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5. La navigazione ed i Traffici nel Mar Ligure Per gli antichi Greci la navigazione era una

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5. La navigazione ed i Traffici nel Mar Ligure

Per gli antichi Greci la navigazione era una tecne che richiede meleth, cioè un'arte

(mestiere, capacità, ma anche abilità, destrezza) che richiede pratica (esercizio, studio, ma anche cura, sollecitudine)1. Il significato è il medesimo per i Latini: l'ars

navigandi richiede peritia, l'arte della navigazione richiede pratica (esperienza,

conoscenza, abilità)2.

Nel definire il complesso delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie alla navigazione, dunque, il termine arte risulta adeguato, identificando in senso generale il bagaglio tecnico e metodologico che consente la realizzazione di un'attività pratica nel campo dell'operare umano.

Per navigare sono necessarie le capacità di rapportarsi con lo spazio e con il tempo, con gli elementi naturali e con la propria imbarcazione; capacità che permettono di seguire il proprio percorso, nonostante tutte le difficoltà e le variabili che si possono incontrare, e di manovrare la nave in modo adeguato ad ogni circostanza.

Presupposto di queste (solo apparentemente) semplici definizioni è l'arte della navigazione, costituita da un complesso di conoscenze più pratiche che teoriche, espressione di un vero e proprio sistema culturale.

Bisogna inoltre tenere conto che a diverse tipologie di navigazione corrispondono anche diverse modalità di conduzione della nave, oltre che diversi livelli di preparazione e di esperienza dei piloti. Una navigazione di cabotaggio lungo rotte di breve o medio raggio è cosa notevolmente diversa da una d'alto mare su rotte di lungo raggio, così come queste sono diverse dalla navigazione delle flotte militari o da quella delle spedizioni con finalità esplorative. Secondo le circostanze cambiano i presupposti cognitivi e cambiano anche la quantità e la qualità della documentazione che è giunta fino a noi.

1

Platone , La Repubblica,488b,e. 2 Vegezio,L’

(2)

Le varie tipologie di navigazione si dividono, innanzitutto, in rapporto all'ambiente in cui sono praticate. Abbiamo così una navigazione marittima e una navigazione interna, che, a loro volta, comprendono ulteriori distinzioni.

Della navigazione marittima fanno parte quella oceanica e quella che si svolge nei mari chiusi, o interni, come il Mediterraneo e il Mar Nero.

Rientrano nella navigazione interna, invece, quelle che si svolgono nei fiumi, nei laghi e nelle lagune, oltre a quelle che riguardano, nello specifico, i canali, le paludi e altri specchi d'acqua minori. La nostra attenzione sarà incentrata sulla navigazione marittima, in particolare quella riguardante il Mediterraneo Nord-Occidentale.

In tale situazione, la seconda suddivisione riguarda le norme con cui si svolge la navigazione, che sono in stretto rapporto con la tipologia e le dimensioni delle imbarcazioni. All'interno della navigazione marittima, dunque, abbiamo una navigazione di piccolo cabotaggio, una di grande cabotaggio e una d'altura.

Il cabotaggio (dal portoghese cabo, capo) è la navigazione che si svolge con la terra in vista, letteralmente "da capo a capo", senza lanciarsi in mare aperto.

Il piccolo cabotaggio è svolto normalmente da imbarcazioni di piccole o medie dimensioni, che si spostano da porto a porto. Il suo grandissimo sviluppo nel mondo antico era determinato dalla concentrazione di molte attività economiche presso il litorale, che consentivano di svolgere un commercio di ridistribuzione locale, e dai vantaggi che il trasporto su acqua offriva rispetto a quello terrestre, in termini economici (unico vettore per grandi quantità di merci) e di tempo3.

