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Sintesi sul testo, dei concetti più importanti della Lettera Enciclica. Fratelli Tutti di Papa Francesco

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Academic year: 2022

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Sintesi sul testo, dei concetti più importanti della Lettera Enciclica

“Fratelli Tutti” di Papa Francesco

L’introduzione presenta il lavoro svolto dal Santo Padre in un delicato momento storico, per porre una viva attenzione verso gli elementi essenziali e costitutivi dell’umanità: la Fraternità universale, la Solidarietà comune, l’interesse di bene reciproco, insieme ad una rivalutazione dei valori primari come la Speranza, la Carità e la Fiducia.

Lo stesso concetto di Fraternità naturale, anche quello presente nella Bibbia, ai fini di questo discorso appare insufficiente, perché “fratelli si nasce, ma prossimi si diventa”, allora si tenta di approfondire il tema della reciprocità, che definisca una vicinanza, una cura attenta. Il legame di sangue viene superato nell’esigenza di una fratellanza che unisce ogni uomo, come figli dello stesso Padre.

Si considerano poi gli aspetti pratici: l’analisi della proprietà privata e l’attività imprenditoriale, il contesto politico in cui si sviluppa la civiltà e le influenze dei partiti del potere che vogliono governare per asservire. Inoltre questa Enciclica segna la fine della “guerra giusta”, in quanto non esiste e l’abolizione della pena di morte, che risulta “inammissibile”.

“La fraternità è aurora, è rugiada (Sal 133,3), ma quel sole non mantiene a mezzodì tutto lo splendore dell’alba se il sangue non diventa spirito, e se poi non rinasciamo nuove creature in questo spirito”. (pag.19)

I Capitolo

Alcune tendenze del mondo attuale ostacolano lo sviluppo della fraternità universale, inoltre il bene e la solidarietà non si raggiungono una volta e per sempre, vanno conquistati ogni giorno. La società globalizzata ci rende vicini, ma non fratelli, poiché questo sistema favorisce l’identità dei più forti, rendendo i popoli deboli e poveri, maggiormente vulnerabili e dipendenti dagli altri.

Si diffonde il “decostruzionismo”: le ideologie de-costruiscono tutto ciò che è diverso, attraverso una subdola convinzione posta tra i giovani, affinché disprezzino la storia, rifiutino la ricchezza umana e spirituale tramandata da generazioni e ignorino ciò che li ha preceduti. Inoltre il modo migliore per dominare è seminare sfiducia, esasperare, esacerbare, ridicolizzare i piccoli, i bisognosi, insinuare sospetti su di loro.

Questa cultura, priva di un progetto comune, di fronte all’inevitabile esaurimento delle risorse, produce uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. Le persone, non essendo più sentite come un valore, la mancanza dei figli, insieme all’abbandono delle persone anziane e ad una dolorosa solitudine, determina la cultura dello “scarto”, dimostrando che i progressi non sono assicurati una volta per sempre. Persistono forme di ingiustizia, e se da una parte l’umanità vive nell’opulenza, un’altra vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata, calpestata ed i suoi diritti ignorati o violati. Bambini, donne e uomini ridotti in condizioni assimilabili alla schiavitù, infine la solitudine, le paure, l’insicurezza creano un terreno fertile per l’insediamento delle nuove mafie, che si presentano protettrici dei dimenticati, mentre perseguono i loro interessi criminali.

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Papa Francesco insieme al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb apprezza i progressi scientifici nella tecnologia e nella medicina, ma evidenzia il deterioramento dell’etica e l’indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità. “Come sarebbe bello se, mentre scopriamo nuovi pianeti lontani, riscoprissimo i bisogni del fratello e della sorella che mi orbitano intorno!” (pag.45)

Attraverso la tragedia globale della pandemia del covid-19 è venuta alla luce il concetto di appartenenza comune. Ma non possiamo permettere che alla fine sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Allora agiamo affinché questo grande dolore non sia inutile e facciamo un salto, scoprendo che abbiamo bisogno gli uni degli altri.

