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IL MODELLO SKILLS FOR LIFE PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E DELLO SVILUPPO PERSONALE E SOCIALE NELLA SCUOLA 1

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IL MODELLO SKILLS FOR LIFE PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E DELLO SVILUPPO PERSONALE E SOCIALE NELLA SCUOLA

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1. Lo sviluppo personale e sociale e l’autonomia scolastica

La scuola italiana sta vivendo, nell’ultimo decennio, una stagione di cambiamento molto significativo in cui, insieme all’Autonomia scolastica, si ripropone una nuova centralità del soggetto. In armonia con i documenti europei (i cosiddetti "libri bianchi" Delors e Cresson) tali cambiamenti sono infatti orientati alla promozione dell'autonomia e della responsabilità del soggetto rispetto alla propria formazione personale e sociale. Questo nuovo indirizzo deriva dalla consapevolezza della perdita di spessore dell'orientamento "funzionalista" delle politiche formative che hanno caratterizzato l'Europa nel periodo postbellico, secondo cui l'istruzione era considerata una variabile dipendente dello sviluppo economico e le risorse umane un bene strumentale alla produzione e all'accumulo di beni materiali.

Nelle prospettive delineate dai nuovi orientamenti, la formazione è intesa da un lato come risorsa permanente per la crescita e il benessere di ogni in- dividuo e dall'altro come “…una delle principali condizioni dello sviluppo economico, sociale e culturale, nonché dell'esercizio dell'autentica democrazia... Una buona formazione deve consentire a tutti di accedere all'autonomia e alla pratica della cittadinanza e di trovare gli sbocchi per il proprio inserimento sociale e professionale". In particolare il documento Cresson "individua come obiettivo per l'Europa la transizione verso la società cognitiva in cui la posizione di ciascuno sarà decisiva e determinata in ragione del possesso di conoscenza e competenze e,

1 Il capitolo è stato curato da Paride Braibanti, Maria Pia Gagliardi e Mario Bertini

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soprattutto, dalla capacità di combinazione di conoscenze e acquisizione continua di competenze. L'istruzione e la formazione oltre a favorire una qualificazione progressiva devono promuovere l'inserimento sociale e lo sviluppo personale mediante la condivisione dei valori comuni, la trasmissione di un patrimonio culturale e l'apprendimento dell'autonomia, in modo da permettere ad ogni individuo di accedere alla cultura generale al fine di cogliere il significato delle cose, sviluppare comprensione e creatività, potenziare le capacità di valutare e decidere”

In prospettiva più ampia è necessario che una pluralità di soggetti divenga co-protagonista del sistema di istruzione/formazione (dalla comunità, alle imprese, alla formazione professionale), ma è soprattutto importante ri- conoscere:

- alle istituzioni scolastiche la competenza diretta nella trasmissione di una cultura generale e lo sviluppo di competenze metodologiche capaci di innescare un continuo processo di autoapprendimento.

- all'individuo una nuova e piena titolarità, per cui egli esce dalla posizione passiva dei sistemi scolastici tradizionali e diviene protagonista e artefice principale della propria qualificazione.

Secondo questa angolatura la formazione:

- è intesa in primo luogo come risorsa permanente per la crescita e il benessere di ogni individuo;

- promuove nuove competenze sociali e professionali (attitudine ad apprendere, capacità di comunicare, lavorare in gruppo, valutare la propria situazione, capacità critica e autonomia);

- è orientata verso competenze trasferibili proprie dei modelli cognitivi dinamici e autopoietici, superando la trasmissione di conoscenze e capacità acquisite una volta per tutte;

- garantisce a tutti i cittadini il diritto alla formazione continua e perma- nente (lungo tutto l'arco della vita).

Il punto centrale del complesso processo di trasformazione che sta vivendo la scuola negli ultimi anni non risiede, dunque, a nostro avviso in una

“ottimizzazione organizzativa”, ma nel radicale ribaltamento dei suoi scopi e della sua funzione, in rapporto all’evoluzione della domanda sociale.

Naturalmente, una volta poste le premesse istituzionali di questa vera e propria rivoluzione copernicana delle politiche formative, la sua traduzione effettiva in realtà non può essere affidata esclusivamente alle indicazioni normative che provengono “dall’alto”. Il rinnovamento normativo deve accompagnarsi ad un profondo cambiamento sul piano culturale; in questo modo si può evitare che, ad una “retorica” della riforma ricca di nuovi orizzonti e prospettive, corrisponda di fatto una “pragmatica” dell’azione

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formativa insufficiente nel definire la proprie coordinate culturali e operative.

Per la natura stessa della “svolta” storica del sistema scolastico italiano, le scienze bio-psico-sociali possono forse dare un contributo significativo e colmare questa potenziale frattura tra “retorica” e “pragmatica” della riforma. In realtà lo spirito della legge sull’autonomia, proprio perché impegna il sistema scolastico in una nuova e strategica attenzione nella modulazione dell’offerta formativa sulla base dei bisogni soggettivi, può trovare nelle scienze bio-psico-sociali il sostegno di una visione integrale della persona nelle sue diverse dimensioni. Inoltre e, soprattutto, la scuola richiede ad esse di mettere a disposizione concetti operativi, analizzatori culturali e indicatori capaci di avviare una interlocuzione positiva ed esplicita tra i saperi fondamentali della didattica e le esigenze di sviluppo personale e sociale degli alunni.

Questo territorio di interazione è sembrato aprirsi negli anni che hanno preceduto la riforma, in quella complessa e ambivalente stagione della

"educazione alla salute nella scuola". Effettivamente l'educazione alla salute costituisce un concetto rilevante e può rappresentare il terreno su cui la cultura educativa e la cultura psicologica possono trovare significativi momenti di convergenza e di esplicita collaborazione.

Nonostante significativi punti di forza, molti progetti di “educazione alla salute”, hanno finito con l'evidenziare limiti consistenti su diversi piani essenziali. In primo luogo l'educazione alla salute ha scontato una propria sostanziale "insituabilità" nella architettura strutturale fortemente disciplinare e nelle rigidità organizzativa del "centralismo scolastico". Ciò ha finito spesso col relegare le attività di educazione alla salute in una area di marginalità e aggiuntività rispetto ai curricoli che hanno impedito di valorizzarne la portata strategica. In secondo luogo è andato via via imponendosi un progressivo slittamento verso una interpretazione della salute capace di accogliere ogni proposta formativa sostanzialmente extracurricolare. In tal modo la salute ha finito col confondersi con un'area culturale dentro la quale inserire argomenti eterogenei, aggiuntivi ed insoliti, la cui effettiva capacità di raggiungere finalità preventive è del tutto generica. Infine l'educazione alla salute ha finito col focalizzare l'attenzione sullo "Star bene" piuttosto che sui processi di base e sugli indicatori di salute, contribuendo per questa via alla difficoltà di una valutazione di efficacia preventiva, sia quantitativa che qualitativa, che andasse al di là dell'enumerazione delle "tematiche" trattate (Guasti e Plessi, 1996).

