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2. FISIOLOGIA DELL’EMOSTASI DELLA COAGULAZIONE E DELLA FIBRINOLISI

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Academic year: 2021

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2. FISIOLOGIA DELL’EMOSTASI DELLA COAGULAZIONE E DELLA FIBRINOLISI9

La capacità di controllare e mantenere all’interno dei vasi il flusso del sangue dopo un danno vasale è deputata a un complesso di eventi fisiologici denominati nel loro insieme processo emostatico-emocoagulatorio, mediante la formazione del trombo emostatico. In tale processo si possono distinguere due fasi, una cronologicamente precoce, l’emostasi primaria, che porta alla formazione del cosiddetto trombo bianco, costituito principalmente da piastrine e scarsa presenza di fibrina, e una più tardiva, emostasi secondaria o coagulazione del sangue, con formazione del trombo rosso, principalmente composto da un reticolo di fibrina con piastrine e globuli rossi imbrigliati al suo interno.

La prima risposta al danno vascolare, finalizzata a ridurre il flusso e la perdita di sangue a livello dei vasi colpiti, è la vasocostrizione locale. La contrazione delle arterie e delle arteriole è parzialmente sotto controllo neurale, mentre meta-arteriole, sfinteri precapillari e capillari rispondono a stimoli adrenergici; gli endoteli lesi liberano gli endothelium-derived contracting factors e le endoteline e le piastrine attivate rilasciano ADP, 5-idrossi-triptamina o serotonina e trombossano A2, ad azione vasocostrittrice. La fase di vasocostrizione è ristretta nel tempo, ma le piastrine, assieme al fattore von Willebrand attivati dal collagene del sottoendotelio leso portano, attraverso l’adesione e l’aggregazione irreversibile, alla formazione del tappo emostatico, alla quale partecipano anche leucociti e mastociti attraverso il rilascio di PAF (Platelet Activating Factor). Il tappo emostatico, che arresta temporaneamente il sanguinamento di piccole lesioni, si dissolverebbe in breve tempo se non si verificasse un consolidamento dello stesso mediante la formazione di un reticolo di fibrina.

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La coagulazione del sangue è il complesso di reazioni enzimatiche finalizzate alla trasformazione del fibrinogeno plasmatico in fibrina, per la costituzione del coagulo emostatico. Le reazioni coagulative si svolgono per mezzo di proteine presenti nel

plasma come proenzimi inattivi, in modo concatenato, così che la forma attivata di ciascuno di essi catalizzi l’attivazione del fattore successivo. Quantità molto piccole di fattore riescono a innescare tali reazioni grazie alla natura catalitica del processo di attivazione, consentendo una risposta immediata alla lesione vasale: si realizza così la cascata coagulativa che porta alla formazione del coagulo fibrinico. Altre proteine sono presenti nel plasma come inibitori naturali, ad azione antagonista e modulatrice delle reazioni procoagulanti. Altre proteine plasmatiche sono, infine, deputate alla dissoluzione del coagulo di fibrina, partecipando al processo di fibrinolisi.

I fattori plasmatici della coagulazione hanno in comune diverse importanti caratteristiche, che li rendono atti a lavorare in reazioni biochimiche sequenziali finalizzate a un unico scopo, cioè una rapida generazione di trombina al sito del danno vasale con la successiva trasformazione del fibrinogeno in fibrina. La risposta al processo coagulativo è in genere limitata al sito del danno vasale ed è direttamente proporzionale al grado e all’estensione della lesione. La localizzazione dei processi coagulativi è ottenibile grazie alla capacità dei fattori della coagulazione di legarsi in maniera reversibile alle cellule endoteliali danneggiate, al sottoendotelio leso e alle piastrine. La maggior parte dei fattori della coagulazione circola, come abbiamo detto prima, nel sangue sotto forma di proenzimi inattivi a singola catena e la loro trasformazione in forma attivata avviene mediante un taglio proteolitico parziale. La forma attiva è composta da due catene peptidiche, una pesante e una leggera, unite tra loro da ponti disolfuro (-S-S). Nel sito catalitico (sito attivo) di ciascun enzima è contenuto l’aminoacido serina, da cui il nome di proteasi seriniche. I livelli circolanti della maggior parte dei fattori della coagulazione è troppo bassa e la loro velocità di attivazione troppo lenta per garantire un’emostasi

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efficiente. Dunque le loro cinetiche di attivazione necessitano di cofattori atti ad accelerare ed ad amplificare le rispettive reazioni, in modo che un piccolo stimolo iniziale sia amplificato per generare elevati livelli del prodotto finale. Infine, molti fattori della coagulazione una volta attivati possono essere irreversibilmente inattivati da parte delle proteasi seriniche.

Le reazioni enzimatiche che portano alla generazione di trombina, che a sua volta promuove la formazione del coagulo di fibrina, sono generalmente descritte come due fasi distinte: la via intrinseca e la via estrinseca.

