Capitolo 4 ‐ Discussione
Chapter 4 ‐ Discussion
4.1 ‐ Tempi di lavoro / Training times La durata dei tempi di lavoro va da un minimo di 23 minuti (Chappa) ad un massino di 3 ore e 12 minuti (Oliver), mostrando una grande differenza tra i cavalli nei tempi necessari durante le prime fasi dell’addestramento. Come possiamo vedere nella figura 4.1, è stato trascorso più tempo con Jazzman, Maybe e Oliver, mentre con Chappa e Ana è stato trascorso meno tempo. Ciò suggerisce di prendere in esame l’argomento dell’individualità, già trattato da alcuni Autori.Ricordiamo che l’individualità è legata al temperamento del cavallo, “considerato da certi Autori come il concetto di differenze individuali, integranti caratteristiche in diversi tratti comportamentali (per es. emotività, aggressione)” (Le Scolan et al, 1997). Da uno studio su giovani soggetti di età compresa tra 1 e 3 anni per stabilire quali fattori hanno influenza sull’apprendimento e sulle capacità di memorizzazione, non sono emerse differenze significative tra i risultati né è stato dato risalto all’influenza del temperamento dei soggetti (Wolff e Hausberger, 1996). Ciò lascia pensare che il temperamento non giochi un ruolo così importante nell’apprendimento del puledro.
Tuttavia, in uno studio sulla relazione tra test comportamentali e prestazioni dei soggetti (Visser et al, 2003b), è stata riscontrata una grande
variabilità nei risultati, spingendo gli Autori ad analizzare questi ultimi in rapporto alle conclusioni ottenute in un precedente studio, dove altri soggetti di età compresa tra i 9 ed i 22 mesi erano sottoposti agli stessi test
(Visser et al, 2001). In entrambi gli studi, la grande variabilità dei risultati è stata spiegata con l’influenza esercitata dal temperamento dei singoli cavalli. 47 23 176 184 192 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200
Ana Chappa Jazzman Maybe Oliver
Fig. 4.1: Tempi di lavoro (in minuti).
Nel nostro studio, i soggetti hanno un’età compresa tra i 12 ed i 14 mesi e i tempi eterogenei che abbiamo osservato sembrano confermare le conclusioni di Visser, secondo cui il temperamento e l’emotività hanno grande influenza sui tempi di lavoro e sulle performances durante gli esercizi, nonché sul tempo necessario per mettere la capezza al cavallo, come possiamo pensare sia avvenuto nel nostro caso.
A questo proposito, infatti, la figura 4.2 mostra i tempi che sono stati necessari per mettere la capezza ai puledri la prima volta. I tempi oscillano tra i 21 minuti necessari con Chappa e i 63 minuti necessari con Oliver. Uno studio di Mal e McCall (1996) indica che soggetti più giovani e che hanno avuto contatti fisici con l’uomo nei primi mesi di vita sono incapezzati per la prima volta con più facilità. Ciò nonostante, il presente studio non fornisce elementi sufficienti a stabilire con certezza ciò che è stato osservato da Mal e McCall, in quanto la massima differenza di età tra
i nostri soggetti è di soli 2 mesi. I nostri risultati potrebbero quindi essere solamente un ulteriore esempio di quanto la variabilità individuale sia importante nelle prime fasi di questo tipo di addestramento, il quale risulta simile alla doma basata su un “approccio definito ‘etologico’, in cui il rapporto uomo‐cavallo non è più quello tra predatore e preda, bensì tra dominante e subordinato, all’interno di una gerarchia sociale specifica” (A.S.E.T.R.A., 2005). Utilizzando il suo ruolo dominante, l’addestratore presenta al cavallo una situazione nuova, fornendo una via d’uscita 42 21 48 36 63 0 10 20 30 40 50 60 70
Ana Chappa Jazzman Maybe Oliver
Fig. 4.2: Tempo impiegato per mettere la capezza (in minuti).
rappresentata dalla risposta attesa e lasciando al cavallo il tempo necessario per rispondere correttamente. Ciò lascia spazio all’influenza esercitata dalle caratteristiche individuali, con una conseguente notevole variabilità nei tempi di risposta da parte dei singoli soggetti.
Inoltre, è importante ricordare che i puledri osservati nel presente studio non avevano mai avuto contatti fisici con l’uomo in precedenza. Al riguardo, alcuni Autori affermano che il “foal imprint training”, durante il quale il soggetto entra in contatto con l’uomo fin dai primi giorni di vita, ha effetti solo temporanei sulla capacità di apprendimento del puledro,
senza conseguenze sul rendimento durante l’addestramento al quale sarà sottoposto negli anni successivi (Lansade et al, 2005; Williams et al, 2002). In un recente studio sul rapporto giumenta‐uomo e sulle sue ripercussioni sul comportamento del puledro è stato concluso che “il contatto sia visivo che olfattivo con l’uomo, senza diretto contatto fisico, non hanno benefici per la relazione uomo‐puledro” (Henry et al, 2005). Altri Autori sostengono invece che l’interazione con l’uomo anche all’età di pochi mesi influisce positivamente sul puledro, aumentandone la tranquillità durante l’addestramento, con conseguente riduzione della frequenza cardiaca (Jezierski et al, 1999) e del numero delle reazioni di difesa nei confronti dell’addestratore (Spier et al, 2004).
