UNIV. or
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO
DELLO STESSO AUTORE
:v Giannetto pregò un di la
mamma
che lo lasciasse andare alla scuola » racconti due (in collaborazione con Luigi Perelli)—
1866.« Ter me si va tra la perduta gente » rac- conto
—
1867.Vita di ^Alberto Tisani
—
1870.Elvira
—
elegia—
1872.// %egno dei Cieli
—
1873.La Desinenza in <A
—
1878.Goccie d'inchiostro
—
1880.V
Altrieri—
terza edizione—
1881.La Coloniafelice
—
utopia lìrica—
quartaedizione
—
1883.In preparazione:
// libro delle binarne.
*&&" ftlU^O
CARLO DOSSI
\
RITRATTI UMANI
dal calamaio
diun mèdico
PRIMO MIGLIAIO
SECONDA
EDIZIONEROMA
CasaEditrice A. Sommarugae C.
- ;- Via DueMacelli•}
1883
PROPRIETÀ LETTERARIA
81*/
CoitipidiAdolfo Paclini
—
Roma.•> -4,.>- -*..* -*. .* -4.
.
A
intutti
processionevoi-salvononunointerrotta,-mèdici,pas-che, saste accanto al mio letto, da quando era culla ignorante efelice, a quando fu capez- zale difantasie e d'insonnia o tàlamo di peccati e rimorso - mèdici, sia della vec- chia, sia della nuova, sia della nessuna scuola, omiopàtici od allopàtici - mèdici mingherlini o panciuti, ingrugnati o gai, pessimisti od ottimisti, chemi
tambussastecome
popone colle nocche delle vostre dita emi
pesaste qual cartastraccia emi
6
RITRATTI UMANI
speraste quale uovo, mettendo le vostre orecchie sul settimestre mio cuore e il naso ne'miei segreti - mèdici che deste
un nome
scientifico alY
ombre
dellamia
paura, dalla idrocefalìa cretina alla gialla epatite, dalla sudicia dispepsia alla progressivaparàlisi, dallapallente anemia all'ateroma precoce,e finanche (diàgnosi lombrosiana) al foro non rinsaldato del 'Botallo- mldici, infiney che
mi
avete purgato, insenapito, unto, idr opalizzato, cloroformizzato, irrigato per ogni verso, emi
avete stipato diferro, di fòsforo, di chinino, di arsènico, di stri- cnina, senza con tutto questo accopparmi;a voi tutti, dico, offro il presente
volume
che parla de'fatti vostri.E
a voi special-mente lo dedico, o
Francesco Durante,
che siete la scienza fatta bontà, e a voi
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO J
Antonio Cardarelli
chemi
sembrate la matemàtica diventata medicina; a tè sopratutto, mite Perillo, ascoltatore be- nigno e correttore sapiente dei falli del mio minùscolo corpo e dellepa^ie
del mio cervello ipertròfico.Un
illustre ammalato, Giuseppe Rovani, nobilitò la originaria edizione di questiumani
ritratti coli'ac- còglierne clementemente al suo letto dimorte il primo esemplare (e
fu
l'ultimolibro ch'ei lesse): possa la
nuova
ristampa raccomandarsi alla sospettosa clientela li- braria, vostramercè, o chiarissimi mèdici.c
l<Lè abbiatevi a male, se io, benché non uscito da alcuna clinica universitaria ed instagione non carnevalesca, osi indossare,
i panni dellaguardaroba vostra e scendere in piazza. Sarei piuttosto da biasimare,
RITRATTI UMANI
qualora, della compagnia dotta e confor-
tati-ice, di cui si a lungo fruii, nulla avessi imparato. D'altronde, tra medicina e letteratura corse sempre amicizia.
Uno
studio biogràfico e insieme psicològico, che altri facesse su tale interessantissimo tema, potrebbe forse scoprirci le riposte cagioni della simpatia che passa fra le due
arti, la cui principale missione è di richia-
mare
il bel tempo, o, se non altro, di dissimulare il cattivo, una al corpo, l'altra all'animo. CNJ.
viha classe che,più della vostra, vanti inclitinomi
nei fasti delle belle lèttere. Se dunque moltissimimèdici, hanno occupato, nel cosidettocampo
lette- rario, assai pèrtiche per coiiivarvi piante non sempre medicinali, sarà lécito,panni, anche a noi letterati di entrar talvolta neiDAL CALAMAIO DI UN MEDICO
vostri spedali, non solamente, come è tra- dizione italiana, per implorarvi gratùita morte, - lecito almeno a me, che, dopo di avere, per tanto tempo e con tanta ostina- zione, sofferto, per necessità di natura, la parte dell'ammalato, ho certo quale diritto difìngere - per breve capriccio d'arte - la parte del mèdico.
'l^oma, i aprile 188}.
Carlo
Dossi.I.
Nuova
eantica impostura
IO
le sono, marchesa^ tenuto assaidel divertimento, altro
non
fosseche
per averlogoduto con
lei,ma
veda, per carità, dinon
dare delmago
al bossolottajoHermann!
Belmago! un
sorridente grassoccio in cravatta bianca e marsina, servito dauna
livrèa di scena, inmezzo
aun
teatro affollato e illuminato a giorno, senza apparecchi,12
RITRATTI
U MANIsenza
neppure
bacchetta!Ah,
cara lei;perchè èssere ingrati ai nostri antichi Merlini e Sabini
con
le lor barbe e ilor berrettoni appuntati e ilorzimarroni neri
con
su cuciti inpanno
rosso isoli, le stelle, e gli spicchi di luna?
perchè fare torto ai lor nascondigli, torri
sempre
in rovina,con
certi tene- brosi stanzoni rischiarati soltanto dallaverdógnola
luce degli occhi diun
gatto che ingrossava lacoda
e soffiava alnostro apparire, stanzoni in cui, oltre
un
puzzo di solfo,un
borbottìo dical- daroni dalle orrende misture eun
la-mento
di strigi, èrano e gufi inchiodati e coccodrilli e basilischi impagliati e cani arrabbiati appesi alle travi, eam-
polle e rospi e pignatte e diàvoli che
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO
arrampicavano
su e giù per lacappa
e si rannicchiàvari
ghignando
tra legambe
dei tàvoli?... Quelli, o marchesa, òranmaghi
!Almeno,
ci facèvan paura.Ma, ahimè
! la uniformità, di giornoili giorno,
uggiosamente
si accredita.La
ferrovìavuollapianura.
