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Academic year: 2021

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I

NTRODUZIONE

«Il tempo in cui ognuno si formava la propria idea di una civiltà passata attraverso la lettura sembra essere finito […]. Ai giorni nostri sono le arti figurative che presiedono al formarsi di simili rappresentazioni culturali; il mezzo con cui si stabilisce la percezione è cambiato; l’organo della conoscenza storica si è fatto più visivo: il guardare ha preso il posto del leggere»1.

Con queste parole lo storico olandese Johan Huizinga, nei primi anni del Ventesimo secolo, apriva il suo studio sull’arte dei Van Eyck che, rielaborato, sarebbe confluito nel più celebre saggio L’autunno del Medioevo. Ritengo questa citazione evocativa di un certo tipo di riflessione che, in anni relativamente recenti, ha provato – all’interno della storia della scienza –, se non proprio a ribaltare, quantomeno a riconsiderare il privilegio solitamente accordato alle fonti verbali su quelle visuali2.

Secondo Margaret Mead, ad esempio, l’antropologia era diventata esclusivamente «a science of words»3 e, anche a partire da questa notazione, in letteratura si è sentita l’esigenza di sottolineare la relativa carenza di studi dotati di un apparato iconico importante o incentrati su uno specifico corpus di immagini4. Questo tipo di richiesta in parte sorprende se considerata da un punto

1 J. Huizinga, Le immagini della storia. Scritti 1905-1941, a cura di Wieste de Boer, Einaudi, Torino, 1993, p. 103, corsivo mio.

2 Per quanto riguarda l’importanza dell’elemento visuale negli studi di storia delle scienza e per un’essenziale bibliografia sull’argomento, vedi C. Pogliano, Il contagio del visuale nella

storia della scienza, in «Contemporanea», n° 4, 2006, pp. 710-718.

3 Vedi M. Mead, Visual Anthropology in a Discipline of Words, in P. Hockings (edited by),

Principles of Visual Anthropology, III ed., Mouton de Gruyter, Berlin-New York, 2003, pp.

3-10.

4 Il rammarico relativamente a uno scarso ausilio delle fonti iconografiche da parte dell’antropologia è evidenziato in: J. Cohan Scherer, Historical Photographs as

Anthropological Documents: A Retrospect, in «Visual Anthropology», vol. 3, 1990, pp.

131-155 e Id., Ethnographic Photography in Anthropological Research, in P. Hockings (edited by), Principles of Visual Anthropology, op. cit., pp. 201-216, in cui afferma: «Historians successfully use photographs as document, as do sociologists; it is time that anthropologists

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di vista storico e, quindi, dalla constatazione della pronta diffusione della fotografia in ambito antropologico.

Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste, infatti, alla nascita e allo sviluppo, quasi in parallelo, sia della fotografia sia dell’Antropologia intesa come disciplina autonoma e istituzionalizzata. Dato il pressoché immediato utilizzo della fotografia da parte dell’antropologia, il periodo che va dall’invenzione dello strumento fotografico fino ai primi anni del Ventesimo secolo può essere considerato come il vero e proprio esordio dell’antropologia visuale.

Quando, allora – come in questo caso –, si intenda compiere una ricerca concernente la storia di questo particolare ramo della disciplina antropologica è imprescindibile considerare anche le fonti iconografiche coeve. Nello specifico ho incardinato la mia indagine sull’edizione a stampa di alcuni resoconti di viaggio di naturalisti italiani della seconda metà dell’Ottocento, soffermandomi, principalmente, ma non in maniera esclusiva, sull’apparato iconografico in essi contenuto.

Nonostante, infatti, l’interesse per lo studio delle fonti scritte rimanga inalterato, ho voluto provare, qui, a decifrare la natura dell’apporto iconico che tali fonti sono in grado di offrire. Tra i molteplici soggetti che finirono nella matita o nell’obiettivo di questi naturalisti-esploratori ho scelto l’uomo come oggetto specifico e privilegiato di indagine conoscitiva e scientifica.