Nonostante la mancanza di interazione diretta (contatto fisico) con l’uomo durante i primi mesi di vita, i tempi di incapezzamento sono stati abbastanza brevi e riteniamo che la loro variabilità sia dovuta al temperamento dei singoli individui.
4.2 ‐ Andature / Gaits
Durante le osservazioni è stata posta particolare attenzione alle andature, ottenendo dati rilevanti. Come mostra la figura 4.3, la totalità dei soggetti ha passato oltre il 60% del tempo al passo o in stazione. Questo risultato sembra contraddire quanto riscontrato da Søndergaard e Halekoh (2003), i quali hanno osservato una maggiore difficoltà di approccio verso quei soggetti abituati a restare in gruppo, mentre i soggetti già abituati alla presenza dell’uomo risulterebbero meno agitati durante l’addestramento. Studi recenti hanno confermato che il cavallo è
molto suscettibile allo stress a causa della sua condizione di preda in natura, e non di predatore.
Sighieri et al (2005) hanno condotto un esperimento presso l’allevamento “Il Boschetto”, situato all’interno del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massacciuccoli. I cavalli erano di razza Tiro Pesante Rapido (TPR) ed erano divisi in 2 gruppi di 4 soggetti ciascuno. Un gruppo è stato domato secondo il metodo tradizionale, mentre con l’altro gruppo è stato seguito il metodo ‘etologico´ (Parelli, 2002; Roberts, 2002). Lo scopo dello studio era, infatti, quello di ottenere dei dati scientifici che permettessero “una valutazione degli effetti della doma etologica, rispetto a quella tradizionale, nonché dati riguardanti il benessere dell’animale e la sua interazione con l’uomo” (Sighieri et al, 2005). Lo studio ha valutato le concentrazioni dei metaboliti fecali del cortisolo, considerati indici di stress sia negli animali domestici sia negli animali selvatici (Carere et al, 2003; Möstl e Palme, 2002). I risultati non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi, ma le variazioni delle concentrazioni hanno spinto gli Autori ad ipotizzare che “la doma rappresenti comunque, indipendentemente dal tipo di approccio, un periodo ‘difficile’ e di tensione per l’animale” (Sighieri et al, 2005).
Si ritiene che lo stress inibisca la capacità di apprendimento, ma Nicol (2002) precisa che ciò dipende dall’età alla quale l’animale è sottoposto a stress. Nel caso di puledri, un evento stressante è sicuramente il momento dello svezzamento, con il distacco dalla madre e il cambiamento di ambiente e di alimentazione. L’introduzione di un elemento sconosciuto risulta essere stressante anche in età adulta. Infatti, Baragli et al (2003) hanno riscontrato che in presenza di una persona sconosciuta, anche soggetti adulti mostrano ansia e la frequenza cardiaca risulta aumentata
rispetto ai soggetti gestiti da una persona conosciuta, pur non essendoci differenze per quanto riguarda i comportamenti dei due gruppi di cavalli.
I risultati delle nostre osservazioni indicano che i puledri hanno prediletto andature lente (passo) oppure la stazione, il che fa pensare che le situazioni non fossero particolarmente stressanti per l’animale. ST PAS TR ST PAS TR GAL ST PAS TR GAL ST PAS TR GAL ST PAS TR GAL 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Ana Chappa Jazzman Maybe Oliver
Fig. 4.3: Andature: durata in percentuale. ST: stazione, PAS: passo, TR: trotto, GAL: galoppo.
Negli ultimi anni sono stati condotti molti studi sui fattori che si ritiene possano influire sulla motilità durante l’addestramento. In base ai risultati ottenuti, Rivera et al (2002) affermano che uno di questi fattori è rappresentato dalle condizioni dell’ambiente in cui si trovano i puledri. Quelli tenuti in stalla hanno mostrato una maggiore motilità durante l’addestramento, mentre i puledri solitamente tenuti in recinti, liberi di pascolare, come per esempio cavalli della Camargue, Przewalski e Quarter Horses, hanno avuto una motilità minore. Infatti, in natura il cavallo passa gran parte della giornata a pascolare. Di conseguenza, rimanendo in stalla, i cavalli hanno possibilità locomotorie ridotte e ciò porta ad un accumulo di energie e desiderio di muoversi che si manifestano con una maggiore motilità durante l’addestramento, quando i soggetti sono portati fuori dal
box. Questa differenza è stata riscontrata tra gruppi di cavalli la cui alimentazione possedeva lo stesso apporto energetico (Chaya et al, 2006). Risultati simili sono stati ottenuti da Søndergaard e Ladewig (2004) osservando dei Warmblood danesi, gestiti in questo caso trasferendo i puledri in stalla e lasciandoli liberi in recinti solo 3 ore al giorno. Questo potrebbe dimostrare che la gestione dei puledri e il tempo lasciato loro per pascolare liberi in recinti possono influenzare la motilità durante l’addestramento, abbassandola all’aumentare del tempo al pascolo, come risulta anche nel nostro studio, in cui i soggetti sono di razza Mustang. Ciò avviene quindi sia in razze solitamente lasciate al pascolo (Mustang, Camargue, Przewalski, Quarter Horse), sia in razze solitamente tenute in stalla (Danish Warmblood), senza distinzione in base al tipo di addestramento ai quali sono stati sottoposti i cavalli. Quindi, la motilità pare dipendere sia dalla razza che dal tipo di stabulazione.
