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Academic year: 2021

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UN PROGETTO DI SALUTE PER IL FUTURO, AI TEMPI DELLA PANDEMIA

“L a conoscenza non riguarda una realtà ontologica, ma riguarda l’ordine e l’organizzazione della realtà che ci costruiamo con la nostra esperienza” (1).

Un progetto dipende dal modello di riferimento o paradigma utilizzato, formulazioni di ipotesi e allestimento di condizioni realizzative.

– Un progetto nuovo implica nuovi assunti in tutti questi am- biti.

OGGI

In medicina – termine derivato dal latino mederi, curare, e medium, che sta in mezzo (tra il soggetto e il male) – l’attuale paradigma è centrato sul concetto di malattia, come costrutto teorico che dà luogo a un gigantesco archivio di nomi, un ar- chivio nominalistico di etichette ove si stabilisce una corri- spondenza biunivoca tra stati patologici e tali etichette.

– Da ogni nome deriva la definizione della diagnosi, della prognosi e del “protocollo” terapeutico.

Ogni stato patologico è registrato con un nome.

Tale operazione, definita nosografia – dal greco nòsos, ma- lattia e graphia, descrizione – codifica in senso oggettivo e classifica attraverso denominatori comuni categoriali che ri- ducono la complessità dei fenomeni ed escludono variabili.

L E C T U R E

Le suddette definizioni vengono aggiornate nel tempo sulla base di nuove teorie patogenetiche e sulla base di ricerche di base e cliniche.

– Tuttavia, ogni aggiornamento inerisce sempre la malattia nella sua oggettività e soprattutto nella sua generalizzazione a ogni essere umano. Una volta determinati, tali assunti pos- sono essere modificati solo all’interno di una costruzione lo- gica che mantiene sempre, nel tempo della sua validità, un carattere di astrazione e di a-priorismo.

In altre parole, in questo modello (disease model) si fa co- stantemente riferimento alla costruzione omologante di ma- lattia e non alle caratteristiche che la qualificherebbero come esperienza individuale.

Non ho paura del Covid-19, ma dell’organizzazione sanitaria per porvi rimedio, dell’individuare nei tessuti, organi e apparati di una persona gli unici bersagli della terapia.

Ho paura del costringere l’essere umano a guarire attraverso l’estraniazione dal suo corpo, ossia attraverso una tanto angosciosa, quanto ritenuta necessaria, scissione tra il corpo e i suoi affetti.

Ho paura della sofferenza reattiva di ciascuno di noi a tutto questo

e del non senso di ridurre l’esperienza umana a una questione tra un virus e un organismo-macchina.

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– Tale concezione presenta i seguenti aspetti che, pur nella loro inadeguatezza, vengono considerati vantaggi “gestio- nali”:

• ogni individuo malato è tale in quanto corrisponde a un sito specifico della biblioteca nosografica, insieme a tutti coloro con la stessa diagnosi

• semplificazione della complessità ed estensione biologica dei fenomeni, assemblati e ridotti secondo un numero mi- nore di categorie

• possibilità di esercitare maggior controllo predittivo, su diagnosi, prognosi e terapie, privilegiando metodi sulle quantità oggettivabili e attenuando l’impatto meno pre- vedibile e – soprattutto – meno omologabile delle qualità soggettive

• maggiore facilità di acquisire e verificare dati “evidenti”, riducendo il numero delle variabili che caratterizzano la conoscenza/scienza della vita

• perseguire la più agevole ricerca analitica della riduzione del molteplice al semplice, emarginando ogni approccio sistemico che reinserisca la complessità

• “focalizzare” il dettaglio o i dettagli in una prospettiva sommatoria e sfocare le relazioni che legano i dettagli fra loro e con le categorie di fenomeni sopra o sottostanti

• facilitare la formazione degli operatori attraverso una mo- dalità di pensiero e di prassi riduzionistica, pertanto sem- plice da apprendere e mettere in opera

• favorire la diffusione e l’adesione a prestazioni di diagnosi e terapia di massa, omologate e omologanti.

La malattia nella storia umana è stata spesso avvicinata al concetto di “peccato”.

“Peccato” rimanda al termine ebraico chatta’th e greco ha- martia, nonché alle rispettive forme verbali chatà’ e hamartano che significano entrambi “mancare”, “fallire il bersaglio”.