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2. L’educazione alle Life Skills: una proposta operativa

Resta tuttavia Il punto fondamentale costituito dalla prossimità tra salute e sviluppo personale e sociale, che costituisce una caratteristica fondamentale delle recenti concettualizzazioni della salute. Le strategie di promozione della salute devono riferirsi al modo in cui ciascuna persona sviluppa le abilità e le competenze a mantenere la propria integrità al livello delle strutture corporee, ad esplicare in modo soddisfacente le attività che lo caratterizzano e che gli vengono richieste nel corso della vita, a costruire un grado elevato di partecipazione e coinvolgimento nella vita sociale e collettiva. Queste dimensioni, che corrispondono agli assi fondamentali del “Sistema di classificazione internazionale del funzionamento e delle disabilità” (ICF, 2002), comprendono un vasto repertorio di conoscenze, competenze, attitudini e valori che consentono alla persona di regolare i propri comportamenti di salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (1994), alla base di tale repertorio possono essere individuale alcune abilità fondamentali per lo sviluppo personale e sociale (life skills) che abilitano a far fronte efficacemente alle richieste e alla sfide della vita quotidiana. Tali abilità vengono raggruppate in cinque aree principali:

1. decision making e problem solving 2. pensiero critico e creativo

3. competenze comunicative e di relazione interpersonale 4. auto-consapevolezza ed empatia

5. abilità di coping delle emozioni e dello stress

Pur non potendosi considerare esaustive, è ragionevole supporre che tali abilità possano costituire una base operazionale adeguata per programmi di promozione della salute nella scuola. E’ stato infatti osservato che molte di queste abilità sottostanno alle attese sociali espresse in relazione agli esiti scolastici: “Chiedete a genitori, amministratori e insegnanti che cosa essi si attendano dalla scuola e, al di là di un buon profitto scolastico, affermeranno che essi che vogliono che un giovani lasci la scuola in grado di:

- pensare criticamente

- esprimere con sicurezza le proprie opinioni - essere autonomo

- essere auto motivato - essere disciplinato - assumersi responsabilità

- fare scelte in modo moralmente coerente - possedere valori e atteggiamenti chiari

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- essere capace di cooperare con gli altri - attivare e sostenere buone relazioni - avere uno stile di vita sano

- essere sicuro” (Lloyd, 1999)

L’Organizzazione mondiale della sanità sottolinea, in effetti, l’importanza di introdurre nella scuola una attenzione mirata alla promozione di tali competenze psicosociali, attraverso programmi e progetti di Life Skills Education (LSE). In quanto strettamente intrecciate con i processi di apprendimento e di crescita, le competenze psicosociali costituiscono infatti una componente essenziale dei processi educativi.

Uno sguardo alla letteratura internazionale, fa vedere come le numerose iniziative di ricerca-intervento con la LSE, siano state per lo più realizzate nell’ambito delle strategie di prevenzione2, in un quadro di riferimento culturale sostanzialmente legato al modello malattia. Noi riteniamo invece che la LSE debba essere sviluppata a tutto campo nel nuovo quadro culturale della promozione della salute positiva. Pertanto l’obiettivo da raggiungere è quello di inserire la LSE in tutte le scuole di ogni ordine e grado, come contributo allo sviluppo individuale e sociale di tutti gli alunni.

La ricerca ha dimostrato che la Life Skills Education è in grado di influenzare positivamente la percezione di sé e degli altri, di migliorare la percezione dell’efficacia personale, di far crescere la fiducia in sé e l’autostima, di rinforzare la motivazione personale. Si tratta di competenze che vanno considerate premesse per il conseguimento di obiettivi fondamentali di promozione della salute. In particolare attraverso il

2 I programmi di Life Skills Education sono inizialmente orientati ad obiettivi di carattere preventivo, misurabili, ma settoriali, quali ad es. la prevenzione dell’abuso di droghe (Botvin et al., 1980, 1984; Pentz, 1983), la prevenzione delle gravidanze in adolescenza (Zabin et al., 1986; Schinke, 1984) la promozione dell’intelligenza (Gonzalez, 1990), la prevenzione del bullismo (Olweus, 1990), dell’HIV (WHO/GPA, 1994). Alcuni programmi inseriscono la Life Skills Education in una prospettiva più ampia (ad es. l’educazione alla pace, Prutznam et al. 1988). Pur considerando tale linea una condizione auspicabile e necessaria, ci pare tuttavia che, di per sé, essa non possa considerarsi sufficiente a rispondere ad una domanda più generale di integrare le prospettive educative con la promozione della salute e dello sviluppo. Un passo significativo in questa direzione può venire da esperienze orientate all’educazione delle life skills come abilità generali per la vita quotidiana. Questi programmi costituiscono soprattutto un approccio efficace per la prevenzione primaria (Errecart et al., 1991, Perry and Kelder, 1992; Caplan et al. 1992).

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coinvolgimento diretto degli alunni in un processo dinamico di insegnamento e apprendimento, essa mira a mettere il soggetto in grado di tradurre conoscenze, atteggiamenti e valori in vere e proprie abilità.

Una progettazione efficace della Life Skills Education deve prestare un’ampia attenzione a tutti i fattori coinvolti nello sviluppo e deve tener conto dell’intreccio che lega tra loro le diverse componenti del sistema scuola. Sotto questo profilo, la Life Skills Education non può prescindere da quelli che nel nostro paese vengono definiti come “processi” della continuità educativa verticale e orizzontale e all’intreccio complesso che la scuola italiana ha ormai ben presente, tra conoscenze e competenze, tra saperi disciplinari e sviluppo delle abilità personali, interpersonali e sociali. È da considerare inoltre che la scuola non costituisce più l’unica fonte d’informazione e trasmissione della cultura per le giovani generazioni. Pertanto la Life Skills Education richiede una specifica attenzione a fattori quali: l’influenza pervasiva dei media; la rapida evoluzione delle aspettative, dei valori e delle opportunità che lo sviluppo sociale induce nelle nuove generazioni; il crescente differenziarsi di contesti di crescita caratterizzati da forti identità e differenze etniche e culturali.

Queste considerazioni inducono a prestare una grande attenzione alla definizione delle strategie di introduzione e adattamento della Life Skills Education sia rispetto al contesto culturale e sociale delle diverse realtà nazionali, sia riguardo ai contesti educativi e scolastici verso cui è indirizzata la proposta. Allo stato attuale, nonostante la grande diffusione internazionale, nel nostro paese non è presente un organico programma di Life Skills Education. L’obiettivo che ci siamo proposti è quello di sondare la possibilità di un progressivo inserimento di questa prospettiva, come opzione praticabile nella definizione dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche,a partire dalle scuole materne ed elementari.

3. Le esperienze del gruppo di lavoro della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università di Roma “La Sapienza”.

È in questa linea di promozione dello sviluppo biopsicosociale che si caratterizza l’impegno teorico e applicativo della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università di Roma La Sapienza. Nella prospettiva che perseguiamo, l’ambito educativo rientra in un più ampio impegno volto a promuovere il miglioramento delle competenze psicosociali nei vari contesti istituzionali e lungo tutto l’arco di vita. La sperimentazione da noi condotta negli ultimi 5 anni, è volta a se l’introduzione della

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prospettiva della LSE possa costituire un contributo utile per la scuola Italiana. Una scuola positivamente percorsa da una tensione di cambiamento ma anche segnata dalla preoccupazione di non riuscire a delineare orizzonti concretamente praticabili.

Le tappe di questo percorso sono rappresentate da alcune ricerche svolte nell’ambito delle scuole materne, elementari e medie (di Orvieto e di Piacenza); e delle scuole superiori (di 19 Province italiane all’interno di un progetto di life skill e peer education promosso dal MURST); di promozione della salute nelle scuole (in collaborazione con il Provveditorato agli Studi e con il SERT di Piacenza); della formazione degli insegnanti (corso di formazione per funzioni obiettivo nelle province di Rimini, Forlì-Cesena, Piacenza). Ultima ricerca-intervento in ordine di tempo ma la più significativa per sistematicità ed impegno di ricerca e di formazione, è il Progetto triennale “Sperimentazione di itinerari di promozione della salute, dell’orientamento e dello sviluppo personale e sociale degli studenti nelle scuole medie di otto province italiane”

realizzato con la committenza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

La nostra metodologia si ispira in gran parte al modello Skill for Life, sviluppato dalla Tacade3 e di cui è ora disponibile un adattamento italiano (Bertini, Braibanti, Gagliardi, 2004).