Quando si desideri gettare uno sguardo, nella sua globalità, alla storia delle discipline etno-antropologiche e, quindi, allo studio dell’uomo, non possono non essere considerati i contributi che scaturirono dall’impiego del disegno e della fotografia in questo ambito, nonché le complesse problematiche legate al loro statuto documentario. La riflessione sull’offerta visuale di alcuni fra i maggiori protagonisti della nascente disciplina antropologica italiana, poi, consente un approfondimento sulle loro vite e sulle loro opere compiuto da una diversa prospettiva.

also take photographs seriously as sources of unique information», p. 201. Vedi, a riguardo, anche P. Chiozzi (edited by), Teaching Visual Anthropology, Il sedicesimo, Firenze, 1989 e Id., Manuale di Antropologia Visuale, Unicopli, Milano, 1993.

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Le immagini prodotte, infatti, oltre a essere una testimonianza dei popoli e delle culture osservate, ci ‘parlano’ anche degli autori di quelle immagini e poiché molti di loro afferivano – direttamente o indirettamente – a quell’«enciclopedia di studiosi»5 che si muoveva intorno alla cattedra di Antropologia fiorentina, nonché al Museo e alla rivista fondati da Paolo Mantegazza, è possibile considerare i loro contributi anche in relazione alle aspettative e alle esigenze della scienza dell’epoca.

Nel mio lavoro di tesi – che si articola in tre capitoli – ho cercato, anche a costo di appesantire un po’ il testo, di far parlare direttamente le fonti che stavo interrogando e ho rinviato a numerose note a piè di pagina, credendo più proficuo lasciare la parola direttamente agli autori delle imprese conoscitive esaminate. Nella consistente appendice iconografica, in coda al presente lavoro, si offre – nella prima parte – un saggio delle modalità con cui, in ciascun volume, è stato ritratto l’uomo extraeuropeo6; nella seconda parte, invece, si mette in atto un tentativo di allargare lo sguardo alle produzioni culturali e materiali dei vari popoli visitati, riunendo questo secondo tipo di rappresentazioni visuali per grandi contenuti tematici.

Inizialmente, dunque, ho esaminato il contesto storico e culturale entro cui nacque l’antropologia italiana e all’interno del quale si mossero gli autori da me considerati. Particolare attenzione è stata rivolta al viaggio come impresa scientifica e, malgrado nessuna delle spedizioni studiate sia stata direttamente istruita, ho ritenuto ugualmente importante andare a valutare lo spazio riservato alla produzione visuale nelle principali istruzioni scientifiche redatte all’epoca. Nello specifico, quelle italiane, stabilivano, in poche ed essenziali righe, le modalità con cui eseguire le fotografie utili per lo studio dell’uomo. Il confronto con la produzione fotografica sul campo ha tuttavia mostrato che i naturalisti – sia per motivi pratici sia per atteggiamento personale – non seguirono in maniera

5 P. Mantegazza, Trent’anni di storia della Società Italiana d’Antropologia, Etnologia e

Psicologia comparata, in «Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia», vol. XXXI, 1901, p. 3.

6 Un esempio, generale, sull’iconografia di viaggio si trova in S. Puccini (a cura di), Per

un’iconografia del viaggio ottocentesco. I protagonisti, la divulgazione, la documentazione scientifica, in «La Ricerca Folklorica», n° 18, 1988, pp. 67-82.

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scrupolosa questo tipo di raccomandazioni.

Successivamente, poiché per valutare in maniera accurata il contenuto iconografico di un testo è necessario conoscere sia la sensibilità e le competenze culturali degli autori sia le motivazioni che stavano alla base di determinate ricerche, ho cercato anche di delineare i principali obiettivi scientifici dei viaggi e il contesto in cui confluirono le immagini scaturite da queste esperienze. Attraverso l’eterogeneità delle motivazioni di viaggio, le peculiarità scientifiche e culturali di ogni naturalista e la pluralità di testimonianze raccolte ho cercato di mettere in luce come questi autori abbiano dato vita a una produzione iconografica riccamente diversificata nei contenuti.