Scompàjono
idia- letti,lefoggie,imisteri,scompàjono
le di- visioni esuddivisioninella filosofìa,scom-
pàjonoiconfini,e,bastasseilvolere,scom-
parirebbero le stagioni. Ecco, nell'arte,,chelasculturafada pittura, la pittura da
mùsica
e lamùsica
damatemàtica men-
trelaletteratura arieggia l'analfabetismo, che gli scrittori del giorno
tèmon
per- fino di parere d'ingegno.E una
orrìbile noja è lasomma. Tutte
poi quellealte e basse livrèe, che, palesandocon
chiRITRATTI
UMAXIs'avèa a trattare; mettèvanci tosto a
no-
stro agio, tutti que' segni, che, aprimo
aspetto, cidavano
ilgrado
dell'officiale moralità di ciascuno, dallapoètica laurea alla croce di cavaliere, dalmarchio
d'in- famia alle gialle o rosse bindella delle trecche d'amore, vanno,uno
dietro del- l'altro, adaumentar
la pastura ai topi dell'antiquaria.È
al teatrino dei nostri bimbi, è al tresette, è al tarocco, che noidobbiamo
ricorrere,quando ancora vogliamo
rallegrarci la vista a que'va- riopinti vestiti, a quelle corone di talco, a que'scettri, a que'manti,, senza di cui, addio re e regine!sembrano
carne,come
la nostra, porcina,h
ne viene?ne
viene, che tu, col cappello tra mani, credi parlare aun
padrone, ed èun
DAL CALAMAIO DI UN' MEDICO I$
servo : dai del tu a chi di servo ti
ha
l'aria; è
un
padrone. Prestidanaro
adun
pòvero, perchè lo reputi ricco;non
aduli ad
un
ricco, reputandolo pòvero.Così, la
donna
che è diuno
e ladonna
di tutti si barattano i
modi;
anzi, ledonne,
aquanto
dicono loro, stanno per diventare uòmini.Ognuno nasconde
i ferri del suo mestiere.
La
plebèa aràl- dica delle insegne, che,me
fanciullo, era ilmio
spasso, va a ròtoli con la nobiliare delle armi.La
barbierìa, adon
Chisciotte ingratìssima,
ha
perduto isuoi piatti e s'è cangiata in
uno
scipito salon; il caffè cangiò in farmacìa;men-
tre il fornajo, che già faceva la cosa più
buona
delmondo,
volle farmeglio
e fé' peggio, togliendo al pasticciere la16
RITRATTI UMANI
mano,
sicché costui trovossi obbligato a gettarsi nella chincaglieria e oravende
i confetti per
amor
della scàtola.E
in- tanto il bugiardo, onestamente, chiamasi gazzettiere, e il ladro, speculatore di Borsa.Senza
i preti e i soldati aman-
tenerci
un
po' ancora nei ranghi, dio sa che babele! che generale miscuglio!E
voi,dove mai
ve la siete fumata, o dottoroni bisnonni, vecchi sempre, dalla tabaccosa espressione, fonte già tanta dibuon umore
aiMontaigne,
aiMaggi,
ai Molière? voi, che, annunciati dal serviziale e seguiti dalla lancetta, scendevate da portantine color verde- bottiglia per salire da noicon un
passo pesante che parèa dimulo
euna
tór- bida cera quasi per spaventare lama-
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 17
lattia,
mentre non
spaventava che l'am- malato, e facevate le vostre divinazioni stando alla porta della stanza da letto,tenebrosa e attufata, interrogando gli astri e le orine,
con
certi tèrmini stra- ni e citazionimezxo
in linguaggio greco,mezzo
in ebrèo, perchè, piut- tosto che andare a cercare, vi si cre- desse sulla parola; poi partivate, la- sciando le traccie della vostramano
ad uncino su certelunghe
ricette,lunghe come
lafame
da voimantenuta
negli infelici clienti? edove sono
iti ivo-
stri amplissimi studi atramontana, dalle vetriere incartate, e le cataste di librac- cioni,
non mai
vecchi abbastanza,giallicome
la faccia diun
giapponese, e igessi verniciati di
marmo,
diGaleno
e 2—
Ritrattiumani.RITRATTI UMANI
d'Ippòcrate, e i lùcidi crani
con
su di-segnata le città degli affetti, le sue piazze e contrade, e i poltrononi di pelle dura e sdrucciolevolissima, i
pa-
landrani color tabacco-di-frate,, le ber- rette a ricami e col fiocco, gli occhiali o d'oro o di osso, lecanne
d'India dall'aureopomo,
e le tabacchiere tem- pestate digemme, dono
diqualchegrande
di
Spagna
o diuna dama
della croce stellata?A himè
! voi cedeste a dei dottorine senza né gravità né velluto alle unghie, abbigliaticon
gusto eben
pettinati, che
lùmano
sigari eusano
di occhialetto, che dottamenteannòjano
poco,ma
chiacchieranoanche
di cap- pellini, che spessosanno
sonare delle polche e dei valzi e, all'occorrenza, bai-DAL CALAMAIO DI UN' MEDICO 19
larli, che se coltivano fiori,
non
è per stillarne le quintessenze,ma
per ornar- sene l'abito ! cedeste a studioli, che sidirebbero
meglio
abbigliato^ dalle fi- nestre aperte, dalla minuzierìa elegante,con
scranne in cui si siedecomoda-
mente,con qu
adri chenon
ti guastanoil desinare,
con
scientifici libri,non mai nuovi
abbastanza, frammisti a romanzi, a gazzette e adun profumo
nell'aria, che, insieme alla donna, ti ricorda la vìpera!Ma non
sia dettocon
questo, che l'erudita ciarlatanerìa abbia lasciato imortali:
oh non pensiamolo manco
!Poiché
lasomma
dei vizi,siccome
delle virtù, è tuttora quel' era negli eròicitempi
:l'uomo,
dagli àbiti in fuori, èRITRATTI UMANI
sempre
stato quel desso.Non
è V in-ganno
che muta, è il gergo.Una
volta, per farsi valere, la Scienzadovèa
ès- sere greve, tediosa,con
le cigne e le staffe e circonfusa diun
certo qual re-verendo
odore di vetustà; oggi, essadeve
prodursi in scarpini, procèdere gaja, spirar la freschezza dell'appena
sfornato. Giovava,una
volta, sesimu-
lata; or giova dissimulata.
