CONCLUSIONI
Al fine di comprendere a pieno la strategia politica di sviluppo rurale che si sta delineando all’interno dell’UE ed in particolare quelle pratiche di “sviluppo dal basso” che così tanto sembrano caratterizzarla, sono necessarie alcune considerazioni di ordine generale sul contesto storico dove tali strategie sono venute a manifestarsi, ben ancor prima di diventare concetti o tanto meno approcci formalizzati. A tale riguardo, omettendo di ripercorrere quelle fasi che hanno segnato il passaggio dal fordismo al post-fordismo, già trattate nella prima parte di questo lavoro, è importante qui porre l’accento su come - nonostante le trasformazioni delle tradizionali geografie produttive proprie della fase post- fordista già nel periodo dei primi anni ottanta avessero prodotto importanti cambiamenti anche nei territori rurali europei divenuti, almeno in parte, luoghi di attività economiche diversificate 1 - l’idea di forme di sviluppo strettamente collegate a quelle che sono le risorse locali non è stata e non è tuttora un’idea semplice da far recepire ed accettare. Lo sviluppo, nelle regioni rurali, non si è manifestato in modo uniforme, ma ha teso a differenziarsi ed a concentrarsi in alcune aree piuttosto che in altre secondo uno schema a “macchia di leopardo” 2 , cosicché le società rurali, nel corso degli anni, hanno assunto dimensioni e strutture che, soprattutto in un contesto come quello europeo, sono andate sempre più differenziandosi in quanto dipendenti da tutta una serie di fattori, quali quelli connessi alle funzioni economiche, all’organizzazione sociale, all’articolazione del potere ed alle tradizioni culturali. Ciò significa che lo sviluppo dei sistemi locali, inteso, innanzitutto, come la capacità di cambiamento ed adattamento che il sistema tende ad esprimere di fronte alle trasformazioni, nel prendere in considerazione la dimensione territoriale per lo sviluppo rurale, ha posto una
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“(…) La trasformazione dello spazio rurale si è manifestata inizialmente con la creazione di un nuovo mercato della terra. Ne hanno fatto le spese le attività agricole, perla tendenza delle autorità locali a soddisfare una domanda dell’industria e dei servizi che creava posti di lavoro e prometteva di sviluppare l’economia del territorio (…) Questa ruralità (…) si è sviluppata a macchia di leopardo, ed ha
contribuito a far scoprire agli agricoltori, in crisi per la caduta dei redditi,le potenzialità multifunzionali dell’azienda agricola e degli spazia essa occupati (…).” (Sivini G., 2005).
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Vedi Sotte F. (1999), Alla ricerca di una politica rurale, in Esposti et al., Sviluppo rurale e occupazione, Franco Angeli, Milano.
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particolare attenzione sulla diversa capacità che i singoli territori hanno di valorizzare le risorse localizzate al proprio interno. Ad un tale stato delle cose la politica dell’UE ha iniziato a dare le prime “timide” risposte solo agli inizi degli anni novanta, quando, con la pubblicazione del documento “Il futuro del mondo rurale”, ha introdotto il concetto di approccio integrato e, quindi, di un tipo di strategia che potesse essere, appunto, meno settoriale e più improntata al territorio. In ogni caso, nonostante l’enunciazione di questa strategia più marcatamente orientata verso l’iniziativa locale sia rintracciabile in molti dei documenti programmatici comunitari, la sua effettiva attuazione trova però riscontro sino alla fine degli anni novanta nella sola Iniziativa Comunitaria LEADER. Analogamente, sul fronte delle cosiddette “policies”, sebbene l’accresciuto interesse per l’approccio integrato nello sviluppo territoriale delle aree rurali abbia indotto, quanto meno, una maggiore attenzione verso nuove modalità di relazioni tra quelli che sono i cosiddetti soggetti istituzionali e le comunità locali, tale concetto è rimasto, all’atto pratico, una dichiarazione fine a se stessa, che ha trovato una sua parziale applicazione solo in pochi strumenti - tra i quali figura appunto, proprio l’iniziativa LEADER - rispetto a quanto ci si sarebbe potuti aspettare leggendo la letteratura in materia ed i documenti UE, dove spesso è rimarcata l’importanza della partecipazione. Alla luce di queste considerazioni appare quindi evidente come, nel tradurre i principi in provvedimenti, se si eccettua qualche sporadica iniziativa, l’Unione Europea non abbia inciso poi in modo così rilevante sulle aree rurali, ma sia, al contrario, rimasta “intrappolata” in quella sorta di “compromesso” al quale ho fatto più volte riferimento nei capitoli precedenti e che, secondo il parere di alcuni ricercatori, si è più volte delineato nell’analisi dei provvedimenti posti in essere quale ragionevole motivazione delle ambiguità e delle caratteristiche negative delle attuali politiche di sviluppo rurale. In un simile contesto risulta, quindi, ben comprensibile, sia pur solo sul piano astratto, anche l’opinione di quanti sostengono “(…) che una delle condizioni per il decollo di una vera politica di sviluppo rurale sarebbe proprio il preventivo smantellamento del vecchio impianto di misure settoriali, necessario a sgombrare il campo dalle distorsioni
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che esso produce e che si tramutano in altrettanti ostacoli e resistenze alla innovazione (…)” 3 , un’affermazione, questa, che - al di là della sua scarsa attuabilità - rileva ancora una volta la necessità, per la programmazione di un’adeguata strategia di sviluppo rurale, di attribuire funzioni e ruoli agricoli e non agricoli alle aree rurali, incoraggiando gli scambi tra i diversi settori e territori, così da porre fine sia ad una “specializzazione mono-funzionale agricola” 4 sia alla condizione di marginalità che, soprattutto in relazione all’ultimo processo di allargamento, ancora caratterizzano queste aree. L’unica strada percorribile, alle condizioni attuali, per una strategia di sviluppo rurale di lungo periodo sembra essere, appunto, quella della competitività territoriale, ossia, quello sviluppo rurale integrato al quale da tempo aspira l’Unione Europea e che, sebbene non ancora realmente intrapreso, con l’introduzione della nuova riforma sembra comunque essersi per lo meno avviato, orientandosi verso una
“visione consapevole e sistemica delle componenti del territorio” attraverso la quale sarà pertanto possibile individuare i punti di forza e debolezza del territorio stesso e fissare i più adeguati percorsi di sviluppo. Fondamentale, nel sostenere questo tipo di strategia, sarà inoltre la risoluzione della questione legata al problema delle reti di relazioni tra quei soggetti pubblici che sono chiamati ai vari livelli a dare il proprio contributo nell’elaborazione, gestione ed attuazione delle politiche di sviluppo 5 . In questo caso, infatti, la programmazione negoziata che per il futuro si prospetta nelle aree rurali molto probabilmente necessiterà di cambiamenti nelle modalità di funzionamento della pubblica amministrazione che consentano di innescare quei processi virtuosi grazie ai quali sarà possibile cogliere le specifiche esigenze espresse da questa modalità d’intervento. In conclusione, sono ancora molte le questioni “aperte” e senza risposta che si incontrano nel cammino verso lo sviluppo delle aree rurali, problemi certamente complessi ma quanto mai bisognosi di risposte concrete ed urgenti che, sebbene
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Vedi (De Filippis, Storti, 2001).
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Vedi Sotte F. (2006), Sviluppo rurale e implicazioni di politica settoriale e territoriale. Un approccio evoluzionistico, in Politiche, governance e innovazione per le aree rurali, INEA, Roma.
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