Tale metodologia, mentre prevede una operatività didattica in cui le competenze sono organizzate attorno a linee e compiti evolutivi, contemporaneamente esplicita una collocazione sistemica delle strategie di promozione dello sviluppo che richiede il coinvolgimento dell’intera scuola entro un approccio globale, incentrato sulle seguenti linee guida:

3L’acronimo sta per “Teacher Advisory Council for Alcohol & Drug Education”

e fa

riferimento ad un’associazione no-profit con finalità educative preventive nell’ambito della lotta alla droga. TACADE offre ad insegnanti, genitori, educatori, a tutti coloro che sono coinvolti nelle problematiche dell’educazione dei giovani,un’ampia gamma di pubblicazioni, materiali e servizi di consulenza e formazione mirati alla maturazione e all’acquisizione, da parte dei bambini e degli adolescenti, di atteggiamenti positivi, responsabili e consapevoli, aspetti che sostanzialmente favoriscono il loro apprendimento e la loro crescita personale e sociale. Questa associazione gode di fama internazionale; i suoi programmi di provata efficacia, sono diffusi in tutto il mondo e sono riconosciuti e sostenuti da governi, fondazioni, imprese ecc.

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Riconoscere le esigenze collettive della comunità scolastica

Un’efficace pianificazione scolastica che consideri lo sviluppo personale e sociale deve partire dalla valutazione dei bisogni presenti all’interno della scuola. Essa parte dalla necessità di rappresentare le esigenze collettive degli appartenenti a una comunità scolastica e di tutte le persone coinvolte nello sviluppo personale e sociale dei giovani, ovvero:

• Le esigenze di apprendimento dei giovani

• Lo sviluppo professionale degli insegnanti e delle altre figure professionali scolastiche

• Lo sviluppo dell’organizzazione scolastica

• Lo sviluppo dei legami tra la scuola e le famiglie e comunità

Nella prospettiva della Life Skills Education, “un approccio scolastico globale allo sviluppo personale e sociale dei giovani deve comprendere:

• La consapevolezza che lo sviluppo personale e sociale prende forma in una serie di contesti interni ed esterni alla scuola

• Un approccio che inizia dalla riflessione e coinvolge i giovani nel loro proprio sviluppo personale e sociale e nei processi di apprendimento ad esso connessi

• Rendere le esperienze interne alla scuola e alla comunità rilevanti per i giovani stessi

• Incentivare la capacità dei giovani di fare collegamenti tra quello che sanno e che credono e il modo in cui si comportano nei vari contesti sociali

• Offrire opportunità professionali di apprendimento per gli insegnanti e le altre figure professionali che lavorano con i ragazzi.

Coinvolgimento partecipativo di tutti gli agenti di cambiamento

Lo sviluppo personale e sociale dei giovani è una responsabilità condivisa.

Tutte le persone coinvolte – gli studenti, gli insegnanti, i genitori, il personale amministrativo – hanno l’esigenza di un apprendimento personale e professionale. Questa consapevolezza genera nell’organizzazione una circolarità dei bisogni tra i diversi “agenti di cambiamento”, a cui deve corrispondere una circolarità degli obiettivi che si propongono per ciascuno di essi.

Il programma Skills for life, delinea tali obiettivi nel modo seguente:

STUDENTI

Finalità: permettere agli studenti di svolgere pienamente parte alla gestione del

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proprio sviluppo personale e sociale Obiettivi:

• aiutare gli studenti a prepararsi ad affrontare cambiamenti personali e sociali nella propria vita

• offrire agli studenti l’opportunità di individuare i propri bisogni di apprendimento

• coinvolgere gli studenti nel processo di valutazione delle risorse a disposizione per lo sviluppo personale e sociale

• permettere agli studenti di individuare le proprie priorità di apprendimento connesse allo sviluppo personale e sociale

• aiutare gli studenti a fare programmi per rispondere ai propri bisogni di apprendimento in termini di sviluppo personale e sociale

• permettere agli studenti di valutare le proprie esperienze di sviluppo personale e sociale come punto di partenza per un ulteriore apprendimento.

INSEGNANTI

Finalità: Permettere agli insegnanti di svolgere un ruolo attivo nella gestione del proprio sviluppo professionale in vista dello sviluppo personale e sociale degli studenti.

Obiettivi:

• Aiutare gli insegnanti a prepararsi per affrontare un cambiamento professionale

• Offrire agli insegnanti l’opportunità di individuare i propri bisogni in vista dello sviluppo personale e sociale degli studenti

• Coinvolgere gli insegnanti nel processo di valutazione delle risorse a disposizione per il proprio sviluppo professionale

• Aiutare gli insegnanti a definire i propri bisogni professionali prioritari

• Aiutare gli insegnanti a pianificare le risposte ai propri bisogni professionali

• Permettere agli insegnanti di rivedere e valutare le esperienze di sviluppo professionale come punto di partenza per un ulteriore sviluppo professionale.

ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

Finalità: Permettere all'organizzazione scolastica di svolgere un ruolo attivo nel sostenere un approccio collaborativo allo sviluppo personale e sociale degli studenti.

Obiettivi:

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• Aiutare tutti i membri della comunità scolastica a contribuire allo sviluppo personale e sociale degli studenti

• Offrire alla scuola e alla sua comunità l'opportunità di individuare le proprie esigenze di sviluppo in vista dello sviluppo personale e sociale degli studenti

• Coinvolgere tutti i membri della comunità scolastica nel processo di valutazione dell'offerta formativa per lo sviluppo personale e sociale degli studenti

• Rendere la scuola in grado di pianificare come rispondere ai propri bisogni, attraverso il processo di pianificazione dello sviluppo scolastico

• Permettere alla scuola di valutare le proprie esperienze collettive come punto di partenza per rispondere alle future esigenze della scuola in vista dello sviluppo personale e sociale degli studenti.

FAMIGLIA E COMUNITA’

Finalità: Facilitare la collaborazione delle famiglie e della comunità con gli studenti, gli insegnanti e l’organizzazione scolastica per lo sviluppo personale e sociale dei giovani.

Obiettivi:

Mettere le famiglie e la comunità in grado di:

• Chiarire il loro potenziale contributo alla pianificazione scolastica dello sviluppo personale e sociale

• Collaborare con la scuola nel sostenere lo sviluppo personale e sociale dei giovani

• Sostenere le autorità scolastiche in quanto rappresentanti della comunità

• Portare la prospettiva del mondo esterno alla scuola per arricchire lo sviluppo personale e sociale dei giovani

• Dare un feedback sull’esperienza vissuta nella scuola da genitori e comunità.

Organizzazione e proposta di materiali curricolari strutturati

La struttura dei Materiali Didattici di Skills for Life riflette un approccio alle Educazione Personale e Sociale in quanto processo evolutivo. Le Unità sono organizzate attorno a cinque aree che costituiscono una cornice concettuale all’interno della quale possono venire apprese e praticate una serie di competenze relativamente a un ampio insieme di argomenti chiave rilevanti per la vita presente e futura dei giovani. Le cinque aree sono:

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Crescita Personale

Coinvolgimento Bisogni, Diritti e Responsabilità

Gestione delle Situazioni

Gestione dei Rischi

Per ciascuna area vengono proposte delle Unità che possono rappresentare la base di una serie di programmi calibrati per la scuola.

Le Unità si organizzano attorno alle seguenti ampie aree di competenza:

Per gli 11-14 anni

Dare un senso

Comunicare Stare insieme

Lavorare insieme

Fare scelte Affrontare il cambiamento

Per i 14-16 anni

Comprendere se stessi

e gli altri Comunicare Collaborare Prepararsi alla vita

La struttura flessibile dei Materiali permette di studiare dei programmi individuali che rispondano a quelli che sono state individuati come i bisogni degli studenti. Tali programmi possono essere organizzati attorno alle aree, alle competenze o a specifici argomenti.

