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Pronto soccorso: cosa sapere per non fare la fila e aspettare

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Pronto soccorso: cosa sapere per non fare la fila e aspettare

written by Redazione | 05/11/2017

Come rivolgersi al servizio privato senza pagare. I diritti del malato quando entra in un pronto soccorso: il modo per non aspettare i lunghi tempi di attesa.

Quando si parla di inefficienza della sanità pubblica, il pensiero corre subito agli ospedali, alle liste di attesa, ai codici di priorità del triage, alle interminabili file all’accettazione, agli infermieri che invitano i pazienti ad essere pazienti e ad aspettare: pronti soccorso pieni di malati seduti su sedie e barelle, in apprensione e nel timore che, quando arrivi il medico di turno, il danno non sia ormai irreparabile. Se da un lato è vero che le liste di attesa negli ospedali sono quel classico muro di gomma contro il quale sembra che l’unica alternativa sia lo studio privato, è però vero che quelle poche – e spesso risolutive – alternative previste dalla legge non sono spesso conosciute dai pazienti. Non è tanto una questione di

«superare la fila» e avere la meglio rispetto agli altri malati, anch’essi probabilmente con la stessa premura, quanto piuttosto di far valere i propri diritti e sfruttare quei “corridoi” della sanità che, a volte, restano completamente vuoti.

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Ecco dunque cosa sapere per non fare la fila e aspettare al pronto soccorso. Parleremo qui di seguito dei diritti del paziente nel momento in cui si interfaccia con una struttura ospedaliera e come evitare di dover subire le inefficienze della sanità pubblica. Certo, tra questi diritti – si potrà dire – c’è innanzitutto quello di ricorrere al giudice per ottenere tutela; ma i tribunali presentano tempi di attesa superiori a quelli del pronto soccorso. E il nostro obiettivo, in questo articolo, è tenere il malato almeno dalle aule giudiziarie, laddove possibile. Ecco come.

Tempi di attesa massima per una visita medica specialistica

A chi è capitato di prenotarsi in ospedale per una visita medica specialistica e di sentire poi riferire, dall’addetto alla ricezione dei pazienti, la data dell’appuntamento per il controllo, sembrerà davvero strano ciò che stiamo per dire. La legge individua dei tempi certi e brevi entro cui l’azienda sanitaria deve garantire le prestazioni mediche. In particolare il paziente deve ottenere una visita medica specialistica entro massimo 30 giorni. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, non si tratta di un termine indicativo, che può essere allungato in presenza di un numero eccessivo di malati ed esiguo di medici. Il termine è perentorio e, se non rispettato, scattano una serie di tutele che, a breve, illustreremo.

Tempi di attesa massima per un esame diagnostico

Non solo per le visite mediche, ma anche per gli esami diagnostici come tac, risonanze magnetiche, raggi, ecografie, mammografie, colonoscopie, l’ospedale non deve sforare i tempi prestabiliti dalla legge. In questo caso il paziente ha diritto ad avere la prestazione richiesta entro 60 giorni. Anche qui, è difficile trovare – se non forse nei piccolissimi centri – una struttura che rispetti le date.

Risultato: chi se lo può permettere si rivolge alla clinica privata, paga di più (molto di più) e ha la meglio rispetto invece a chi, con una pensione bassa, è costretto ad attendere.

Come ristabilire l’uguaglianza dei diritti e non creare situazioni in cui esistono

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pazienti di serie A e pazienti di serie B?

Intramoenia pagando solo il ticket

Per non fare la fila e aspettare in pronto soccorso esistono alcune alternative. È noto il funzionamento dell’intramoenia (o prestazione

«intramuraria»): si tratta della possibilità di chiedere la visita specialistica o l’esame diagnostico in regime «privato», ma all’interno dell’ospedale pubblico, pagando una tariffa che non è il ticket. In questo caso i medici svolgono l’attività richiesta dal paziente al di fuori del normale orario di lavoro utilizzando le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso, ma vengono pagati come se fossero in uno studio privato. Il medico deve rilasciare una fattura e la spesa è detraibile dalle tasse per il 19%, così come per tutte le spese medico-sanitarie. Le prestazioni a cui si può accedere con l’intramoenia sono le stesse che il medico deve erogare mediante il Servizio Sanitario Nazionale, attraverso la normale operatività come medico ospedaliero.

