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ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

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Academic year: 2022

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ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

1.1 Individui e organizzazioni

“Le risorse umane sono il fattore chiave per la costruzione del vantaggio competitivo”.

È importante però che ci sia il massimo livello di coerenza tra persona e organizzazione, perché livelli più elevati di coerenza si traducono in livelli di engagement superiori, determinando una percezione positiva del lavoro e di conseguenza avendo un impatto positivo sull’impegno, sulla soddisfazione e sul valore aggiunto generato.

1.2 Un modello del comportamento individuale

I cambiamenti del contesto competitivo hanno causato uno spostamento dell’attenzione dalla mansione in sé e i relativi compiti al ruolo, ossia le aspettative di comportamento e di risultato.

Le determinanti della prestazione sono state rintracciate sia nel sistema di competenze e motivazioni dell’individuo, sia in alcune delle sue caratteristiche psicologiche (come personalità, valori, identità, percezione, ecc.…), sia nella percezione che l’individuo ha nel ruolo che ricopre.

1.2.2 Fattori situazionali

I comportamenti individuali e i risultati raggiunti sono una funzione di motivazione, competenza e percezione del ruolo. L’impatto di queste ultime tuttavia può essere mediato da fattori situazionali di diversa natura.

Per fattori situazionali si intende l’insieme delle condizioni di contesto su cui l’individuo non ha controllo ma che possono agevolare o compromettere l’efficacia del suo comportamento.

Si pendi ad esempio ad un addetto alla vendita che pur essendo motivato e competente non riesce a vendere per la scarsa propensione all’acquisto dei clienti.

I fattori situazionali sono relativi a fattori esterni, di contesto (di natura economica o politica ad esempio) o a fattori e dinamiche organizzative (budget, decisioni del management, ecc.…).

1.2.3. I risultati del comportamento individuale

La prestazione, ossia l’insieme dei risultati e dei comportamenti attesi, è un concetto

multidimensionale perché ci sono numerosi fattori che concorrono a definirla e a determinarne il livello e la qualità. Questi fattori sono:

• Task performance: insieme dei comportamenti e dei risultati riconducibili agli obiettivi specifici e propri della posizione ricoperta da un individuo e funzionali al raggiungimento degli scopi dell’organizzazione.

Si tratta di comportamenti relativi all’attività di trasformazione delle risorse in prodotti e servizi, e si basano sulla raccolta di informazioni, sull’elaborazione di dati, sulla gestione di risorse tecnologiche, materiali e umane.

• Cittadinanza organizzativa: sono comportamenti attesi ma non richiesti esplicitamente.

Consistono, ad esempio, nel collaborare con le persone o condividere risorse e informazioni con gentilezza e cortesia.

I comportamenti tipici della cittadinanza organizzativa sono: supporto attivo, adattamento e tolleranza, lealtà, dedizione, compliance (conformità agli stili e alle norme).

• Comportamenti disfunzionali: si intende l’insieme di comportamenti volontari potenzialmente dannosi per l’organizzazione.

• Assenteismo: si tratta di assenza dal posto di lavoro per malattia o emergenze familiari. È più elevato laddove la tolleranza è maggiore e a fronte di livelli elevati di insoddisfazione per il lavoro e stress negativo.

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• Presenzialismo: consiste nell’essere presenti sul posto di lavoro anche quando le condizioni fisiche e psicologiche sono tali da ridurre la produttività. Vi sono evidenze dell’impatto negativo del presenzialismo sulla prestazione individuale e di team.

Il presenzialismo è più comune a fronte di contratti di lavoro atipici e negli individui che hanno una posizione centrale nel loro network di riferimento.

1.3 La personalità

La personalità è l’insieme delle modalità con cui un individuo agisce, interagisce e reagisce alle persone e alle situazioni con cui si confronta. La personalità è una delle caratteristiche a cui gli individui si riferiscono per definire la propria identità, per distinguersi dagli altri e per valutare la propria congruenza rispetto ad un ruolo e ad un’organizzazione.

La personalità è frutto dell’interazione di due fattori: genetica e ambiente.

Lo sviluppo e i cambiamenti a livello di struttura di personalità avvengono in un arco di tempo determinato, tendenzialmente entro i primi 30 anni di vita.

Il concetto di tratto e il modello dei Big Five

La personalità può essere rappresentata come un insieme di tratti, ossia come un insieme di caratteristiche che la persona manifesta in un gran numero di situazioni.