Il processo di sviluppo Skills for life

L’esperienza che abbiamo raccolto ci conforta sulla validità di questa impostazione metodologica, al cui centro va sicuramente collocata la dinamica ricorsiva e riflessiva del modello Skills for Life (illustrato dalla figura seguente) con cui viene sviluppata una strategia che coinvolga l’intera scuola nello sviluppo personale e sociale di tutti gli “agenti di cambiamento”. Le nove fasi del modello possono essere logicamente ordinate in tre blocchi.

- Preparare il cambiamento (preparazione al cambiamento, analisi dei bisogni, analisi delle risorse disponibili, analisi del divario tra bisogni e risorse)

- Costruire l’azione di cambiamento (individuazione di un focus, di cambiamento, individuazione dei risultati attesi, progettazione e realizzazione dell’azione)

- Valutare e riavviare il processo (verifica, riavvio del processo) Preparare il cambiamento

Il punto centrale del primo blocco (preparare il cambiamento) consiste nello stabilire un clima favorevole, riconoscere i bisogni di cambiamento, sviluppare la capacità di impegnarsi nel processo. Per affrontare questo stadio è utile porsi una serie di interrogativi.

Un punto essenziale nella preparazione al cambiamento consiste nell’analisi della cultura della scuola. Questo vuol dire aprire un territorio

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di confronto con gli studenti, con i genitori, con i colleghi, con i Dirigenti scolastici, con il personale ATA e con altre figure che partecipano alla vita della scuola. Occorre capire i valori che guidano le scelte, mettere in luce i diversi pynti di vista, senza escluderne alcuno: se la scuola è pluralista deve essere in gradi di far coesistere culture diverse.

Quale concetto di sviluppo personale e sociale esprimono queste culture?

Riuscire a trovare un punto d’accordo anche sulla definizione lessicale dello “sviluppo personale sociale” è un elemento indispensabile per poter procedere verso una progettaualità condivisa. Quali sono, nella percezione di ciascuno, le caratteristiche di una “caring school”, cioè di una scuola che si fa carico dello sviluppo personale e sociale? Chi vuole cambiare?

Chi vuole lasciare le cose come stanno? Queste ultime puntualizzazioni non mirano a creare separazioni fra le persone, di volta in volta definite

“conservatori” o eccessivamente “progressisti” ma piuttosto a riconoscere sia le ragioni del cambiamento, sia le ragioni della stabilità. In tutti i sistemi sono presenti dei dispositivi omeostatici che cercano di mantenere la stabilità e forze che invece promuovono il cambiamento. Sarebbe inappropriato coltivare un’ideologia del cambiamento senza riconoscere anche il valore delle forze che si orientano alla conservazione, trascurando per es. l’importanza di conservare nella scuola una memoria storica con la sua tradizione millenaria. L’innovazione va considerata nei suoi effetti sistemici e va sempre declinata insieme alle risorse che mantengono condizioni di equilibrio; trascurare queste dimensioni potrebbe condurre a situazioni di impasse, di incomprensione e di vano fronteggiamento pregiudiziale delle posizioni.

Analisi delle culture locali, vuol dire anche analisi della capacità delle persone di esprimere bisogni, desideri, azioni e richiede all’organizzazione di riconoscerli, assecondarli e valorizzarli. In che modo per es., l’organizzazione scolastica è in grado di creare le condizioni perché tutto questo avvenga? Quante volte le iniziative che si prendono a scuola si muovono nella sostanziale indifferenza? Tutto questo impedisce che le persone si sentano motivate ad agire e spinge fortemente verso una dimensione di omologazione.

Come si attuano i processi decisionali nella scuola, non tanto nelle linee generali, ma rispetto ai problemi specifici? In che posizione della catena decisionale ci poniamo? Si tratta di domande alle quali non è sufficiente dare risposte in astratto. La posizione all’interno dell’organizzazione didattica è qualcosa che si costruisce attraverso un lavoro attento di esplorazione e di condivisione. Tutti questi interrogativi possono costituire degli spunti di riflessione favorevoli alla creazione di un clima di

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coinvolgimento partecipativi a creare cioè le condizioni per un impegno nelle linee del cambiamento. In definitiva, può facilitare il riconoscimento reciproco dei bisogni, dei desideri, delle emozioni che caratterizzano in modi diversi le relazioni e gli scambi nel contesto scolastico e di come queste dimensioni si intreccino, trovino espressione o, invece, siano compresse e disconosciute entro i percorsi organizzativi dell’istituzione scolastica. E’ necessario che ciascuna componente, compreso gli studenti – nel rispetto delle competenze e delle responsabilita dei diversi ruoli- si percepisca direttamente coinvolta con i processi di cambiamento da affrontare, definisca un proprio focus di cambiamento e sviluppi un modo di partecipare alla fisionomia processuale del cambiamento. Tutto questo si potrà realizzare attraverso una riflessione sistematica sui bisogni degli studenti, che naturalmente restano primari, ma anche su una puntuale identificazione dei bisogni che le altre componenti scolastiche hanno rispetto al compito di condividere e promuovere lo sviluppo personale e sociale degli studenti. Questa strategia operativa crea una rete di riconoscimento reciproco dei bisogni, permette di procedere simultaneamente nel processo di cambiamento. Nel corso della sperimentazione, abbiamo registrato una varietà di applicazioni delle strategie suggerite da SFL. Abbiamo notato, per es., esperienze particolarmente interessanti di gruppi di lavoro composti da insegnanti e genitori in cui si poneva a fuoco il reciproco riconoscimento dei bisogni.

L’orientamento era quello di riflettere soprattutto sui bisogni degli altri, di uscire, cioè, da una posizione di mera rivendicazione, per capire le ragioni, le difficoltà, i bisogni degli altri, e in che modo gli uni potevano porsi come risorsa rispetto agli altri. E’ possibile naturalmente che i diversi agenti di cambiamento non abbiano in comune gli stessi bisogni, e che ce ne siano di specifici per qualcuna delle componenti. Sarà necessario quindi chiedersi soprattutto in che modo tener conto delle priorità che derivano dalle differenti posizioni, e come collocarle in un ordine condiviso.

L’analisi dei bisogni riguarda naturalmente anche i processi didattici e di apprendimento da considerare anch’essi come processi di cambiamento. E’

possibile trovare il tempo e lo spazio per un’analisi partecipata dei diversi bisogni di apprendimento? Tra le varie strategie possibili, ci piace ricordarne una emersa nel corso della fase di sperimentazione del Modello.

Qualche insegnante aveva deciso di dedicare un’ora la settimana al ricevimento degli studenti come spazio di confronto individuale sul percorso formativo; di parlare dei voti o dei giudizi ma in un luogo meno pubblico, più confortevole; e ragionare, insieme allo studente, sugli obiettivi e sulle prospettive a breve e a lunga scadenza. Altri docenti hanno

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preferito invece occasioni di confronto in piccoli gruppi. Si tratta in sostanza di creare per i ragazzi uno spazio più sistematico di analisi del processo formativo, dove è possibile riflettere sull’esperienza di apprendimento, fare un confronto tra gli obiettivi desiderati e i risultati raggiunti, predisporre obiettivi di apprendimento futuro, registrare in maniera sistematica il processo, valutare l’impasse e l’analisi sulle scelte di fondo e sulla pratica scolastica.

Sulla base delle teorie ed esperienze dei processi di co-costruzione, si raccomanda una ricerca preliminare di accordo tra insegnanti e studenti.

Per ottenere coinvolgimento e responsabilizzazione è indispensabile infatti che il gruppo a cui ci si rivolge, in questo caso gli studenti, sia riconosciuto co-protagonista fin dall’inizio e ci si interroghi insieme per condividere obiettivi e modalità del lavoro da affrontare.