Un altro fattore che alcuni Autori ritengono possa influenzare la motilità dei puledri durante l’addestramento è l’isolamento dai conspecifici. Infatti, recenti studi hanno dimostrato che i cavalli tenuti in box isolati senza contatto visivo con altri cavalli hanno manifestato un aumento del movimento durante l’addestramento, mentre quelli tenuti in recinti con altri soggetti di età simile sono risultati più calmi (Harewood e McGowan, 2005). La spiegazione di tale risultato è stata ricercata negli effetti dello stress da isolamento durante l’addestramento. È quindi lecito pensare che, dato che i cavalli osservati nel nostro studio sono sempre stati in recinti con almeno 1 altro cavallo ed erano comunque sempre in contatto visivo con altri gruppi di puledri nei recinti adiacenti, ciò potrebbe aver avuto un effetto positivo sullo stress riducendo la motilità, a
prescindere dal tipo di addestramento ai quali i soggetti sono stati sottoposti. 4.3 ‐ Attenzione / Attention Come descritto nel capitolo precedente, lo stato di vigilanza indica che il cavallo sta rivolgendo la propria attenzione verso l’addestratore, mentre nello stato di allerta il cavallo dà attenzione ad un conspecifico o ad un elemento esterno (per es. rumore non legato all’attività nel tondino). Secondo Henry et al (2005) durante le prime fasi dell’addestramento avremmo potuto prevedere un aumento dell’ansia nei soggetti, con conseguente aumento della motilità e difficoltà nel prestare attenzione AL 634 VIG 9385 NUL 25056
Fig. 4.4: Durata totale dei comportamenti di attenzione (in secondi): allerta (AL), vigilanza (VIG). NUL: né allerta, né vigilanza.
durante gli esercizi, specialmente nel caso di puledri che non hanno mai avuto contatti fisici con l’uomo prima dell’inizio dell’addestramento. Al contrario, i risultati da noi ottenuti indicano che i soggetti hanno trascorso più tempo mostrando vigilanza rispetto all’allerta, come si può vedere nella figura 4.4. Inoltre, utilizzando i dati della tabella 3.10 (cfr. Capitolo 3,
Paragrafo 3, pag. 46), otteniamo che i soggetti hanno trascorso in media il 3,1% del tempo in allerta e 29,2% del tempo dando attenzione all’addestratore (vigilanza), come mostra la figura 4.5. Questo dato non sembra confermare quanto osservato da Momozawa et al (2003), i quali affermano che l’ansia provocata da situazioni nuove e ridotta frequenza di contatti fisici con l’uomo influiscono negativamente sulle performances di soggetti di varia età, nonché sul grado di attenzione che questi mostrano durante gli esercizi loro richiesti.
A questo proposito, è importante ricordare che il metodo di addestramento utilizzato nel nostro studio presenta delle similitudini con il metodo di Monty Roberts, o doma etologica, dove l’addestratore non sottopone il cavallo a pressioni di lunga durata, ma si avvicina e si allontana dal cavallo più volte, esercitando quindi sul soggetto pressioni di breve durata (Roberts, 2002), per cui attuando una desensibilizzazione, l’animale non si trova a vivere condizioni di paura. Il metodo di Roberts consente inoltre al cavallo di esplorare l’ambiente in cui si trova, il materiale usato, e ha come scopo quello di avere un cavallo attento alla NUL 67,7% VIG 29,2% AL 3,1%
Fig. 4.5: Media della durata dei comportamenti di attenzione, in percentuale sul tempo totale osservato: AL: allerta, VIG: vigilanza, NUL: né allerta né vigilanza.
persona, o in questo caso all’addestratore, e collaborativo (Taccini et al, 2004). Rispetto alla doma tradizionale, la doma etologica porta ad osservare nei soggetti un maggior numero di comportamenti che indicano attenzione verso l’addestratore e una diminuzione dei tentativi di fuga e dei comportamenti aggressivi (Sighieri et al, 2005). Per quanto riguarda la fuga ed i comportamenti aggressivi, questi saranno trattati più avanti nei relativi paragrafi. Riguardo invece all’attenzione, da quanto ottenuto nel presente studio, possiamo ipotizzare che, al contrario di quanto avviene nella doma tradizionale, in cui i soggetti sono sottoposti a coercizioni, con la conseguente diminuzione dei tempi di addestramento, questo tipo di approccio più simile alla doma etologica abbia effetti positivi sul cavallo, spingendolo a mostrare più attenzione verso l’addestratore (vigilanza), ad essere meno distratto da elementi esterni (allerta) e a mostrare comportamenti investigativi verso la persona e il materiale utilizzato durante le sessioni di lavoro nel tondino. Quest’ultimo argomento sarà trattato più avanti in questo paragrafo.