Quel che però spesso non si sa è che un decreto legislativo del 1998 [1] ha stabilito che, tutte le volte in cui l’ospedale non riesce a garantire al paziente il rispetto dei termini massimi previsti dalla legge per le visite specialistiche (30 giorni) o per gli esami diagnostici (60 giorni), il malato può pretendere che la medesima prestazione gli sia fornita dal medico, in regime privato, ossia attraverso l’intramoenia, non pagando alcun costo aggiuntivo se non il normale ticket. Non si tratta certo di una novità. Però, in pochi ne sono a conoscenza e, in questo, sono colpevoli molte Asl che non danno la giusta informazione (e spesso, non pubblicano neanche il modulo con la richiesta) per quanto invece dovrebbe essere una procedura standard e immediata.

Dunque, al momento della prenotazione della visita specialistica o diagnostica si ha diritto a conoscere la data in cui la prestazione richiesta verrà effettuata e il tempo massimo di attesa per quella prestazione. Se tale data supera i limiti previsti dalla legge o se non viene indicata alcuna data, e il servizio si riserva di comunicarla successivamente, significa che la lista d’attesa è bloccata e che la prestazione non può essere garantita entro i tempi massimi stabiliti. A questo punto il cittadino può pretendere che la medesima prestazione gli sia fornita privatamente senza costi aggiuntivi rispetto al ticket.

Vediamo dunque tutti i passi per usufruire di questo diritto spesso sconosciuto che,

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tuttavia, consente di superare le liste di attesa al pronto soccorso. Tutto ciò che bisogna fare è seguire questi passi.

La prima cosa da fare per ottenere una risonanza, una ecografia, i raggi o qualsiasi altro esame diagnostico oppure per farsi visitare in ospedale, il tutto mediante il sistema “privato”, ma pagando solo il ticket, è scaricare e compilare l’istanza per prestazione in regime di attività libero-professionale intramuraria. La puoi trovare al cliccando qui, anche se ogni Asl deve metterla a disposizione dei propri pazienti (sul sito o presso gli uffici). Se l’addetto allo sportello dovesse dirti che

“non ne sa nulla” puoi citargli questa pagina e l’articolo di legge che trovi in nota [1]. Come evidente, l’istanza contiene alcune specifiche importanti:

al paziente deve essere stato prescritto un particolare accertamento diagnostico o una visita specialistica (bisognerà indicare quale);

il Cup deve aver comunicato l’impossibilità di prenotare la prestazione richiesta prima della data del … (si dovrà indicare la data che, come detto, deve essere superiore a 30 giorni per le visite specialistiche e 60 per gli accertamenti come Tac, risonanza magnetica, raggi, ecografie, ecc.);

la prestazione ha carattere urgente, incompatibile con i tempi di attesa indicati;

in mancanza di prenotazione in regime di attività libero-professionale intramuraria come sopra richiesta, la suddetta prestazione verrà effettuata privatamente, con preavviso di successiva richiesta di rimborso da parte dell’Azienda.

Con questa istanza il malato chiede quindi che che la prestazione richiesta (visita medica specialistica o esame diagnostico) venga resa in regime di attività libero-professionale intramuraria (o intramoenia, che dir si voglia), con onere a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Insomma, quando la prestazione è urgente ed è incompatibile con i tempi di attesa, il malato si può imporre e chiedere che l’ospedale garantisca la visita specialistica medica in intramoenia senza pagare alcunché oltre al ticket oppure, in assenza, potrà recarsi dal medico privato e poi chiedere il rimborso all’Asl.