La stessa considerazioni dei migranti, considerati non degni di partecipare alla vita sociale, è inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità. “Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo” (pag.50) Liberiamoci dai condizionamenti e dalle paure che ci privano del desiderio e della capacità di incontrare l’altro.

Allo stesso modo crescono atteggiamenti di chiusura e di intolleranza: mentre viene meno il diritto all’intimità, tutto diventa spettacolo, posto sotto gli occhi di tutti, che si prendono il diritto di invadere la vita degli altri, mancando di rispetto e aggredendo verbalmente fino a conseguenze molto gravi. La connessione non è in grado quindi di unire l’umanità e l’aggressività sociale trova qui uno spazio di diffusione senza uguali. Si tollerano episodi di diffamazione, calunnie anche tra cristiani.

Si attua il meccanismo di selezione, prediligendo solo una cerchia di persone, e si manca di ascolto verso l’altro per mancanza di tempo e di interesse. Venendo meno il silenzio e l’ascolto, si mette in pericolo la struttura basilare di una saggia comunicazione umana. Dietro le tendenze che mirano ad omogeneizzare il mondo, affiorano interessi di potere, i quali attraverso i media stabiliscono una nuova cultura al servizio del più forte.

Ma Dio continua a seminare germi di bene. Egli ci invita alla speranza, ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza , di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande e che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso la bontà, la bellezza, la giustizia e l’amore.

II Capitolo

Il tema centrale di questo capitolo ruota intorno alla figura del Buon Samaritano, intorno a cui si muovono diversi personaggi, nei quali possiamo identificarci. Si tratta anche in questo caso di un richiamo al perseguimento del bene comune, a partire dalla costruzione di rapporti umani propositivi e benefici. Allo stesso tempo la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a se stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana, “non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita” (pag.68)

Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buon samaritani oppure viandanti indifferenti, che passano a distanza; ma in fondo tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, dei briganti, di quelli che passano a distanza (compresi religiosi e credenti) ed infine del samaritano.

Ma piuttosto di chiedersi cosa possiamo fare davanti al male del mondo, smisurato per le nostre forze, che induce più al disincanto che allo spirito di solidarietà, o aspettarsi cambiamenti solo dalle azioni dei nostri governanti, lasciamoci coinvolgere dalla responsabilità di generare nuovi processi,

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in cui prendersi cura delle fragilità di ogni uomo è una priorità, con l’atteggiamento di prossimità del buon samaritano.

Gesù ci presenta il Buon Samaritano, considerato persona impura e spregevole, con la quale ci interpella, perché mettiamo da parte le differenze e davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque. L’incontro tra il samaritano ed il giudeo è una provocazione, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche e culturali, tutti gli interessi meschini.

Chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che

“gli conferisce con ciò una dignità infinita” (pag.78) La fede deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente, quando cominciano ad insinuarsi. Per questo è importante che le catechesi e la predicazione includano il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione dell’inalienabile dignità di ogni persona, e le motivazioni per amare ed accogliere tutti.

III Capitolo

Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza se non attraverso un dono di sé. E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri.

Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi “una specie di legge di estasi: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere”. Il senso sociale rimane annullato dietro intimismi egoistici, con l’apparenza di relazioni intense. L’amore autentico è orientato a renderci capaci di uscire da noi stessi, fino ad accogliere tutti.

La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, l’attenzione affettiva che si presta all’altro provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene. L’altro viene considerato prezioso, degno, al di là delle apparenze fisiche o morali. Nessuno matura isolandosi. Gesù ci ha insegnato che “Siamo tutti fratelli” (Mt 23,8) Questi fratelli poi, dovranno prendersi cura gli uni degli altri, perché ogni fratello o sorella sofferente abbandonato diventa un forestiero esistenziale, anche se nato nello stesso Paese. Sono i cosiddetti “esiliati occulti”, sentono di esistere, senza appartenere e senza partecipare, come le persone anziane con disabilità.

