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PREFAZIONE
La nostra storia recente ci ha abituati, come cittadini di una realtà politica multilaterale e pluralistica come l’Unione europea, a confrontarci con sfide sempre nuove e ad affrontare svolte epocali di immenso valore, oltre che politico-strategico ed economico, anche sociale e umano.
La Turchia in Europa è semplicemente una nuova sfida che l’Ue ci presenta sotto la formula di “allargamento più approfondimento”, introdotta nel “sistema-Europa” sin dal Trattato di Maastricht, cioè al momento della sua stessa nascita.
In una società globalizzata, in cui i confini nazionali divengono sempre più convenzionali, allargamento ed approfondimento significano condivisione di norme, di istituzioni, di valori oltre che di politiche economiche, culturali e sociali. In una parola condividiamo con Paesi, che fino ad un ventennio fa costituivano realtà nazionali quasi agli antipodi della nostra, un sistema politico unico e pluralizzato, delle istituzioni stabili e sovranazionali, ed un comune senso civico.
Cosa rappresenta, allora, per la società europea, la Turchia in Europa? Sicuramente una sfida di superamento dei nostri preconcetti. Troppo spesso sull’argomento filtrano più facilmente verso l’opinione pubblica vecchi stereotipi e perplessità: un Paese al 99%
musulmano con una certa arretratezza economica, sociale, con un retaggio storico e culturale che non può considerarsi “europeo”, con un sistema ancora non pienamente democratico, bussa alle porte dell’Europa.
La risposta da dare non è così scontata: agli occhi dei più scettici e conservatori, un’Europa che ha già richiesto importanti sacrifici, per arrivare ad essere la potenza multilaterale che è adesso, non è ancora pronta per un nuovo e così importante cambiamento dello status quo e necessiterebbe piuttosto di una maggiore stabilità interna. Per i fautori di
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un’Europa che accresca sempre di più il proprio margine di azione esterna e il proprio ruolo di stabilizzatore dei conflitti, la Turchia in Europa rappresenta un’opportunità irrinunciabile, oltre che una sfida. Ma quanto è pronta l’Europa, già adesso, a sacrificare la sua stabilità interna in nome del rilancio del ruolo di potenza multilaterale e mediatrice di conflitti?
Senza addentrarsi troppo in argomentazioni polemiche, va sottolineato che, allo stato attuale, il rischio che la questione dell’adesione turca venga affrontata con approcci troppo semplicistici è sempre dietro l’angolo ed è una tentazione a cui sfuggire, per evitare di vanificare la possibilità di un’analisi obiettiva e credibile del problema.
Pertanto, nell’ambito di studio del mio elaborato, ho cercato di affrontarla mettendo a fuoco, in particolare, le problematiche attualmente dibattute in seno al negoziato europeo, cioè le questioni politiche e internazionali che coinvolgono la Turchia e che, essendo ancora aperte e insolute, costituiscono le variabili che maggiormente pregiudicano l’eventualità di un’adesione.
In special modo: l’adeguamento ai criteri di Copenhagen, ancora non del tutto completo, il mancato rispetto dei diritti umani, delle minoranze, delle libertà positive, la mancata piena realizzazione di uno Stato di diritto e di un sistema politico veramente democratico. Sono tutte problematiche cruciali che si incrociano trasversalmente e che chiamano in causa anche delicati equilibri internazionali.
Dopo un’approfondita introduzione, in cui si sottolinea l’antefatto storico-politico turco-europeo, che ha portato al negoziato dei nostri giorni, ho tentato quindi, nella seconda parte della mia tesi, di affrontare, nella maniera più esauriente e nel contempo sintetica possibile, queste annose questioni che pongono la Turchia al centro del dibattito europeo. Mi sono quindi soffermata, in maniera del tutto imparziale, su ciò che la Turchia ha fatto finora e, parimenti, su ciò che essa ancora manca di fare sulla strada dell’adeguamento e nel rispetto dei criteri di Copenhagen.
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Infine, nella terza parte, uno sguardo rapido è gettato sulle prospettive geopolitiche, attuali e future, della Turchia, la cui politica estera risulta sempre più coinvolta, comunque si concluda il negoziato per l’adesione, nella sfera di azione strategica delle potenze occidentali.
Da ultimo, ho ritenuto opportuno soffermarmi ad analizzare un progetto a cui ho avuto modo di lavorare durante il mio soggiorno di sei mesi ad Ankara. Nel periodo da gennaio a luglio del corrente anno, infatti, ho avuto la grande opportunità di svolgere un tirocinio presso la Human Rights Foundation of Turkey, una ONG che si occupa di diritti umani e che è coinvolta in un progetto di cooperazione decentrata nel Medio Oriente, chiamato “Health as a bridge for Peace in the Middle East”. Il riferimento mira semplicemente a sottolineare come
molti settori della società civile in Turchia stiano incrementando il loro coinvolgimento, nella regione mediorientale, in attività di peacekeeping decisamente strategiche per l’Europa.
La portata di questo progetto, sebbene ancora relativamente ristretta, non va comunque sottovalutata: la società civile è un attore cruciale nel processo di avvicinamento politico tra cittadini e le classi politiche responsabili degli equilibri strategici internazionali. Un processo di avvicinamento, che parta dall’alto senza coinvolgere le società dal basso, rischierebbe infatti di essere solo artificioso e fittizio e non farebbe che acuire le differenze sociali e culturali.