Analizzando i dati individuali relativi alla vigilanza e all’allerta, riportati in figura 4.6, si nota che tutti i soggetti del nostro studio hanno mostrato più vigilanza rispetto all’allerta, anche se il range di valori percentuali ottenuti è molto ampio: da 0,1% a 12,4% per quanto riguarda l’allerta e da 17% a 53,4% per quanto riguarda la vigilanza. Possiamo quindi affermare che sia comunque presente una notevole variabilità individuale nei risultati. Anche in questo caso, riteniamo che le ragioni di tale variabilità siano da ricercare nel diverso temperamento dei singoli soggetti e nel tipo di approccio simile alla doma etologica, che lascia al cavallo la possibilità di scegliere quale comportamento adottare nelle varie situazioni in cui si viene a trovare. Ciò porta a risposte comportamentali
molto varie da soggetto a soggetto, nonostante appartengano tutti allo stesso gruppo di individui e siano stati sottoposti tutti allo stesso tipo di addestramento (Visser et al, 2003b).
È interessante notare che i soggetti maschi (Oliver, Maybe, Jazzman, Chappa) sono risultati meno distratti dall’ambiente circostante (da 0,5 a 1,7% del tempo in allerta) rispetto ad Ana, la femmina del gruppo osservato (12.4% del tempo in allerta). Potrebbe essere interessante considerare questa osservazione insieme ai dati riportati nella tabella 3.7 (pag. 45), per quanto riguarda i comportamenti di investigazione, avvicinamento e annusamento, che saranno trattati in dettaglio nei paragrafi successivi. Qui ci limitiamo ad osservare che tali atteggiamenti sono stati osservati in totale 46 volte in Ana, 7 volte in Chappa, 27 volte in Jazzman, 24 volte in Maybe e 25 volte in Oliver. Tutti questi risultati potrebbero indicare che la femmina ha mostrato più curiosità dei maschi, sia verso l’ambiente che verso l’addestratore e il materiale utilizzato. 12.4 21.1 66.5 0.5 53.4 46.1 0.1 34.6 65.3 1 17 82 1.7 19 79.3 0% 20% 40% 60% 80% 100% Ana Chappa Jazzman Maybe Oliver AL VIG NUL Fig. 4.6: Durata dei comportamenti di attenzione (in percentuale sul tempo totale osservato): AL: allerta, VIG: vigilanza, NUL: né allerta né vigilanza.
Prendendo ora in considerazione gli altri comportamenti che indicano attenzione da parte dei soggetti, la figura 4.7 mostra dei risultati molto eterogenei riguardo all’avvicinamento, all’investigazione e all’annu‐ samento. Tuttavia, si può notare un valore costante, ossia la totale assenza di vocalizzazione in tutti i soggetti (fig. 4.8). La vocalizzazione (nitrito) è solitamente osservata allo stato brado nel caso di situazioni di conflitto tra stalloni, richiamo tra giumenta e puledro, richiamo tra conspecifici e comportamento sessuale, ma non di frequente nei soggetti addomesticati appartenenti alla razza Mustang (Jackson, 1997). Si pensa che ciò sia dovuto al tipo di gestione degli animali, allo spazio libero lasciato loro e alle maggiori possibilità di interazione con i conspecifici, le quali sembrano diminuire la necessità di richiami udibili anche a distanza (Jackson, 1997). 24 8 0 14 1 0 0 6 17 0 0 10 4 0 0 24 8 8 0 9 0 5 10 15 20 25
Ana Chappa Jazzman Maybe Oliver
AN INV VOC AV Fig. 4.7: Dati individuali: altri comportamenti di attenzione. AN: annusamento, INV: investigazione, VOC: vocalizzazione, AV: avvicinamento.
Riteniamo che l’assenza di vocalizzazioni nei soggetti da noi osservati sia un dato molto interessante in quanto conferma quanto appena detto riguardo alle attitudini proprie della razza e al tipo di allevamento e allo stesso tempo contraddice ciò che è stato osservato da alcuni Autori,
secondo cui si ha un aumento della vocalizzazione nelle situazioni stressanti, come nel caso dell’isolamento dai conspecifici (Harewood e McGowan, 2005). A sostegno di questa tesi, Jezierski e Gòrecka (1999) affermano che l’isolamento dai conspecifici porta i puledri a manifestare un maggior numero di reazioni emotive durante l’addestramento. Secondo Heird et al (1986) questo ha un effetto negativo sulle capacità di apprendimento dei cavalli, in quanto aumenta i tempi di lavoro e il numero di reazioni indesiderate da parte del cavallo nei confronti dell’addestratore. Tenendo conto che la vocalizzazione è considerata un modo per richiamare i conspecifici (Mills e Nankervis, 1999a), i risultati del
nostro studio sembrano indicare che nessun soggetto ha sentito il bisogno di richiamare gli altri cavalli, i quali si trovavano in un recinto adiacente al tondino dove avveniva il lavoro e quindi in contatto visivo col cavallo isolato. Possiamo perciò formulare due ipotesi: l’isolamento dai conspecifici non ha provocato nel soggetto livelli di stress tali da spingerlo a richiamare gli altri cavalli con vocalizzazioni oppure i soggetti isolati 54 16 0 63 0 10 20 30 40 50 60 70 AN INV VOC AV
Fig. 4.8: Altri comportamenti di attenzione: dati totali. AN: annusamento, INV: investigazione, VOC: vocalizzazione, AV: avvicinamento.
hanno dimostrato ansia da isolamento attraverso altri comportamenti e non mediante vocalizzazioni.