Il tratto è la dimensione base a cui l’individuo si definisce e si differenzia dagli altri.

Il possesso di determinate caratteristiche di personalità non significa che la persona si comporterà nello stesso modo sempre e comunque, ma è molto probabile che questi comportamenti si

manifestino in contesti e momenti diversi. Il concetto di tratto della personalità dunque si riferisce ad una concezione probabilistica del comportamento.

Il modello dei Cinque Fattori di personalità, che identifica cinque tratti con le relative

sottodimensioni, è in grado di descrivere in modo sintetico ma completo la struttura di personalità degli individui.

I Cinque Fattori sono:

• Coscienziosità: misura l’affidabilità, l’organizzazione, la persistenza, la puntualità e l’ordine.

• Amicalità: misura la predisposizione verso gli altri e viene definita come collaborazione, cordialità e calore umano.

• Nevroticismo: misura il grado di reattività in situazioni percepite come stressanti e qualifica la persona come calma, sicura di sé, convinta e stabile emotivamente

• Apertura all’esperienza: misura l’ampiezza degli interessi della persona e la tendenza a ricercare novità e opportunità di confronto con persone diverse e situazioni nuove.

• Estroversione: misura il livello di benessere e agio nelle situazioni di relazione.

Ci sono poi altri tratti rilevanti in ambito organizzativo:

• Core Self-Evaluation: è un tratto di personalità che rappresenta il modo in cui un individuo valuta sé stesso per quanto concerne la competenza e la possibilità di esercitare un

controllo sugli eventi della propria vita.

Gli individui con una Core Self-Evaluation positiva si percepiscono come competenti e in grado di influenzare le situazioni e le relazioni.

La Core Self-evaluation si struttura su 4 dimensioni:

o Autostima: disposizione che un individuo ha nei confronti di sé stesso o Nevroticismo

o Locus of control: modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni

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o Auto-efficacia generalizzata: percezioni del grado di controllo che un individuo ritiene di avere su di sé e sull’ambiente

Emerge una correlazione tra Core Self-Evaluation positiva e soddisfazione sul lavoro.

• Machiavellismo: si definisce personalità machiavellica l’insieme delle caratteristiche che sostengono comportamenti orientati ad un pragmatismo che, unito al distacco emotivo e alla convinzione che il fine giustifichi i mezzi, sostiene modalità aggressive per raggiungere i propri obiettivi.

Implicazioni organizzative

Livelli elevati di coscienziosità si associano ad una maggiore probabilità di tenere comportamenti di cittadinanza organizzativa e predispongono a lavorare bene in contesti organizzativi con elevati livelli di delega.

Il tratto dell’estroversione si associa a una maggiore efficacia dei ruoli manageriali e di vendita.

L’amicalità invece predispone a ruoli in cui servono empatia e collaborazione.

Punteggi bassi di nevroticismo si associano a livelli più elevati di soddisfazione sul lavoro e minori livelli di stress.

Abbiamo diverse dimensioni, che sono influenzate da diversi tratti che possono essere più o meno presenti negli individui:

• Dimensione della relazione (getting along): amicalità, coscienziosità, nevroticisimo, estroversione

• Dimensione dell’orientamento al risultato (getting ahead): apertura all’esperienza, estroversione, coscienziosità, nevroticismo

I valori

I valori sono convinzioni profondamente radicate e stabili che rappresentano un criterio in base a cui l’individuo definisce le proprie priorità e decide come agire e con quale livello di convinzione e intensità farlo.

I valori dunque definiscono ciò che è importante, ciò per cui vale la pena darsi da fare e assumersi dei rischi.

Qui i valori vengono osservati come attributo individuale, ma possono essere anche visti come attributo di un’intera organizzazione. I valori dell’organizzazione sono dati dai valori condivisi dagli individui che la compongono, dal modello di business, dal sistema di prodotto o servizio o ancora dal settore in cui l’impresa opera.

L’individuo organizza i valori secondo un ordine gerarchico di preferenza. Tale ordine gerarchico rappresenta il sistema di valori della persona

Come la personalità, anche i valori influenzano i comportamenti, ma ci sono alcune differenze: di per sé i tratti di personalità non sono in contrasto l’uno con l’altro, mentre i valori possono esserlo.