– Tuttavia, il termine “malattia” deriva direttamente dal latino mala-actio, “cattiva azione” e il termine “patologia”, dal gre- co pathos, “sofferenza” e loghia, “studio”. Entrambi esprimo- no prevalentemente la valenza di stati “agiti” e “vissuti”, cioè dell’esperienza soggettiva di malattia e di stato patologico (ill- ness model).

“La malattia che non cade nel campo della manuale chirur- gia, non è da considerare come un quid (materia peccans) se- parato dall’organismo vivente e dal principio dinamico che lo vivifica” (2).

DOMANI

La storia della medicina occidentale è costellata di ricerca- tori, a cominciare da Ippocrate, che hanno sostenuto che non può esistere un soggetto malato, se non in un determinato contesto.

Ogni malattia, sia acuta sia cronica, esprime la risposta a per- turbazioni, dipende dalla reattività dell’individuo, dalla qua- lità/quantità delle perturbazioni e dall’ambiente in cui si ve- rifica.

– Pertanto, ogni stato dell’organismo vivente, sia di salute sia di malattia, incarna una condizione risultante dalla relazione individuo-mondo. Ne deriva che per studiare una malattia e impostare la cura sarà necessario tener presente tutti quei fat- tori relazionali soggettivi e oggettivi, quali la reattività fisica, mentale ed emozionale del soggetto, la natura della pertur- bazione e lo scenario in cui tutto ciò avviene.

Ometterne anche uno solo comporterà inefficacia nella com- prensione dei fenomeni e nella cura.

1° STEP − IL MODELLO

“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il pre- sente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto”.

Tenzin Gyatso − Dalai Lama.

Abbiamo accennato alla necessità di non ridurre la malattia a una definizione astratta, statica e predittiva, ma considerarla e studiarla come peculiare esperienza nella relazione sog- getto-mondo: ossia come fenomeno emergente e mutevole di quella relazione.

– La malattia, inoltre, si costituisce come stile personale in continuità e non in frattura con lo stato di salute in quanto non costituisce un evento parassita, ma un’espressione del- l’organismo per proseguire la dinamica della vita.

Si manifesta con sintomi individuali e segni collettivi.

Tuttavia, sono soprattutto i primi a richiedere selezione e va- lorizzazione in quanto manifestazione sensibile della reatti- vità soggettiva, potenzialmente modificabile.

• Tale assunto apre la strada a una medicina della persona, piuttosto che della malattia, sia nei presupposti teorici sia nella prassi terapeutica.

Ciò comporta che il campo della ricerca non dovrebbe essere la malattia nosograficamente intesa, ma la specifica reattività di ciascun individuo a ogni perturbazione biologica, fisica e psichica che minacci la sua integrità organismica e il suo equilibrio vitale.

Come esempio, mutuato dall’attuale pandemia, non l’assun- zione in maniera osservazionale/statistica della categoria

“iperinfiammatoria” attribuita a un’aggressione virale, ma la

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ricerca, caso per caso, di quali siano le condizioni che favo- riscano tale anomala risposta individuale.

Condizioni evidenziabili solo nella conoscenza della storia, biologica e psicocomportamentale, presente e passata, di ogni essere umano.

Non limitarsi – quindi – alle acquisizioni formali di una bio- patologia come prodotto di un archivio di dati, ma derivare dall’esplorazione delle vicende individuali, dell’essere nel mondo di quel soggetto, del suo lifestyle, quanto necessario per incrociarlo con quella biopatologia e formulare ipotesi di diagnosi e di cura.

Se l’insieme dei fenomeni che chiamiamo malattia è la rap- presentazione di un’identità irripetibile, mentale, emozionale e somatica, questa non può solo essere logicamente spiegata, ma empaticamente compresa.

“Per poter curare, il medico non deve mai pensarsi separato dal suo aspetto di paziente” (3).

L’istituzione sanitaria è arrivata nel corso del ‘900 a un’enor- me frammentazione dell’uomo, avendolo inteso come un or- ganismo studiabile solo in quanto scomponibile, come una macchina e secondo una metodologia propria al meccanici- smo di tipo deterministico.

– Gli effetti di tutto ciò si sono rivelati particolarmente ineffi- caci nella gestione delle patologie persistenti, impropriamente dette “croniche”: impropriamente, in quanto non è “il tempo”

(cronos) che le qualifica, ma il fatto che “nel tempo” riman- gono inalterate le cause o le condizioni che le generano.