Inoltre, le frequenze (per minuto) dei comportamenti di investigazione, annusamento ed avvicinamento all’addestratore, illustrate nella figura 4.9, potrebbero indicare che tali comportamenti non sono attribuibili solamente a situazioni quali la ricerca di cibo, come affermato da Christensen et al (2005), ma anche all’esplorazione dell’ambiente circostante, degli strumenti di lavoro e dell’addestratore.
Altri studi hanno cercato di mettere in relazione l’emotività dei soggetti con la capacità di apprendimento e l’attenzione durante l’addestramento, non trovando una risposta esaustiva. Infatti, Visser et al (2003b) hanno preso in esame un gruppo di giovani Warmblood olandesi e
hanno trovato indicazioni che l’emotività influenza negativamente il comportamento dei puledri durante l’addestramento, ma queste non si sono rivelate abbastanza convincenti da spingerli ad escludere che possano comunque entrare in gioco anche altre cause. La necessità di utilizzare metodi oggettivi per valutare l’emotività nel cavallo è già stata presa in esame recentemente (McCall et al, 2005), ma ai fini del presente 0.94 0.27 1.48 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 AN INV AV Fig. 4.9: Frequenza di annusamento (AN), investigazione (INV) e avvicinamento (AV), per minuto.
studio riteniamo sia importante considerare ancora una volta le conclusioni cui sono giunti Visser et al (2003a), secondo i quali nei puledri
da loro osservati, di età compresa tra i 9 e i 22 mesi, i comportamenti di investigazione e avvicinamento denotano che il cavallo si sente a suo agio in presenza della persona. A simili conclusioni sono giunti anche Momozawa et al (2003), i quali hanno preso in esame cavalli di diverse razze: Arabi, Purosangue inglesi, Anglo‐Arabi, Kiso, Misaki, Shire, Bretoni, Friesiani, Rheinland Heavy Draft (cavalli da tiro pesante), Appa‐ loosa, Wesphalians, Oldenburg, Quarter Horse, Connemara, cavalli da sella francesi, Warmblood olandesi, trottatori, Tennessee Walking Horse, Hanover, Holsteiner, Mecklenburg e New Forest Pony. In base ai risultati, gli studiosi hanno stabilito che vi è una maggiore curiosità verso stimoli nuovi, oggetti o l’addestratore stesso nei cavalli che hanno mostrato meno atteggiamenti legati all’emotività e alla paura.
L’approccio utilizzato durante l’addestramento ricorda il metodo etologico. In contrasto con quanto avviene nella doma tradizionale, la doma etologica lascia all’animale la possibilità di investigare l’ambiente, il materiale e la persona (Taccini et al, 2004). In base ai dati raccolti nel nostro studio, possiamo quindi asserire che tutti i soggetti hanno mostrato atteggiamenti che indicano interesse e attenzione da parte del cavallo, quali l’avvicinamento all’addestratore, il suo annusamento e l’investigazione dello spazio circostante, e riteniamo che questo sia un risultato positivo, in accordo col metodo di addestramento etologico, secondo cui “è il cavallo che sceglie di stare con l’uomo, senza che ne sia obbligato con la forza” (A.S.E.T.R.A., 2005).
4.4 ‐ Aggressione / Aggression
I comportamenti aggressivi sono stati osservati attentamente in quanto sono indicatori di frustrazione da parte del cavallo (Mills e Nankervis, 1999c) e sono importanti ai fini della sicurezza dell’addestratore e del
cavallo stesso. Lo stress durante l’addestramento può innescare reazioni di difesa da parte dei soggetti ed influire negativamente sulla capacità di apprendimento (Nicol, 2002). In natura il cavallo è un animale preda e la reazione di difesa primaria è rappresentata dalla fuga (A.S.E.T.R.A., 2005; Mills e Nankervis, 1999a). Nel caso in cui questa sia impedita, si possono
avere atteggiamenti aggressivi (Beaver, 1986). A questo proposito, in studi recenti sono state riscontrate delle differenze nei comportamenti del cavallo nelle fase iniziali di doma con metodo tradizionale e con metodo etologico. I comportamenti aggressivi si sono manifestati maggiormente nei cavalli ai quali era impedita la fuga, ossia quelli addestrati con metodo tradizionale (Taccini et al, 2004). 0 0 0.06 0 0 0.17 0.01 0 0.05 0.1 0.15 0.2 TMO MOR TCA CAL RAM IMP INS
Fig. 4.11: Comportamenti aggressivi: frequenza media (per minuto). INS: inseguimento, IMP: impennata, RAM: rampata, CAL: calcio, TCA: tentativo di calcio, MOR: morso, TMO: tentativo di morso.
I dati ottenuti nel presente studio sono illustrati nella figura 4.10: 0,01 volte/minuto (inseguimento), 0,06 volte/minuto (tentativo di calcio) e 0,17 volte/minuto (impennata). Rampata, calcio, morso e tentativo di morso non sono mai stati osservati. Questi risultati sembrano riportare, ancora una volta, alla similitudine con la doma etologica. Il metodo di approccio osservato non applicava costrizioni continue, ma cercava di abituare con ripetizioni il cavallo alla vicinanza con l’uomo e alla richiesta da parte di quest’ultimo di una determinata risposta durante gli esercizi. Questo fa sì che le situazioni potenzialmente stressanti siano in numero maggiore, ma di durata minore rispetto a quanto avviene nell’approccio tradizionale con coercizioni di durata più lunga. Come abbiamo già menzionato in precedenza, la fuga è la prima reazione di difesa nel cavallo. Quindi, in base ai dati relativi all’aggressività mostrata dai soggetti osservati, è lecito ipotizzare che i cavalli abbiano manifestato stress e disagio princi‐ palmente con la fuga o con il tentativo di fuga e non con comportamenti aggressivi. Questo aspetto sarà trattato più in dettaglio nel paragrafo relativo alle reazioni negative di zampata, fuga e tentativo di fuga, defecazione ed urinazione.