L’amicizia sociale, che va al di là delle frontiere non è un universalismo di chi ha bisogno di viaggiare continuamente, neppure quello autoritario o astratto, allo scopo di omologare tutto, che finisce per privare il mondo della varietà, della bellezza dell’umanità. “Si può imparare a vivere in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali” (pag.88). Nella Parabola del Buon samaritano i personaggi che passavano accanto senza fermarsi occupavano di certo professioni di prestigio nella società e l’uomo ferito rappresentava per loro un disturbo e non degno di considerazione. Il samaritano che resta fuori dalle categorie sociali è libero, ed è stato capace di cambiare i suoi programmi, per salvare l’uomo sofferente.

La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, poiché la mera somma di questi interessi non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, può concepirsi senza limitazioni e dunque diventare fonte di conflitti e di violenze. La distruzione di ogni fondamento

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della vita sociale finisce col metterci gli uni contro gli altri, proprio nell’atto di difendere i propri interessi, per questo ogni società deve trasmettere dei sani valori.

Pensiamo prima di tutto alle famiglie, chiamate ad una missione educativa primaria ed imprescindibile, insieme agli educatori, gli operatori culturali e ai formatori. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che è avere cura delle fragilità. Il servizio guarda il volto del fratello, sente la sua prossimità e soffre e gioisce insieme.

Tutti nasciamo con la stessa dignità e come comunità dobbiamo garantire che ogni persona abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Non si preclude la proprietà privata, ma questo diritto si può considerare secondario e derivato dal principio di destinazione universale dei beni creati. Riguardo gli imprenditori, le loro capacità sono un dono di Dio, che dovrebbero essere orientate al progresso delle altre persone ed al superamento della miseria.

Se allora partiamo dal concetto di Destinazione Universale dei beni della terra, quindi il diritto di tutti al loro uso, ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che proviene da un altro luogo e se il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese. In questo modo si assicura il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso, che a volte è ostacolato dal pagamento del debito estero, il quale va certamente saldato, ma non deve portare a compromettere la crescita e lo sviluppo.

“La pace reale è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione, al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana”(pag.106)

IV Capitolo

Riguardo il problema delle Migrazioni, l’ideale sarebbe evitare quelle non necessarie, creando nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e crescere con dignità, per raggiungere condizioni di sviluppo integrale, ma finché non ci sono progressi in tal senso, è doveroso rispettare il diritto di ogni essere umano a trovare un luogo dove realizzarsi pienamente come persona.

I verbi da usare in questi casi sono: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Bisognerebbe costruire città e Paesi, che conservando le rispettive identità culturali e religiose, si aprano alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana. Adottando varie strategie:

semplificare la concessione dei visti, aprire corridoi umanitari, offrire alloggi adeguati, assicurare assistenza, possibilità di aprire fondi bancari, prevedere programmi di custodia, garantire la libertà religiosa, preparare le comunità all’integrazione sociale. Gli Stati potrebbero sviluppare una legislazione globale per le migrazioni, stabilendo progetti che migliorino l’integrazione ed allo stesso tempo favoriscono lo sviluppo dei paesi di provenienza.

L’arrivo di persone diverse può dare frutti di arricchimento umano e solidale.”Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti, attraverso un dialogo paziente e fiducioso” (pag. 111)

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Sia in Oriente che in Occidente, è necessario stabilire e consolidare i diritti umani generali e comuni per garantire una vita dignitosa a tutti gli uomini, evitando l’uso della politica della doppia misura.

O ci salviamo tutti, o non si slava nessuno. L’ordinamento mondiale giuridico, a tale scopo, dovrà incrementare la collaborazione internazionale per lo sviluppo solidale di tutti i popoli, quindi si dovrà concedere anche alle Nazioni povere la possibilità di intervenire nelle decisioni comuni e consentirne l’accesso ai Mercati internazionali.

Si è diffusa la sbagliata convinzione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui, e che chiudendosi, si è più protetti, l’immigrato viene visto come l’usurpatore, così si arriva a pensare che i poveri sono pericolosi o inutili, e che i potenti sono generosi benefattori. Solo una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita potrà avere futuro.