Un altro elemento distintivo riguarda l’origine dei tratti e dei valori: i primi sono in parte geneticamente determinati e in parte risultanti dall’apprendimento, i secondi invece sono il risultato di processi di socializzazione.

Lo Schwartz Values Complex

SI tratta di un modello che mappa i valori di base considerati universali. I valori del modello sono tutti indipendenti gli uni dagli altri, pur essendo caratterizzati da alcune relazioni: si tratta infatti di un modello circolare da leggere in senso orario a partire dal valore posizionato in alto. I valori

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vicini sono valori per i quali l’importanza/rilevanza di uno sancisce la rilevanza dell’altro, mentre i valori opposti o distanti sono valori incompatibili o poco rilevanti.

Forme di congruenza e implicazioni

Quanto più il sistema di valori dell’individuo con riferimento al lavoro è sovrapponibile a quello dell’organizzazione in cui opera, tanto più sarà elevato il commitment, la soddisfazione,

l’identificazione, l’engagement e il livello di stress sperimentato dall’individuo.

Il person-organization fit ha un impatto determinante sulla qualità e il livello della prestazione.

Il modello attraction-selection-attrition consente di osservare le conseguenze di livelli più o meno rilevanti del person organization fit. Secondo questo modello:

1. Gli individui sono attratti verso organizzazioni in cui operano persone con profili di personalità, sistemi di valori e atteggiamenti simili ai propri (attraction)

2. Le organizzazioni tendono a selezionare individui con competenze, conoscenze e motivazioni simili a quelli di coloro che già operano al loro interno (selection)

3. Nel tempo coloro che si evolvono e crescono in direzioni non coerenti con i valori e le caratteristiche dell’organizzazione la lasciano (attrition)

Altre forme di congruenza che possono avere un impatto sui comportamenti:

• Congruenza tra i valori che la persona dichiara di avere e di prendere come riferimento e i valori agiti

• La coerenza tra i valori dell’organizzazione e quelli della comunità locale e allargata di riferimento.

Valori e comportamento

La relazione valore-comportamento umano non è sempre verificata e in particolare tende a non esserlo nelle situazioni completamente nuove che richiedono di decidere in tempi rapidi senza avere alcun riferimento o esperienza.

I valori sono entità astratte e la loro declinazione non è sempre ovvia.

La coerenza interna valori-comportamenti è favorita da tre condizioni:

1. L’esistenza di buone ragioni per comportarsi in modo coerente con i propri valori 2. Il manifestarsi nella situazione di condizioni che agevolano il comportamento 3. La possibilità e il tempo di riflettere sul valore stesso

CAPITOLO 2: PERCEZIONE

Il processo percettivo La percezione è:

• Un processo psicologico di creazione di un’immagine interna del mondo esterno

• Un processo cognitivo attraverso cui gli individui raccolgono e organizzano le informazioni riguardo persone, oggetti ed eventi

• Un processo di interpretazione ed elaborazione delle informazioni forniteci dai nostri sensi Il processo percettivo inizia nel momento in cui l’individuo, attraverso i propri sensi, coglie uno stimolo esterno e lo traduce in informazioni, che saranno lette e codificate nella sua mente.

L’individuo può ricevere tanti stimoli, ma non è detto che tutti vengano notati: viene infatti effettuata una selezione degli stimoli.

Successivamente viene effettuato un processo di stereotipizzazione, ossia di classificazione.

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La percezione è soggettiva: accade spesso che gli individui percepiscano una stessa situazione in modo diverso.

Percepire è diverso dal sommare semplicemente delle sensazioni, ma significa organizzarle e conferire loro una forma, una struttura.

Di particolare rilevanza sono i principi dell’organizzazione percettiva: ciò che noi siamo e percepiamo e il modo in cui agiamo, sono il frutto di una complessa organizzazione.

Per comprendere il mondo circostante si tende ad organizzare i dati percepiti secondo svariate regole di organizzazione:

1. Regola figura/sfondo: la figura è percepita come un insieme ed è distinta dallo sfondo su cui è impressa.

2. Regola della buona forma: la struttura percepita è sempre la più semplice. Una forma quindi sarà percepita come “buona” quando genera una sensazione di armonia ed equilibrio

3. Regola della prossimità: raggruppiamo gli elementi in funzione delle distante, per cui si considerano componenti di un’unica unità gli elementi vicini piuttosto che quelli lontani.