Alcuni studi hanno cercato di mettere in relazione l’aggressività dei soggetti con la loro età, il sesso, lo spazio a disposizione e l’uniformità del branco (Lehmann et al, 2006) e hanno trovato che questi fattori influiscono sul rendimento dei puledri durante l’addestramento, aumentando il numero di comportamenti aggressivi. Soggetti di età maggiore e di sesso maschile sono più aggressivi rispetto a femmine e soggetti di età inferiore. Riguardo allo spazio a disposizione dei cavalli è stato riscontrato che più spazio hanno, meno mostrano aggressività. Similmente, sempre secondo Lehmann et al (2006), più il branco è uniforme, per età e razza, meno
risultano aggressivi. Altri Autori ritengono che l’aggressività sia maggiore nei soggetti tenuti in box isolati rispetto a quelli tenuti in gruppi, come osservato da Christensen et al (2002) in un gruppo di giovani stalloni di razza Warmblood danese, nei quali la mancanza di interazioni sociali con i conspecifici aveva aumentato il numero delle reazioni aggressive durante il periodo di addestramento, quando erano portati fuori dal box.
I soggetti osservati in questo studio avevano tutti un’età compresa tra i 12 ed i 14 mesi, e vivevano in recinti adiacenti, in contatto visivo e olfattivo. Quindi possiamo ipotizzare che i nostri risultati siano dovuti ad un livello di stress tale da non scatenare comportamenti aggressivi con eccessiva frequenza, così da permettere sia al cavallo che all’addestratore di lavorare in sicurezza, con più tranquillità e conseguentemente con un maggior rendimento. La gestione dei puledri, lasciati liberi in recinti, l’uniformità dell’età e il contatto sia visivo che olfattivo con altri cavalli quando non si trovano nel tondino per il lavoro con l’addestratore, potrebbero aver influito positivamente sul comportamento, manifestando pochi atteggiamenti aggressivi nei confronti dell’addestratore. 1 4 5 3 0 1 2 3 4 5 A C J M O TMO TCA RAM INS TMO MOR TCA CAL RAM IMP INS Fig. 4.11: Comportamenti aggressivi: dati individuali (A: Ana, C: Chappa, J: Jazzman, M: Maybe, O: Oliver).
Un ulteriore risultato che potrebbe rivelarsi interessante è la relazione tra comportamenti aggressivi e dominanza all’interno del gruppo. Maybe (M) e Oliver (O) sono i soggetti che più hanno mostrato comportamenti aggressivi (fig. 4.11). Il proprietario e l’addestratore affermano che, pur non avendo vincoli di parentela, entrambi i puledri discendono da giumente che occupano i primi posti nella scala gerarchica del branco da cui provengono tutti i soggetti osservati. In letteratura troviamo pochi riferimenti al rapporto tra discendenza, gerarchia all’interno del gruppo e aumento dei comportamenti aggressivi nei soggetti più in alto nella scala gerarchica. Secondo quanto osservato negli Stati Uniti da Kieper e Sambraus (1986), in gruppi di cavalli selvaggi al confine tra Maryland e Virginia, discendenza e gerarchia non sono in relazione l’una con l’altra, né sembrano influire sull’aggressività dei soggetti. Un successivo studio condotto da Araba e Crowell‐Davis (1994) su un gruppo di puledri prima dell’addestramento rivela invece una stretta correlazione tra dominanza e aggressività nei soggetti giovani. Alla luce di questi risultati si potrebbe ipotizzare che nel nostro caso i soggetti discendenti da madri gerarchicamente in alto nel branco hanno mostrato aggressività più spesso degli altri puledri. Tuttavia, prima di formulare un’ipotesi certa riteniamo siano necessari studi più approfonditi in quanto in letteratura non si trovano molti riferimenti sull’argomento.
4.5 ‐ Reazioni positive / Positive reactions
Le reazioni positive prese in considerazione sono state la posizione della coda, quando portata verticale, sopra il livello della schiena, lo sbruffo e la masticazione o leccamento, definito dagli Autori anglosassoni
con i termini chewing, licking o ‘working his mouth’. Questi tre comportamenti indicano che il cavallo è rilassato e a suo agio (Dorrance e Desmond, 2001), quindi permettono di stabilire se le condizioni di addestramento sono buone. Infatti, sempre secondo Dorrance e Desmond (2001), il cavallo rilassato apprende più facilmente e si mostra più sollecito durante gli esercizi. In questo modo, migliora il rendimento del tempo trascorso con l’animale.
