuovo impianto codicistico riguardano problemi di ben più ampio respiro, andando a scandagliare tra le vastissime zone d'ombra venutesi a creare tra le pieghe del nuovo Tu.Dubbi ermeneutici ed applicativi, indotti dalla scelta, non proprio felice, del Legislatore di adottare una discutibile tecnica di normazione frazionata “a scaglioni”: così, all'istituzione, in battuta e per linee generali, della procedura di risarcimento diretto “obbligatoria”, sommariamente definita dall'articolo 149 del codice, non si accompagna la disciplina positiva del nuovo sistema risarcitorio, rinviata ad un emanando Decreto del Presidente della Repubblica, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del codice. A tale successiva disposizione è stato dunque demandato il compito - affatto arduo - di risolvere, in concreto, i numerosi dubbi applicativi e di coordinamento tra la nuova normativa e le altre regole contenute nel titolo X capo IV del codice (dedicato genericamente alle “procedure liquidative”).Così chi si avvicini per la prima volta al tema dell'indennizzo diretto non potrebbe che ritrarre, dalla combinata lettura degli articoli 149 e 150 Cc, un certo senso di smarrimento, non potendosi comprendere perché, a fronte di una così impegnativa opzione legislativa - quella dell'indennizzo diretto - che vorrebbe rappresentare una svolta epocale nel sistema liquidativo della Rca, ci si sia limitati ad affermare principi di massima, lasciando aperte ed insolute una nutrita serie di questioni interpretative ed applicative.La disamina della materia non può, dunque, prescindere tanto da un'analisi dello stato dell'arte quanto, in chiave prospettica, da alcuni approfondimenti circa i problemi (od almeno alcuni dei problemi) la cui soluzione è stata demandata all'emanando Dpr.

Procediamo, dunque, con ordine:

La natura dell'assicurazione Rca, caratterizzata dalla propria funzione sociale e dalla propria particolare rilevanza nel sistema economico nazionale, ha condotto, nel corso degli anni, all'elaborazione di una serie di regole normative particolari rispetto al modello sinallagmatico proprio dell'assicurazione per la responsabilità civile, così come disciplinata dall'articolo 1917 Cc.

La deviazione da schemi codicistici tipici è stata così dettata, da un lato, dall'intento prioritario di garantire la massima tutela dei terzi danneggiati, dall'altro dal proposito di contenere i costi di gestione dell'impresa assicurativa, soprattutto per quel che attiene al processo liquidativo. Aspetto, tale ultimo, rilevante in quanto ritenuto indispensabile onde consentire la riduzione dei premi assicurativi ed il mantenimento del mercato della Rca entro regimi di massima concorrenzialità.In questo contesto, si è aperto e sviluppato, come sopra rilevato, il dibattito che ha condotto all'introduzione, nel nuovo codice, della regola dell'indennizzo diretto obbligatorio, mirata proprio ad ottenere, almeno nelle intenzioni, la riduzione di contenziosi, un risparmio dei costi (per lo più legali), un conseguente abbattimento dei premi ed una maggior rapidità e qualità del

processo liquidativo.Ci attenderebbe, insomma, un generale miglioramento del sistema assicurativo della Rca, ottenuto anche attraverso lo spostamento del rapporto liquidativo all'interno del sinallagma contrattuale.

Il condizionale è d'obbligo, essendo numerose le perplessità e le critiche sollevabili al riguardo.

Concentriamoci, per il momento, sull'impianto della riforma, disegnato dagli articoli da 143 a 150 del nuovo Tu.

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Le norme di apertura del capo IV (articolo 143 e 144) costituiscono una sostanziale riedizione degli articoli 18 e 23 della legge 990/69 e dell'articolo 5 della legge 39/1977, disciplinando le modalità di denunzia del sinistro da parte dell'assicurato alla propria assicurazione e ponendo, come regola di partenza, il principio dell'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicurazione del responsabile civile.L'articolo 144, in particolare, concentra in un'unica disposizione quanto già stabilito dalla legge 990/69 in tema di non opponibilità al danneggiato di eccezioni fondate sul contratto assicurativo, di litisconsorzio necessario tra compagnia e responsabile civile e di prescrizione)Val la pena sottolineare come sia proprio la collocazione sistematica della norma sull'azione diretta - quale sostanziale incipit del capo IV - a dimostrare come non sia vero, come da più parti sostenuto, che la procedura liquidativa per indennizzo diretto sia divenuta regola, sovvertendo il meccanismo una volta disciplinato dall'articolo 18 della legge 990/69. Al contrario, l'impianto codicistico relega il sistema dell'indennizzo diretto al rango di eccezione (sia pur notevolmente rilevante) all'antica regola di base, a tutt'oggi mantenuta.Da rilevare, peraltro, come l'articolo 143 (denunzia di sinistro), non si limiti ad una pedissequa riproposizione dell'articolo 5 della legge 39/1977, affermando, al contrario, quale elemento di novità, l'espressa applicabilità dell'articolo 1915 all'ipotesi di “mancata presentazione della denuncia”. Ciò equivale a dire che l'assicurato che abbia dolosamente o colposamente omesso di denunziare il sinistro perde o compromette parzialmente il proprio diritto all'indennizzo (non così, sembrerebbe di potersi argomentare dal tenore letterale della norma, per i meno gravi casi di denunzia tardiva). Ebbene, l'operatività dell'articolo 1915 Cc, così come delle altre norme del Cc non incompatibili con il sistema della Rca, non poteva essere messa in discussione, anche alla luce di quanto previsto dall'articolo 165 del codice delle assicurazioni (che afferma la perdurante e generale applicabilità ai contratti assicurativi delle

disposizioni del Cc).Per quale motivo, dunque, l'estensore del nuovo codice ha ritenuto necessaria tale specificazione? Non, probabilmente, perché condizionato da viziate opzioni pleonastiche, ma perché - devesi ritenere - determinato a sottolineare l'importanza delle denunzie di entrambi i soggetti coinvolti

nell'incidente, soprattutto nell'ambito della nuova procedura per indennizzo diretto (e ciò al di là delle difficoltà di concreta applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 1915 Cc). Ma anche su questo punto avremo modo di ritornare. L'articolo 145 sostituisce sostanzialmente l'articolo 22 della legge 990/69, nella parte in cui fissa le condizioni di proponibilità dell'azione di risarcimento.Qui per la prima volta si fa esplicito riferimento, con un richiamo al successivo articolo 149, alla procedura per indennizzo

diretto.Ebbene, sia con riferimento alla procedura di risarcimento che potremmo definire “standard” - quella nei confronti della compagnia del danneggiante, ex articolo 148 - sia in relazione all'indennizzo diretto, il Legislatore ha fissato in 60 giorni, per i danni a cose, ed in 90 giorni, per i danni alla persona, i termini decorsi i quali diviene possibile proporre l'eventuale azione giudiziale nei confronti dell'ente assicuratore.I termini decorrono dal dì di invio della rituale raccomandata di richiesta del risarcimento che si intende azionare. Lettera che il danneggiato, nei casi di indennizzo diretto, dovrà indirizzare (e questa è la novita) alla propria compagnia.Non solo, in quest'ultima ipotesi, una copia della lettera di messa in mora deve essere trasmessa in copia per conoscenza all'impresa di assicurazione dell'altro veicolo coinvolto.Ciò al fine di immediatamente rappresentare anche a quella compagnia l'esistenza del sinistro e della relativa richiesta risarcitoria (e la conseguente possibilità che la stessa dia luogo ad un indennizzo di cui si dovrà tener conto sia ai fini dell'eventuale applicazione del malus che dell'appostazione di idonea riserva).Vi è da chiedersi se anche tale comunicazione “per conoscenza” debba essere trasmessa in piego raccomandato e se il mancato invio costituisca motivo di improponibilità della domanda (propenderei per la soluzione negativa).