Il grande cabotaggio, è sempre una navigazione con la terra in vista, ma si svolge su lunghe distanze senza scalo, viaggiando giorno e notte per più giorni consecutivi, restando al largo per evitare i pericoli rappresentati dagli scogli e dai bassifondi, ma sufficientemente vicino alla costa per poter sfruttare le brezze di terra e di mare4. In relazione alla lunga percorrenza, può essere assimilato alla navigazione d'altura (sul piano nautico, invece, vi sono evidenti differenze) e può essere praticato anche da imbarcazioni di grandi dimensioni.

3

Rougè 1966, pp.84-85

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Il grande cabotaggio prevedeva spesso dei tratti di navigazione d'altura e costituiva il più diffuso sistema di navigazione di lungo corso, che permetteva di accorciare le distanze tagliando i golfi da capo a capo, tenendo in vista i punti cospicui ma viaggiando in linea retta, senza dover seguire il perimetro costiero.

La navigazione d'altura è quella che si svolge in mare aperto senza la terra in vista, quando si affrontano le traversate dirette da un porto ad un altro, con viaggi della durata di più giorni.

Al pari delle altre due tipologie, anche questa era correntemente praticata nell'antichità5, risultando particolarmente vantaggiosa per le grandi navi da trasporto, come ricorda Strabone6 a proposito dei collegamenti tra la Penisola Iberica e l'Italia. Con questo tipo di navigazione, infatti, era possibile far viaggiare grandi carichi tra i principali empori internazionali, nel modo più rapido, sicuro ed economico, sfruttando le rotte che seguivano il flusso dei venti regnanti al largo.

In quanto alle finalità, si distinguono una navigazione commerciale, una militare, una di esplorazione, una di colonizzazione, una peschereccia e altre forme più rare come quella da diporto.

La navigazione passeggeri non aveva un ruolo autonomo, e, in senso stretto, non lo avrà fino a tempi relativamente recenti, infatti chi doveva affrontare un viaggio per mare, usufruiva del passaggio a bordo delle navi mercantili, lungo le rotte che queste praticavano normalmente per il trasporto delle merci.

Trattandosi di un'ulteriore fonte di guadagno, i comandanti erano favorevoli a questa pratica e conosciamo dei casi in cui a bordo di una grande oneraria potevano trovarsi centinaia di passeggeri7.

Per quanto riguarda le tecniche di navigazione nell'antichità, non possiamo applicare le moderne definizioni di navigazione stimata e di navigazione astronomica, che si svolgono con l'uso di strumenti nautici per determinare l'orientamento, la direzione di rotta e, soprattutto, la posizione in mare.

5 Rougè 1966, pp.85-97;Arnaud 1992;1998 6 Geografia, III, 2, 5

7

Sul trasporto dei passeggeri si vedano Rougè 1984, e tra le fonti oltre al viaggio di San Paolo da Cesarea a Roma (Attoi degli Apostoli,27-28,1-16) si veda Petronio(Satyricon, 99-115).

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Quella dei marinai antichi era una navigazione orientata in modo empirico, attraverso i punti cospicui (quando la terra era in vista), i riferimenti ambientali e quelli astronomici, con sistemi dettati dall'esperienza pratica piuttosto che dal calcolo. Quando non si era in vista della terra era sostanzialmente impossibile stimare un punto nave e si procedeva soltanto in base all'orientamento.

Nell’antichità la navigazione si svolgeva prevalentemente durante la buona stagione, quando le condizioni meteo-marine sono più favorevoli, i venti più regolari ed è minore il rischio di trovare una fitta copertura nuvolosa, che impedisce di orientarsi osservando le stelle.

Durante i mesi invernali, infatti, oltre all'incidenza del fattore climatico, il passaggio di frequenti depressioni genera nel Mediterraneo un tempo instabile e poco favorevole ad una navigazione regolare; le violente tempeste invernali rappresentavano un rischio che all'epoca della marineria a vela non era opportuno correre se non in casi di assoluta necessità.