Quando
ilvecchio dottorevolèa adoprare paroloni dell'arte o bizzarri, li proferiva lentis-
simamente,
solennemente, perchè si ca- pisse ch'ei li capiva, per farne sentire tutta la difficoltà; ilmèdico
odierno lilascia invece sfuggire
come
se a caso, senza che appaja ch'ei dia loroimpor-
tanza, quasi già noti a chiunque.Que-
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 21
gli ostentava di avere tanto studiato e tanti anni (che i vecchi sistemi di ap- prèndere
èrano come
i sentieri diun
giardino all' inglese, più fatti per allun- gare chenon
per scorciare ilcammino)
e di avere spogliato, lui solo, in privi- legi e diplomi,
un gregge
di pècore, e di possedereuna
biblioteca di scien- za inimica dell'aria e di fruire della illuminazione di tutti i torchioni-a-orto- stoppini europèi; questi vorrebbe in- vece parere dinon
èssermai
stato a scuola, neppure.L'uno insomma pom- peggiava
in da-più, l'altro inda-meno,
ma
inambo
i casi per guadagnarci nel crédito.E
se l'uno abbigliava le pro- prie stivalerìe di latino e di greco, af- fibbiandole anzi ainomoni
di Celso,,22
RITRATTI UMAXI
Magno,
Oribasio,Avicenna
eAverroè;
l'altro, furando a costoro le migliori pensate, ce le traduce e le spaccia per sue.
Ma,
secon meno
dottrina econ
più leggiadrìa, siaccoppa
scientificamente ora,né
più némeno
di allora. Gli èuna medésima
storia, stampata, anziché neiracadèmico
in-folio, nel casalingo trentaduèsimo.Oggi,
in cuinon
siha
piùdatrattarecon
genteche
dalle fascie passa alla sferza e dalla sferza alla fede, anche l'inganno dovette modificarsi, e si fece...piùsémplice—
ossia perfezionò.IL
Un amore perduto
VIeni
a vedere il bel pezzo—
disserra allegramente il dottore Martini, di sulla porta del luogo, che, sì
temuto
dai poveretti, noichiamiamo
il teatro,
un
teatro in cui spesso meri-teremmo
i fischi e le risa,quando
arri-viamo
a capirci le malattìe di chi fu nostroammalato
ed a guarirle perfet-tamente
in teorìa—
e,traèndomi
seco24
RITRATTI UMANI
mi
addusse auna marmorea
tàvola sulla quale giaceva,nudo
e bianchissimo, ilcorpo di
una
giovine morta.Fu un
tuffo nelsangue. Io ritornaicon
quìndici anni dimeno,
aun
tavolino di studio, lepalme
alleguancie, alzandoda un
vecchiovolume
gli stanchi occhi,per
riposarli sulla faccia freschissima di
una
fanciulla, che
mi
dicèa, arrossendo, dinon
affaticarmi troppo.Oh,
quale in- consciopudore
in quel suo visoprima-
verile! qual biondissima chioma, raggi di sole in matassa ! quale sguardo pro- fondo, tutto avvenire e niente passatoi Ella era la figlia della
padrona
di casaed
era colèi che, la prima, avèa datoun nome
almio amoroso
desìo.Ma oh quante
volte, senza coraggio di dichiararmi.
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 25
senza speranza che pietà la stringesse,
reputandomene
indegno,avevo
sospirato egemuto
e invocatolamorte
! e,oh
quante volte,èrami
giunta cara la notte, per rifarmi nei sogni,almeno con
laparvenza di lei, degli abbracci e de' baci che laRealtà proibiva.
E mi sovvengo
diuna
serad'estate, vigiliadelmio
partire, nella qualeiomi
stava, presso la guancia scot- tante di quella gentile, al davanzale diuna
finestra,mirando
silenziosamente ilcielo di stelle densissimo, e le stelle pa- rèano raddoppiàrmisi nella inumidita
pu-
pilla e il cuore
m'
inturgidiva di voluttà alle note lontane diuna
flèbile mùsica, e lelabbraagguzzàvansispontaneamente,
vogliose d'incontrare le sue...Ma
il bacio fu ringhiottito.Ambo
era-2 6
RITRATTI UMANI
vamo
tra quelli infelici, devoti aduna
carriera.
Xe
fosse andatadimezzo
lamia, tanto faceva! neavrei intrapresaqualchealtra, e
una
forse diminori
dolori;ma
per la sua, quella del canto, prometti- trice di
premi
sì larghi, che le poteva offrire io incompenso? Vero
è bene.Amore
vive anchea solpane;ma
inostri parenti—
da noi—
attendevano ilcom-
panàtico.