Interessante, peraltro, rilevare come l'articolo 145 superi i dubbi interpretativi sorti a proposito del previgente articolo 3 della legge 39/1977, norma le cui difficoltà di coordinamento con l'articolo 22 della legge 990/69 avevano suscitato perplessità in ordine alla possibilità di considerare, per i sinistri con lesioni, il decorso del (più lungo) termine di 90 giorni quale vera e propria condizione di proponibilità della domanda. In

argomento, mi ero già espresso in precedenza, criticando la tesi di chi sosteneva la sostanziale non

interferenza delle due norme e la perdurante unicità del termine - di 60 giorni ex articolo 22 - di proponibilità della domanda giudiziale. Rilevo, oggi, l'adesione del Legislatore all'orientamento contrario, dal sottoscritto energicamente propugnato.L'articolo 146 disciplina, senza destare particolari motivi di approfondimento, il diritto di accesso agli atti del procedimento liquidativo, da parte dei contraenti e dei danneggiati.Diritto che sembrerebbe maturare soltanto a conclusione di tale procedimento, e cioè dopo che la compagnia ha

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formalizzato la propria offerta o il proprio rifiuto (ovvero una volta decorso il termine utile per farlo).Il condizionale è nuovamente d'obbligo, dal momento che le materiali modalità di estrinsecazione ed esercizio del diritto di accesso saranno oggetto di un futuro intervento regolamentare del Ministro delle Attività produttive.

L'articolo 147 ripropone la disciplina della “vecchia” provvisionale, con una non rilevante novità, costituita dall'espressa affermazione dell'irrevocabilità della ordinanza fino alla decisione del merito (laddove l'articolo 24 della legge 990/69 poteva ingenerare qualche dubbio al riguardo). Da rilevarsi inoltre come si sia persa l'occasione per estendere l'ambito di applicazione della provvisionale al di fuori del procedimento giudiziale di primo grado (e per risolvere i problemi di tutela urgente delle posizioni risarcitorie più gravi nelle more della proponibilità - apparentemente sospesa sino al rilascio di un certificato di completa guarigione delle lesioni - della domanda giudiziale).L'articolo 148 interviene a regolare la procedura di risarcimento

“Standard”, e cioè quella rivolta all'ente assicuratore del danneggiante secondo lo schema tipico già vigente prima dell'emanazione del nuovo codice. Il testo costituisce, a prima vista, sostanziale riedizione dell'articolo 3 della legge 39/1977, con alcune significative novità: in caso di richiesta incompleta (e cioè formulata senza l'indicazione degli elementi descritti dall'articolo 148) l'onere della compagnia di chiedere al danneggiato - entro 30 giorni dalla ricezione - le necessarie integrazioni non viene più subordinato alla rilevanza dei dati mancanti (ai fini della formulazione dell'offerta). Ciò potrebbe far sostenere che si tratti di un vero e proprio obbligo, imposto comunque all'ente assicuratore (in questo senso deve intendersi la modifica dell'originario testo del comma 5 dell'articolo 3 legge 39/1977).Ma vi è molto di più: l'esplicito rinvio all'articolo 148 contenuto nel comma 1 dell'articolo 145 consente di affermare che la richiesta di integrazione sospenda, nelle more dell'invio dei dati mancanti, non soltanto i termini per formulare l'offerta da parte della compagnia ma anche i termini di proponibilità della domanda giudiziale. Non sospende, invece, i termini di cui sopra, la domanda con la quale la compagnia richieda, eventualmente, l'acquisizione del verbale di sinistro redatto dai competenti organi di polizia. Tale argomento si evince dal comma 4 dell'articolo 148, in seno al quale è riconosciuto espressamente il diritto dell'ente assicuratore di ottenere, dalle autorità di polizia, le

informazioni (relative al sinistro, alle generalità delle parti coinvolte ed al veicolo) utili a consentire una corretta istruzione della posizione.Senonchè, per non dar corso ad incongruenze, è necessario che i termini di 90/120 gg. (nella prassi oggi) necessari per ottenere il rilascio dei verbali di incidenti (anche in

considerazione di quanto disposto dall'articolo 21 del regolamento di attuazione del codice della strada) non operino nei confronti della compagnia assicuratrice (la quale rischierebbe di dover formulare l'offerta senza aver potuto acquisire alcuni elementi istruttori potenzialmente essenziali alla corretta rappresentazione della situazione di responsabilità).Devesi, quindi, ritenere che la clausola in commento, per poter rivestire effettiva utilità, consenta all'ente assicuratore di richiedere copia dei verbali (o comunque le informazioni ritenute necessarie) in qualsiasi momento e senza dilazioni. Ma veniamo, finalmente, alla procedura per indennizzo diretto di cui all'articolo 149, norma destinata, almeno nelle intenzioni, a dare una svolta epocale all'intero sistema liquidativo dell'assicurazione Rca. La procedura disegnata da tale norma segna - di fatto - l'estensione della vecchia procedura Cid ad una casistica molto più ampia di quella prevista dalla convenzione.Si tratta, invero, di una singolare conversione di un modello convenzionale, nato da un accordo negoziale tra

compagnie, ad un modello di fonte legale e di carattere obbligatorio.Ci troviamo così di fronte - da un lato - al conferimento alle compagnie assicurative di un - altrettanto singolare - mandato ex lege a gestire le procedure di liquidazione per conto degli enti assicuratori dei veicoli responsabili.Dall'altro lato, abbiamo l'imposizione, a carico del danneggiato, dell'obbligo di rivolgersi non più al proprio interlocutore naturale - e cioè al responsabile civile ed alla sua compagnia di assicurazione - bensì all'impresa di assicurazione che ha stipulato la polizza relativa al veicolo danneggiato (o a bordo del quale si trovava il danneggiato in veste di conducente).Numerose sono le problematiche di carattere giuridico che sorgono, prima facie, dalla lettura della norma e dalla sostanziale trasformazione di una assicurazione per la Rc in una copertura diretta (del tipo danni).Problematiche destinate a rimanere insolute, almeno sino all'emanazione del Dpr di attuazione

previsto dall'articolo 150.

In sintesi, possiamo per ora rilevare che:

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a) quanto all'ambito di applicazione della nuova procedura la stessa sembra essere sempre applicabile a tutti i danni ai veicoli ed alle cose trasportate di proprietà dell'assicurato o del conducente) derivanti da sinistri verificatisi tra due veicoli a motore identificati ed assicurati. Non si applica, pertanto a sinistri che abbiano riguardato più vetture o veicoli non a motore (velocipedi);

b) si applica anche in caso di lesioni fisiche, purchè derivate al conducente non responsabile e contenute entro i limiti di cui all'articolo 139 (9 punti di danno biologico). Non riguarda pertanto i casi di danni a pedoni od a terzi trasportati (questi ultimi, peraltro, regolamentati dall'articolo 141). Osserviamo dunque come l'indennizzo diretto non sia - diremmo naturalmente - applicabile a quei sinistri che abbiano coinvolto soggetti (pedoni, conducenti di veicoli non a motore) il cui rischio della circolazione non rientra nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per la Rca.

c) Affinchè la procedura possa applicarsi al caso b (danni da lesioni di modesta entità) occorre dunque che il danneggiato non sia responsabile. Ciò sembra voler dire che in caso di concorso di colpa, e cioè nel caso in cui il conducente sia soltanto parzialmente responsabile, l'indennizzo non possa essere richiesto in via diretta.