Nel racconto del viaggio di San Paolo da Cesarea a Roma, quando la nave si trovava in prossimità di Creta, Luca fa esplicito riferimento al fatto che, essendo ormai agli inizi d’ottobre, il tempo opportuno per la navigazione era trascorso e i rischi aumentavano ad ogni giorno che passava8.

L'equipaggio decise di proseguire fino al porto di Fenice, a sud-ovest dell'isola, per passarvi l'inverno; e fu in questo tratto del viaggio che la nave venne colta da una terribile tempesta: gli sventurati furono trascinati alla deriva senza riuscire più ad orientarsi, poiché il ciclo era così denso di nubi che per diversi giorni non poterono più scorgere né il sole né le stelle9.

Durante i mesi estivi, invece, quando il Mediterraneo è dominato da un sistema di correnti anticicloniche, si instaura un periodo di tempo buono con venti generalmente stabili e regolari.

8

Atti degli Apostoli, 27, 9 9 Atti degli Apostoli, 27 20

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Nei mesi tra la primavera avanzata e l'inizio dell'autunno, inoltre, la navigazione è favorita anche dalla possibilità di sfruttare il regime delle brezze di mare e di terra, cioè, come vedremo, i venti generati in prossimità della costa dalla differenza di temperatura tra la superficie del mare e quella terrestre, che in inverno sono praticamente assenti o, comunque, molto deboli10. L'estensione del periodo considerato favorevole per prendere il mare aumentò progressivamente nel corso del tempo11, parallelamente all'incremento dei viaggi marittimi e all'accrescimento dell'esperienza in campo nautico. Per Esiodo, testimone dell'epoca arcaica (tra VIII e VII sec. a.C.) e figlio di un mercante che aveva navigato, questo periodo è ancora piuttosto breve12:

«Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando volge al colmo l'estate spossante, questo

è per i mortali il tempo per navigare. In questo tempo non infrangerai la nave, né il mare ucciderà gli uomini, a meno che non voglia prenderli Posidone Scuotiterra o Zeus re degli immortali: che essi hanno in mano il potere del bene e del male. Quando i venti sono regolari e il mare sicuro, allora spingi in mare la nave veloce e affidala pure ai venti. Riponivi tutto il tuo carico e affrettati a tornare a casa prima che puoi. Non aspettare il vino nuovo, le piogge d'autunno, né che arrivino le tempeste e i temibili soffi del vento di mezzogiorno, che agita le onde, compagno della gran pioggia d'autunno che Zeus manda, e rende aspro il mare.

C'è per i mortali anche un'altra stagione per navigare, primaverile: quando appaiono in cima al fico le foglie, tanto grandi quanto l'impronta di una cornacchia, allora il mare è praticabile. Questa è la navigazione di primavera, che io non approvo, che non piace al mio cuore. Bisogna cogliere l'occasione ed è difficile sottrarsi al danno13».

Dunque, il periodo utile a prendere il mare si estende per soli cinquanta giorni in un intervallo compreso tra la fine di giugno e la fine di settembre (secondo le diverse ipotesi interpretative basate sul testo), che probabilmente possiamo collocare tra

10 Seneca, V,9,1

11 Rougè 1966; pp.31-33 12

Esiodo,Le opere e i giorni, 663-684 13 Traduzione: Janni 1996, p.109

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agosto e settembre. In ogni caso, potrebbe trattarsi di un'indicazione cronologica che già in origine era approssimativa, intesa, più che a definire un preciso calendario, a sottolineare che durante l'estate si poteva navigare con sufficiente sicurezza per un periodo di circa cinquanta giorni, quando, come ricorda significativamente il poeta, subentrano due condizioni favorevoli e al tempo stesso necessarie: i venti sono eukrineeς, chiari, ben distinti (cioè hanno assunto il regime regolare caratteristico

dell'estate, e sono per questo ben prevedibili), e il mare è aphmwn, propizio, innocuo (cioè si presenta calmo o poco mosso, solitamente senza grosse sorprese).