In questa fase dedicata all’analisi dei bisogni, si pongono quindi le premesse della possibilità di negoziare sugli apprendimenti, non ricorrendo a posizioni semplicistiche del tipo “ditemi che cosa volete fare domani”, ma di puntare sulla capacità di maturare e condividere con i ragazzi di ogni età, una chiave di lettura del processo di apprendimento. In questa prospettiva si può recuperare il vecchio concetto di “readiness”, o

“prontezza” ad apprendere: . Come si può riuscire a capire quando un ragazzo (o un gruppo) è “pronto”, è “disponibile” ad un passaggio di apprendimento importante per lo sviluppo personale e sociale?

Probabilmente, proprio creando le condizioni che favoriscono la sua capacità di esprimere una domanda di apprendimento. In questo clima la negoziazione va vista all’interno di un rapporto di fiducia nel quale si può passare flessibilmente da una domanda di apprendimento ad una nuova domanda di apprendimento. E’ così che gli studenti vengono riconosciuti come soggetti consapevoli dei propri compiti di sviluppo e, quindi, titolari e responsabili in prima persona del proprio processo di apprendimento.

Disporsi ad un progetto di cambiamento comporta inevitabilmente una valutazione precisa del rapporto fra i bisogni e le risorse disponibili per fronteggiarli, che porterà al riconoscimento di un divario sistematico e inevitabile tra gli uni e le altre. Ciò mette in condizione di focalizzare il punto su cui dirigere il cambiamento e di definire la priorità di una specifica area di miglioramento come premessa indispensabile per procedere alla progettazione e alla realizzazione dell’azione.

Le fasi di costruzione dell’azione

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La centralità dell’azione, nella sua diretta relazione con la dinamica dei bisogni, delle risorse, delle soggettività e delle culture organizzative, costituisce probabilmente uno dei punti teoreticamente più significativi in grado di differenziare chiaramente il modello SFL da precedenti approcci più “addestrativi” e comportamentisti della LSE. E’ importante sottolineare come il modello SFL rimarchi, oltre alla derivazione dalla psicologia generale sopra richiamata, anche un’evidente derivazione dalla psicologia sociale, soprattutto nella tradizione lewiniana, e dalla psicologia di comunità. In questa linea prospettica, l’unità di analisi si trasforma dal

“comportamento” al “fare”. “Il concetto di comportamento infatti può applicarsi a qualsiasi evento che riguarda esseri umani, ma anche animali o entità materiali; non implica nessuna modifica sull’ambiente fisico o sociale; non presuppone alla sua origine una entità attiva che dia inizio all’evento. La riscoperta del concetto di azione (…) significa interrogarsi sul significato del soggetto, del sociale e delle relazioni che le collegano.

Viene infatti in primo piano l’idea di soggetto agente che intenzionalmente si rapporta al mondo, si pone dei fini, cerca di realizzarli nell’ambito di una rete di relazioni, mantenendo un certo margine di libertà rispetto alle costruzioni normative e simboliche presenti nel suo campo d’azione” (Zani e Emiliani, pag. 49) Questa concezione che rinvia direttamente a Max Weber è oggi chiaramente più presente alla riflessione psicosociale (cfr.

Amerio, 1996, 1997, 2003). In questa prospettiva l’azione costituisce un comportamento motivato e volontario, è consapevolmente pianificata e diretta ad uno scopo, è accompagnata da emozioni e controllata socialmente. Un agente è una persona dotata di autocoscienza e di cognizioni su se stessa, relative all’azione (per esempio, identità, autonomia, competenza e coinvolgimento emotivo), capace di esperienza e di accettazione di responsabilità (cfr. von Cranach e Valach, 1986). Ne consegue una visione non determinista del soggetto e una visione non lineare delle relazioni tra influenze sociali e sviluppo della condotta.

Infatti, questo riposizionamento del soggetto ripropone la centralità dell’agire e non solo quella delle competenze, considerate in termini astratti e isolate dai compiti evolutivi (life-task) in cui il soggetto si trova impegnato. Le competenze-abilità possono essere riviste alla luce della centralità di un soggetto che agisce nel “dominio pratico”. Questo passaggio da capacità astratte a competenze che si comprendono entro la cornice dell’azione, chiarisce la relazione tra agire e conoscere che può considerarsi un fulcro importante dei processi educativi. L’azione educativa diviene così una forma propria di ricerca-azione, perché è

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finalizzata non solo a produrre cambiamento (soddisfacimento di una mancanza) ma a promuovere più sofisticati dispositivi di controllo e di trasformazione del “campo” o, se si preferisce, del sistema globale in cui ha luogo l’interdipendenza dei fatti socioambientali e delle persone, attraverso una meditata concettualizzazione e messa in atto di azioni sociali valutate e controllate criticamente. C’è qui una diretta analogia tra il “modello di cambiamento” proposto da SFL e il processo della Action- research, descritto da Lewin (1951) come una successione ricorsiva di fasi:

identificazione del problema, valutazione delle possibili alternative di intervento per affrontare quel problema (pianificazione dell’azione), attuazione dell’intervento, valutazione delle conseguenze dell’intervento stesso, identificazione dei risultati generali raggiunti, rilevanza di questi risultati per la conoscenza teorica e la trasformazione pratica dei sistemi sociali. Alla concezione lewiniana rinviano inoltre sia l’idea di una stretta cooperazione e interdipendenza tra gli agenti sociali, sia la centralità dei bisogni, intesi non come mera mancanza o carenza oggettiva, ma come elemento dinamico di coordinazione che aumenta la tensione, libera energie, dà valenza all’ambiente e direzione alle forze. Sotto questo riguardo l’azione interdipendente degli agenti di cambiamento acquista la dimensione di un processo di empowerment.

Nel modello SFL, l’efficacia di questo orientamento verso l’azione è peraltro fortemente coniugato con la sua capacità pratica di promuovere cambiamenti visibili e concreti, attraverso l’individuazione e il perseguimento di obiettivi che vengono definiti mediante l’acronimo

“SMART” ovvero obiettivi: Specifici - Misurabili – Attuabili – Realistici- Temporalmente definiti. Occorre che gli obiettivi specifici dell’azione siano inoltre, operazionalizzati e resi misurabili in rapporto ad un focus del cambiamento che deriva dal divario tra i bisogni individuati e le risorse disponibili, e viene reso evidente nella fase di preparazione del cambiamento. Questa trasparenza dell’azione costituisce di per sé un fattore di empowerment, in quanto rende espliciti e disponibili, nel coinvolgimento intenzionale di tutti gli agenti di cambiamento nel processo, dispositivi di controllo e rappresentazione sociale dell’azione formativa entro un contesto organizzativo e istituzionale, che si concretizzerà nella successiva fase di verifica.

Valutare, riflettere e ripartire

Un elemento fondamentale del processo è la sua revisione e valutazione attraverso una raccolta sistematica di testimonianze sull’azione realizzata

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per considerare l’appropriatezza di questi risultati rispetto ai bisogni che si erano identificati e per riposizionarsi rispetto al rapporto tra bisogni e risorse, per identificare gli ostacoli che si sono verificati nella realizzazione, per costruire un terreno di confronto degli esiti con gli obiettivi e i risultati attesi,. Non ci si deve aspettare che tutte le azioni siano in grado di rispondere in modo esauriente ai bisogni, ma che si possa registrare, da una parte, un miglioramento nella capacità di rispondere ai bisogni, una riduzione del divario tra bisogni e disponibilità e, dall’altra, uno spazio concreto in cui nuovi bisogni inattesi possano emergere. Agire, infatti, non vuol dire agire soltanto per soddisfare i bisogni precedentemente riconosciuti, ma anche esplorare nuove dimensioni dell’azione e del bisogno. Proprio la revisione valutativa del processo ci permette di chiarire come si siano poste le premesse per far ripartire su nuove basi il processo di cambiamento: l’azione realizzata è stata solo un passaggio, una tappa in una dimensione ciclica del cambiamento che il processo intende attivare e sostenere. Infatti il processo non si conclude, ma rilancia continuamente verso nuovi orizzonti di esplorazione, di riflessione e di azione segnando lungo il cammino i propri punti critici come nodi e sfide su cui continuare il cambiamento.