Ciò apre scenari di notevole incertezza, dal momento che la casistitica dei sinistri stradali, ben descritta dalla presunzione di concorsualità di cui all'articolo 2054 comma 2 Cc, ha da sempre dato luogo a notevoli dispute in ordine al superamento (parziale o totale) di tale presunzione legale. Ed in questo contesto l'ente

assicuratore chiamato in via diretta da colui che guidava il veicolo assicurato, ben potrebbe tentare di rifiutare l'indennizzo, e di scaricarlo sulla compagnia del danneggiante, assumendo l'esistenza di un concorso, anche modestissimo, di responsabilità a carico del conducente danneggiato. Al fine di prevenire tale tipo di condotta (al di là del rispetto, tra gli enti assicuratori, di regole etiche di comportamento), potranno essere decisive le disposizioni contenute nell'emanando Dpr, chiamato a stabilire espressamente “i criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti per la definizione dei rapporti interni tra imprese di assicurazione” (articolo 150). Criteri che dovrebbero costituire, poi, autentiche linee guida nell'ambito della procedura da applicarsi in caso di danno ai veicoli o alle cose trasportate di proprietà del proprietario o del conducente, per la quale l'indennizzo diretto è applicabile anche in caso di concorso di colpa.

Ma al di là del paradigma dell'applicabilità soggettiva del nuovo processo liquidativo diretto, vi sono altre questioni, niente affatto trascurabili, a cui la norma di attuazione dovrà fornire adeguate risposte. Come sopra rilevato, la procedura per indennizzo diretto vorrebbe riproporre sostanzialmente, estendendone l'applicabilità e rendendolo imperativo, lo schema liquidativo che governa l'accordo Cid, Convenzione Per Indennizzo Diretto, al quale a tutt'oggi aderisce la quasi totalità delle compagnie assicuratrici operanti sul territorio italiano.Senonchè, la trasposizione in termini di obbligatorietà e cogenza di un meccanismo originariamente fondato sul reciproco mandato e - soprattutto - sul consenso (tanto delle società aderenti alla convenzione, quanto dei danneggiati) non pare così agevole né immediata.Ricorderemo come l'operatività dell'indennizzo diretto in regime Cid (ne parleremo al passato, per quanto sia a tutt'oggi applicabile) fosse anzitutto

condizionato all'esistenza di una constatazione amichevole di incidente sottoscritta da entrambe le parti coinvolte nell'incidente ed idonea, per ciò solo, a consentire una ricostruzione certa della dinamica del sinistro.Sulla base di tale descrizione dei fatti, che costituiva prova delle modalità con le quali si era verificato l'incidente, la compagnia assicuratrice chiamata (dal proprio assicurato) a corrispondere l'indennizzo aveva anzitutto l'onere di verificare la copertura assicurativa del veicolo del danneggiante (difettando la quale cadeva il presupposto primo di operatività della convenzione, ovvero la possibilità di gestire l'indennizzo quale mandataria della compagnia del responsabile civile, con animo di rivalsa).Si trattava, poi, di stabilire la situazione di responsabilità, sulla base della quale la compagnia mandataria avrebbe offerto al proprio assicurato/danneggiato l'indennizzo effettivamente dovutogli. Indennizzo che, ove accettato ed effettivamente corrisposto, sarebbe stato rimborsato dalla compagnia mandante (quella del danneggiante) nell'amvito di una regolazione globale e di fine esercizio di ogni reciproca partita.

L'accertamento etiologico veniva condotto avvalendosi di una sorta di prontuario casistico (“schema di ripartizione delle responsabilità”), costituente parte integrante degli accordi convenzionali e destinato a catalogare schematicamente le diverse ipotesi di riparto delle responsabilità tra i conducenti dei due veicoli coinvolti dal sinistro. Si trattava, peraltro, di uno strumento non affinatissimo, non potendo effettivamente

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prevedere aprioristicamente tutte le possibili variabili che connotano sul piano etiologico la dinamica di un incidente stradale. Ciò non di meno, nella maggior parte dei casi, la versione dei fatti riportatata nel modulo Cai e sottoscritta da entrambi i conducenti (se di buona fede….) consentiva all'ente assicuratore di iscrivere la fattispecie all'interno di una delle ipotesi regolate dal prontuario.Così, in qualche modo, si voleva assicurare una sorta di oggettivizzazione assoluta dei parametri liquidativi, si da consentire ex ante alla compagnia mandataria una gestione del sinistro trasparente ed il meno possibile discrezionale, tale comunque da non poter essere contestata, ex post, dalla compagnia mandante, chiamata a sostenere il costo della

liquidazione.Le ipotesi meno lineari potevano, peraltro, essere gestite dalle compagnie mandatarie senza soverchi problemi, essendo loro consentito di operare anche al di fuori dei parametri prefissati,

conformandosi alle “regole dettate dalla comune esperienza, con ovvio riferimento alle norme di quest'ultima impresa”.D'altra parte, il residuo margine di discrezionalità liquidatoria lasciato alle compagnie non offriva comunque alla mandante concreti spazi per una successiva contestazione circa l'eventuale violazione degli ordinari criteri di riparto della responsabilità. Al riguardo, infatti, interveniva l'articolo 7.4 del regolamento convenzionale, in forza del quale «l'erronea interpretazione dello schema di ripartizione della responsabilità negli incidenti stradali non da diritto all'impresa debitrice ( n.d.r.: la mandante) di ottenere la restituzione dell'importo addebitatole».Insomma, ci si trovava di fronte ad un meccanismo di fatto incentrato

sull'automaticità del rimborso, regolato in una sorta di “stanza di compensazione”.A garantire l'effettività di tali, pressochè automatici, rimborsi vi era l'obbligo, posto a carico di ciascuna compagnia aderente, di costituire adeguata fideiusssione bancaria biennale.Il rimborso, peraltro, copriva soltanto il valore

dell'indennizzo, rimanendo esclusi tanto eventuali oneri di assistenza legale (che, ove liquidati, rimanevano a carico della compagnia mandataria) quanto la rifusione delle spese di gestione della posizione

(configurandosi, così, un mandato non oneroso, in deroga a quanto previsto dall'articolo 1709 Cc).Il danneggiato, da parte sua, non era nececessariamente - e diremmo ovviamente - costretto ad accettare l' offerta della propria assicurazione. In caso di conflitto, egli rimaneva libero di tutelarsi giudizialmente, evocando in causa i propri interlocutori “naturali”, e cioè il danneggiante e la di lui compagnia assicuratrice.