Le innumerevoli specializzazioni della medicina hanno con- sacrato la riduzione dell’“insieme uomo” alle parti che lo co- stituiscono, spesso secondo un’ottica sommatoria, trascuran- do che le caratteristiche di un insieme non corrispondono al- la somma degli elementi che lo compongono, ma alla mo- dalità delle loro relazioni.

Una conseguenza diretta della riduzione del complesso al semplice e del sistema biologico interattivo pluridimensio- nale/in parallelo a li-

nearità a singolo feed- back/unidimensiona- le/in sequenza è stata ad es. una farmacote- rapia consistente nella s o m m i n i s t r a z i o n e contemporanea a un singolo individuo di tante categorie di far- maci quanti i suoi Ap- parati/organi compro- messi.

Un altro evidente effet- to dell’oblio di un ap- proccio sistemico è sta-

to il metodo compilatorio dell’anamnesi medica come la for- malizzazione di un elenco di patologie in successione cro- nologica, non interpretate in connessione tra esse e ricono- scenti una possibile comune origine.

Infine, ultimo, ma non meno importante effetto, è la progres- siva soppressione del direttore d’orchestra, cioè di un medi- co di riferimento, potremo dire “infradisciplinare” e “super- disciplinare”, in grado di fornire una visione unitaria dei det- tagli raccolti nella particolarizzazione specialistica e di ef- fettuare pertanto scelte di cura, non esclusivamente delegate a quella frammentazione.

2° STEP − I NOMI

“Signore liberaci

dal troppo zelo per le novità;

dall’anteporre la cultura alla saggezza la scienza all’arte

l’intelligenza al buon senso;

dal curare i malati come se fossero malattie;

dal rendere la guarigione più penosa dal persistere del morbo”.

Sir Jonathan Hutchinson, 1904. Cit. in (4)

I sostantivi ippocratei che individuavano i tre principali stru- menti di ogni atto terapeutico ossia tocco, rimedio e parola, e quelli di 2500 anni dopo di corpo, affetto e linguaggio (5) si sovrappongono quasi del tutto; la loro differenza si annulla nella loro complementarità.

– Per guarire, ogni malato necessita dell’insieme costituito dalla disponibilità di affetto, contatto corporeo, farmaco, in- gredienti della cura, dall’omonimo latino, con radice ku, kav in comune con il sanscrito kavi che significa “saggio”.

Quindi cura come espressione di atti saggi, consapevoli, co- scienti destinati a soggetti sofferenti.

Eppure, andando molto indietro nei miei anni, come studente di medi- cina in formazione, fin dai primi contatti con l’istituzione dedicata al- la cura per eccellenza, ossia l’ospedale, non ri- cordo di aver percepito nell’ambiente che mi circondava alcuna par- ticolare disponibile sag- gezza.

– Mi aspettavo per pri-

ma cosa che i pazienti

venissero accolti così

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come erano e che la struttura sanitaria si modulasse su loro;

al contrario mi sembrava che fossero piuttosto i pazienti a do- versi adattare all’ambiente di ricovero.

Ne risultava che, oltre alla sofferenza legata allo stato pato- logico, se ne doveva necessariamente aggiungere un’altra di- pendente dalla mancanza di privacy, di spazi idonei, di man- canza di comfort alberghiero, addirittura di silenzio.

Insomma, una specie di caserma ove vigevano criteri uguali per tutti e pensati più per individui portatori di patologie che non per persone. Anzi, solo per patologie o altro, a tal punto che per distinguere un paziente degente dagli altri vicini, si faceva riferimento all’organo malato, oppure alla malattia, oppure al numero del letto.

Mai al nome del paziente.

Ricordo bene il mio tormento e persino la tentazione di in- terrompere il corso di laurea, tale era l’angoscia che quel luo- go e quelle procedure scatenavano in me.

Un luogo robotizzato ove si trattavano esseri umani come in- granaggi alterati, come macchine rotte.

– Era il trionfo della medicina centrata sulla malattia ove il soggetto era il “portatore” del target della diagnosi e della te- rapia, ossia dell’affezione del polmone, del fegato, ecc. piut- tosto che essere semplicemente sé stesso.

Per questo veniva identificato con le sue parti malate o la sua malattia, ma non con il suo nome.

Terapia impersonale e agita da operatori che, al di là della personale umanità, applicavano alla lettera un modello, per cui non potevano che mostrarsi a loro volta oggettivanti e omologanti.