La valutazione del processo non si deve quindi limitare a considerare la corrispondenza o lo scarto tra l’azione realizzata e i suoi esiti attesi. Ogni azione in realtà mobilita una pluralità di risorse e rende disponibili prospettive che non sono tutte prevedibili nella sua progettazione.

L’irruzione dell’imprevisto negli esiti dell’azione rappresenta in realtà una fonte di ricchezza e di versatilità per il processo di cambiamento. Come dice Paolo Perticari, occorre imparare a seguire una pista che si potrebbe chiamare degli attesi-imprevisti. “Ciò non vuol dire: visto che si programma il resto, si programmi a scuola anche l’imprevisto, la sorpresa;

ma significa piuttosto mettersi in cammino per cominciare a considerare quegli elementi che ci sorprendono, e ci trovano in conflitto, come un’occasione per rivisitare le premesse implicite sottese ai nostri modi di osservare, di ascoltare, di fronteggiare questa o quella situazione. Una pista di ricerca-azione necessaria proprio perché chiama in causa il concetto stesso di azione educativa (…). La struttura degli attesi-imprevisti porta con sé uno sguardo ritrovato su ciò che quotidianamente si fa nei posti dove ci si trova ad essere. Implica la necessità di mettersi in cammino per trovare all’altezza di quel che si fa, quel che non si era visto prima nel farlo, attraverso il ripetersi di una ricerca o di un’azione che consente di

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ripescare ciò che di straordinario c’è nell’ordinarietà quotidiana”.

(Perticari, 1996, pag. 50).

Anche lungo questa via la proposta SFL emancipa l’approccio della Life Skills Education da una chiave semplicemente addestrativa, prevalente nella linea cognitivo-comportamentale, verso una linea che, enfatizzando il contributo delle più recenti tendenze post-cognitiviste, tardomoderne e critiche, attribuisce grande importanza alla riflessività, cioè alla consapevolezza che l’azione presuppone e mette in movimento processi di descrizione e interpretazione della realtà il cui sviluppo comporta una continua ridefinizione della situazione non solo del destinatario, ma anche degli stessi soggetti che la propongono e la mettono in atto (cfr. Handel, 1982; De Grada e Bonaiuto, 2002). La riflessività è il corollario della condivisione e del coinvolgimento che costituiscono le parole d’ordine fondamentali e il file-rouge che contrassegna le diverse fasi del processo di cambiamento in ognuna delle sue fasi.

Life Skills e curricolo

Sulla base di queste attenzioni processuali, la promozione dello sviluppo personale e sociale, nell’ambito dell’esercizio dell’autonomia scolastica, può orientare le scelte educative del curricolo. L’introduzione di una attenzione esplicita allo SPS nel POF include una puntuale rivisitazione del curricolo capace di accentuarne gradualmente (e ricorsivamente) la capacità di assumere senso e pregnanza entro i processi di crescita dell’autonomia del soggetto in formazione.

Tale “rivisitazione del curricolo” non può naturalmente essere disgiunta da una nuova assunzione di responsabilità rispetto al sapere, che consenta di uscire dal ruolo di mera riproduzione di un sapere “spiegato” ma elaborato altrove, verso una nuova relazione tra il sapere e l’apprendere e verso la costruzione di una “professionalità riflessiva” (Dutto, 2001) che per certi aspetti costituisce un prerequisito dell’autonomia scolastica. Lo spessore epistemologico di questa rivisitazione pone in questione quelli che Morin chiama i “saperi fondamentali per l’educazione del futuro” (Morin, 2001) e che possono essere collocati nei punti di intersezione tra le istanze dello sviluppo personale (in tutte le sue dimensioni: fisico-biologica, psicologica, sociale, culturale, etica) e la “conoscenza della conoscenza” , dei suoi dispositivi, delle sue implicazioni , della sua complessità.

Proprio per questo un curricolo “student oriented”, da un lato implica un’

assunzione esplicita di responsabilità, da parte della scuola, rispetto alle competenze per lo sviluppo (Skills for Life) e dall’altro costituisce la

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garanzia, nell’ancoramento del sapere all’esperienza personale e sociale, al perseguimento dell’autonomia come fine e non solo come mezzo dei processi formativi.

Questa attenzione può concretizzarsi, anche in questo caso, mediante una serie di passaggi schematicamente riassumibili nel modo seguente:

• Individuare le possibili risorse curricolari disponibili per la promozione dello SPS degl studenti e degli agenti di cambiamento in termini di:

ü Contenuti critici della proposta cognitiva disciplinare e transdisciplinare

ü Risorse metacognitive e strategiche

ü Competenze cognitive, comunicativo-espressive, sociali, di regolazione emozionale

• Rendere disponibili dispositivi di analisi di efficacia dell’offerta curricolare rispetto allo SPS mediante l’individuazione critica dei punti di forza e di debolezza e la promozione di forme di partecipazione e coinvolgimento dei soggetti (agenti) di cambiamento nella valutazione del processo formativo (laboratori di analisi del processo formativo inscritti nella didattica curricolare)

• Individuazione di “punti focali” di cambiamento che possano essere perseguiti mediante azioni che attraversino l’incontro con i saperi e diano alla crescita ragioni e occasioni di orientamento culturale

• Articolazione di tali sequenze d’azione nei dispositivi organizzativi della didattica

Essa presuppone che la distinzione tra ambiti curricolari ed extracurricolari venga progressivamente superata. Ciò significa che i saperi e l’esplorazione delle loro applicazioni nell’esperienza personale e sociale si costituisce entro una concezione ampliata del curricolo, riconoscendo piena legittimità alle fonti diversificate dello stesso aperto alla più ampia realtà sociale e culturale del territorio e riconoscendo parimenti al soggetto una responsabilità nuova nell’esplorazione delle risorse formative e nella costruzione degli itinerari di formazione.

Tale progressivo ampliamento di prospettiva nei processi di formazione e di istruzione/apprendimento comporta necessariamente una più esplicita attenzione anche agli strumenti didattici e alla loro integrazione entro una progettualità educativa coerente ed efficace, capace non solo di offrire un repertorio articolato di occasioni formative e di scambi, ma anche di mettere in atto dispositivi di auto-regolazione sistemica, per così dire, on- line.

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Uno dei compiti che vengono posti al curricolo formativo è quello di agire sulle “tastiere” della consapevolezza personale, interpersonale e sociale dei processi di crescita – una proposta che intrecci e dia senso esplicito al curricolo come occasione di crescita personale e sociale

E' chiaro che lo sviluppo personale e sociale chiama in causa una consuetudine al dialogo educativo che non si esaurisca nel supporto alle competenze di base. Esse tuttavia costituiscono la "tastiera" che è opportuno condividere perché rende più facile riconoscere le componenti dello sviluppo che entrano in gioco e perché su di esse è possibile assolvere con maggior agevolezza il compito di costruire un curricolo positivo e intenzionale, integrato e coerente.

L'obiettivo di uno sviluppo consapevole sia a livello personale sia a livello sociale può essere, infatti, realizzato mediante la costruzione di un itinerario curricolare "intenzionale" in cui il supporto alle competenze di base sia accompagnato dalla loro coniugazione con le competenze metacognitive e cognitive che provengono dalle discipline scolastiche.

Una possibilità in questa direzione è determinabile mediante una organizzazione della didattica per moduli incentrati sulle competenze psicosociali di base, in cui le unità didattiche di Skills for Life (in cui sono individuati: obiettivi, competenze implicate e competenze correlate, attività con gli studenti, rielaborazione e feedback degli studenti) si organizzano entro “centri di interesse” a cui possono essere collegati sia i contenuti curricolari proposti dalle discipline, sia moduli di rinforzo metacognitivo e di laboratori di supporto "on line" delle competenze di base

Responsabilità degli studenti nel processo formativo

Nella scuola secondaria superiore si tratta di verificare se la promozione delle competenze psicosociali di base, oltre a sostenere percorsi di qualificazione dei curricoli scolastici, possa favorire percorsi di promozione della cultura della cittadinanza e della partecipazioone nella scuola, anche attraverso la sperimentazione e l'adattamento delle metodologie di intervento sottese all'attuazione di forme di peer education.