Fu
virtù?Fu
viltà?E, da quel punto, io
non
la vidi più,neppure
nei sogni. Altri pensieri, altri visimi
si dipìnsero in capo. Iomi
fissaiuna meta
e studiai, lavorai, vinsi ostà- coli infolla, ed ora,eccomi
qua,mèdico
in voga, ricco senza rimorsi, e stimato
non
per la sola fortuna.Ma
e a che prò' ora?Ben
alta e riDAL CALAMAIO DI UN MEDICO
gogliosa è la
messe
tanto bramata,ma
è rigogliosa e alta sopra coloro per cui l'educai e chesperavano mièterla. Io
mi
trovo, ora, oltrepassato lo scopo, stanco e svogliato di raggiùngerne altri, io
mi
trovo, deserto, in
una
carriera il cuibene
è il male, che uccide e guarisce ingloriosa,vacuo
di amici,vacuo
dide-
sideri, senza il lieto ricordo di èssere stato,
una
sol volta, amato, senza lu- singa dimai
potere, ancorauna
volta, amare.Che
ladonna, per noi,non
è cheuna fémmina
: toltoilpudore, Villusione cessò,e,via questa,cherimane
all'amore?Per
no;, « toutI tò xpx»io* -ó ex-j^ «stìv. »Ed
ecco, che io la rivedo ora, lei, ilmio
ùnicoamore
e il dolore più forte, poiché furono i primi,dopo
tanti anni,28
RITRATTI UMANI
immersa
nelsonno
chenon ha
sogni e risveglio, cetrapriva dicorde,muta
quella luce degliocchie del labbro, cheavrebbe
cresciuto, belli evirtuosi,intornoad
essai miei figli; e io la vedo, la
prima
volta, nuda, lei sì pudica, esposta agli sguardi lascivi degli scolari, e alle dotte mali- gnità dei maestri, e io posso infine toccarla,ma
conuà
ferro,ma
per strap- parle,ahimè
forse!un
racconto di tra- dimenti, di orgie, e di laidissimi morbi.— Questa donna —
fé',incominciando
la sua lezione, il dottore Martini
—
èmorta
di crepacuore...III.
MÈDICI
E FARMACISTIDecòctum leràffime pv'rgans.
PJcipe: Syrupi rofàrura soluti
cum
senna,scammonea
syriacce,mechoacannae albce,
jalappae ana gr. LVII 4/5 Adele: Radìcis dàuci vulgàris,
ariftolochiae longae,
Ugni safìfafras, radìcis scorzonerie,
capfulàrum fèminum adatodae,
30
RITRATTI UMANI
radicis pianta umbellìfera,
radìcis piantai ex aquaticàrum familia, sarfas-parillae,
mali cydoni,
summitàtum caprifolii,
exuviàrum cicadàrum,
sèminum delquamatàrum lacrimai Job, anagr.
LXIV
4/5 Adde: Radicis glycyrrizae gr.XXXII
2/5 Adde: Radìcischina; f ij. 3 ij.Adde: Nùcis rrrofcatae, mvrrae, spermaeranàrum, sànguinis dracònis Se
©àris
Se Càr:sSe Orii vivi, quantum lùbet.
Inde, coque balneo Mariae per hòras duas
cum
media&
deinde, nocte tota,decòctnm refrigèfeat.Pro potu assiduo.
.... così,
una
ricetta dall' inchiostro in- giallito, che stava, qual segnafogli, inuno
di que' grossi volumi,tanto studiatiDAL CALAMAIO DI UX MEDICO
dalle tignolee dai topi, di
mio bisnonno
archiatro di S. S.Clemente XIV,
peramore
dei qualimi
si volle dottore.Vi
si trovava di che uccìdere
un
sano; fi-guriamoci
poiun
malato!Non
io,mèdico,
sarò certamente quello che dicadannosa
lamedicina
e la farmacìa, tanto più che ionon
re- puto tale (e questo pure qualuomo) nemmeno
la malattìa, che fa pregiata la sanità; altrimenti, avrei di giàsmesso
il
mio
presente mestiere, o piuttosto,non mai
cominciato.Quel
bianco bar-bone
dell'antichità, che diceva «dove
molti avvocati, molti litigi;dove mè-
dici molti, molti malori » lasciò, dietro
il chiuso dei denti,
con
assai malafede, l'epìteto di cattivi.Ed
io parlo,invece,RITRATTI
UMAN1soltanto dei buoni, i quali
appunto non sono
coloro, cheprovocano
ilmale
per divertirsi a studiarlo, che tentano con- tinue prove di certi lor sogni chiamati sistemi, che,insomma,
tannoman
bassa, senza scrùpolo alcuno perchè senza pe- rìcolo, delpròssimo
loro, quasi il di-ploma
dimedicina
equivalesse auna
licenza di caccia. Però, io ritengo che
la nostra
importanza
sia sopratuttomo-
rale.
Mèdico
buono,non
saràmai
ilsémplice osservatore del corpo. Spìrito e corpo stanno fra loro sì strettamente legati, che
una
perturbazione nell'uno,
dee, o sùbito o poi, influire sull'altro;
quindi, necessario a guarire, è di co- nóscere
bene
le fonti della vitamorale
di uno, le quali si trovano spesso fuori
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 33
di lui, si trovano spesso lontane.
E
in- fatti,come
placare iltumulto
di cuore auna
madre, finche l'ingratìssimo figliocammina
le vie della disonestà?come
ridare alle guancie d'
innamorata
fan- ciulla la pienezza e le rose, senon
le bacial'amato? Oh
quanti dolori dicapo non sono
che babbi omariti nojosi!oh
quante dispepsìe ostinatenon sono
che rimorsi indomàbili!E
se talvolta, per guarire la mente, bisognaprima
il corpo,molto
più spesso, bisogna quella per questo.Novantanove
su cento poi, la malattìa è in gran parte paura, e or qual rimedioa paura, fuor di lei stessa?...Giova
ilmèdico dunque
a inspirare almalato la fede nella vicina salute o a mantenergli
almeno
laspeme,
il che è3
—
Ritrattiumani.54-
RITRATTI UMANI
già
un mezzo
guarire; giova,dunque, ingannando. Ma
l'inganno—
si grida—
è
indegno
diun ànimo
forte. Io ri-spondo
:purché
albene
sia strada, ev- vivaanche
lui ! Esso, finché soffriremo sbattuti tra desideri celestie bisogniter- reni, ci sarà grato, e, finche grato, saranno e i mèdici e i preti.Abbiate
pazienza, oDei
di secondamano,
mì- seri fabbricatorini dimondi
controna-
tura,con
l'ignoranzanon hanno mai
valso i raziocini della saggezza, né var-
ranno
mai.Di
addurre alVero
la plebe, ùnica via, « l'Errore. »E
però,una grande
nostraalleata sa- rebbe la farmacìa.Ma, ahimè!
essa, ancora oggidì,non
è salutare che a chine
tiene bottega; essa ancora risponde,DAL CALAMAIO DI UN MEDICO
in tutto e per tutto, alla sua orribile etimologìa di pa^axaìa o avvelenamento.