Andare dal privato e chiedere il rimborso

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all’Asl

Esiste un altro metodo per saltare le liste di attesa al pronto soccorso, da utilizzare anche qualora l’Asl non garantisca il diritto alla prestazione in intramoenia pagando solo il ticket. Secondo alcuni giudici (e ciò viene confermato anche nel facsimile dell’istanza che abbiamo appena commentato) il malato costretto a curarsi presso cliniche private non convenzionate a causa delle interminabili liste di attesa all’ospedale, incompatibili con il proprio stato di salute, e quindi in condizioni di gravità e di rischio per la propria salute può rivolgersi al privato (ossia allo studio o presso l’ambulatorio del medico privato o presso una clinica) ed ottenere, dal Servizio Sanitario Nazionale, il rimborso delle spese sostenute.

Secondo le sentenze in commento (tra cui una recente del Tribunale di Castrovillari in provincia di Cosenza; leggi L’Asl rimborsa le cure in strutture private);

tali prestazioni mediche costituiscano – a causa delle specifiche condizioni cliniche o di rischio del paziente – un significativo beneficio in termini di salute;

e, nello stesso tempo, non sia possibile effettuare cure dello stesso tipo presso strutture pubbliche o convenzionate oppure non sia possibile farle entro i tempi previsti per legge.

Triage: a ciascuno il proprio codice, colore o numero

Nel momento in cui il paziente arriva in ospedale, scatta il cosiddetto triage ossia una procedura di accoglienza che assegna a ciascun paziente, a seconda della gravità, un codice di priorità. Ad esempio, il colore rosso è quello previsto per i pazienti che presentano patologie più gravi ed urgenti; c’è poi il giallo per chi non è a rischio ma comunque ha ugualmente bisogno di pronte cure; infine scatta il verde per tutti gli altri che “possono aspettare”. Il codice bianco è quando non c’è alcuna urgenza e il nero è per il paziente già deceduto. Infine c’è il blu per chi ha una funzione vitale compromessa e viene assegnato fuori dal reparto ospedaliero.

Nel 2016 i colori dovevano essere superati dai numeri (rivoluzione non ancora attuata):

codice 1: è il vecchio codice rosso, per le emergenze in cui si rischia la vita;

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codice 2: è il vecchio codice giallo, per le urgenze, cioè per quei casi in cui viene riscontrato un rischio di compromissione delle funzioni vitali ma il paziente si presenta stabile, pur con dolore acuto o probabilità di peggiorare;

codice 3: sono le urgenze che possono attendere ma che necessitano di prestazioni complesse;

codice 4: sono le urgenze minori (insieme al codice 3 si può paragonare al codice verde);

codice 5: sono le non urgenze, cioè per quei casi noti come codici bianchi.

Il punto però è che non sempre il paziente ricevere in assegnazione il giusto colore (o numero); così, a volte, chi ha particolare urgenza viene fatto aspettare più del dovuto. Ebbene, secondo la Cassazione [2], se l’infermiere sbaglia e, sottovalutando i sintomi del malato, gli assegna una priorità più bassa e da ciò deriva un danno che sarebbe stato evitato o ridotto con un intervento rapido l’ospedale è tenuto al risarcimento del danno. L’ospedale è ovviamente assicurato, ma se anche il risarcimento verrà erogato dalla compagnia assicuratrice, la richiesta di indennizzo va presentata comunque all’Asl.

Pronto soccorso: il medico deve visitare anche i pazienti meno gravi

Spesso si dimentica che, anche nei casi meno gravi, con codice verde, il medico deve visitare i pazienti che si sono recati al pronto soccorso. Diversamente il sanitario commette il reato di omissione di atti d’ufficio e può essere denunciato. In altri termini, qualora il paziente si rechi di notte in ospedale, il medico non può differire la visita al giorno dopo anche se non c’è un codice rosso.

Chi si presenta al pronto soccorso, lamentando un disturbo, ha il diritto di essere visitato secondo il codice fornito dal triade; il medico di turno ha l’obbligo di verificare innanzitutto la gravità della situazione e formulare una prima diagnosi, in modo da scongiurare patologie di intensità tale da richiedere un intervento sanitario tempestivo.