Questi, dunque, gli aspetti salienti della “vecchia procedura Cid”, a cui, ragionevolmente, farà riferimento il Legislatore in sede di redazione del testo attuativo, destinato a regolamentare nello specifico la nuova procedura per indennizzo diretto.Procedura che, ripetesi, vorrebbe render cogenti e imperativi i meccanismi, ben peculiari, propri del Cid e fondati sul consenso delle singole compagnie e dei soggetti di volta in volta coinvolti nei sinistri.Operazione, tale ultima, niente affatto semplice, sol che si consideri come - a differenza del sistema Cid (fondato sull'adesione volontaria e tale da non pregiudicare il diritto del danneggiato di rivolgere la propria richiesta al responsabile civile ed al suo assicuratore) - l'indennizzo diretto di fonte codicistica escluda tale possibilità alternativa, costringendo il danneggiato a muoversi sempre e soltanto (ed anche in sede giudiziale) nei confronti della propria impresa di assicurazione.Vi è da chiedersi se questa contrazione degli spazi entro i quali il danneggiato può agire ed invocare la propria tutela giurisdizionale sia legittima, sul piano costituzionale. E comunque qualche parola in più merita di essere spesa a proposito dell'azione prevista dall'articolo 149 ultimo comma in caso di infruttuoso esito della procedura stragiudiziale di indennizzo diretto. È questa la norma che impone al danneggiato di «proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145 comma 2 nei soli confronti della propria impresa di assicurazione». Si tratta di comprendere la latitudine del termine “soli”. Certamente l'espressione utilizzata dal Legislatore vale a sancire

l'impossibilità, per l'assicurato, di rivolgersi in via concorrente od alternativa nei confronti della compagnia assicuratrice del danneggiante. Ma ciò non esaurisce ogni dubbio ermeneutico in merito alla legittimazione passiva del danneggiante in veste di litisconsorte necessario. Al riguardo, può essere interessante rilevare come la norma richiami l'istituto dell'azione diretta, in relazione alla quale l'articolo144 fissa una regola (quella della necessaria partecipazione al giudizio del responsabile del danno) che potrebbe essere

considerata di carattere generale, eppertanto applicabile a tutti i casi di lite giudiziale. L'argomento non pare peregrino, anche perché la tesi contraria (quella della legittimazione esclusiva ed assoluta della compagnia del danneggiato) sembra assolutamente inaccettabile: non è infatti in alcun modo pensabile, anche sul piano della mera “tenuta” costituzionale, di poter privare colui che agisce in giudizio della possibilità di comunque convenire il responsabile del danno in via aquiliana (anche - magari - al solo fine di deferirgli l'interrogatorio formale). Ciò senza contare gli evidenti motivi di opportunità che inducono a ritenere necessaria la

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partecipazione al giudizio di un soggetto che ha un evidente interesse a seguirne le sorti.Quanto sopra esposto, consente inoltre di porre un altro quesito. Quid iuris se il danneggiato decidesse di agire soltanto nei confronti del danneggiante? Trattasi di ipotesi di scuola, dal momento che casi di questo tipo si potrebbero porre in termini veramente residuali, non avendo l'attore, di regola, alcun interesse a convenire un soggetto patrimonialmente meno affidabile della compagnia assicuratrice. Ove ciò accadesse, tuttavia, si porrebbe il problema di comprendere se il danneggiato convenuto in via esclusiva possa chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1917 Cc. Se così fosse, l'obbligatorietà del sistema dell'indennizzo diretto verrebbe messa seriamente a repentaglio, consentendo al danneggiato di scegliere, di fatto, il proprio interlocutore assicurativo, optando per quello del danneggiante laddove il proprio gli fosse meno gradito (perché, per esempio, meno malleabile nelle liquidazioni). È, dunque, indispensabile un intervento chiarificatore del Legislatore, volto a stabilire le regole dell'eventuale litisconsorzio necessario e, se del caso, della chiamata in causa da parte del danneggiante dell'ente assicurativo del danneggiato, in deroga all'articolo 1917 Cc. Vi è ancora da comprendere se i costi di lite sostenuti dalla compagnia del danneggiato possano costituire oggetto di rimborso, in aggiunta a quanto eventualmente liquidato a favore del danneggiato medesimo. Problema che si pone in termini di particolare interesse soprattutto laddove l'azione sia stata incardinata a seguito di una negligente gestione della procedura liquidativa.Qualora si optasse per la soluzione affermativa, rischierebbe di vener meno l'effetto di naturale deterrenza correlato alla minaccia di un'azione legale: la compagnia affronterebbe il giudizio con la singolare sicurezza di non rischiare nulla in caso di soccombenza.La soluzione contraria non andrebbe, peraltro, immune da critiche, potendo stimolare l'ente assicuratore a supervalutare il danno, corrispondendo un indennizzo magari eccessivo (ma scaricabile sulla compagnia del responsabile), piuttosto che affrontare una causa che potrebbe ingenerare costi non ripetibili.Si ricordi, al riguardo, come in regime Cid ogni eventuale onere di assistenza legale corrisposto dall'ente assicuratore (nella fase stragiudiziale, rimanendo ferma l'azione diretta nei confronti della compagnia del danneggiante) rimanesse a suo carico, non essendo

sommabile alle somme rimborsabili in sorte capitale.Ma gli spunti di riflessione, indotti anche da una lettura comparata degli articoli 149 e 150, da un lato, e delle norme che ancora oggi regolano la Cid, non finiscono qui, ed anzi inducono a più d'una perplessità.Viene, anzitutto, in linea di conto la difficoltà di configurare un mandato ex lege, ossia di un rapporto, quello tra la compagnia del danneggiante e quella del danneggiato, di tipo negoziale, ma di contenuto sostanzialmente predeterminato per legge (e non stabilito sull'accordo delle parti). Stortura sistematica, questa, resa ancor più evidente dal fatto che le regole dell'indennizzo diretto, ed il contenuto di quel mandato ex lege, produrrebbero effetti non trascurabili sull'esecuzione dei rapporti - questi sì - indiscutibilmente contrattuali intercorrenti tra ciascuna compagnia ed i propri assicurati per la Rca.Al di là di tale aspetto, che non può essere approfondito in questa sede, lo spostamento della fase liquidativa all'interno del sinallagma contrattuale non appare tanto incentivante (sul piano concorrenziale e del risparmio dei costi) quanto poteva sembrare alla luce delle argomentazioni svolte da chi ha caldeggiato l'introduzione dell'indennizzo diretto obbligatorio. Il fatto di consentire al danneggiato di essere indennizzato dalla propria compagnia certamente indurrà gli enti assicuratori a migliorare i propri servizi liquidativi, alimentando un gioco concorrenziale a tutto vantaggio del ceto degli assicurati. Ma, a far da contraltare, vi potrà essere la pericolosa tendenza, da parte delle compagnie, di compiacere i propri clienti con liquidazioni di particolare favore e di gestire il proprio servizio sinistri in ottica più commerciale che tecnica. Il tutto sapendo di spendere moneta altrui, e cioè il danaro della compagnia del danneggiante, per conto della quale verrebbe trattato il sinistro.Problema, quest'ultimo, tanto più concreto quanto più i meccanismi di definizione dei rapporti interni tra le compagnie vengano disciplinati in termini di sostanziale automaticità (come avviene oggi in ambito Cid). Il tema concerne l'opponibilità alla compagnia debitrice della transazione effettuata dalla compagnia del danneggiato. Trattasi di opponibilità automatica oppure no, dovendosi concedere alla debitrice finale la teorica possibilità, da utilizzare cum grano salis, di contestare i criteri di liquidazione adottati

dall'ente assicuratore del danneggiato? In questa seconda ipotesi il rischio di liquidazioni “compiacenti”

verrebbe potenzialmente ridotto, consentendo però la possibile insorgenza di contenziosi tra compagnie, con costi di gestione e di patrocinio aggiuntivi.Peraltro l'eventuale non opponibilità automatica della liquidazione, e la teorica possibilità per la compagnia del danneggiante di rifiutare il rimborso dell'indennizzo, potrebbe escludere la riconducibilità del rapporto intercorrente tra gli enti assicuratori coinvolti nella procedura per

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indennizzo entro lo schema della rappresentanza (sia pure di fonte legale e non negoziale).Venendo, poi, alla possibilità per la compagnia di sfruttare il “nuovo” rapporto risarcitorio diretto con il cliente e di adottare politiche tariffarie condizionate dalle modalità di liquidazione, vi è chi ha sostenuto l'opportunità di introdurre franchigie ovvero scoperti o di imporre all'assicurato di rivolgersi, per le riparazioni del proprio veicolo, ad una rete di carrozzieri convenzionati.