Come
se ilmale non
avesse a bastare, soprarrivailrimedioappunto
allorquandooccorriamo
delmaggiore
riposo, e lì citroviamo
costretticon uno stomaco
infermo a digerire cose indigerìbili aduno
sano, a metterci in corpo certe sozze miscele chedoppiamente hanno d'uopo
dipurga
diquanto purgano
loro.Ma
ilrimedio —
si dice— ha
talora approdato.Oh
sì! lamacchia
èscom-
parsa,
ma
scolorando obucando
lastoffa;e
—
frequentissimo caso— crepiamo
perfettamente guariti.Tuttavìa io sostengo, che la farmacìa potrèbbesi annoverare tra le migliori confortatacialla salute!
Non
havvi male,36
RITRATTI UM
AXIdel resto, che, ristacciato nel cribro del-
l'intelletto,
non
abbiaancora
a filare qualche stilla di bene.Qui
ilbene
è la fiducia di farne.Che
laimaginazione ha
parte, più chenon
sembra, nell'essere nostro.Spesso, l'apprensionediun morbo
lo provocò; mentre, talfiata, o
non s'am- malò
chinon avèane tempo
o ilmale
altrove si volse, stufo dirimanere con
chi pigliàvalo a gabbo.Data
quindi la fede, sipuò
attribuire la guarigione deimedésimi
mali ai più disparati rimedi.Tutto
va per andazzi, eanche
la far-macìa
segue la onnipossentemoda. Un
vecchio rimedio avrà
sempre minore
probabilità dibuon
èsito, specialmente se usatocon
loro che tagliano ipanni
e le idèe all'ultima foggia, diuno
inDAL CALAMAIO DI UN MEDICO 37
voce
di nuovo.Anni
fa, a tutti crescèa qualche boccale di sangue, e si guariva facendosene tórre; oggi tuttine man-
cano, e si guarisce facendosene infón- dere.
Anni
fa, giovava la fame, sottoil
nome
di dieta - interminàbile dieta, interrotta soltanto da qualche fioco pan-trito, concolore all'infermo, e che faceva
bramare
a costui perfino le medicine - giova, ora,un
pasto da belva.Una
voltainsomma
la malattìadovèa
esser vinta,fuggendo;
ora,pugnando. Giovò
peròsempre
e gioverà eternamente ilgran
rimedio del nulla.Quel mèdico
adunque, che sa, della farmacìa, farne, per così dire,una
cordada
salvataggio dauna
strangolatola, io lo stimoun gran galantuomo.
I nostri3,3
RIT
RATTI Ivillani, del rimanente, ci
avèano
di già additato la viacon
certi loro rimedi, fattinon
tanto almalato quanto
per ilinalato,
come
sarebbe, tra i molti, ilfregargli le coltri contro la cristallina arca di qualche miracoloso carcame, e noi
saggiamente
liabbiamo
imitati nella omiopatìa e nella idropatia le quali, lasciando tutto il prestigio al rimedio,ci guarentiscono d'ogni suo danno, che,
con
la prima,non
entra in cofpo abba- stanza da rovinarci, econ
la seconda—
ancormeglio
!— non
entra affatto rimedio.Ma,
o tu—
rispettàbile Università del Pestello— non guardarmi
in [sbieco.Nessuno
ti vuol danneggiare.A un
pattoperò. Ecco. Noi, mèdici,
promettiamo
UAL CALAMAIO DI UN MEDICO 39
di scrìverti ancora ricette
lunghe
e co- stose, (che, più ilfàrmaco
costa e piùdà
liete promesse)con
tèrminiimpro-
nunciàbili, che, all'ugola, guài! se cicascano sopra; tu, di tua parte, giura di
non
appillolarci nelle foglie argentine senon
polpa di pane, dinon
rin- serrarci nelle smilze fiale senon aqua
del pozzo.
Così, voi, farmacisti, con
maggiore
guadagno,
sarete più onesti; raro, anzi ùnico caso; noi, mèdici,non
falliremo al nostromandato,
che è di frapporci tra l'ammalato e voi.IV.
Castità
èonestà
IL conte
deputato Guinigimi
trasse nelvano
diuna
finestra, e: dottore—
disse— sono
nelle tue mani. Saprai che sto per prèndere moglie...—
Io lofisàicon dolorosostupore.
Troppo
lo conoscevo.
Nato
da genitori che odià- vansi; in balìa,prima
dei servi, dei bar- nabiti poi7 che avèa lasciato,compro-
42
RITRATTI UM
ANImessa
ia schienanon
dagli studi, egli, nel fango diuna
turpissima vita, avèa perduto danari, salute e onestà, perduto perfino l'ultima delle verecondie, quella del vizio,non
acquistando incompenso
cheuna
anticipazionedi rughe, di inono- rata calvizie e di esperienza improbis- sima. Più nulla di gioventù, fuorché gli anni.E
or voleva costui maritarsi? epo-
teva?Dio mio
! legalmente sì.Ne
lacomune
opinione era lì a riparare alia legge, poiché nel belmondo
fa racca- pricciouna macchia
al vestitoma non una
all'onore; anzi,come
i falsi giojelli pàjono veri su chi stimasi ricco, così ivizi, virtù.
Ed
io pensarnon
poteva senzaun
DAL CALAMAIO DI UN' MEDICO 4}
subbuglio nel sangue,, a quanti voti ed
armeggi
sugióvani talidicanuta nequizia ordiscono innumerevoli madri,dimén-
tiche di èssere state, esse pure, tradite.