L’obbligo di visitare e formulare una diagnosi sussiste anche quando al paziente è assegnato il codice verde. Il codice, infatti, serve solo a definire un ordine di visita (per dare priorità ai casi più gravi), ma non ad esenta il medico dal dare corso alla visita medica, neppure quando la patologia lamentata dal malato, ad un primo

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screening del personale paramedico, appare non grave.

Presentare reclamo

La Carta dei servizi Sanitari e il Regolamento di pubblica sicurezza prevedono, nell’ipotesi di violazione dei diritti malato (e quindi in caso di negazione o limitazione delle prestazioni sanitarie, ivi compresi i tempi di attesa troppo lunghi al pronto soccorso), la possibilità per ogni cittadino di presentare (oltre alla consuete denunce presso i Carabinieri) un reclamo scritto all’Ufficio relazioni con il pubblico (Urp) della struttura in cui è avvenuto il disservizio oppure al direttore generale dell’Asl di riferimento. La segnalazione, da eseguire entro 15 giorni, può consistere in:

una lettera in carta semplice, anche con appositi moduli disponibili presso l’URP;

una segnalazione telefonica;

una segnalazione effettuata da un’associazione di volontariato o di tutela.

Il paziente ha sempre diritto a una riposta sulle ragioni del pregiudizio alla sua salute e, se non la ritiene soddisfacente, può chiedere il riesame della segnalazione rivolgendosi ad un’associazione di tutela. Quest’ultima chiederà l’attivazione della Commissione Mista Conciliativa formata da rappresentanti della Asl e da esponenti delle associazioni di rappresentanza degli utenti e presieduta dal Difensore Civico (o da un suo delegato).

Non sono previsti risarcimenti: per ottenere un indennizzo economico sarà necessario ricorrere al giudice.

L’app per smartphone che evitare la fila al pronto soccorso

Forse non lo sai ma esiste anche un’app per evitare la fila al pronto soccorso. Tutto però dipende dall’azienda sanitaria: alcune di queste consentono di consultare online sul proprio sito il numero di persone in coda al Pronto Soccorso in modo quantomeno da scegliere quello dove c’è meno attesa. Alcune Asl hanon anche realizzato un’app da installare sullo smartphone che all’istante consente, a chi ha un’emergenza, di trovare il Pronto Soccorso più vicino e con meno persone in coda.

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È il caso, ad esempio, della Regione Veneto.

Malattie croniche

È vero, al pronto soccorso ci sono le file, ma è anche vero che non tutti coloro che sono in fila hanno davvero urgenza. E invece al pronto soccorso bisognerebbe recarsi solo nei casi di necessità. Per tutte le altre ipotesi esistono soluzioni alternative. Per le cosiddette «cure primarie» l’assistenza al paziente deve essere gestibile attraverso altri livelli assistenziali. Si pensi al paziente anziano o affetto da cronicità: questi ha la possibilità di essere preso in carico da équipe multidisciplinari che lavorano presso strutture definite «Dipartimenti per le cure primarie» presenti in ogni azienda sanitaria. In essi rientrano le cosiddette case della salute e gli ospedali di comunità.

Il paziente non deve recarsi presso il pronto soccorso, ma direttamente presso tali strutture che gestiscono solo le condizioni di «non emergenza-urgenza». Poi ci sono le associazioni dei medici di medicina generale, attraverso le quali il paziente dovrebbe aver garantita una assistenza 24 ore su 24, attraverso la turnazione dei medici di medicina generale e, in notturna, grazie alla comunemente detta

«guardia medica». In parole povere, nella casa della salute vengono fornite prestazioni specialistiche ambulatoriali; mentre le associazioni dei medici di medicina generale garantiscono invece l’assistenza sanitaria di base (ad es.:

prescrizioni, prestazioni ambulatoriali non specialistiche, ecc.). Anche le case della salute assicurano assistenza per 24 ore al giorno.

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