Ebbene, se le franchigie o gli scoperti avessero la funzione di limitare la copertura del rischio dell'assicurato per la Rca, le stesse potrebbero tutt'al più dar luogo ad azioni di rivalsa nei confronti

dell'assicurato/danneggiante e non dell'assicurato/danneggiato. Si tratterebbe soltanto di comprendere quale compagnia, tra quella debitrice e quella che ha anticipato l'indennizzo, ne avrebbe la titolarità.Qualora, invece, si trattasse di franchigie destinate ad essere applicate su futuri indennizzi, le stesse si tradurrebbero in una sorta di rinunzia preventiva al risarcimento (o ad una quota di risarcimento) concordata dall'assicurato contro un risparmio di premio. Senonchè, primi beneficiari di tale riduzione convenzionale dell'indennizzo (che cozzerebbe comunque contro quel principio di massima tutela dei danneggiati che permeava, sino ad oggi, tutta la legislazione del settore), sarebbero il danneggiante e la sua compagnia assicuratrice (i quali, nel caso di indennizzo interamente compreso entro i limiti della franchigia finirebbero addirittura per non subire alcun esborso!). Il che fa propendere per la non praticabilità dell'ipotesi in commento.A medesime

conclusioni si dovrebbe pervenire in relazione all'applicazione alla procedura di indennizzo diretto delle sanzioni previste dagli articoli 1915 Cc e 143 comma 1 codice delle assicurazioni per il caso di mancata presentazione della denuncia di sinistro.Alla luce del combinato disposto di tali norme si potrebbe opinare che la compagnia del danneggiato, invocando l'omessa presentazione dell'apposito modulo di denunzia, possa rifiutargli l'indennizzo dovuto. Ma anche in questo caso ci troveremmo, in concreto, di fronte ad un indebito arrichimento del danneggiante e del suo ente assicuratore. Meglio sarebbe, tentare di affermare che la denunzia dell'assicurato/danneggiato, da presentarsi a mezzo del modulo descritto dall'articolo 143 (o secondo le modalità che, ai sensi dell'articolo 150 lettera b saranno fissate nel Dpr attuativo), costituisca presupposto di operatività della procedura per indennizzo diretto (laddove la convenzione Cid richiedeva invece la necessaria presentazione del modulo Cai ritualmente sottoscritto da entrambe le parti). Tesi

interessante ma non del tutto convincente, rimanendo da chiarire cosa potrebbe accadere laddove l'assicurato venisse meno a tali oneri di presentazione: esclusa la perdita dell'indennizzo - per i motivi sopra segnalati - non rimarrebbe che affermare l'uscita forzosa dal sistema dell'indennizzo diretto e la rinnovata esperibilità della procedura standard nei confronti del danneggiante e del di lui ente assicuratore. Ma così ragionando, si finirebbe col rendere facilmente eludibile l'obbligatorietà della procedura diretta.Al Legislatore, dunque, l'arduo compito di chiarire tali questioni, nell'ambito del delicato intervento attuativo previsto dal comma 1 dell'articolo 150. Così come in tale sede sarà opportuno comprendere se e in che modo le parti possano uscire

“in corsa“ dalla procedura per indennizzo diretto (per esempio nel caso in cui si appurasse, in corso di trattativa, l'inesistenza od il venir meno di determinati presupposti per la sua applicabilità).L'emanando decreto dovrà poi stabilire (articolo 150) “i principi per la cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto”; tema, tale ultimo, che - al di là della genericissima formula utilizzata dal Legislatore - sembra coinvolgere, ancora una volta, la

problematica della riduzione dei costi di procedura e del conseguente impatto sui premi assicurativi. Ed invero, nella sua attuale - generica - formulazione, la procedura diretta non sembra veramente destinata ad abbattere, come da più parti sostenuto, i costi dell'assistenza legale sin qui posti a carico delle compagnie. La possibilità di ricorrere al patrocinio legale già in sede stragiudiziale sembra garantita al danneggiato dal più recente orientamento della Corte di cassazione (Cassazione civile 11606/05). D'altra parte, le problematiche connaturate alla definizione di una giusta transazione non verranno meno per il solo fatto che la compagnia chiamata a liquidare sia la stessa presso la quale il danneggiato è assicurato. I ben noti conflitti in ordine alla risarcibilità di determinati danni patrimoniali o morali, il caleidoscopio etiologico su cui insistono le più disparate casistiche dinamiche e l'ormai patologica tendenza alla speculazione da parte dei danneggiati costituiscono problemi la cui soluzione non sarà garantita dalla nuova normativa. D'altra parte, il frequente, e tuttora possibile, superamento dei termini previsti dalla legge per la formulazione dell'offerta e la

proponibilità della domanda giudiziale, legittimano il danneggiato a comunque incardinare una causa. Causa

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da promuoversi, ex articolo 149 ultimo comma, nei confronti della compagnia dell'assicurato, ferma restando la possibilità, per l'ente assicuratore del responsabile, di “intervenire nel giudizio e….estromettere l'altra compagnia”. Insomma, il risparmio dei costi legali rimane, allo stato attuale, una mera affermazione di principio, potendosi sostenere che soltanto un'accorta politica di gestione del proprio servizio sinistri, mirata ad assicurare un'assistenza efficace e tempestiva ai propri assicurati (meno diffidenti…) potrebbe consentire alla compagnia un reale risparmio delle spese di assistenza legale. Il fatto, poi, che siano ragionevolmente destinati a venir meno tutti gli incarichi professionali che sino ad oggi venivano indirettamente procurati dalle compagnie (o dalle loro agenzie) ai propri assicurati al fine di garantire, quale servizio aggiuntivo, la miglior tutela legale dei loro diritti risarcitori, non sposta di molto i termini del problema, non essendo in alcun modo precluso il ricorso a legali di fiducia direttamente interpellati dai singoli danneggiati.La diminuzione dei costi di lite, e soprattutto dei maggiori oneri connessi all'incardinazione di procedimenti giudiziali, avrebbe, peraltro, potuto già essere ottenuta (senza ricorrere a soluzioni più radicali) sol che si fossero applicate, con rigore ermeneutico, le previgenti disposizioni legislative.Mi riferisco, per esempio, agli oneri di allegazione imposti al danneggiato dall'articolo 3 comma 2 della legge 39/1977 e successive

modifiche, secondo il cui disposto la richiesta di risarcimento deve contenere determinate indicazioni ed essere accompagnate da alcuni documenti indispensabili ai fini di una corretta istruzione della pratica. Tra tali documenti rileva in modo particolare, con riferimento ai danni fisici, l'attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione. E poiché l'eventuale omissione, ove seguita da esplicita richiesta di integrazione documentale da parte della compagnia, inficia la validità della richiesta risarcitoria, il danneggiato non sarebbe in condizione di proporre la propria azione giudiziale se non dopo il decorso del termine di 90 giorni dal dì in cui ha provveduto a fornire all'assicurazione gli elementi richiestigli.Ciò, nella prassi, avviene di rado, e sovente si assiste all'instaurazione di processi (addirittura) prima che determinate patologie siano definitivamente giunte a completa guarigione. La compagnia si trova, dunque, in tali casi, costretta ad affrontare un giudizio senza neppure esser stata posta in condizione di istruire compiutamente la pratica e formulare un offerta ragguagliata ai postumi effettivamente derivati dal danneggiato. Se è vero, poi, che la rigorosa (ma non iniqua) applicazione dei principi sopra esposti potrebbe condurre, per i casi più gravi, ad una sostanziale paralisi della tutela giurisidizionale del danneggiato per tutto il periodo (magari pluriennale) occorrente a conseguire una completa guarigione, è parimenti corretto affermare che tale problematica potrebbe essere facilmente risolta estendendo l'ambito di operatività dell'istituto della cosiddetta