Viene ricordato anche un periodo di navigazione primaverile, che, tuttavia, è ritenuto troppo rischioso per l'instabilità del tempo. Complessivamente, i precetti di Esiodo sulla navigazione sono tutti improntati alla massima prudenza; ma anche nei secoli successivi, nonostante l'estensione del periodo considerato utile, i giorni intorno all'equinozio d'autunno (23 settembre) segnavano il passaggio verso un periodo considerato più rischioso, ed è per questo motivo che aumentava anche il costo dei prestiti marittimi, come ricorda Demostene14 nel IV sec. a.C..

Ed è significativa, in questo contesto, la notizia di Luciano15 secondo cui soltanto i Fenici concludevano la navigazione nell'autunno inoltrato, confermando così la consolidata tradizione sulla grande esperienza nautica di questo popolo.

Nel IV sec. d.C. Vegezio testimonia come il periodo utile per navigare avesse raggiunto la sua massima estensione, distinguendo, però, una fase centrale sicura, dal 27 di maggio al 14 di settembre, e due fasi incerte, rispettivamente dal 10 di marzo al 26 di maggio e dal 15 di settembre al 10 di novembre.

Nei restanti mesi, dall'I 1 di novembre al 9 di marzo, il mare era considerato clausum e la navigazione era generalmente sospesa (salvo le eccezioni che vedremo), a causa delle cattive condizioni meteorologiche che rendevano eccessivamente rischioso avventurarsi per mare. Ecco cosa scrive Vegezio16 nel paragrafo intitolato “in quali mesi è più sicuro navigare”:

14 Demostene; Contro Lacrìto, 10 15

Luciano;Toxaris, 4

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Proseguiamo con la trattazione dei mesi e dei giorni adatti alla navigazione.

Infatti la violenza delle onde non permette di solcare le distese marine per l'intero corso dell'anno, ma secondo una legge di natura alcuni mesi sono favorevolissimi, altri incerti, altri sconsigliabili ai naviganti. La navigazione si ritiene sicura dopo il passaggio di Pachone, cioè dopo che sono sorte le Pleiadi, dal sesto giorno prima delle calende di giugno (27 maggio) fino al sorgere di Arturo, cioè fino al diciottesimo giorno prima delle calende di ottobre (14 settembre), poiché per beneficio dell'estate si attenua la furia dei venti. Dopo questo periodo, fino al terzo giorno prima delle idi di novembre (11 novembre), la navigazione è incerta e piuttosto rischiosa in quanto dopo le idi di settembre (13 settembre) sorge Arturo, astro portatore di violente tempeste. Poi, all'ottavo giorno prima delle calende di ottobre (24 settembre) sopravviene l'aspra tempesta equinoziale. Intorno alle none di ottobre (7 ottobre) si entra nella costellazione dei Capretti piovosi e al quinto giorno prima delle idi dello stesso mese (11 ottobre) appare in ciclo il Toro.

Dal mese di novembre, inoltre, il tramonto invernale delle Vergilie disturba con improvvise tempeste la rotta delle navi. Pertanto, dal terzo giorno prima delle idi di novembre (11 novembre) al sesto giorno prima delle idi di marzo (10 marzo) i mari possono considerarsi chiusi alla navigazione. Infatti la luce ridotta, la notte protratta, la densità delle nubi, l'oscurità dell'aria, la raddoppiata inclemenza dei venti, delle piogge e delle nevi scoraggiano non soltanto i percorsi per mare, ma anche quelli per terra. In verità, dopo la ripresa della navigazione, che si celebra con solenni gare e pubblici spettacoli presso molti popoli, i mari sono ancora solcati con pericolo fino alle idi di maggio (15 maggio) a causa dell'influsso negativo di molti astri e della stagione stessa.