Oh
quanti parenti, per il bene dei figli,hanno
fatto il lormale
!Ed
ecco, inùtiliesempi
dimatrimoni,
in cui principai parte è il notajo, e letti concussi da belve—
chedico!onestesono
le belve—
concussi da
uòmini
scellerati, i quali, impotenti a irritare la turpe lorvènere tra le lupe e i cinedi, tentano, per di- sperazione, di provocarla al contatto diuna
sposa pudica, maestri a lei di libì- dine.Donde,
le spose tosto sfiorite, ilperpetuo alterco,
F
inevitàbile adulterio, e il cretinismo e la tisi inquartati nelsangue con
la trista sequela dei pàllidi44-
RITRATTI UMANI
discendenti che
piàngon
le colpe dei padri; donde, i tracolli improvvisi egli sfasci nei patrimoni, la inempìbile gola del lucro, i tàciti ingoffi e le legali ribalderìe.E
tu, omia
Italia, da similegente smi- dollata esfiancata, pria che matura,mar-
cia, attendi la tua salute? Infelice!
non uòmini
sono,ma
vizi. Forse,saranno
i rappresentanti tuoi degni,
ma
intantonon
isperare che chinon
seppe bastare alla tutela di sé, possa alla tua, che chicorruppe
e se stesso abusò, tè risparmi, chesicommova
agli insulti, cui ilsangue
non
colora la pelle senon
per coppetteo
per schiaffi.Ne
Fabrizioné Cato non
avèan
mariscae.Onestà non
abita seco e la onestà è la solavera politica.Reg-
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 4)
gèndoti essi, il sentimento è perduto,
non
havvi piùemulazione
chenelle viltà;reggendotiessi,latua letteratura è scritto pettegolezzo, è chincaglia; la scienza,
una pomposa
miseria, lamùsica un
dotto frastuono cheha
solo per scopo le orec- chie. Statue e quadri si fan per le sale,non
più le sale per essi.Trionfano ma-
temàticae coreografìa;matricidalaprima
della poesìa, l'altra
una
succursale ai postrìboli.E
vizi vecchi e vizinuova- mente
scoperti girano sfacciatamente colnome
di qualche virtù passata dimoda.
Tìtoli altisonanti, nessun contenuto; onoriaflagello, nullo1'onore.
Molta
carta fallita, molti giornali: tua forza, l'altrùidebolezza; tua vita; l'oblìo altrui o il disprezzo.
46
RITRATTI
UMAXIMa
a voi, giovinetti, che ancora ar- rossite alla vista di fanciulla che arrossa, e gustate il presenso diun
bacio, a voi, nostra sola speranza, dico « siate casti, vigilatevi, amate. »Spinsil'uscio,
non annunciato ne
senzachièderemanco
ilconvenzionale«sipuò?»
per quel privilegio che
hanno
i dottori dicasa,màssime quando
chiamati intuttapremura,
e fui nella stanzadella contessa Guinigi.Ma,
inmal
punto, fui.La
con- tessa era giùmezzo
dalletto,immòbile,
pallidissima; il conte, adue
passi da lei,con uno
sguardo ancor più perverso del sòlito euna
pantòfola inmano.
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 47
Senonchè, alloscricchiaredell'uscio,ei
sobbalzò e si volse tra l'iroso e il tur- bato.
—
Era... erauna
burla—
fececon un sogghigno
che pretendeva a sorriso edando una
scusa,, perchèsentiva doverne.Ma
si confuseviepiù, taque,lasciò caderela
vergognosa
arma.La
contessaguardàvami
intanto pie- tosamente, guidando,con
i suoi, i miei occhi, da alcune lèttere spiegazzate sulpavimento
aun
forzierino sullo scrittojo,peggio
cheaperto, rotto.Erano
leguancie di lei dimesta
rugiada lucenti.Or
chi potèa, in quel suo viso affilato, smorto, balogio, in quelle pupille, cherammen-
tavano solo la làgrima, in quelle labbra aggreppate, scoprire le traccie della fio-
48
RITRATTI UMAXI
ridìssima
Olga
diun tempo,
tuttamoto,
loquela e appetito, che avrebbe,pur
col sorriso, fatto rìdere il pianto?O
fan-ciulle, temete le nozze!
Cinque
anni di pestìferi baci e di lunghi digiuni, di tur- piloquio, di umiliazioni, di affanni, ave-vano
tanto potuto!Mi
accipigliai.Appressatomi
al letto, e stringendo a lei sola lamano,
le do-mandai
cosa fosse accaduto..—
Nulla—
interruppe Guinigi, che avèa ripreso il suo abitualecontegno
di alterigia sarcàstica.—
Ghiribizzi difemminuccia.
Mali daprima-donna —
e occhieggiava imperioso alla moglie.—
Crede, donn'Olga, di trovarsi su n palco e di avere a che fare con qualche rim-
bambito
di amante.Fa
l'ammalata, per-DAL CALAMAIO DI UN .MEDICO 49
che tu le prescriva
poco
marito e molti bagni di mare.—
Girai, interrogando, lo
sguardo
sulla infelice.Essa fé' per rispóndere, e la risposta le tremolò sulle labbra,
ma,
sopravinta dal duolo, siraggruppò
invece nel letto e nascose la faccia contro i guanciali.—
Stolta!—
gridò, stringendo le pu- gna, Guinigi.— Va,
ti prego, dottore.Un femminile
capriccio dura finché cison
spettatori. Va.Seguo
tosto.—
Io
non mi
degnai di rispóndergli.Mi
accontentai di squadrarlo sprezzan- temente. Tirannello domèstico, cuinon mancava
senon
la potenza per èssereun
Cajo oun
Riccardo!...Ànima
persa, che, detestando la moglie, esigeva da lei4
—
Ritrattiumani.50
RITRTATI UMANI
quella fede ch'esso le avèa tradito in- nanzi sposarla e le avrebbe,
potendo, anche
poi!Ben
altre volte, ame
era toccato di assistere a simili scene, e spesso, da attore.Ma invano
ciavèo
pigliatole parti della Sventura.La
leggenon mi
aiutava, perocché il conte,da
briccone finito, se l'era allenta. Ionon
ci avèa
dunque
raccolto cheuna messe
di odio e per
me
e per lei.Con
i mal- vagi,màssimo
torto è di avere ragione;con tutti, perchè
non
offenda, la verità va taciuta.E
uscii bruscamente.Una
voce leggera disse ilmio nome.
Il figliuolino del conte, lìvidobimbo,
appariva,con
gli occhipaurosamente
stupiti, di tra le ricchissime pieghe della portiera.E
fa-DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 51
ceva: papà...