Le figure 4.12 e 4.13 mostrano rispettivamente le frequenze totali e individuali dei sopracitati comportamenti. Analizzando nel dettaglio i risultati, notiamo che non sono avvenuti cambiamenti nella posizione della coda. Ciò potrebbe essere da ascrivere al fatto che questo comportamento si osserva principalmente nei momenti di gioco (McDonnell, 2003b). È quindi lecito pensare che la sua assenza sia
0 0.02 3.55 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 PC SB MAS
Fig. 4.12: Frequenza totale delle reazioni positive (per minuto): posizione della coda (PC), sbruffo (SB) e masticazione o leccamento (MAS).
comunque positiva, in quanto potrebbe indicare che i soggetti non erano distratti durante l’addestramento. L’isolamento dai conspecifici, pur rimanendo in contatto visivo, potrebbe aver influito sulla possibilità di distrarsi, modificando di conseguenza anche l’attenzione verso
l’addestratore e gli esercizi richiesti. Infatti, come avviene in tutti i metodi di addestramento, anche in quello preso in esame i soggetti sono stati separati dal gruppo per essere lavorati individualmente nel tondino, lasciando loro però la possibilità di un contatto visivo con i conspecifici. Questo potrebbe aver avuto un effetto positivo limitando lo stress da isolamento e allo stesso tempo eliminando gli atteggiamenti che si manifestano tipicamente durante il gioco, guadagnando così una maggiore attenzione da parte del puledro.
Per quanto riguarda lo sbruffo, questo è stato osservato con una frequenza di sole 0,02 volte/minuto (fig. 4.12). Solitamente lo sbruffo è considerato come un’attività di investigazione olfattiva (McDonnell, 2001a)
e dai risultati ottenuti non sembra che i nostri soggetti abbiano manifestato curiosità mediante questo comportamento. Si potrebbe ritenere che nel nostro caso l’investigazione olfattiva si sia manifestata principalmente con l’annusamento dell’addestratore o degli oggetti usati durante gli esercizi (cfr. Paragrafo 4.2) e non con sbruffi. 0.11 0.22 0.09 0.54 2.59 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 A C J M O Fig. 4.13: Dati individuali riguardanti la frequenza (per minuto) delle reazioni di masticamento e leccamento. A: Ana, C: Chappa, J: Jazzman, M: Maybe, O: Oliver.
Come abbiamo già riportato all’inizio di questo paragrafo, la masticazione ed il leccamento indicano che il cavallo è tranquillo durante l’addestramento. Secondo i dati in nostro possesso, questi eventi si sono verificati in totale 3,55 volte/minuto e in media 0,71 volte/minuto. Riteniamo che questo valore sia alto e che di conseguenza possa indicare che i soggetti osservati si sono sentiti spesso a loro agio in presenza della persona. È inoltre interessante notare le differenze tra i risultati individuali, come è stato illustrato nella figura 4.13: la frequenza di masticazione e leccamento va da un minimo di 0,09 volte/minuto (Jazzman) ad un massimo di 2,59 volte/minuto (Oliver). Possiamo asserire comunque, che tale variabilità sembra in linea con quanto abbiamo concluso nei precedenti paragrafi riguardo ad altre reazioni comportamentali, confermando le ipotesi di Visser et al (2003b), secondo
cui le ragioni di risultati molto variabili sono da ricercare nel temperamento e nell’individualità dei soggetti.
Notiamo inoltre che Maybe e Oliver sono i soggetti con i valori più alti sia per quanto concerne la masticazione e il leccamento sia per quanto riguarda invece gli atteggiamenti aggressivi (fig. 4.10). Di conseguenza, in questi due cavalli la masticazione e il leccamento potrebbero anche assumere la connotazione di segnali di pacificazione (McDonnell, 2003a).
4.6 ‐ Reazioni negative / Negative reactions
Un ultimo interessante argomento riguarda le reazioni che abbiamo classificato come negative. La zampata o il raspare il terreno (ZAM) è stata osservata solo una volta, l’urinazione (UR) non è mai stata osservata, mentre la defecazione (DEF) è stata osservata da 1 a 5 volte nei vari
soggetti (fig. 4.14), con una frequenza totale di 0,3 volte/minuto (fig. 4.15). In letteratura troviamo opinioni pressoché unanimi sul considerare la zampata come un segno di ansia, frustrazione, nervosismo o eccesso di energia (Ödberg, 1973; Waring, 2003c). I risultati ottenuti nel presente
studio indicano che i soggetti non hanno manifestato frequentemente atteggiamenti che denotano una situazione stressante, che genera ansia oppure un eccesso di energia, come nel caso di cavalli tenuti in box (Chaya A C J M O ZAM UR 35 23 103 94 55 2 1 5 2 4 1 1 0 20 40 60 80 100 120 ZAM DEF UR FUG
Fig. 4.14: Reazioni negative: dati individuali (A: Ana, C: Chappa, J: Jazzman, M: Maybe, O: Oliver).
et al, 2006). Tutto ciò è, ancora una volta, a favore della tesi secondo cui la gestione dei cavalli in recinti anziché in box singoli può influire positivamente sulle risposte comportamentali, non portando ad atteggiamenti che denotano nervosismo o eccesso di energia (Christensen et al, 2002). Non sottoponendo i cavalli a pressioni continue durante gli esercizi, il metodo di addestramento simile alla doma etologica sembra non aver provocato con frequenza l’ansia e lo stress solitamente generati dalle situazioni nuove e dall’isolamento dai conspecifici.