4. Regola della somiglianza: stimoli simili vengono percepiti in modo raggruppato. È sufficiente infatti una minima spaziatura, un cambio di colore o un cambio di forma per vedere la figura in modo diverso.

5. Regola della chiusura: gli individui tendono a completare le figure e i suoni, fornendo un contorno semplice e completo

6. Regola dell’impostazione soggettiva/esperienza passata: si preferisce un’organizzazione delle informazioni coerente con le conoscenze di chi percepisce

Particolare importanza assumono le figure gestaltiche o bistabili, in cui ha rilevanza fondamentale l’organizzazione soggettiva (ossia il punto di vista, la lente) dell’osservatore, che determina quale immagine prevale sull’altra. Basti pensare a quelle immagini dove si vede o una vecchia o una ragazza.

Tali figure, solitamente ambigue, dimostrano come la percezione sia un processo fisiologico, attivo, dinamico e soggettivo.

2.2. I fattori di influenza del processo percettivo I fattori di influenza del processo percettivo sono:

• Caratteristiche dell’ambiente: l’ambiente viene infatti inteso come

o Contesto: ogni stimolo assume significato a seconda del contesto in cui avviene o si manifesta

o Relazione: il fatto di essere soli o on altri oggetti influenza le nostre percezioni

• Caratteristiche individuali: la personalità, gli stati d’animo, le emozioni, i desideri, i valori influenzano il modo in cui ciascuno di noi vede l’ambiente, vive le relazioni e interpreta gli eventi.

• Caratteristiche dell’oggetto percepito:

o Dimensioni: è più probabile notare oggetti di grandi dimensioni o Intensità dello stimolo: suoni forti si sentono

o Contrasto: fattori esterni che si stagliano su uno sfondo si notano di più o Movimento

o Ripetizione

o Novità o familiarità o Ambiguità

o Caratteristiche altrui

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2.3. Le distorsioni della percezione interpersonale

Ogni volta che si attiva un giudizio su qualcuno, la nostra mente può essere soggetta a distorsioni, veri e propri errori percettivi che nascono dal fatto che per esprimere quel giudizio usiamo

pochissime informazioni.

I principali errori di percezione sono:

• Prima impressione

• Effetto alone

• Profezia che si auto-avvera

• Proiezione

• Stereotipi

• Teoria implicita di personalità La prima impressione

La prima impressione consiste nel basare il giudizio sulla persona sulle poche informazioni raccolte durante le prime osservazioni e interazioni con la persona stessa.

Le impressioni più forti e durevoli tendono a formarsi nelle prime fasi di una relazione.

Il primo giorno di lavoro ad esempio diventa critico porre attenzione a tutti i particolari e gli atteggiamenti che si pongono in essere.

ESEMPIO: Uno studio di una psicologa ha mostrato ad alcuni studenti un video della durata di 10 secondi senza sonoro di altri insegnanti e ha scoperto che gli studenti non avevano alcuna difficoltà nel giudicarne la bravura. Ha successivamente ridotto i filmati a 5 secondi, e i risultati erano gli stessi. I risultati erano molto simili anche quando ha mostrato il filmato per soli 2 secondi. La psicologa ha poi confrontato i giudizi di altri studenti espressi dopo un semestre di lezione con gli stessi insegnanti e ha verificato che erano quasi identici.

ESEMPIO: Il primo giorno di lavoro è un momento critico che si ripercuote sul rapporto di lavoro perché la prima impressione è fondamentale. Sarebbe meglio quindi non essere arroganti né dismessi e tenere una postura aperta e sguardo diretto.

Per quanto riguarda l’abbigliamento, l’abito deve essere coerente con il posto di lavoro.

Dimostrarsi interessati, curiosi e collaborativi. Fondamentale è anche l’ascolto: osservare le dinamiche, memorizzare i nomi dei colleghi e superiori e fare attenzione alle relazioni.

L’effetto alone

L’effetto alone rappresenta la situazione in cui l’uso di una o di poche caratteristiche e/o attributi di una persona influenza la valutazione e si estende agli altri attributi.

Troviamo negli altri un particolare attributo che si predilige o che non si ama affatto; questo dettaglio può influenzare il giudizio generale su una persona o su un evento.

Ad esempio, c’è la tendenza a conferire all’uomo barbuto qualità e caratteristiche della personalità socialmente positive.