• Da allora sono passati circa 50 anni, ma quel modello ha resistito a tutte le critiche umanistiche ed esercita ancora un’influenza dominante sulla formazione e sulla prassi me- dica attuale.

Ritorniamo ai termini, cominciando da quello che identifica il luogo paradigmatico della diagnosi e della cura, cioè l’o- spedale.

Il nome “ospedale” deriva dal latino hospitalia, luoghi desti- nati agli hospites, “ospiti”.

Questa parola designa l’ospite nel doppio significato di colui che ospita, ossia il padrone di casa, l’albergatore, ecc. e di colui che è ospitato, il forestiero.

Tuttavia, l‘hospes latino, derivando probabilmente da hostis, indica anche uno straniero, un potenziale nemico.

Ne consegue che l’ospite forestiero, per non apparire ostile, è chiamato a dimostrare la sua innocuità e la sua benevolenza attraverso la compiacenza alle regole dell’ospitante.

Deve quindi distinguersi dall’hostis e far di tutto per dimostrarsi un autentico hospes: solo così allo straniero potevano essere ri- conosciuti i diritti corrispondenti a quelli dei cittadini romani.

Insomma, all’ospitato spettava il compito/dovere di dimostra- re qualcosa all’ospitante.

Nella mia esperienza, all’interno del luogo ospedale, sono

stato spesso testimone di tali dimostrazioni implicitamente ri- chieste agli ospiti/pazienti: quindi nomen-omen, nome-de- stino.

Per questo motivo, retaggio di un antico passato, la parola

“ospedale” andrebbe sostituita con altri termini, ad es. “casa di salute”.

Un altro termine che andrebbe sostituito, in nome della vi- sione di una medicina a misura della persona, è quello di

“Azienda” Sanitaria Locale, attuale struttura organizzativa di un “Servizio”, il Servizio Sanitario Nazionale.

La parola in questione che sottende appunto un’organizza- zione economica con caratteristiche quantitative/produttive nell’ambito di beni, merci o servizi, male si accorda con l’u- nico “prodotto”, scopo della sua mission, ossia la salute umana.

La salute non si misura con quantità e soprattutto va “promos- sa”, “protetta” e non correla con il numero delle prestazioni sanitarie, ma semmai con la loro qualità: dal prevalere di Pa- nacea, un farmaco per tutti, alla sorella Igea, il personale stile di vita.

3° STEP − IL MEDICO DEL FUTURO E LA SUA FORMAZIONE

“È tempo di insegnare agli studenti a entrare nel mondo delle ma- lattie, quali sono vissute dai pazienti piuttosto che tenersene al di fuori, come l’entomologo contempla distaccato i suoi insetti.

Il paziente vive l’esperienza dei propri sintomi come un senso di dis- ordine, di perdita di controllo delle cose, sovente come un’ingiusti- zia, come una decurtazione di vitalità. Mentre il dermatologo, esa- minando la cute di un malato, formula la diagnosi clinica di psoriasi, ignora al tempo stesso la diagnosi del paziente: umiliazione.

Ecco che cosa caratterizza il distacco medico-paziente: la povertà della descrizione clinica riflette l’impreparazione umana… possia- mo arrivare a dire che è più importante sapere quale tipo di paziente è colpito da una determinata malattia che non quale malattia affligga il paziente!” (6).

La medicina convenzionale contemporanea, per inadegua- tezza concettuale e di metodo, non riesce a intercettare l’in- dividuale complessità unitaria dell’uomo malato; opera non solo la scissione tra mente e corpo, ma anche la scissione del- la mente e del corpo.

– Tuttavia, a differenza di un puzzle, ove le singole tessere as- sumono significato nella relazione con le altre, ovvero in una dimensione sistemica, in tale scomposizione ogni tessera ri- mane come frammento di un tutto, questo ultimo spesso evo- cato in teoria, ma non nel metodo applicativo.

Inoltre, in particolare nelle malattie “degenerative”, ossia

quelle che affliggono il mondo occidentale, nella nosografia

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e nella patogenesi, le cause individuali rimangono scono- sciute.

Ogni processo definito patologico costituisce il tentativo di stabilire un nuovo equilibrio vitale ove il precedente sia stato modificato da perturbazioni. Tale risposta, insieme difensiva e proattiva, implica l’organismo nella sua totalità: in altri ter- mini la malattia rappresenta il risultato dell’incontro tra una minaccia e la reattività individuale in un determinato conte- sto e, come l’individuo, è specifica e soggettiva.