Riguardo all’urinazione e alla defecazione, sembrerebbe logico pensare che durante queste due attività il cavallo si renda vulnerabile, in quanto è
meno pronto alla fuga in caso di pericolo (McDonnell, 2003a). Si potrebbe
quindi ipotizzare che un’alta frequenza di urinazione e defecazione durante l’addestramento stia ad indicare che il soggetto considerava la situazione non pericolosa. Tuttavia, molti Autori sono giunti a conclusioni opposte. Nelle situazioni di pericolo, in cui è richiamata l’attenzione del cavallo, o in cui questo è sollecitato dall’addestratore, oltre ai tipici atteggiamenti come la posizione della testa (alta, con il collo dritto), le narici dilatate, gli occhi ben aperti e le orecchie nella direzione dalla quale proviene lo stimolo, si è osservata anche la defecazione (Waring, 2003a).
Risultati analoghi sono stati ottenuti da altri Autori, i quali hanno spiegato l’evento con la presenza di situazioni che provocano disagio e stress nel 0.03 0.3 0 5.69 0 1 2 3 4 5 ZAM DEF UR FUG 6
Fig. 4.15: Frequenza totale delle reazioni negative (per minuto): fuga / tentativo di fuga (FUG), urinazione (UR), defecazione (DEF) e zampata (ZAM).
cavallo (Harewood e McGowan, 2005; Momozawa et al, 2003). Inoltre, Søndergaard e Ladewig (2004) asseriscono che l’aumento della defecazione nei puledri durante l’addestramento è probabilmente legato, ancora una volta, all’isolamento dal gruppo.
I risultati ottenuti nel presente studio indicano una frequenza totale di 0,3 volte/minuto nel caso della defecazione, mentre l’urinazione non è mai
stata osservata. Potremmo quindi ipotizzare che questa bassa, in un caso addirittura nulla, frequenza dimostri che gli animali non erano in situazioni di stress tali da provocare con frequenza la defecazione o l’urinazione durante il lavoro con l’addestratore, isolati dal gruppo. Tuttavia, i risultati discordanti trovati in letteratura ci suggeriscono di non considerare la nostra ipotesi come una risposta conclusiva allo studio di questi due comportamenti.
Una trattazione a parte è richiesta per la fuga ed il tentativo di fuga. Ricordiamo che la fuga è la prima reazione di difesa nel cavallo ed è legata alla paura in situazioni stressanti o che l’animale percepisce come pericolose. Beaver (1986) ha affermato che esiste una relazione tra fuga e aggressività, in quanto ha osservato che l’aggressività si mostra più frequentemente nei soggetti ai quali era impedita la fuga. Sotto certi aspetti, il metodo utilizzato in questo studio è simile al metodo etologico, nel quale il cavallo può scegliere se allontanarsi o avvicinarsi all’uomo (Roberts, 2002). Questo potrebbe aver portato ad una maggiore frequenza della fuga rispetto all’aggressività. Infatti, abbiamo osservato la fuga e il tentativo di fuga 5,69 volte/minuto (fig. 4.15), mentre il totale delle frequenze dei comportamenti aggressivi è di 0,42 volte/minuto (cfr. Capitolo 3, Paragrafo 4). Tuttavia, dobbiamo tenere conto del fatto che durante gli esercizi al lazzo le possibilità di allontanarsi sono state ridotte rispetto agli esercizi in cui il cavallo era libero nel tondino, ostacolando parzialmente la fuga. Questo potrebbe aver aumentato lo stress e la paura nell’animale. Infatti, il cavallo tende a reagire con la fuga per evitare situazioni stressanti e ridurre le pressioni alle quali è sottoposto (Mills e Nankervis, 1999b). Ciò potrebbe spiegare l’alta frequenza dei tentativi di
fuga o fughe vere e proprie (fig. 4.15), anche se Minero et al (2006) hanno condotto uno studio sulle reazioni agli stimoli nuovi e al contenimento nel quale sono stati osservati nei cavalli movimenti di rampata ed un aumento della frequenza cardiaca, pur non manifestando atteggiamenti aggressivi o tentativi di fuga.
Alla luce di quanto abbiamo affermato nei paragrafi precedenti riguardanti l’attenzione, le andature, l’aggressività, le risposte positive e quelle negative, le risposte comportamentali osservate sembrano indicare che i cavalli non sono stati soggetti a stress tali da indurre con frequenza risposte indesiderate, quali ad esempio aggressività o distrazione. Ciò nonostante, quanto osservato riguardo alla fuga indica alcune differenze rispetto all’approccio etologico. Le valutazioni di alcuni Autori hanno portato alla conclusione che nella doma etologica le reazioni di fuga sono ridotte rispetto alla doma tradizionale, in quanto con la doma etologica si cerca di ottenere un cavallo collaborativo, attento all’addestratore e meno aggressivo (Taccini et al, 2004). L’alta frequenza dei tentativi di fuga o delle fughe vere e proprie da noi osservata ci spinge a ritenere che questo argomento necessiti di studi più approfonditi per mettere in relazione la fuga con gli eventi subito precedenti e successivi, ma soprattutto con il metodo di addestramento, in rapporto con altri metodi quali l’approccio etologico e quello tradizionale.