Non c’è dialogo tuttavia con l’altro, senza la conferma della propria identità, così come l’amore tra i popoli è possibile solo a partire dall’amore per la propria terra, i propri tratti culturali. Il bene del mondo richiede che ognuno protegga ed ami la propria terra. L’universale non dev’essere il dominio omogeneo, uniforme di un’unica forma culturale imperante, ma evidenziare le peculiarità di ciascun paese e le sue ricchezze umane e culturali. I narcisismi localistici pertanto nascondono uno spirito chiuso, che preferisce costruire mura difensive per preservare se stesso, ma non è possibile essere locali in maniera sana, senza interpellarsi da ciò che succede altrove e la vita locale non si lascia completare dall’altro, diventa statica e si ammala. “Una cultura senza valori universali non è una vera cultura” (pag.119)

Allo stesso modo per una persona, senza il rapporto ed il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di sé stessi e della propria terra. Una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Una cultura viva integra le novità secondo modalità proprie e questo provoca la nascita di una nuova sintesi che va a beneficio di tutti. Il mondo cresce grazie a innumerevoli sintesi che si producono tra culture diverse, fuori da ogni imposizione culturale.

La consapevolezza del limite non sarà più una minaccia, ma la chiave per sognare ed elaborare un progetto comune, perché “l’uomo è l’esser-limite che non ha limite”. Un’autentica apertura al mondo presuppone la capacità di aprirsi al vicino, in una famiglia di nazioni; il rischio di vivere proteggendosi, vedendo gli altri come concorrenti o nemici pericolosi, si trasferisce al rapporto con i popoli della regione, ma oggi nessuno stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione.

V Capitolo

Al servizio del bene comune, è necessaria la migliore politica. Oggi le definizioni “populismo” o

“populista” hanno invaso il linguaggio della comunicazione, ed ha purtroppo assunto un’accezione negativa, nella misura in cui si scredita ingiustamente o si esalta in maniera esagerata. Ma per affermare che la società è di più della mera somma delle parti è necessario il termine “popolo”.

“Popolo non è una categoria logica, né una categoria mistica”: far parte del popolo vuol dire avere un’identità comune fatta di legami sociali e culturali.

Questa definizione degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, al servizio del proprio

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progetto personale e della propria permanenza al potere. I gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, che è invece una categoria aperta, perché un popolo vivo è quello che rimane aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Infatti nel momento in cui si risponde ad esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti e appoggio, non vi è una progressione affinché le persone trovino le risorse giuste per il loro sviluppo. Da una parte occorre sviluppare l’economia, dall’altra comprendere che le politiche assistenziali sono solo risposte provvisorie.

Il tema centrale è il lavoro: la politica non può rinunciare all’obbiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità ed il proprio impegno. Il lavoro è una dimensione sociale irrinunciabile della vita sociale, è il mezzo di crescita personale e di essere corresponsabili nel miglioramento del mondo, per vivere come popolo. Nell’ambito di questo settore poi la carità implica un cammino efficace di trasformazione della storia che incorpora le istituzioni, il diritto, la tecnica, l’esperienza, gli apporti professionali, l’analisi scientifica ecc.

L’amore al prossimo è realista e non disperde niente che sia necessario per una trasformazione della storia orientata a beneficio degli ultimi. Il pericolo più grande non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano, la questione è la tendenza umana costante all’egoismo. L’impegno educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la capacità di pensare la vita umana più integralmente, la profondità spirituale sono realtà necessarie per dare qualità ai rapporti umani. Il mercato non risolve tutto.

Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli, dall’altra, senza forme di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che dobbiamo rimettere la dignità umana al centro, per costruire le strutture sociali alternative di cui c’è bisogno. Grazie ad alcuni movimenti popolari, che aggregano disoccupati, lavoratori precari, si potrà dare vita ad uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare l’idea concepita come politica verso i poveri, ma mai con i poveri, dei poveri.

La distribuzione del potere economico, politico, militare, tecnologico e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi realizza la limitazione del potere, in questa prospettiva la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite va riformata, il suo compito è la promozione e lo sviluppo della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. Bisogna assicurare il dominio del diritto e l’incessante ricorso al negoziato.

Si deve sostenere l’esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti, in modo da evitare la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto. Bisogna potenziare gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle controversie, vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati, per la cura del bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli. Alcune aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità Internazionale.

“Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi”

(pag.140) La politica è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché

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cerca il bene comune. Questa carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica. Ognuno è davvero persona, se appartiene ad un popolo e quindi non c’è popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. A partire “dall’amore sociale” si può progredire verso una civiltà dell’amore, in cui rinnovare dall’interno strutture, organizzazioni sociali e ordinamenti giuridici. Questo progetto è molto di più che un sentimentalismo soggettivo, ma si accompagna all’impegno per la verità. Senza la verità, l’emotività si svuota di contenuti relazionali e sociali, e la fede risulta falsa, perché priva di respiro umano universale.

Vi è l’amore “elicito”: gli atti che procedono direttamente dalla virtù della carità, diretti a persone e popoli; l’amore “imperato”: atti di carità che spingono a creare istituzioni più sane, strutture più solidali. In questo cammino è rilevante l’aspetto educativo che rende consapevole l’essere umano a diventare artefice del proprio destino, poiché al principio di sussidiarietà è inseparabile dal principio di solidarietà, gli aiuti devono garantire non solo un aiuto pratico e subitaneo, ma una garanzia per la costruzione di un migliore futuro possibile.

Molte calamità mondiali non sono state ancora debellate: la fame, la tratta delle persone, la schiavitù e la carità politica interviene per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace, per alimentare ancora un atteggiamento di “tenerezza”, amore che si fa vicino e concreto, e se anche non sarà possibile salvare tutti, salviamone almeno uno, questo giustificherà abbondantemente il dono della nostra vita. Così come è nobile essere capaci di avviare processi, i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina.

La vita politica autentica si fonda sul diritto e su un dialogo leale tra soggetti e si rinnova con la convinzione, che ognuno racchiude una promessa che può sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali.

VI Capitolo

Solo grazie al dialogo, si può aiutare discretamente il mondo a vivere meglio, il dialogo tra le generazioni, tra le ricchezze culturali contribuisce alla crescita di un popolo.

Spesso si confonde il dialogo con un febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali, ma i monologhi contenuti in queste comunicazioni non di rado sono opportunistici e contraddittori. Vi è l’abitudine di screditare rapidamente l’altro, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso, in cui raggiungere una sintesi che vada oltre. Se il dibattito è manipolato da determinati interessi, i colloqui si ridurranno a mere trattative, affinché ciascuno possa accaparrarsi tutto il potere e i maggiori vantaggi possibili, senza una ricerca congiunta che generi bene comune.

In un vero spirito di dialogo si manifesta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro fa e dice, pur non potendolo assumere come una propria convinzione. La discussione pubblica è uno stimolo costante che permette di raggiungere più adeguatamente la verità, o di esprimerla meglio.

Ad esempio un ricercatore scientifico che avanza fruttuosamente nella sua analisi sarà disposto a riconoscere altre dimensioni della realtà che indaga, grazie al lavoro di altre scienze.

I mezzi di comunicazione possono aiutarci a sentirci più prossimi gli uni gli altri, ma è necessario che le loro attuali forme ci orientino effettivamente all’incontro generoso, al servizio, alla vicinanza con gli ultimi. Il relativismo non è la soluzione, sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali, siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del

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momento. Ma una società è nobile e rispettabile se coltiva la ricerca della verità e per il suo attaccamento alle verità fondamentali.

Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione ed occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati, poiché al relativismo si somma il rischio che il più potente o il più abile riesca ad imporre la sua presunta verità. Se si assimila l’etica e la politica alla fisica, accadrà che non esistono più il bene ed il male, ma solo un calcolo di vantaggi e svantaggi, così la logica della forza trionfa. In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta, per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere affermato e rispettato.

Il dialogo esige una varietà di prospettive, conferisce stabilità e solidità all’etica sociale, dona una verità obbiettiva. La vita è l’arte dell’incontro, anche se ci sono differenze e ciò comporta discussioni e diffidenze, esse possono convivere integrandosi, arricchendosi, illuminandosi a vicenda. Parlare dunque di cultura dell’incontro significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti.