—
e qui il gesto della percossa—
...mammina. —
Mi
allontanai dalla culla,dove
quel- l'angioletto di Carlo avèa cessato di respirare, plàcidocome un colombo,
e passando al letto vicino in cui giaceva suamamma, morente
dellamedesima morte
di lui ch'essa avèa succhiato nei lunghissimi baci coi quali cercava d'in- fónderglivita,mormorai una
tristeparola al conte Guinigi. che, in piedi, assiemeal fratello della contessa, stava al capez- zale di lei, muto.
— Ed
essa?—
chiese il cognato, ac-cennando
alla sopita sorella; il cognato,la cui cupidigia, leggèa sulla
mia
bocca52
RITRATTI UMANI
quanto
avèa udito il conte. Il quale si erapiegato versolamoglie,Favèa
miratacon
ansia, e si raddrizzava,mordendosi
il labbro.
— Ancor
vive—
diss' io.Un lampo
di gioja sfuggì negli occhi dell'eccellente fratello, che,nascondendo
la faccia in
un
ipòcrita fazzoletto, passò alla culla del nipotino,mentre
Guinigi,abbandonata
lamano
della contessa, tórbido in volto, uscì.Il cognato
incominciò
a singhiozzare.Domi'
Olga,dopo
pochimomenti,
spirava.M'inginocchiai presso lei, e
deponen-
doleun
baciosulla diàfanamano,
piansiDU. CALAMAIO DI UN MEDICO
E
lasciai quella casa pernon
più ri- tornarvi.Ma
ilduolo mi accompagnò.
Benché
la coscienza nullami
rimbrot- tasse, anzi sentissi che quelledue
mortinon avèano
infine troncato senon un
martirio e
perdonatone un
altro, tutta- vìa ionon
poteva sottrarmi aun
di- sgusto rabbioso, auna brama cupa
di accusarne qualcuno, pensando, essispenti e lui vivo, lui, quell'abominio diun uomo,
quel rifiuto di tutti i bordelli, queirassassino legale, che nello spè- gnersi stesso della sua casa, facèa dei conti di successione e s'abbujava allesomme,
senza riflètter, lo stolto, ci.e,ereditando
anche
tuttiitesoridelmondo,
ei più
non
avrebbe potuto continuarsi lavitainun
figlio,sarebbemorto con
essi.54-
RITRATTI UMA
NIIn questa, io passava presso la casa di Beppe,
Beppe
il ficchino.Era
qui pureun
fanciullo malato d'inclementis-simo morbo;
senonchè, Beppe, ne pos- sedeva altri cinque, e, di più, voglia di dare loro de' fratellini e formidàbililombi;
tanto che, ame,
il quale usava tenergli deimakhusiani
discorsi, avèasempre
risposto: signor dottore,non
siconfonda.
Ho
spalle bastanti a portarne ancor molti. Dio' poi provvede.Dio ha sempre
bisogno di belli angioletti per prepuntarsi le nubi.—
L'uscio era aperto
—
echimai
chiuso lovide?—
Saliilo scalino. L'onestissimoBeppe —
spalle quadrata, barba casta- gna, occhi azzurrini, limpidicome
l'a-nimo
suo—
sedèasi a tàvola(non
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 5)
dico a pranzo) egli facèan contorno la
vecchia
madre,
la pulcellona e spolpata sorella, la tonda densissima sposacon un bambinoccio
allapoppa;
poi, tuttoil resto della brigata,
bimbi
benestam-
pati, bianco-rossi e guanciuti, dalle boc- cuzze aperte
come
pulcini e dallemani
tese verso di una polenta che il
babbo
loro affettava,una
polentaben
vastama poca
a tanto appetito.E
; tra essi, era già ilmio
pìccolo infermo,un
po' palliduccio, è vero,ma, come
gli altri,affamato.
— Ah,
birichino—
dissi accarez-zandolo
in capo—
hai cangiato dot- tore!—
Beppe
rispose, alzando gli occhi alle travi:$6
RITRATTI UMANI
— Anche
'stavolta il Signorenon ha
voluto farci la grazia!—
Era, la grazia di Beppe, la disgrazia dei ricchi.
V.
Gola
IL
miopadrone —
incominciò,,con una
cera musuta, il servo del-l''ingegnere Trojani,
ma,
di botto, sitaque, illuminàndosegli il viso di
un buon umore
che avèapoco
a che farecon
quantodovèa
annunziarmi.— Ancora
?—
esclamai con dispetto.Il servitore fé'
un
atto dicòmica
ras- segnazione.RITRATTI
UM
A NISempre
alle stesse!una
indigestione.Maledetta voracità, il più sconcio dei vizi!
Né
già che iomi
faccia sì no-iosamente
severo danon
indùlger ta- lora al senso pure del gusto,un
senso, cheha
pari diritto degli altri di èssere accontentato; ne, tantomeno,
ch'iome
la voglia pigliare col pranzo,
una
delle più belle istituzioni sociali, quel sacra-mento
quotidiano,diremmo,
chesim-
boleggiai due grandi motori delmondo,
fame
edamore,
quella spontanea repù- blica, in cui si santificano paci; si fón-dano
parentadi, s'eccita l'epigramma,sono
scordati i fastidi, dìconsi senzaamarezza
le verità e senza offesa si a- scòltano; infine, in cui pare, che quel partirsi diun medésimo
cibo irradii neiDAL CALAMAIO DI UX MEDICO 59
commensali un'armonia
d'idèe, un' àura di simpatìa; ciònondimeno,
chi mai, se gentile,può non
pensare con nausea a quella gente sudicia, la cui vita siavvolge tra saleda-pranzo e latrine, gente dalla
fame
boriosa, cheama
il tar- tufo peramore
del prezzo e ilpavone
peramor
della coda, che ingozza ro- baccia già digerita,zeppa
dimorbi, alla qualemeglio
sarebbe sparmiareun
inù- tile giro; gente, chemangia
per farsi venire appetito emangia
per smaltire ilmangiato, insaccando
due
volte più del bisogno adanno
ed insulto didue
altristomaci vuoti e del suo già pieno, per poi riuscire.... a
che?