Ho dato queste informazioni, non perché cessi l'attività dei mercanti, ma perché, quando l'esercito mette in mare le sue liburne, è necessaria una attenzione maggiore rispetto all'audacia che muove gli affari privat17i». In realtà, durante i mesi invernali

la navigazione non si arrestava completamente (lo testimonia Vegezio stesso, dicendo

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che con i suoi precetti non intendeva far cessare l'attività mercantile), ma era drasticamente ridotta al piccolo cabotaggio e ai trasporti indispensabili. Le grandi onerarie che affrontavano i viaggi di lungo corso, invece, praticavano un fermo pressoché totale durante i mesi invernali, come testimonia ancora una volta l'avventura di San Paolo18.

Nel decidere il momento opportuno ad affrontare il mare, Vegezio osserva giustamente che per le navi da guerra era necessario avere una cautela maggiore rispetto a quanto accadeva per quelle mercantili. Le unità da combattimento, infatti, avevano maggiori difficoltà ad affrontare condizioni di tempo avverse, in quanto, essendo concepite per il combattimento e per la propulsione remiera, avevano scafi leggeri e poco adatti a tenere il mare, con un elevato rapporto larghezza-lunghezza (1:6 / 1:7, contro 1:3 / 1:4 delle navi da trasporto).

Tuttavia, proprio queste navi potevano essere costrette alla navigazione invernale, per necessità di ordine strategico legate agli eventi bellici, per il pattugliamento delle coste e per i servizi di collegamento. A differenza delle navi mercantili, però, le unità da guerra affrontavano solo raramente delle lunghe traversate, che, per il rischio che rappresentavano, venivano intraprese in condizioni meteo-marine ottimali19.

Il ritmo stagionale della navigazione continuò ben oltre l'età antica, perdurando ancora per tutta l'età medievale. Nel Mediterraneo medievale si seguiva fondamentalmente ancora un ritmo stagionale, con una drastica riduzione dei viaggi tra i mesi di ottobre e marzo, soprattutto per quanto riguardava i convogli che praticavano le rotte di lungo corso; comunque, la navigazione invernale era scarsa, non inesistente.

Importantissime inoltre, per la navigazione costiera sono la brezza di mare e la brezza di terra20. Sono venti locali che si spingono fino a 15 miglia su entrambi i lati della linea costiera, generati dalla differenza di temperatura (quindi di pressione) tra il mare e la terra durante il giorno e la notte.

18 Atti degli Apostoli, 28, 11 19

Janni 1996; pp.113-114

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Nel Mediterraneo si sviluppano dalla primavera all'inizio dell'autunno, approssimativamente da aprile a settembre, mentre d'inverno sono poco frequenti, a causa della modesta differenza di riscaldamento tra il mare e la terraferma.

Poiché la pressione atmosferica dipende dalla temperatura e tende a livellarsi richiamando alta pressione verso la bassa, il rapido riscaldamento della superficie terrestre dovuto all'insolazione durante il giorno genera un abbassamento di pressione che richiama aria relativamente più fresca dal mare (brezza di mare), dove si instaura un campo di alta pressione (naturalmente, si tratta sempre di valori relativi, determinati dal gradiente barico locale). Di notte avviene il fenomeno inverso: rispetto alla terra, il mare conserva più a lungo il calore accumulato durante il giorno, generando un campo di bassa pressione che richiama aria da terra (brezza di terra), dove si instaura, invece, un campo di alta pressione. Il fenomeno non prende forza immediatamente dopo l'alba e dopo il tramonto, ma nelle ore centrali: la brezza di mare, infatti, si genera nella tarda mattinata e si mantiene fino a sera, raggiungendo nel pomeriggio l'intensità maggiore, mentre la brezza di terra si leva qualche ora dopo il tramonto e si mantiene fino al mattino, raggiungendo la massima intensità nelle ore intorno alla mezzanotte. Le brezze, soprattutto quelle di terra, non raggiungono normalmente forte intensità ma possono comunque arrivare a velocità di 10 - 15 nodi. La loro direzione è normalmente trasversale o comunque angolata rispetto al litorale, benché l'orografia della costa possa determinare delle variazioni locali sia a livello di direzione che di intensità. Questo accade soprattutto con le brezze di terra, che lungo le coste alte si incanalano nelle vallate fluviali e arrivano in mare con una velocità maggiore, per il cosiddetto "effetto Venturi", spesso aprendosi a ventaglio.