“La malattia di ogni soggetto è la sua malattia, tanto irripeti- bile come lo è lui stesso, tanto derivata dalla sua natura come ognuno lo è dai suoi stessi atti e dai suoi pensieri. Per lo stesso motivo richiederà un’osservazione, una descrizione, una considerazione e un trattamento pure del tutto singolare.

Questo è l’invidualità morbosa” (7).

La formazione medica non dovrà pertanto focalizzarsi esclu- sivamente sulle perturbazioni biologiche, fisiche, chimiche, psicoemozionali attribuendo loro, in quanto tali, il ruolo pre- minente nella genesi del dis-ordine vitale, ma riconoscere nelle caratteristiche della persona, nel terreno e nella sua ri- sposta difensiva la matrice fenomenica della malattia.

– Dunque, una transizione culturale da un modello nosogra- fico statico, analitico e assoluto a uno sistemico, dinamico e relazionale che non studia la malattia e l’essere umano in astratto, ma nel loro ambiente reale.

• La formazione del medico del futuro non potrà più essere riduzionista, ma fondarsi su una visione d’insieme ove un nuovo fondamento biologico-antropologico potrà sostituire il modello meccanicistico.

“Non deve essere la scienza a condurre la clinica e la clinica il medico, piuttosto il medico deve condurre la clinica ad as- sumere la scienza a servizio di questa” (8).

Tale cambiamento si rende peraltro necessario, anche per corrispondere alla richiesta del WHO (World Health Orga- nization - Organizzazione Mondiale della Sanità, NdR) ai Paesi aderenti di “ridurre almeno del 20% le spese catastro- fiche per la salute”, richiesta formalizzata poco prima del dif- fondersi della pandemia da Covid-19.

– In realtà tale necessità è stata segnalata con termini discu- tibili: infatti mentre si citano “spese per la salute”, di fatto si allude a quelle per prestazioni per malattie e diagnosi preco- ci; inoltre si accenna solo a uno scopo di bilancio economi- co. Non una parola sul fatto che risulta ormai chiaro che per ottenere ciò e incrementare la salute su questo pianeta non è sufficiente una spending review con il modello presente, ma si richiede una profonda revisione di quest’ultimo.

Si potrebbe pertanto più correttamente ipotizzare che, vice- versa, moderati maggiori investimenti per la salute si tradur- rebbero in una riduzione della spesa globale per le malattie ben superiore al 20% auspicato.

Il problema quasi sempre eluso è che investire di più sulla sa- lute implica una maggiore valorizzazione dell’approccio sa- lutogenetico rispetto a quello patogenetico.

Per salutogenesi s’intende “il processo attraverso il quale gli individui sono messi in condizione di esercitare il control- lo sulla propria salute e sulle sue determinanti e in tal modo migliorare il proprio stato di salute” (The Bangkok Charter for Health Promotion in a Globalized World – WHO, 2005).

– Quel processo comprende l’“empowerment”, ovvero il ri- conoscimento, valorizzazione e utilizzo di risorse personali per modificare in senso positivo la propria esistenza.

Il medico allora non si sostituirà al soggetto malato come de- stinatario di una delega di cura, ma lo accompagnerà, inte- ragirà ed eserciterà nei suoi confronti la funzione di sponda/specchio nell’iter terapeutico.

Per ciò che attiene l’atto medico sono opportune alcune di- stinzioni, in area sia preventiva sia riparativa.

Vi sono modalità terapeutiche fortemente intrise di tecnica, pensiamo alla cardiologia strumentale interventistica, ove qua- si si annulla la distanza tra mezzo e scopo e altre modalità di cura la cui efficacia richiede viceversa un forte distinguo, pen- siamo a esempio al farmaco come mezzo non soppressivo, ma regolatore e a un benessere multidimensionale come scopo.

– Certamente l’atto medico caratterizzato in senso salutoge- netico trova il suo significato nella distinzione tra strumenti e finalità.

Da ciò possono derivare due percorsi formativi per gli studenti

di medicina: uno con caratterizzazione tecnica e supportato

dall’evoluzione della tecnologia, ad es. l’ambito chirurgico

e l’altro, attualmente – come abbiamo visto – trascurato, edu-

cativo, centrato sulla persona, l’ambiente e il lifestyle.