Quello che conta è avviare processi di incontro, che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze: riconoscere all’altro il diritto di essere se stesso e di essere diverso, solo così può darsi vita un patto sociale, che pone in vero dialogo le grandi forme culturali che rappresentano la maggioranza della popolazione. Deve essere anche un patto culturale, che rispetti e assuma le diverse visioni del mondo, le culture, gli stili di vita che coesistono nella società. Si intende che bisogna rinunciare all’identità come luogo monolitico, ma si deve rispettare la diversità, offrendole vie di promozione ed integrazione sociale.

Nessuno potrà possedere tutta la verità, e la ricerca della falsa tolleranza deve cedere il passo al realismo dialogante di chi crede di dover essere fedele ai propri principi, riconoscendo tuttavia che anche l’altro ha il diritto di provare a essere fedele ai suoi. E’ possibile infine scegliere ancora di esercitare la gentilezza, S. Paolo menzionava il frutto dello Spirito Santo con la parola chrestotes (Gal. 5,22), che indica uno stato d’animo benigno, soave che aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, attraverso la gentilezza nel tratto, nelle parole e nei gesti.

Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarci a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “grazie”, “scusa”, eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile che regala un sorriso, che vince le incomprensioni e previene i conflitti, facilita la ricerca di consensi e apre la strada là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti.

VII Capitolo

Nel mondo c’è bisogno di artigiani di pace, disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno ed audacia. Il processo di pace richiede un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, volto ad onorare la memoria delle vittime ed apre ad una speranza comune, più forte della vendetta. Ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità ed il percorso di pace non omogeneizza tutto indistintamente, ma è frutto di un lavoro di insieme.

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L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé, promessa che lascia sempre uno spiraglio di speranza. La vera riconciliazione si raggiunge in maniera proattiva, ossia formando una società basata sul servizio agli altri, più che sul desiderio di dominare. L’impegno per superare ciò che divide, senza perdere l’identità di ciascuno, presuppone che in tutti rimanga vivo un fondamentale senso di appartenenza. Ogni popolo svolge un ruolo fondamentale in quest’opera di pacificazione, e non è sufficiente il solo disegno di quadri normativi e accordi istituzionali tra gruppi politici o economici di buona volontà.

Al centro di ciascuna azione viene posta la persona umana, con la sua altissima dignità ed il rispetto del bene comune. La pace è l’impegno instancabile di riconoscere, garantire, ricostruire la dignità dei fratelli, perché possano sentirsi protagonisti del destino della propria nazione. Infatti, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile in possibili esplosioni.

Quando riflettiamo sul perdono, sulla pace e sulla concordia sociale, ci sorprende un’espressione di Gesù:”Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra…ma spada…a separare l’uomo da suo padre, la nuora da sua suocera…”(Mt 10, 34-36). E’ evidente che il tema di cui si tratta è quello della fedeltà, anche se ciò procuri contrarietà; queste parole non invitano a cercare conflitti, ma semplicemente a sopportare il conflitto inevitabile, perché il rispetto umano non porti a venir meno alla fedeltà alla propria scelta, in ossequio ad una presunta pace familiare o sociale. S.

Giovanni Paolo II ripeteva che il cristiano deve spesso prendere posizione con decisione e coerenza.

Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria ed altrui o lasciare che un criminale continui a delinquere. L’importante è chiedere giustizia, non per alimentare un’ira che fa male all’anima della persona ed all’anima del nostro popolo, né per metterci d’accordo ed unirci per vendicarci. Sicuramente non è facile superare l’amara eredità di ingiustizie, ostilità lasciate dai conflitti. Ma se i conflitti non si risolvono e si nascondono o si seppelliscono nel passato, i silenzi diventano un’intrinseca complicità con gli errori ed i peccati compiuti.

La vera riconciliazione si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera a paziente. Infatti da chi ha sofferto molto, non si deve esigere una specie di perdono sociale, non si può decretare una riconciliazione generale, pretendendo di chiudere le ferite per decreto o di coprire le ingiustizie con un manto di oblio. Non si deve MAI proporre di dimenticare: la Shoah non va dimenticata, i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki non vanno dimenticati. Nemmeno vanno dimenticate le persecuzioni, il traffico di schiavi ed i massacri etnici e tanti altri fatti storici, che ci fanno vergognare di essere umani.