Nel consolidamento e rinforzo delle life skills possono essere impegnate ed esplicitate le potenzialità formative che connotano la peer education, in quanto:

- il gruppo dei pari età riesce ad esplicitare attraverso una elaborazione collettiva dei valori condivisi di cui poi ci si appropria individualmente;

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- i pari si avvalgono nei confronti di altri giovani di un grado di credibilità che difficilmente gli operatori riescono ad acquisire, in quanto caratterizzati da una cultura e da un’età diversi;

- i messaggi sono maggiormente ascoltati se coloro che li diffondono vi si possono identificare e porli nei termini di un linguaggio condiviso;

- l’educatore fornisce modelli di ruolo e l’adolescente entra nella mente dell’altro, di chi ha la stessa età, gli stessi conflitti, gli stessi compiti evolutivi da affrontare;

- i giovani possono beneficiare di questo processo in termini di sviluppo personale, nonché di sviluppo delle capacità di comunicazione e pianificazione degli interventi;

- l’apprendimento attraverso i concetti analizzatori e organizzatori della salute e dello sviluppo personale, consente di integrare e strutturare mappe cognitive di riferimento con agganci ed innesti orientati ad una prospettiva di significatività esistenziale;

- il gruppo dei pari età rappresenta un’istituzione di accudimento affettivo dei ragazzi.

Questa metodologia, sicuramente utile a sostenere il livello informativo dei soggetti ed a potenziare la resistenza alle sollecitazioni negative, necessita tuttavia di estrema attenzione nell’applicazione, per evitare

- il rischio di non rivolgersi all’Io profondo del soggetto, alle sue aspirazioni o desideri, ma di limitarsi a proporre un ideale di buona condotta sostenuto da un rafforzamento dell’Io sociale;

- un intervento che produca un’efficacia preventiva a breve termine;

- l’insegnamento di tecniche di comportamento che non rispettano o banalizzano la complessità della persona;

- l’approfondimento inadeguato della relazione con l’altro;

- l’esposizione del giovane educatore ad una inflazione narcisistica, al sovrainvestimento sostenuto dalla qualifica di esperto, con riflessi negativi sulla personale costruzione dell’identità;

- il pericolo di anticipare lo sviluppo di alcuni giovani, affidando loro la complessità della trasmissione di informazioni psicologicamente non metabolizzate;

- il rischio collusivo tra le figure istituzionali dell’organizzazione scolastica (docenti) che danno un affidamento educativo di tipo delegato (allo studente-educatore) offrendo una semplice cooptazione nel ruolo di adulto.

Nelle esperienze di peer education, inoltre, si rintracciano più contingenti nodi critici nell’intersezione con le dimensioni organizzative e istituzionali delle scuole.

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- La relazione tra peer educators e “classe” può diventare problematica laddove non sia chiaro il quadro delle aspettative e delle attese con cui i soggetti affrontano esperienze di peer education. Nel nostro paese, le modalità di peer education si intrecciano in modo abbastanza consistente con l’architettura istituzionale “ordinaria” e finisce talora con l’intrecciarsi confusivamente con

- le forme di rappresentanza degli studenti (rappresentanti di classe, comitato studentesco, rappresentanza nel consiglio di istituto) in cui uno studente si trova a rispondere ad un duplice mandato (generalmente debole e fortemente autoreferenziale) da parte della classe e dell’istituzione scolastica;

- iniziative di “cooperative learning” e di “peer tutoring”, in cui lo studente si trova ad “ottimizzare” le dimensioni relazionali per il conseguimento o il recupero di obiettivi cognitivi e di competenze, soprattutto a livello disciplinare;

- iniziative di “educazione alla salute” e di “prevenzione” in cui lo studente svolge il ruolo di “mediatore culturale” rispetto a “proposte preventive” adulte

- processi di facilitazione della rappresentanza e della cittadinanza studentesca nella scuola

- La relazione tra peer educators e insegnanti tutors, che spesso sono anche insegnanti “della classe”. In generale i tutors sono gli insegnanti “disponibili” e più “sensibili” ai temi della partecipazione studentesca e dello sviluppo personale e sociale dei ragazzi. Non sempre la loro posizione nella peer education è frutto di una negoziazione con i peer educators, con gli altri studenti, con gli insegnanti della classe. In queste condizioni, anche l’insegnante tutor finisce col sentirsi a sua volta “sovraesposto” su piani diversi e rispetto

- a letture contrastanti della propria posizione istituzionale,

- alle dimensioni affettive e simboliche che inevitabilmente accompagnano in modo diverso le diverse posizioni organizzative con i ragazzi e con l’istituzione scolastica

- alla rappresentazione del proprio mandato

La relazione tra peer education e curricolo, costituisce una dimensione cruciale, poiché il curricolo è obiettivamente ciò che fornisce il quadro di significato in cui i processi di sviluppo e di crescita sui diversi piani acquistano rappresentabilità e sostanza alla luce del mandato sociale e istituzionale che la scuola percepisce come proprio. Se la peer education non acquista pregnanza curricolare (il che non significa che debba “esaurirsi nel curricolo”) probabilmente non riesce ad

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acquisire, nel medio periodo, significatività e senso nella vita scolastica, ma si candida ad una crescente marginalità e “indifferenza” rispetto ad essa. Una conseguenza di questo aspetto è che la peer education deve entrare in contatto anche con la dimensione “valutativa in tutti i suoi aspetti e nella sua complessità, dai processi di autovalutazione di istituto, ai processi di accreditamento formativo e ai processi di valutazione personale, compresa quella generale e specifica, fino alla valutazione disciplinare. La valutazione, come si dice frequentemente, deve costituire un processo di “conferimento di valore” e, in ogni caso, difficilmente acquista valore e pregnanza nella scuola ciò che non è suscettibile di valutazione.

Al di là dell’insistenza sulla peer education, il punto fondamentale è la riconsiderazione della posizione degli studenti nella formazione e nello sviluppo dell’offerta formativa e della vita scolastica. Essi non possono essere considerati né semplicemente “clienti” di un servizio formativo, né tanto meno l’oggetto di una prassi formativa che risponde unicamente a criteri dettati dalla domanda sociale e dal mercato del lavoro. Si può azzardare che, a certe condizioni, la presenza studentesca nella vita organizzativa della scuola chiama in causa soprattutto la costruzione dell’autonomia e della responsabilità del soggetto.

Una piena partecipazione alla costruzione della formazione da parte degli studenti, ma questo non può avvenire "dimenticando" che tale obiettivo è un superamento della posizione di destinatari e che passa prima di tutto per l'acquisizione di una consapevolezza critica della propria posizione di destinatari (e in quanto tali, controparte) dell’offerta formativa. Senza ripercorrere necessariamente i crinali metodologici ambigui della

"customer satisfaction", resta necessario che in primo luogo gli studenti debbano avere una garanzia di praticabilità dell'esercizio alla riflessione critica sull'offerta formativa di cui sono destinatari. Un secondo momento è che gli studenti possano acquisire la consapevolezza di essere portatori di una domanda personale (e di essere meramente “espressione” di una domanda sociale) di apprendimento. Questo passaggio è inevitabile, perché non c'è responsabilizzazione che non parta dall'esercizio di un diritto, la cui configurazione concreta dipende dal grado di consapevolezza della domanda in grado di attivarlo. La domanda presuppone una soggettività poiché la domanda ha natura discorsiva e può esercitarsi solo in presenza di un flusso di informazione (e responsabilità) tendenzialmente ascrivibili al concetto di dialogo La domanda è per certi aspetti costitutiva della soggettività e implica, anche nei contesti educativi, un esercizio ermeneutico. Dopo la "customer satisfaction", c'è probabilmente una fase di "analisi della domanda", cioè della dimensione cognitiva, emotiva, affettiva e sociale con cui il "bisogno" e "il diritto" ad apprendere e a

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crescere in modo sano, integrato e consapevole incontrano la consapevolezza di essere soggetti e non semplicemente "attori" di un ruolo sociale. Il terzo punto è quello della comprensione che la domanda implica un agire su contesti e culture, valori di riferimento, atteggiamenti condivisi, rappresentazioni sociali, sia a livello generale sia a livello locale.