(6)

Tale secondo percorso formativo dovrà includere la medicina integrata nella promozione della salute, nella cura, nella ri- abilitazione.

Il termine integrare significa “completare aggiungendo ciò che manca o che serve a migliorare o arricchire” (Dizionario Garzanti, 2004).

– La medicina integrata va intesa pertanto come una medici- na che tende a un completamento, a un arricchimento, attra- verso un metodo clinico di diagnosi e terapia sistemiche, cen- trato sull’insieme somatico, mentale, psicoemozionale, com- portamentale e relazionale della persona.

Metodo che tiene conto e valorizza il vissuto del paziente, le sue abitudini ed il suo stile di vita.

Lo scopo sarà non solo il superamento dello stato di malattia e la modifica del “coping”, cioè del rapporto della persona con la sua patologia, quando fonte di aggiuntiva sofferenza, ma anche la tutela della salute e il miglioramento della qua- lità di vita del paziente: una dimensione umana nel contesto e umanistica nei presupposti.

“La malattia dell’uomo non è come sembra il difetto di una macchina, bensì la sua malattia non è altro che egli stesso o meglio la sua possibilità di diventare sé stesso” (8).

A tal fine vi sono diversi ambiti d’intervento.

– In primo luogo, la malattia corporea non viene solo deco- dificata, secondo una determinazione di causa-effetto, ma considerata come l'espressione di significati, come un lin- guaggio e una comunicazione, come un’individuale e pecu- liare condensazione patosomatica di conflitti biologici, talora non noti, e comunque non risolti.

La malattia, nella sua manifestazione corporea, è un territo- rio: essa corrisponde sempre a una mappa mentale e da tale mappa dipende la “sorte” del territorio.

Da qui la necessità che tale mappa venga modificata e rico- stituita per favorire il recupero della salute.

Nell’operare terapeutico coesistono sempre “mano” e “pa- rola”.

La mano è all’origine delle tecniche, del “come si fa”, mentre la parola fonda il senso e istruisce il “perché” e/o il “a che scopo si fa”.

– In questa ricerca il medico dovrà essere abile a ricostruire nella storia del paziente la sua patobiografia, ovvero a inda- gare il legame tra la malattia e gli episodi biografici, a cogliere le espressioni spontanee e involontarie di ogni paziente e i sentimenti mobilizzati all’interno della relazione terapeutica.

Questa modalità d’approccio non è dunque solo focalizzata sulla malattia corporea oggettiva, ma sull’esperienza sogget- tiva che il paziente ne fa, su quanto costituisce il suo auten- tico problema.

– Un secondo ambito è quello della relazione medico/pa- ziente in cui il tener conto delle manifestazioni e del signifi-

cato del rapporto dinamico tra curante e malato integra, ar- ricchendolo, il metodo di cura.

– Un altro ambito è quello farmacologico.

Tale strumento deve essere indirizzato in senso sia preventivo sia riparativo.

Si utilizzeranno, quando possibile, sia rimedi naturali, cioè disponibili in natura e non sintetici, come i fitocomplessi, i nutraceutici antiossidanti, sia medicamenti, “molecole segna- le”, preparati con tecniche di diluizione e di attivazione ci- netica.

Questi ultimi non contrastano la malattia “dall’esterno”, ma piuttosto favoriscono “dall’interno” il processo di guarigione, attraverso dinamiche informazionali regolative, legate all’ap- porto di bassi livelli di energia, ma con alta affinità/selettività recettoriale.

Informazioni terapeutiche low dose che derivano dai mo- delli dell’Omeopatia, della Medicina bioregolatoria dei Si- stemi, della Medicina Fisiologica di Regolazione e della medicina saluto-genetica del Dr. Bach, che valorizzano le possibilità “proattive” di ogni uomo che si trovi in uno sta- to di malattia e sofferenza.

Necessario – inoltre – considerare il soggetto non come un insieme di fenomeni patologici, isolato, estrapolato dal mon- do che gli è proprio, ma viceversa come inserito in una storia e come parte di sistemi più ampi, familiari, lavorativi, sociali, che lo comprendono.

Ciò comporta, ove necessario e possibile, il coinvolgimento, nel processo di cura, di altri soggetti, legati al paziente da re- lazioni significative.

Da qui l’opportunità di una riqualifica del sapere, saper fare e essere medico, dall’attuale “medico di base” a un “medico di famiglia e di ambiente”.