auna
beatitùdine stolta, cheè acciucchimento, aun sonno
•che è
morboso
torpore, auna
grassezzaÓO
RITRATTI UMANI
che è gotta, ad
uno
stato,insomma,
in- capace di emozioni, di affetti,incapace;,non
dico diuna
virtù,ma
diun
vizio.Eppure, simili morti che
non
si pos-sono
seppe!ire, simili letamài chiamatiabusivamente
uòmini,vanno
dicendo, che l'unicomodo
diveramente godere
il proprio
danaro
è di mutarselo in ci- bo. In cibo?rammentàtevene
il fine!Né
così dite che i vostrisono
i soli piaceri che la vecchiaja conosca.Voi
di- sgraziati!È una
vecchiajaben
turpe, quella chenon
possiede esperienza diquanto
le voluttà intellettuali vìncanole altre, ed è pure infelice se
non ne
sa più fruire.Ma
e vada! voglioam-
méttere anche, che le gioje di gola sia-no
le sole perfette, le solenon
tolteDAL CALAMAIO DI UN MEDICO 6l
alla rìgida età; almeno, o lordure, sap- piàtevele mantenere!.... E, ad insegnàr-
vene
ilcome,
e lì ilmio
savio Epicuro— mio
enon
vostrocome
voi riputate—
colla sua eterna e aurea parola «mo-
derazione. » Per
amore
del ventre, di- menticatelo !— Ma
fuuna
scommessa....—
bar- buglia, traendopenosamente
il respiro, quello sfasciume diun
signoreTro-
jani
—
Dottore mio, si!...quando
s'è messi in puntiglio....E
l'ho vinta...— Vinta? —
dico io— con
quel viso pezzato di morello e di bianco,con
que' calamài e quel rifiato greve, e quella orrìbile lingua, e quel polso a sobbalzi e quelle fitte gottose?— Uh,
sì, dottore, ha ragione—
ri-62
RITRATTI UMANI
sponde — È
l'ultima volta, chemi
ci arrischio. Parola d'onore!... Sol ch'io possa guarire!—
E
guarisce.Ma
lasaggezza di lui,non
era che sazietà.
O
malespesi miei studi omie
cure!Non mi
guarisce, che a méttersi ingrado
dinuovamente am-
malarsi.
VI.
Le due
ignoranze.SE
avessi inun momento
di distra-zione, a procurarmi
un bambino, mai non
vorrei, che, oltre la vita, egli potesserimproverarmi
la carriera dimè-
dico:
prometto solennemente
diman-
tenergli, anzi aumentargli, il naturale odio, che ogni
buon
figlio ha pelme-
stiere del padre.
04
RITRATTI
UM
ANITutte panzane, che la chirurgia e la
medicina
ingrossino il sentimento !Al
dolore, pur troppo,non
ci siabitua mai.Oh
quante volte la impassibilità della faccia,, ci è suggerita daun
cuore che piange, per infónder negli altriuna
fi-ducia a noi proibita!
oh
quante volte lamano,
che,ferma
e inconfusa, fh la crudele operazione,ha
stretto edepone
il ferro della salute,
tremando! A un mèdico galantuomo,
il che vuol dire eccellente, i lutti sono infiniti, che la famiglia di lui è tanta, quanti i suoi ammalati.E
a lui. i più ripetuti dolori pàjonosempre
nuovi, anzi, ogninuovo
dolore gli rinsànguina i vecchi.
Nessun
vestito gli si affa
meglio
del nero.Ed
ecco un'altra sciagura!Beppe mi
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO 6}
muore. Quel
superbotorrioneègiàmezzo
caduto. Franta la gladiatoria fermezza, offuscato il sereno dell'occhio, che ri- flettevauna
vitaonestamente
attiva, e già il colore gli si dipinge nel volto di loro ai quali sta per aggiùngersi.L'ho
riveduto stasera col dottore Martini epartimmo ambedue, ànimo
e labbro ser- rati.Eppure
ei s'inganna ed inganna.Jeri ancora, in
una
di quelle tregue, che a se frappone il delirio, quasi a rinfre- scarsi di forze, dicèa: su, coraggio, fi- glioli!Or
volete, che Dio, il massaio di tutti i massài,mi abbandoni? Oibò.
La
cassa dell'animamia
è forte...Tutta
ròvere e noce... Ci vuolben
altro a sballare !— E
la famiglia di lui facil-mente
gli crede quanto créderebrama,
5
—
Ritrattiumani.66
RITRATTI
UM
A NIe da
me
aspetta, fidente,un
confortoal suo errore, e lo trova nelle
mie
dub- bie parole-. Perocché, troppom'è amaro
disingannarla.
A
Beppe, l'ingratìssimo officio!Il massajo di tutti i massài!
Tariamo,
pernon
dover bestemmiarlo. Iddio è coi fortunati: se nerammentino
loro.Ma
epperchè non
vi hacambio
allamorte?
Mancano
fanulloni, e, ancor peggio, taliche sarebbe ventura se
non
facessero nulla?mancano
alti e bassi tiranni,per- seguitati dainnùmeri
voti?... che dico?...mancano
forse volonterosi, gióvani pa- ventanti il futuro e vecchi il passato?...Hai
bel dire, filosofuccio, cheognuno
muore
il dì suo,che vecchioè chimuore,
e altrettali fandonie,buone
peldopo-
DAL CALAMAIO DI UN MEDICO OJ
pranzo, sogni dell'ombra di
un fumo
;scendi
un
po' invece dal tuo pallone nubìfrago,donde
la terra ti par sì pic- cina,va
per le case, e assisti senza af- fanno, se puoi, allamorte
diun
padre, che lascia dietro di sé cinque figli in quella età chenon mangia
ancora il suo pane, e inmezzo
auna
plebe di ricchi, che,quando
habene
pranzato, stimatutti pasciuti o dà i rimasugli gettandoli in viso.E muta
è la scienza.Oh non
mai, procreassiun
figliuolo, vorrei vederlo dottore!Che —
se di cuore villano—
pòveri gli altri!