“provvisionale” in caso di bisogno. Provvisionale che dovrebbe poter essere riconosciuta anche al di fuori dell'ambito giudiziale, e pertanto anche prima dell'incardinazione di un'eventuale causa.Insomma, vi erano strumenti più agili, e sostanzialmente già disponibili, per render meno gravosi, con la fattiva cooperazione delle compagnia assicuratrici (prime interessate alla soluzione del problema) i costi di gestione delle

procedure liquidatorie,Strumenti che, sino ad oggi poco utilizzati, potrebbero continuare a rimaner tali anche in futuro, compromettendo - almeno in parte - uno dei prioritari obiettivi perseguiti dagli estensori del codice.Un quadro completo del riassetto normativo in tema di liquidazione dei danni, non può, infine, prescindere dalla menzione dell'articolo 141, destinato a regolare i casi di indennizzo ai terzi

trasportati.Come è agevole rilevare dalla lettura della nuova disposizione codicistica, la procedura di risarcimento riservata al trasportato, pur non potendosi definire “diretta” (atteso il rapporto di terzietà, salvo casi particolari, tra il passeggero e la parti del contratto assicurativo), viene disegnata in modo del tutto simile a quella regolata dall'articolo 149 in materia di indennizzo diretto (e ancora una volta attraverso la

conversione in termini di vincolatività legale di regole negoziali già sancite in precedenti accordi convenzionali Ania).

Il tutto con le seguenti differenze:

a) Sia pur entro il tetto del massimale minimo di legge, non sono stati posti, nei confronti del trasportato, limiti quantitativi di indennizzo (sicchè il passeggero, o i suoi aventi causa, potranno per qualsiasi tipo di lesione patita agire verso la compagnia del veicolo a bordo del quale il danneggiato viaggiava);

b) L'indennizzo dovrà essere liquidato “a prescindere dall'accertamento della responsabilità”. Ciò equivale a dire che la compagnia pagherà al passeggero dannneggiato l'intero indennizzo, sia che il danno si sia

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verificato per colpa del conducente del veicolo assicurato, sia dipenda da responsabilità del conducente di un altro veicolo, sia possa ricondursi alla responsabilità concorsuale dei diversi soggetti coinvolti nel sinistro. Il pagamento viene fatto con animo di rivalsa nei confronti dell'ente assicuratore del responsabile, e la rivalsa potrà riguardare l'intero indennizzo o la quota parte corrispondente al grado di responsabilità a questi attribuibile.

c) La regolazione interna tra le compagnie (del veicolo vettore e del responsabile civile) non è certamente affidata ad una compensazione automatica, ma rimessa all'iniziativa dell'ente assicuratore che, dopo aver liquidato il danno, è legittimato ad agire in via di rivalsa nei confronti dell'altra impresa assicurativa. E, trattandosi di rivalsa, rimane certamente aperta la possibilità per la compagnia che la subisce, di opporvisi, contestando l'an ed il quantum della liquidazione che ne costituisce il titolo.

d) Vi è, poi, da chiedersi cosa debba intendersi per “caso fortuito”, quale motivo di esclusione

dell'applicabilità della norma. E cosa avvenga nell'ipotesi in cui il sinistro sia ascrivibile alla responsabilità esclusiva di un soggetto non coperto da assicurazione Rca (per esempio un velocipede o l'ente gestore della strada). Argomenti che meritano trattazione separata.

Il tema del terzo trasportato induce, da ultimo, alcuni ulteriori approfondimenti in ordine alla portata

innovativa degli articoli 122 comma 3 e 283 del codice delle assicurazioni.La normativa previgente (articolo 1 comma 3 della legge 990/69), nel disciplinare le ipotesi di guida prohibente domino, estendeva l'ambito naturale di applicazione dell'assicurazione Rca, chiamata così a garantire i danni patiti da terzi non trasportati o da terzi trasportati “contro la propria volontà”. La copertura per la responsabilità civile automobilistica operava dunque anche in ipotesi in cui il soggetto assicurato non poteva esser ritenuto civilisticamente responsabile ex articolo 2054 Cc, essendo la circolazione del veicolo avvenuta contro la sua volontà.In queste ipotesi di assicurazione “senza responsabilità”, introdotte dal Legislatore in nome della massima protezione delle vittime di incidenti stradali, veniva garantita alla compagnia la possibilità di rivalersi sul conducente di ogni esborso a tal titolo effettuato.Il nuovo codice modifica sensibilmente tale quadro normativo, escludendo i casi di “assicurazione senza responsabilità” ed affermando espressamente l'inefficacia della copertura Rca in tutti i casi di circolazione avvenuta “contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente con parto di riservato dominio o (e anche questa è una novità) del locatario in caso di locazione

finanziaria”.Tale riforma non poteva, naturalmente, andare a detrimento dei soggetti precedentemente tutelati dalla legge 990/69 (i terzi non trasportati ed i trasportati contro la loro volontà), i quali potranno, d'ora in avanti, rivolgere le loro pretese al Fondo di Garanzia delle vittime della strada.Ciò ai sensi e per gli effetti dell'articolo 283 comma 1 e 2 del codice, che aggiunge alle tre ipotesi risarcitorie precedentemente disciplinate dall'articolo 19 della legge 990/69 (incidente causato da veicolo non identificato, scoperto da assicurazione od assicurato presso una compagnia in stato di l.c.a.), il caso di sinistro causato da un veicolo che circoli prohibente domino. Con l'occasione il Legislatore ha inteso chiarire la nozione di “trasportato contro la propria volontà”, attorno al cui significato si erano aperti, in passato, vasti contrasti dottrinali e giurisprudenziali (tra coloro i quali intendevano l'espressione in senso letterale e chi propendeva invece per un'interpretazione restrittiva, tesa a escludere dalla copertura soltanto i terzi che avevano conoscenza della provenienza furtiva del veicolo o, comunque, della sua circolazione illecita). Contrasti oggi superati dalla nuova definizione codicistica la quale, allineandosi agli orientamenti emersi in sede comunitaria, ha sostanzialmente optato per la versione più rigorosa, limitando l'esclusione ai soli casi di trasportati

“inconsapevoli della circolazione illegale”.Fatte queste precisazioni, potremmo concludere che il nuovo sistema normativo tende a far aderire - correttamente, è il caso di aggiungere - il paradigma di operatività della assicurazione Rca all'effettivo regime di responsabilità descritto dall'articolo 2054 Cc, escludendo i casi di circolazione prohibente domino ed includendo, di converso, quelli cosiddetto nolente domino. Il cerchio di questa omogeneizzazione sostanziale, peraltro, non si chiude del tutto, dal momento che l'articolo 122 del codice lascia aperto uno spazio all'interno del quale la compagnia sarebbe tenuta ad indennizzare anche il danno cagionato da un veicolo che circoli prohibente domino. Ci riferiamo al fatto che l'inefficacia della copertura Rca non sia immediata, ma decorra ex post, “dal giorno successivo alla denuncia presentata all'autorità di pubblica sicurezza”. Disposizione, questa, che pone numerosi problemi di coerenza logico