ESEMPIO: Un gruppo di psicologi ha fatto un esperimento: gli stessi compiti di esame furono scritti in doppia copia, una con brutta calligrafia e l’altra con bella calligrafia, e consegnati a due gruppi di esaminatori. La media dei voti assegnati a quelli scritti con la calligrafia esteticamente bella fu più elevata rispetto agli altri, anche se agli esaminatori era stato detto di non tenerne conto.

La profezia che si auto-avvera

Si tratta di una supposizione che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, confermando in tal modo la propria veridicità.

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Aspettarsi con convinzione che accadranno alcune cose influenza il comportamento di colui che sviluppa tali aspettative, al punto che diventa altamente probabile che si verifichi ciò che ci si attendeva.

Se svilupperemo aspettative positive nei confronti del nostro interlocutore, questi si comporterà in modo da confermare le nostre aspettative.

La proiezione

Si tratta di un processo psicologico attraverso cui le persone attribuiscono proprie caratteristiche, attributi, o tratti di personalità ad altri.

È la tendenza da parte delle persone a vedere negli altri le proprie caratteristiche.

Per esempio, può accadere che una persona ci stia simpatica perché ci accorgiamo che come noi presta particolare attenzione a valori, gusti e sensibilità.

Gli altri quindi sono visti come proiezioni di noi stessi.

Stereotipi

Gli stereotipi sono un sistema di credenze e convinzioni relativo alle caratteristiche o attributi di un gruppo o categoria sociale: si crede che tutti i membri di uno specifico gruppo condividano tratti e comportamenti simili, senza attivare processi di analisi approfonditi.

Inizialmente si categorizza la persona in un gruppo in base alla razza, al genere, al lavoro, ecc…

dopodiché si suppone che tutti gli individui che appartengono a quel determinato gruppo possiedano le stesse caratteristiche.

In base alle credenze che ci costruiamo, interpretiamo di conseguenza il comportamento degli altri.

Teoria implicita della personalità

Si forma facendo attribuzioni e inferenze basandosi su credenze generiche circa i comportamenti attesi legati a determinati attributi.

Si attribuiscono e associano coppie di caratteristiche alla stessa persona attraverso una

generalizzazione, per esempio: “gli individui onesti sono grandi lavoratori”, “chi dorme fino a tardi è pigro”.

Questa teoria si basa sulla convinzione comune che certi tratti della personalità si presentano insieme.

Alla base c’è un vero e proprio processo di apprendimento per associazione in base al quale, se due eventi si presentano in successione con una certa frequenza, l’accadere di un solo evento basta per essere associato all’altro.

La teoria implicita di personalità ha la caratteristica di essere condivisa all’interno di uno stesso contesto storico e culturale.

2.4. La teoria dell’attribuzione

La teoria dell’attribuzione si basa sul presupposto che ogni individuo cerca di comprendere le possibili cause dei propri comportamenti e di quelli che osserva, stabilendo continuamente relazioni causa-effetto.

I comportamenti possono essere attribuiti a cause esterne (fenomeni fuori dal controllo dell’individuo) o cause interne (sotto il controllo dell’individuo).

Questo processo non sempre è consapevole, ma si attiva quando:

• Al soggetto che percepisce è stata posta una domanda diretta sul comportamento di un altro

• Accade un evento inaspettato

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• Il soggetto che percepisce prova sensazioni di fallimento/perdita di controllo

Una volta attivato il processo, i comportamenti vengono attribuiti a cause interne o esterne in funzione del livello di:

• Consenso à quanto gli altri si comportano come X in quella situazione?

• Distintività à in che misura X si comporta in questo modo anche in altre situazioni?

• Coerenza à in che misura X si comporta in questo modo anche in altri momenti?

In generale, quando tutte e tre le dimensioni sono alte, il soggetto che percepisce tenderà ad attribuire il comportamento della persona osservata a fattori esterni.

Sono da considerare altri due fattori che possono influenzare il processo di attribuzione:

• Privacy dell’atto: se le azioni che si stanno osservando sono agite in privato, si tende ad attribuire le cause delle azioni agite all’interno. Se invece ci sono altre persone, si tende ad attribuire le cause dell’agire alla pressione sociale e quindi all’esterno.

• Status: tendenzialmente si crede che un individuo di status sociale elevato sia più responsabile del proprio agire e abbia maggiore possibilità di controllo.

Nell’identificare le cause del comportamento individuale però spesso si commettono alcuni errori.