Collocare la propria domanda nella "cultura locale" dell'organizzazione scolastica, dei sui valori delle diverse soggettività è uno dei passaggi chiave verso la responsabilità. Il quarto punto è che questa collocazione è dinamica e implica cambiamento, differenziazione, crisi e conflitto (conflitto cognitivo e culturale, soprattutto) da cui di nuovo si può evolvere tramite il dialogo. Questo implica collocare la consapevolezza della propria domanda entro le ragioni della diversità e dello sviluppo, nel senso del cambiamento, e non semplicemente nella "amministrazione" di un bisogno generico. Il quinto punto è che, di conseguenza, la responsabilità degli studenti costituisce un contenuto eminente dell'educazione scolastica, rispetto al quale gli strumenti della formazione (ad esempio le discipline o i progetti) devono misurare la propria "pertinenza". La responsabilità degli studenti si esercita quindi al livello della pertinenza delle discipline e del sapere rispetto al progetto di vita.

4.   La   collaborazione   tra   la   Scuola   di   specializzazione   in   psicologia  della  salute  e  i  Circoli  didattici  di  Orvieto  per  una   ricerca  azione  sulla  Life Skills Education nella  scuola

Il progetto che qui viene presentato è orientato a promuovere l’introduzione della Life   Skills   Education   nella scuola Italiana. La realizzazione di questo obiettivo, voluto dalla Scuola di specializzazione in psicologia della salute dell’Università “la Sapienza”, con sede didattica ad Orvieto, richiedeva di avviare la sperimentazione in realtà scolastiche e territoriali sensibili e in sintonia con le nostre prospettive culturali.

La scelta di decentrare le attività della scuola in questa cittadina nasceva dalla riconoscimento della tradizionale attenzione alla qualità della vita che caratterizza la cultura umbra e alla convinzione che ad Orvieto, meglio che altrove, sarebbe stato possibile realizzare un percorso formativo di alto livello in cui l’Università, gli studenti e il territorio potessero costruire una cultura della salute integrata e attenta a tutti i versanti dello sviluppo personale e sociale.

È sembrato importante e significativo cercare quindi la collaborazione innanzitutto delle scuole elementari del territorio orvietano. La collaborazione con le scuole si è rivelata produttiva: i risultati ottenuti

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hanno alimentato, nella équipe universitaria, la fiducia nella filosofia e nel metodo della LSE. Le successive iniziative di sperimentazione che, a livello nazionale, sono state promosse nelle scuole medie e superiori, dal Ministero dell’istruzione e dell’università, stanno confermando su ampia scala la validità del modello2.  

L’itinerario  delle  Life  Skills  nei  circoli  didattici  di  Orvieto4  

In questa prospettiva si muove la presente ricerca-intervento di cui di seguito si forniscono alcune linee generali.

Ricerca-­‐azione  

Obiettivo. Avviare presso i Circoli didattici del territorio di Orvieto4 una esperienza pilota sull’applicazione delle procedure di formazione alle Life   Skills  nella scuola materna ed elementare mediante la predisposizione di un programma di intervento che tenga conto dei seguenti aspetti generali:

– possibile contributo della Life   Skills   Education   all’articolazione del piano dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche;

– analisi dei curricoli scolastici e disciplinari come occasione di promozione delle Life  Skills;

– individuazione delle relazioni operative tra metacognizione, stili di apprendimento e Life  Skills;

– le Life   Skills   come possibile ambito di dialogo educativo tra insegnanti e genitori.

La ricognizione della declinabilità delle risorse e degli strumenti ordinari della scuola ai fini di percorsi di promozione, oltre a costituire un tratto specifico della nostra proposta, anche rispetto ai programmi di formazione OMS, rappresenta un modo concreto e coerente per dare piena attuazione a quanto previsto dal DPR 309/90 che, al comma 2 dell’art 104, inserisce l’educazione alla salute nello “svolgimento ordinario dell’attività didattica ed educativa”.

Metodologia. Il programma di ricerca-azione si è ispirato al modello SPSC (Skills  for  the  Primary  School  Child), sviluppato da “TACADE”in

4I Circoli didattici di Orvieto sono due:

a) il Circolo didattico di “Orvieto capoluogo” comprende: la scuola materna ”Regina Margherita”, la scuola elementare “Piazza Marconi”, le scuole materne ed elementari dei Plessi di Sferracavallo, Sugano e Canonica;

b) il Circolo didattico di Orvieto Scalo “Sette Martiri” comprende: la scuola materna ed elementare di Orvieto Scalo, le scuola materne ed elementari dei Plessi di Ciconia e di Porano.

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Inghilterra come un elemento di base per l’educazione personale e sociale dei bambini da 5 a 11 anni e per la prevenzione alla droga nelle scuole secondarie.

Anche sulla base di altre esperienze che, come Scuola di specializzazione stiamo conducendo in vari ordini di scuole italiane, abbiamo definito alcune linee metodologiche di carattere generale, che mirano prevalentemente a sollecitare e favorire:

– Una dinamica partecipativa in cui entrambe le componenti -gli psicologi esperti, da una parte, e gli insegnanti dall’altra- lavoreranno insieme nel pieno rispetto della distinzione dei ruoli ma anche nella massima capacità di condividere l’impegno di co- protagonisti dell’iniziativa.

– L’attivazione, il riconoscimento e la rivalutazione delle competenze didattico-disciplinari degli insegnanti.

– L’utilizzazione di costanti e sistematici spazi di riflessione mirati ad un’acquisizione consapevole delle modalità di intervento da realizzare sulle classi.

– L’individuazione di modalità e strumenti in grado di perseguire una valutazione processuale.

È possibile cogliere, in queste linee guida, l’intenzione dei formatori di sperimentare la participatory   learning; la metodologia di formazione utilizzata, mirava a proporre agli insegnanti stessi, sul piano esperenziale, l’acquisizione e l’approfondimento delle principali Life  Skills  per renderle così trasferibili agli alunni e agli altri ambiti del sapere.

Il programma specifico è stato costruito con  gli insegnanti, mediante una dinamica partecipativa, co-costruttiva. Riteniamo che questo cambiamento del ruolo di ricercatore-esperto, rispetto alla gestione tradizionale, costituisca   una   nota   distintiva   e   irrinunciabile   del   nostro   progetto.  

L’obiettivo   che   con   esso   si   vuol   raggiungere,   passa   infatti   attraverso   il   cambiamento  della  relazione  di  insegnamento-­‐apprendimento  in  cui  gli   alunni  e  gli  insegnanti  stessi  si  troveranno  coinvolti.

Nelle differenti realtà dei Circoli didattici, la progettazione ed esecuzione dei programmi di intervento del modello citato, sono state sostenute da attività di tutoring che hanno ben presto alimentato un’autonoma capacità nelle insegnanti di sostenersi reciprocamente, di ricercare altri momenti di incontro e dedicarsi alla progettazione e valutazione in  itinere.

Destinatari. Nel progetto sono stati coinvolti entrambi i circoli didattici di Orvieto, mediante una presentazione, di carattere generale, al Collegio

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