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sistematica.Sino al momento della denunzia, infatti, la garanzia assicurativa deve intendersi, leggendo la norma al contrario, non soltanto pienamente efficace ma tale da coprire senza limiti qualsiasi terzo trasportato (ed anche coloro che erano pienamente consapevoli della circolazione illegittima, contemplati soltanto dall'articolo 283 nell'ipotesi di liquidazione a carico del Fondo di garanzia). Ove il proprietario non denunziasse, ad esempio, il furto o a la rapina, la compagnia si troverebbe dunque esposta ad un rischio risarcitorio scollegato da qualsiasi responsabilità aquiliana dell'assicurato, senza neppure beneficiare della limitazione prevista a favore del fondo di garanzia né poter rivalersi nei confronti del conducente. Situazione, questa, che, per quanto inaccettabile sul piano logico, prima ancora che giuridico, dovrebbe suggerire alle compagnie assicurative l'introduzione, in seno alle condizioni di polizza, di precisi oneri di immediata denunzia a carico dell'assicurato (a pena di inoperatività della garanzia).E qui, davvero, occorre fermarsi, senza cadere nella tentazione di seguire l'onda di un'esasperata - e forse intempestiva - rivisitazione critica del riformato impianto normativo.Rimane l'intricato groviglio di un sistema liquidatorio che, pur se ricondotto ad unità e per quanto innovativo, non pare in grado di risolvere pienamente le difficoltà manifestatesi all'interno del ponderoso compendio legislativo previgente (né di garantire l'effettivo conseguimento degli obiettivi dichiarati alla vigilia).

Attendiamo con fiducia e curiosità l'intervento con cui il Legislatore saprà dipanare gli intrighi, consentendo alla riforma di uscire dalle coltri fumose in cui, a tutt'oggi, si avviluppa.

08/10/2005

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ITALIA OGGI

RIFORMA GIUSTIZIA/Oggi dlgs in preconsiglio Superprocuratori vicini al debutto

In arrivo il super procuratore. Che ha la titolarità esclusiva dell'azione penale, che potrà fissare i criteri ai quali i sostituti dovranno attenersi nelle indagini, nell'utilizzo della polizia giudiziaria e delle risorse dell'ufficio. E sarà l'unico che potrà intrattenere i rapporti con la stampa. Oggi nel preconsiglio dei ministri dovrebbe approdare il sesto decreto delegato di attuazione della riforma dell'ordinamento giudiziario, quello sulla gerarchizzazione delle procure. Facile nella sua redazione, visto il dettaglio con cui la delega fissa i principi direttivi, il dlgs è tra quelli più temuti dalla magistratura associata perché rivoluzionerà l'assetto delle procure rendendole, è il timore, più controllabili. Il decreto dà attuazione all'articolo 1, comma 1 lettere d) e all'articolo 2, comma 4 della legge delega 150. Nel dettaglio assegna al procuratore della repubblica la titolarità esclusive dell'azione penale, che viene esercitata sotto la sua responsabilità; a lui è assegnato il compito di determinare i criteri per l'organizzazione dell'ufficio e i criteri generali cui i magistrati addetti devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'utilizzo delle risorse finanziarie e tecnologiche dell'ufficio e nella impostazione delle indagini. Il procuratore inoltre può revocare le indagini assegnate a un sostituto, trasmettendo al procuratore generale presso la Corte di cassazione il provvedimento di revoca e le osservazioni formulate dal magistrato cui è stata revocata la delega, elementi che vengono acquisiti nei fascicoli personali. Il pieno controllo del procuratore capo sull'ufficio è garantito anche dalla previsione che per gli atti d'ufficio che incidono su diritti reali o libertà personali (quindi provvedimenti restrittivi) devono essere assunti previo il suo assenso o da chi è stato delegato, anche se per i fatti minori il procuratore può adottare una direttiva generale. Il procuratore capo dovrà inoltre tenere ´personalmente' i rapporti con la stampa, segnalando obbligatoriamente al consiglio giudiziario comportamenti dei magistrati in contrasto con la disposizione. Infine il dlgs prevede che il procuratore generale presso la Corte d'appello, al fine di verificare il corretto e uniforme esercizio dell'azione penale, acquisisca dalle procure del distretto dati e notizie. Il dlgs segue quello sui concorsi, sugli incarichi extragiudiziari, sulla scuola della magistratura, sui consigli giudiziari, sugli incarichi direttivi e sulla Cassazione, già in parlamento per i pareri. (riproduzione riservata)

Claudia Morelli

11/10/2005

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ITALIA OGGI

Anm: lo schema di decreto un'occasione perduta Nuovi fallimenti, magistrati contro

Magistrati contro la riforma del diritto fallimentare, ´una riforma necessaria ma una grande occasione perduta'. È duro il giudizio che l'Associazione nazionale magistrati riserva allo schema di decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri del 23 settembre scorso, in attuazione della delega contenuta nelle legge competitività n. 80/2005, alla vigilia dell'esame parlamentare a camera e senato del dlgs in vista del parere di rito. La riforma, tra l'altro, applica le regole del processo in camera di consiglio alla procedure concorsuali e introduce l'esdebitazione, cioè la facoltà per il debitore in buona fede di liberarsi dei debiti residui.

Una riforma che l'Anm giudica negativamente sotto diversi profili, evidenziati da un recente documento di giunta. I due obiettivi della riforma, miglior salvaguardia dei valori aziendali e maggior soddisfacimento dei creditori, segnala l'Anm, sono stati vanificati in radice dall'assenza nella riforma approvata di misure di allerta e prevenzione. ´Per comune esperienza l'incapacità della attuale normativa a soddisfare pienamente gli interessi in gioco dipende più dalla tardiva emersione della crisi d'impresa che dalla cattiva gestione della fase di liquidazione', sottolinea il documento. A non piacere inoltre è ´il radicale ridimensionamento del ruolo del giudice delegato a favore del curatore e del comitato dei creditori che, lungi dall'assicurare alcuna garanzia in termini di maggiore efficienza, rappresenta un sicuro arretramento nella tutela dei creditori più deboli'.