4° STEP − IL PROGETTO

A proposito dell’attuale pandemia stiamo assistendo alla cla- morosa assenza di indirizzi individualmente preventivi.

Se gli esiti negativi di tale perturbazione virale dipendono for- temente dallo stato iniziale del soggetto affetto, se la variabile fondamentale è legata allo stato infiammatorio di basso o alto grado di partenza, collegato ad altre patologie persistenti, tut- to questo non può essere ignorato.

La terapia in acuto sul singolo paziente, necessariamente sop- pressiva e “anti”, deve assolutamente collegarsi a un ampio intervento salutogenetico su ampia scala.

Ciò può essere possibile se avviene la caratterizzazione pre-

cisa dello stato “ante” la perturbazione e soprattutto se la re-

lazione terapeutica sarà centrata sulla prevenzione/manteni-

mento della salute.

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Riferimento bibliografico

MONTENERO P. – Un progetto di salute per il futuro, ai tempi della pandemia.

La Med. Biol., 2021/3; 25-31.

autore Dott. Paolo Montenero

– Specialista in Neurologia, Fisiatria, Patologia Generale – Già Dirig. Med. Osp. San Giovanni Battista, Roma – Già Dirig. Med. Resp. Clinica di Riabilitazione RSA Sa-

cra Famiglia, Roma

– Servizio di Riabilitazione, Clinica Arsbiomedica, Roma – CMP, Roma

c/o Clinica Arsbiomedica Via Luigi Bodio, 58 I – 00191 Roma

– È infatti noto da tempo che, anche in assenza di una pato-

logia conclamata, un’infiammazione nascosta, silente, di bas- so grado, accompagna la maggioranza della popolazione oc- cidentale.

Tale condizione non è casuale, ma è funzione della personale patobiografia, stile e ambiente di vita e tale conoscenza potrà favorire l’individuazione della strategia di cura più corretta.

– Strategia personalizzata e non protocollata, compito dei fu- turi nuovi medici.

È evidente che un progetto di questo tipo collida con i tenta- tivi di massificazione generica e soprattutto di controllo della terapia, legati al progressivo annullamento dei processi indi- viduali di cura e alla semplificazione/omologazione degli strumenti terapeutici.

In effetti solo un approccio non esclusivamente riparativo consentirebbe di procedere in quella direzione, attivando im- mediatamente modalità culturali ed educative.

Modalità che trasformino l’attuale idea della salute come condizione ideale, contrapposta alla malattia, considerata di conseguenza come un mero incidente di percorso, un paras- sita da eliminare, mentre essa “rappresenta lo sforzo che fa la natura per guarire” (C.G. Jung).

– In ogni istante possiamo progettare le nostre cellule attra- verso i nostri pensieri, emozioni, sentimenti.

왘 Solo ciascun essere umano può essere l’architetto del pro- prio destino e il suo medico è veramente tale se smette di es- sere un “delegato” e diviene un umile “accompagnatore”.

Bibliografia

1. Fiorani E. cit. in Furfaro A., Pogliani L. – Musiche in mente fra scienza e scien- ze umane. The Writer Ed. Ass., Cosenza; 2021.

2. Hahnemann C.F.S. – Organon. 6aEd., par. 13. Red Ed., Como; 1989.

3. Gadamer H.G. – Dove si nasconde la salute. Raffaello Cortina Ed., Milano;

1994.

4. Speciani L.O. – L’uomo senza futuro. Mursia Ed., Milano; 1976.

5. Chiozza L. – Corpo, affetto e linguaggio. Loescher Ed., Torino; 1981.

6. Bonadonna G., Bartoccioni S., Sartori F. – Dall’altra parte. Bur Ed., Milano;

2005.

7. Ortega P.S. – Introduzione alla medicina omeopatica. Nuova Ipsa Ed., Paler- mo; 2001.

8. Von Weizsäcker V. – Filosofia della medicina. Guerini e Ass. Ed., Milano; 1990.

La Redazione ringrazia gli editor dei siti web da cui sono state tratte le im- magini di:

Pag. 25

https://fineartamerica.com/featured/the-country-doctor-joseph-simone.html

Pag. 27

https://www.flickr.com/photos/99282433@N05/with/46565451115/

Pag. 29

https://www.nytimes.com/2021/04/10/opinion/sunday/covid-medical-school-hu- manities.html

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