In particolare, nel caso in cui giudichiamo il comportamento altrui, possiamo commettere l’errore fondamentale di attribuzione. Vi è infatti la tendenza a sottovalutare l’influenza dei fattori

situazionali e sopravvalutare l’influenza dei fattori personali, ovvero vi è la tendenza ad attribuire le cause del comportamento degli altri alle caratteristiche della persona.

Nel caso in cui giudichiamo il nostro comportamento, tendenzialmente siamo più clementi: si tratta di un bias auto-funzionale, ossia un processo per cui gli individui si attribuiscono il merito del successo, ovvero conferiscono il proprio successo a dei fattori interni e attribuiscono il proprio insuccesso a fattori esterni.

CAPITOLO 3: IDENTITA’

3.2 L’identità e la tensione tra distintività e similarità

L’identità di un individuo può essere definita e analizzata lungo 3 dimensioni: l’identità di ruolo, l’identità sociale e l’identità personale.

3.2.1. L’identità di ruolo

L’identità di ruolo si riferisce alle posizioni che l’individuo occupa all’interno della società, dunque si focalizza su ciò che un individuo fa e sulla funzione che svolge.

Un individuo può occupare posizioni sociali che si distinguono in tre tipologie:

• Posizioni sociali normative: studente, lavoratore, ecc.

• Posizioni sociali contro-normative: criminale, alcolista, homeless, ecc.

• Posizioni sociali basate su interessi, attività, abitudini: attivista politico, volontario, ecc.

A ogni posizione nella società corrispondono determinate aspettative che guidano gli

atteggiamenti e i comportamenti degli individui. L’insieme di queste aspettative coincide con il ruolo. Per ogni posizione possono esserci più aspettative: ad esempio, per la posizione sociale di

“studente” possono corrispondere aspettative del tipo “passare gli esami”, “acquisire un titolo” e così via.

Il ruolo quindi fornisce agli individui una struttura, un’organizzazione e un significato per i propri comportamenti e azioni.

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I ruoli sono appresi attraverso la famiglia, i social media, la scuola, il luogo di lavoro: gli individui infatti imparano cosa significhi essere uno studente attraverso la socializzazione e l’interazione con gli altri. Le reazioni degli altri nei confronti delle modalità con cui l’individuo agisce

rappresentano un feedback utile e in grado di influenzare le future azioni dell’individuo stesso.

Un ruolo poi può essere definito in maniera complementare rispetto ad un altro ruolo:

padre/figlio, moglie/marito, e così via.

L’individuo poi ha un’interpretazione personale del ruolo e dunque a seconda del contesto più o meno forte, l’individuo potrà dare maggiore o minore spazio alla dimensione personale.

Se la dimensione sociale è debole (non è chiaro quali debbano essere le aspettative), allora i margini di libertà dell’individuo sono elevati. Viceversa, se la dimensione sociale è forte ed è molto chiaro cosa significa occupare una certa posizione i margini di libertà dell’individuo sono più ridotti.

Ogni individuo, combinando la dimensione sociale con quella personale, definisce la propria identità standard, ossia come vorrebbe agire la propria identità.

Possono esserci degli scostamenti tra ciò che una persona vorrebbe (identità standard) e ciò che fa (identità agita). La conseguenza di questo disallineamento sarà una diminuzione della propria soddisfazione nei confronti del ruolo e, con il ripetersi del disallineamento nel tempo, l’individuo potrebbe arrivare ad abbandonare la posizione.

Ogni individuo può attribuire una differente importanza alle diverse identità di ruolo che lo definiscono.

3.2.2. L’identità sociale

Gli individui sono membri di gruppi sociali. L’appartenenza ai gruppi definisce l’identità sociale dell’individuo, il quale si definisce come membro di un certo gruppo e si identifica con esso, oppure sono gli altri a definire l’individuo come membro di un certo gruppo.

Cos’è un gruppo sociale? Deve essere composto da almeno 3 persone che:

a) Si identificano e si vedono nello stesso modo

b) Condividono la stessa definizione di chi sono, dei loro attributi e di come si relazionano con gli altri

Sono esempi di gruppi sociali il genere, l’età, la preferenza religiosa, l’orientamento politico, ecc.

Per individuare un gruppo sociale è necessario definire precisamente le coordinate spazio-

temporali che si considerano, poiché essere donna nel 2015 è molto differente rispetto ad essere donna nel 1930.

L’identità sociale rappresenta quindi una semplificazione di come dobbiamo comportarci e di come ci aspettiamo si debbano comportare gli altri.