L’attivazione per contatto con superfici esterne è il primo momento della coagulazione intrinseca: la superficie di molti materiali particolati, naturali (collageno sottoendoteliale, superfici piastriniche) o artificiali (caolino, silice, acido ellagico, vetro non siliconato) in assenza di ioni calcio, innesca il processo emocoagulatorio. L’intervento dei fattori di contatto può essere indotto dal contatto con le superfici estranee o da tracce di trombina o FXIIa: la stretta combinazione tra FXII, FXI, chininogeno nella sua forma ad alto peso molecolare (HMWK) e precallicreina, porta poi all’innesco della cascata coagulativa, consistente nell’attivazione dei proenzimi a enzimi attivi. Per la rapida attivazione dei proenzimi è necessaria la formazione di complessi costituiti da un substrato o cofattore, ioni calcio e superfici fosfolipidiche catalizzanti. Dall’attivazione del FXII parte la cascata coagulatoria intrinseca che, dopo l’attivazione del FXI da parte del FXIIa, prosegue con l’attivazione del FIX che nella sua forma attivata (FIXa) assieme al FVIIIa, fosfolipidi e Ca2+, formano il complesso tenase indirizzato all’attivazione del FX.

La via estrinseca richiede, invece, la presenza del fattore tromboplastinico tissutale o Tissue Factor (TF) liberato dai tessuti implicati nella lesione: viene a formarsi un complesso costituito dalla componente fosfolipidica del TF, dal FVIIa e dagli ioni calcio, mentre la componente proteica del TF (apoproteina III) funge da cofattore, per l’attivazione del del substrto FX. Il FVII, unico dotato di attività enzimatica allo stato nativo, può anche

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innescare la via intrinseca attraverso l’attivazione del FIX. La via estrinseca sembra perciò giocare un ruolo fisiologico più importante di quello sostenuto dalla via intrinseca nell’innesco della coagulazione.

Sia la via intrinseca che quella estrinseca (Fig. a) portano all’attivazione del FX e dal FXa parte la via comune, che vede la formazione di un complesso detto protrombinasi, costituito da: FXa, FVa come cofattore, fosfolipidi e ioni calcio. Questo complesso agisce sul suo substrato, cioè la protrombina (FII), provocando la formazione di trombina. Alla trombinogenesi segue la trasformazione del fibrinogeno in fibrina, la formazione del coagulo fibrinico e la sua stabilizzazione ad opera del FXIIIa. E’ possibile che anche le piastrine, o fattori procoagulanti di origine tumorale siano in grado di attivare direttamente il FX, per cui si potrebbe considerare la possibilità di una terza via della coagulazione.

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La formazione della fibrina è il risultato dei processi d’infiammazione, di riparazione dei tessuti e dell’emostasi. Esistono meccanismi di controllo atti a limitare o inibire completamente la formazione della fibrina una volta che lo stimolo scatenante abbia terminato di agire. La fibrina, che si forma in un vaso leso, ha il compito di arrestare temporaneamente la perdita di sangue e viene successivamente modellata e infine completamente rimossa, per ristabilire il normale flusso ematico. Il processo di degradazione della fibrina prende il nome di fibrinolisi (Fig. b), che agisce degradando enzimaticamente il coagulo dalla sede di formazione. L’azione combinata di diversi attivatori e inibitori garantisce la massima efficacia locale, evitando una dannosa propagazione sistemica dell’attività fibrinolitica. Il processo fibrinolitico può essere innescato da attivatori fisiologici, quali l’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) e l’attivatore del plasminogeno urochinasi (u-PA), che differiscono tra loro sia da un punto di vista immunologico sia funzionale; da attivatori intrinseci, in cui la reazione chiave risulta essere la conversione della precallicreina a callicreina da parte del FXIIa, convertendo l’urochinasi a singola catena nella forma più attiva a doppia catena; infine da attivatori esogeni o terapeutici, tra i quali i principali utilizzati nella pratica clinica sono l’urochinasi (UK), la streptochinasi (SK) e un derivato chimicamente modificato della SK, il complesso plasminogeno acetilato-attivatore della AK (APSAC). Il processo fibrinolitico è modulato dagli inibitori dei fattori fibrinolitici. Recentemente è stato descritto un nuovo meccanismo per la down-regulation della fibrinolisi mediato da una carbossipeptidasi sintetizzata dal fegato, chiamata TAFI (Thrombin Activable Fibrinolysis Inhibitor), che viene attivato dalla trombina o dalla plasmina e che riduce l’attività cofattoriale della fibrina nei confronti dell’t-PA.

Una volta che il plasminogeno viene trasformato nella sua forma attiva, la plasmina, questa agisce degradando la fibrina stabilizzata, la fibrina solubile o il fibrinogeno nei loro prodotti di degradazione o FDP (Fibrin/Fibrinogen degradation products).

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Fig. b: rappresentazione schematica del processo di fibrinolisi

Figura

Fig. a: rappresentazione schematica del processo emocoagulatorio
Fig. b: rappresentazione schematica del processo di fibrinolisi

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