Arriano21 testimonia che per navigare lungo costa si sfruttavano le brezze spiranti dalle vallate fluviali; in base alle considerazioni di Seneca22, del resto, sappiamo che gli antichi conoscevano bene l'importanza delle brezze e il regime con cui spirano (sia nell'arco dell'anno che nell'arco della giornata), e che avevano anche delle cognizioni relativamente valide sull'origine fìsica del fenomeno.

21

Arriano; Periplo del Ponto Eusino, 3 22 Seneca, Questioni Naturali,V,10,1

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Le brezze permettono di navigare parallelamente alla costa con vento al traverso o con andature prossime al traverso, quindi di risalire un litorale anche quando il vento regnante al largo è poco favorevole o contrario. Inoltre, per il fatto di spirare in direzione trasversale al litorale, agevolano le manovre di partenza dai porti e quelle di rientro. Per tale motivo, la partenza avviene sempre al termine della notte, all’ alba o alle prime ore mattino. Quando la brezza di terra permette di allontanarsi verso il mare aperto, dove si vanno ad intercettare i venti regnanti favorevoli alla propria rotta (venti stagionali a regime stabile), mentre l'avvicinamento al porto è favorito dalla brezza di mare al termine della giornata di navigazione.

Insieme a quello delle correnti marine, lo studio del regime dei venti nell'antichità si pone come presupposto fondamentale per la conoscenza delle tecniche di navigazione e delle rotte praticate. Le direttrici principali della navigazione, infatti, erano determinate dai venti a regime costante che soffiavano stagionalmente nei diversi settori di mare e che sembrano corrispondere sostanzialmente a quelli attuali23.

Figura 1 Le principali correnti marine nel mar mediterraneo Tratto da Arnaud

La possibilità di sfruttare venti favorevoli rispetto alla propria rotta ha sempre costituito, naturalmente, un fattore determinante nello svolgimento dei viaggi

23 Morton 2001

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marittimi, poiché rimontare un vento contrario, comunque possibile, comportava il superamento di molte difficoltà tecniche e il notevole rallentamento del viaggio, soprattutto con la vela quadra. Nelle fonti antiche è costante il richiamo alla necessità di viaggiare nelle andature portanti, con il vento di poppa o al lasco, secondo una pratica che si è necessariamente mantenuta per tutto il corso della marineria a vela. A titolo di esempio, tra i tantissimi casi, ricordiamo i versi del Filottete di Sofocle in cui Neottòlemo afferma che “appena cala il vento là da prora, salperemo, che adesso

ci è contrario24”, mentre Eracle raccomanda il momento in cui si deve salpare, quando «propizio è già il vento che spinge sulla poppa» .

Le coste del Mare Ligusticum, erano comprese in una rete di vie di comunicazione marittima che, secondo la terminologia moderna ed in relazione al bacino del Mediterraneo, potremmo definire di "piccolo cabotaggio" e di "grande cabotaggio", alle quali vanno aggiunti i "traffici locali".

Per quanto concerne le prime e le seconde, la Liguria era interessata dal tratto settentrionale della rotta cosiddetta "tirrenica", che si intende compresa tra lo Stretto di Messina, a Sud, ed, a settentrione, il porto di Massalia.

Figura 2 La rotta “Tirrenica” nel Mar Ligure Elaborazione G.Papandrea

24 Sofocle Filottete;639-640

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A questo ultimo porto, oltre alla "tirrenica", faceva capo un'altra rotta, la "iberica", che si sviluppava verso ponente, fino a giungere allo Stretto di Gibilterra.