Senza memoria non si può andare avanti. Il perdono non consiste nel dimenticare, tuttavia quando qualcosa che mai dev’essere tollerato, giustificato, o scusato, può essere ancora perdonato. Il perdono libero e sincero è una grandezza che riflette l’immensità del perdono divino. Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano a essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male, poiché la vendetta non risolve nulla. Nemmeno naturalmente si parla di impunità, il perdono vero permette proprio di cercare la giustizia senza cadere nel circolo vizioso della vendetta, né nell’ingiustizia di dimenticare. Oggi la guerra è diventata una minaccia costante, a tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato,

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ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale.

Se la norma viene considerata uno strumento a cui ricorrere quando risulta favorevole agli interessi soggettivi dei Paesi, si scatenano forze incontrollabili che danneggiano gravemente la società, con perdite irrecuperabili per la comunità globale. Negli ultimi anni tutte le guerre hanno preteso di avere una giustificazione. Il CCC parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune “rigorose condizioni di legittimità morale”, in questo modo si vogliono giustificare attacchi preventivi o azioni belliche, che difficilmente non trascinano mali e disordini, più gravi del male da eliminare.

Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. La pace e la stabilità internazionale non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere. L’obbiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa, in questo ambito, sia una sfida, sia un imperativo morale ed umanitario. E con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari, si può costituire un Fondo Mondiale.

Riguardo poi la pena di morte, l’autorità pubblica legittima deve comminare pene proporzionate alla gravità dei delitti, che garantisca al potere giudiziario l’indipendenza necessaria nell’ambito della legge. In alcuni settori della politica, a volte viene alimentata la strada della violenza e della vendetta, c’è la tendenza a costruire nemici. Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati oggi a lottare per l’abolizione della pena di morte, in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. (Ad esempio l’ergastolo, che risulta essere una pena di morte nascosta).

Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante, il rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto nel mondo. A ciascuno si darà la possibilità di condividere questo pianeta, malgrado ciò che può separare. “Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso” (Gen 9,5-6). Questa reazione di Gesù supera la distanza dei secoli e giunge fino ad oggi, come un costante richiamo.

VIII Capitolo

L’obbiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e di amore. La ragione può cogliere il concetto di uguaglianza tra gli uomini, ma da sola non riesce a fondare la fraternità.

Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere e ciascuno tende ad imporre il proprio interesse, la radice del moderno totalitarismo è da individuare appunto nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile.

Cercare Dio ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli, quando invece in nome di un’ideologia si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli.

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Tra le cause della crisi del mondo moderno, vi è il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti. La Chiesa non relega la propria missione all’ambito privato. E’ vero che i ministri religiosi non devono fare politica, però nemmeno possono rinunciare all’attenzione del bene comune ed alla preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa per questo si adopera per la “promozione dell’uomo e della fraternità universale”. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è Madre.

Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna. La Chiesa è chiamata ad incarnarsi in ogni situazione che comprende la bellezza dell’invito all’amore universale. Come cristiani chiediamo la libertà religiosa per i credenti di tutte le religioni, questa libertà manifesta che possiamo trovare un buon accordo tra culture e religioni differenti. Chiediamo anche a Dio di rafforzare l’unità nella Chiesa, occorre continuare a dare testimonianza di un cammino di incontro tra le diverse confessioni cristiane, collaborando nel servizio all’umanità.

Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale:

l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, odio e negazione dell’altro. Il culto a Dio porta al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti. Gli stessi leader religiosi sono chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Il mediatore infatti, non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace.

Ciascuno è chiamato ad essere un Artigiano della Pace. L’ostilità, l’odio, l’estremismo sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni ed anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini.

”In nome di Dio e di tutto questo, dichiariamo di adottare la cultura del dialogo, come via, come collaborazione comune, come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio”

(Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi Febbraio 2019) pag.215. Insieme a Charles de Foucauld che desiderava diventare il fratello universale, invochiamo da Dio l’ispirazione a questo ideale, in ognuno di noi. Amen

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