Per l'Anm è facile previsione immaginare che nel comitato prevarranno i creditori più forti, in primo luogo gli istituti di credito, ´gli unici in grado di affrontare tale gravoso compito che prevede un rimborso spese a fronte dell'assunzione di gravi responsabilità'. Sullo sfondo il pericolo di conflitti di interessi permanenti e ´quasi' irrisolvibili. L'´irragionevole' innalzamento della soglia di fallibilità inoltre ´costringerà tutti i creditori a ricorrere all'esecuzione individuale con i risibili risultati che essa assicura in termini di soddisfacimento'. Infine dubbi sul nuovo concordato fallimentare che consente alla maggioranza dei creditori di ´imporre la propria volontà a tutti gli altri, senza alcun successivo controllo giurisdizionale'. (riproduzione riservata)

Ilaria Cortesi

11/10/2005

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DIRITTO E GIUSTIZIA

Recidiva e valzer dei numeri: Castelli chiede chiarimenti alla Cassazione Continua l’operazione trasparenza del ministro della Giustizia, Roberto Castelli sui dati riguardanti l’impatto del disegno di legge che modificherà i termini di prescrizione. Ieri il Guardasigilli ha pubblicato sul sito del ministero la risposta inviata al presidente della Corte di cassazione Nicola Marvulli sui dati elaborati dalla suprema Corte e ricevuti da via Arenula la scorsa settimana (vedi tra gli arretrati del 7 ottobre 2005) con la quale vengono chiesti ulteriori chiarimenti. «Sarebbe opportuno – ha scritto Castelli al primo Presidente – avere un’indicazione sui criteri usati per la scelta dei reati campionati, al fine di valutarne la rappresentatività, atteso che si tratta di un campione di 3.365 procedimenti pendenti su un complesso pari a circa 33.000». E se sono stati criticati i miei numeri perché parziali, ha detto Castelli a Marvulli, sicuramente verranno criticati anche i Suoi. I numeri di via Arenula erano stati divulgati due giorni prima di quelli della Cassazione (vedi tra gli arretrati del 5 ottobre 2005), ed erano relativi alle Corti d’appello: «da più parti criticati perché parziali e incompleti, peraltro erroneamente trattandosi di campioni». «A tal proposito – riporta ancora il Guardasigilli – è curioso notare che i Vostri uffici hanno preso in esame una percentuale di dati, pari al 12 % del totale, praticamente identica a quella dell’Ufficio statistica del ministero. Vi è pertanto da aspettarsi che, se sono stati criticati come insufficienti i risultati prodotti dal ministero, la stessa critica verrà rivolta anche ai Suoi uffici». Ma Castelli chiede agli uffici di piazza Cavour «quali sono i reati più frequenti al fine di valutare la rappresentatività dei dati forniti». «Inoltre – chiede ancora Castelli – se esistessero procedimenti pendenti con reati corrispondenti a quelli previsti dall’articolo 157, comma 1 n. 4 Cp, il cui tempo di prescrizione è di cinque anni e sui quali il Ddl 2055 non ha impatto difforme da quello previsto dalla vigente normativa, tali procedimenti andrebbero comunque tenuti presenti ai fini di una valutazione complessiva del disegno di legge in esame». Infatti, sostiene ancora il Guardasigilli, la proposta di legge «prevede una prescrizione minima pari a sei anni più un quarto nel caso di interruzione che porta il termine di prescrizione a 7 anni e mezzo, esattamente identico a quello previsto dalla legge vigente, pari a cinque più un mezzo». E un ultimo chiarimento viene avanzato per quanto riguarda la recidiva: «Preso atto che la Corte ci segnala, doversi applicare il principio del favor rei e che pertanto gli aumenti del tempo di prescrizione previsti dal Ddl non potrebbero trovare applicazione, un’indagine esaustiva dovrebbe valutare l’impatto normativo in esame una volta pervenuto a regime, quando non esisteranno più casi per i quali è applicabile il principio del favor rei. Pertanto sarebbe opportuno valutare anche l’ipotesi di applicazione di aumento del tempo delle prescrizioni in presenza di recidiva».

Un ultimo “sassolino” Castelli se lo toglie con la questione riguardante la percentuale dei procedimenti, argomento particolarmente a cuore al Guardasigilli. «Segnalo – scrive il ministro – che gli uffici indicano come pendenti procedimenti in realtà di fatto prescritti o comunque esauriti.

A questo proposito cito un dato da parte del Tribunale di Brescia che ha fatto una puntuale

ricognizione dei procedimenti realmente pendenti presso i propri uffici». E da tale ricognizione

risulterebbe che al 30 giugno di quest’anno i pendenti sarebbero 2559 «mentre al contrario – dice

Castelli – i dati trasmessi alla Direzione generale di Statistica del ministero relativi al secondo

semestre 2005 evidenziano un totale di procedimenti pendenti pari a 11.691. In altri termini la

pendenza effettiva rispetto a quella evidenziata dal Re.Ge è pari al 21%». Dato questo che non

essendo realtà nazionale, dice il ministro non è rappresentativo «ma ci induce a ritenere che il

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fenomeno sia serio, al punto che ho dato disposizione agli uffici di fare una ricognizione su un campione significativo degli Uffici giudiziari, avvalendomi anche della collaborazione dell’Ispettorato generale».

Intanto sul fronte parlamentare, uno dei padri della riforma Edmondo Cirielli (An), che ha poi disconosciuto questa sua paternità tanto da far passare alle cronache il provvedimento come ex Cirielli, ha promesso modifiche al testo. L’iniziativa sarebbe stata presa in accordo con il ministro della Salute Francesco Storace e con il ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno. Non è la prima volta che il partito di Storace e Alemanno prova a cancellare le norme sulla prescrizione: già a Palazzo Madama infatti i due esponenti di An Roberto Salerno e Luigi Bobbio, avevano presentato emendamenti volti a ridurre gli effetti che la sospensione del processo avrebbe sul calcolo della prescrizione (vedi tra gli arretrati dell’8 luglio 2005). Al Senato l’operazione non è andata in porto mentre alla Camera non sarebbe la prima volta che l’ex primo firmatario bocci la sua ex proposta.

(p.a.)

11/10/2005

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ITALIA OGGI

Su prescrizione

Cirielli (An) corregge ex proposta

Edmondo Cirielli, vicepresidente del gruppo di An alla camera, presenterà un emendamento alla sua ex proposta di legge.

L'emendamento mira a correggere la riforma della prescrizione che fu inserita nel testo originario con un emendamento da parte di Forza Italia. L'emendamento ha lo scopo di sottrarre dal nuovo regime della prescrizione i reati contro l'incolumità pubblica e, ovviamente, l'omicidio colposo e le lesioni colpose connesse a tali reati. Questa correzione si rende necessaria per la peculiarità dei processi che tendono all'accertamento di tali reati e che, spesso, prevedono complicate e lunghe perizie tecniche.

L'iniziativa di Cirielli è stata concordata e sollecitata dai ministri Giovanni Alemanno e Francesco Storace.

Intanto il ministro della giustizia Roberto Castelli ha trasmesso alla camera i dati che la Cassazione ha elaborato sull'impatto che la ex Cirielli potrebbe avere sui procedimenti penali pendenti a Palazzaccio. Con una lettera, in data 7 ottobre, il guardasigilli risponde così alla richiesta del presidente della camera Pier Ferdinando Casini e aggiunge ai dati elaborati dal Ced di piazza Cavour le osservazioni che ha rivolto al primo presidente della Suprema corte, Nicola Marvulli, sulle cifre con le quali si dice che il rischio prescrizione è piuttosto elevato per alcuni procedimenti, come quelli relativi al reato di corruzione, che rischierebbero di essere prescrittibili fino a un massimo dell'88,8%.

Nella lettera di risposta al primo presidente della Corte di cassazione, Nicola Marvulli, pubblicata sul sito web del ministero, tre sono le questioni sulle quali il guardasigilli vuole chiarimenti.

Castelli in particolare sollecita informazioni più precise su quali siano stati i criteri usati dalla Cassazione per la scelta dei reati-campione; vuole conoscere quali siano i ´reati più frequenti' per valutare la rappresentatività dei dati forniti; ritiene ´opportuno' che la Suprema Corte valuti anche l'ipotesi di ´applicazione di aumento del tempo delle prescrizioni anche in presenza di recidiva'.

Giovanni Galli

11/10/2005

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