Nella seconda parte del mio lavoro mi sono concentrato più direttamente sul contenuto iconografico presente in ciascuna opera, analizzandolo sia da un punto di vista quantitativo sia contenutistico. Dapprima, ho segnalato la maggiore rilevanza n u m e r i c a di determinate immagini rispetto ad altre, poi, concentrandomi su quelle che avevano l’uomo come oggetto specifico, ho verificato quale rapporto intercorresse tra l’apparato iconico e quello verbale, rivelando quali aspetti – fisici, culturali o entrambi – emergessero in maniera predominante in ciascun naturalista7. A questo proposito si vedrà come, in generale, l’eterogeneo apparato iconico analizzato, non sia suscettibile di far emergere – al suo interno – alcun orientamento privilegiato che sovrasti gli altri. L’assenza, in qualche modo, di una specifica tendenza nell’indagine fotografica,

7 AVVERTENZA: dalla lettura delle testimonianze dell’epoca, ma anche in opere più recenti,

emerge una certa oscillazione nel significato attribuito, dai vari autori, alla terminologia relativa agli studi sull’uomo. Per quanto mi riguarda, nel testo che segue, ho racchiuso all’interno del termine ‘antropologico’ tutto ciò che è riconducibile agli aspetti fisico-biologici dell’uomo; con il termine ‘etnologico’ ho inteso riferirmi alla produzione materiale e culturale dei vari popoli. Cfr. quello che dice Mochi a proposito dell’indirizzo del Museo inteso da Mantegazza: «antropologia fisica e storia della cultura dovrebbero intrecciarsi e integrarsi vicendevolmente», in A. Mochi, Necrologio di Paolo Mantegazza, in «Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia», vol. XL, 1910, pp. 496. Riguardo al tema della carattere proteiforme del termine Antropologia, vedi C. Pogliano, L’incerta identità dell’antropologia, in «Rivista di Antropologia», vol. 71, 1993, pp. 31-41. Per un approfondimento generale sulla terminologia delle discipline demo-etno-antropologici, vedi S. Puccini, Il corpo, la mente e le

passioni. Istruzioni, guide e norme per la documentazione, l’osservazione e la ricerca sui popoli nell’etno-antropologia italiana del secondo Ottocento, CISU, Roma, 2006, pp.

191-207.

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lungi dall’essere una conseguenza scevra di informazioni, tradisce – senza esplicitarlo direttamente – un approccio conoscitivo globale nei confronti dell’uomo, in concordanza cioè, con la direzione auspicata da Paolo Mantegazza nella disciplina antropologica.

Nella terza e ultima parte della tesi ho cercato di evincere, dalle testimonianze rintracciabili direttamente nel testo, quale fosse il rapporto tra gli autori e il mezzo fotografico. Sono emerse le difficoltà e le problematicità legate all’uso di questo strumento e alla riproduzione delle immagini raccolte. Questi aspetti hanno rimarcato, se ancora ce ne fosse bisogno, il considerevole sforzo conoscitivo messo in atto – anche attraverso la fotografia e il disegno – da questi autori. Inoltre, sono andato anche a segnalare quei punti che, in qualche modo, mettevano in luce la relazione – spesso conflittuale – che scaturì dall’incontro tra la cultura occidentale e le culture cosiddette ‘altre’. Quando possibile, quindi, ho sottolineato le riflessioni proprie di alcuni naturalisti volte a criticare gli effetti non sempre cristallini di questo incontro, manifestando, a loro volta, un elevato grado di empatia e di comprensione per alcune delle civiltà incontrate. Si può ipotizzare, allora, che la possibilità di uno studio sull’uomo effettuato in maniera parzialmente svincolata dagli stretti lacci delle istruzioni abbia anche potuto favorire il sorgere di questo genere di osservazioni che – va comunque ricordato – sono riscontrabili in maniera più decisa e frequente, in quegli autori che concentrarono per più tempo le loro ricerche in aree geografiche circoscritte.

Stabiliti gli obiettivi di questo lavoro e prima di partire con l’analisi vera e propria, resta da fare una chiarificazione metodologica. Considerata la grande quantità di autori analizzati non è stato sempre facile scegliere un criterio secondo il quale poterli mettere a confronto. Per questo motivo di volta in volta, li ho raggruppati – a seconda dell’aspetto specifico che andavo a indagare – utilizzando principi differenti (destinazione di viaggio, contenuto testuale, tipo di indagine, ecc.). Non è stato possibile, infatti, individuare – per ogni tipo di approfondimento – un criterio unico capace di rendere significativi i dati raccolti.

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