Un individuo poi può appartenere a più gruppi sociali e in funzione del contesto e/o preferenze personali è possibile decidere quali identità sociali attivare. Questa scelta si basa su quanto l’identità sociale sia accessibile, ossia prontamente disponibile nella mente dell’individuo, e quanto l’identità sociale sia utile per dare senso a una situazione in termini di fit comparativo e/o fit normativo.

Esistono delle sovrapposizioni tra identità di ruolo e identità sociale: entrambe riguardano ad esempio quanto un individuo è simile ad altri individui.

“Essere lavoratore” ad esempio è sia un’identità di ruolo che un’identità sociale: si tratta di un’identità di ruolo quando l’essere lavoratore è calato all’interno di una realtà organizzativa, mentre si tratta di identità sociale quando l’essere lavoratore è concepito come una collettività cosciente di essere tale (ad esempio nell’esortazione “Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!”).

3.2.3. Identità personale

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L’identità personale può essere definita come quell’insieme di significati che sono collegati all’individuo e lo sostengono nella sua unicità, senza essere condivisi con gli altri.

Anche per l’identità personale l’individuo sviluppa un’identità standard, ossia l’insieme dei significati che l’individuo attribuisce alla propria identità personale. L’identità standard viene poi verificata nelle situazioni concrete.

3.2.4. L’identità di un individuo

L’identità di un individuo si concretizza attraverso la dinamica che si crea tra le tre dimensioni viste precedentemente (identità di ruolo, sociale e personale).

L’identità personale definisce l’unicità e la distintività dell’individuo, mentre le altre due

dimensioni (di ruolo e sociale) definiscono la similarità dell’individuo rispetto a gruppi di individui.

L’individuo deve quindi decidere come agire la propria identità tenendo conto della propria personalità/valori e del giudizio altrui. Se c’è dissonanza tra l’identità secondo l’individuo e

l’identità secondo la società, l’individuo può decidere di ridurre tale dissonanza modificando il suo personale modo di agire l’identità, conformandosi quindi alle norme sociali o decidendo di

convivere con la dissonanza deviando dalla norma.

3.3. La percezione sociale e il processo di categorizzazione

La percezione sociale è quando l’oggetto della percezione è una persona.

La percezione è influenzata da:

1. Il contesto/situazione in cui avviene 2. Gli aspetti cognitivi di chi percepisce 3. Gli aspetti emotivi di chi percepisce

Nel caso della percezione sociale e, in particolare della categorizzazione sociale, l’individuo confronta lo stimolo esterno e le informazioni a esso connesse con un prototipo.

Il prototipo è una rappresentazione di un membro idealtipico di un gruppo o categoria sociale, ed è caratterizzato da un insieme di attributi connessi l’uno all’altro in maniera significativa che catturano la similarità di chi è nel gruppo e la diversità di chi è fuori dal gruppo.

Il prototipo è inoltre condizionato da una dialettica tra le caratteristiche dell’individuo che percepisce e le caratteristiche del contesto socio-culturale.

I prototipi infatti non nascono dal nulla ma sono influenzati/condizionati dalla società.

Se lo stimolo è un individuo, l’esito del processo di percezione e di categorizzazione è la classificazione dell’individuo in gruppi/categorie.

Il processo di percezione si basa in parte su stimoli e informazioni nuove e in parte su informazioni immagazzinate richiamate alla comparsa di un nuovo stimolo.

Il processo di categorizzazione si può sviluppare verso sé stessi (identificazione) o verso gli altri (categorizzazione). L’identificazione e la categorizzazione possono essere allineate o disallineate:

se sono allineate io mi definisco come gli altri mi definiscono, se invece sono disallineate significa che mi definisco in un modo differente rispetto al modo in cui gli altri definiscono me.

Poniamo l’attenzione sulla categorizzazione: quando andiamo a categorizzare qualcuno come membro di un gruppo lo vediamo attraverso le lenti del prototipo, lo misuriamo rispetto al prototipo e gli assegniamo gli attributi del prototipo. Si verifica quindi una de-personalizzazione, ossia si attribuisce all’individuo le caratteristiche del gruppo/categoria di cui fa parte.

La de-personalizzazione è l’anticamera dello stereotipo, il quale rappresenta un sistema di credenze e convinzioni relative alle caratteristiche di un gruppo o categoria sociale.

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