Un collegamento trasversale tra le rotte "iberica" e "tirrenica" era attuato con la rotta "ispanica" che collegava le coste levantine dell'Iberia, attraverso le Bocche di Bonifacio, con Ostia.

La rotta "ispanica", diversamente dalle precedenti, prevedeva dei tratti di navigazione d'altura;a meridione, la "tirrenica" si collegava alla rotta "fenicia" che attraversava, lungo una direttrice Est-Ovest, costeggiando l'Africa settentrionale, tutto il Mediterraneo, con propaggini oltre le “Colonne d'Ercole”, l'attuale Stretto di Gibilterra.

Attraverso questa "rete" si muovevano, in tutto l'ambito mediterraneo, merci da e per l'antica Liguria; ad esempio, i contatti dei primi colonizzatori orientali con alcuni centri liguri, che confermano l'esistenza, già a partire dall'età del Ferro, di un'antichissima rotta lungo le coste del Tirreno, o agli scavi terrestri effettuati nei diversi municipi romani che hanno restituito, in misura maggiore o minore, ceramica proveniente da vari luoghi del Mediterraneo; inoltre, è noto che, soprattutto in età imperiale, il marmo lunense era oggetto di esportazione in tutto il mondo romano. Probabilmente a questi percorsi ad ampio raggio, piuttosto che ai traffici locali, erano legate le più importanti strutture portuali, di riferimento e di segnalazione (fari).

Dalla traiettoria principale della rotta "tirrenica" si staccavano delle ramificazioni che la collegavano ai centri marittimi più importanti delle regioni da essa interessate, tra cui la Corsica e la Liguria.

Attraverso suddette diramazioni si riversavano nei porti liguri i prodotti provenienti dalle diverse aree del Mediterraneo e, al tempo stesso, venivano avviati all'esportazione merci e derrate di produzione ligure.

In Liguria, la navigazione relativa ai traffici locali doveva essere molto sviluppata e di notevole importanza, sia perché, in assoluto, il trasporto via mare era, ed è, più conveniente ed economico di quello terrestre, sia, soprattutto, per le particolari caratteristiche geomorfologiche delle due Riviere.

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I traffici in area locale miravano ad una ridistribuzione più capillare di parte dei prodotti che, lungo le rotte di cabotaggio, arrivavano ai principali porti liguri, oppure ad uno smercio, potremmo quasi dire "al minuto", di prodotti indigeni, tra i quali non dobbiamo dimenticare le derrate e le merci dell'entroterra, verso i centri minori ed i borghi marinari, le mansiones e le villae marittime, queste ultime presumibilmente provviste di approdi privati; di per contro, tali traffici servivano anche a far confluire i prodotti locali nei grossi porti da dove, come abbiamo visto, venivano esportati lungo le rotte di cabotaggio.

Questi traffici sono documentati in modo molto esemplificativo proprio nelle produzioni di vasellame di Albintimilium25; la diffusione in tutta la Liguria, e oltre, delle urne decorate ad incisioni (forse prodotte a Vada Sabatia, o con argilla proveniente dalle cave di questo centro), le cui sedi di produzione restano da definirsi meglio ma comunque da localizzarsi in territorio ligure; i prodotti provenienti dai grandi latifondi, come quello dell'azienda di famiglia dell'imperatore Pertinace, che dai territori dell'entroterra facevano confluire sul litorale legname, lana, feltro e altri prodotti della pastorizia. municipi romani che hanno restituito, in misura maggiore o minore, ceramica proveniente da vari luoghi del Mediterraneo; inoltre, è noto che, soprattutto in età imperiale, il marmo lunense era oggetto di esportazione in tutto il mondo romano.

25 Lamboglia 1969

Figura

Figura 1 Le principali correnti marine nel mar mediterraneo Tratto da Arnaud
Figura 2 La rotta “Tirrenica” nel Mar Ligure Elaborazione G.Papandrea

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