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– – – – – – Complicanze chirurgiche dell’endoscopia 30

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Complicanze chirurgiche dell’endoscopia 30

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HMAD

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SSALIA

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LIVITZKI

“Se siete troppo amanti dei rimedi nuovi, per prima cosa non curerete i pazienti e per seconda non avrete pazienti da curare” (Astley Paston Cooper, 1768-1841)

Le complicanze dell’endoscopia possono essere immediate, cioè verificarsi durante il trattamento o prima che il paziente lasci la sala endoscopica, o tardive, manifestandosi nell’arco di 30 giorni dal trattamento.

Alcuni principi di base

Complicanze

Nel mondo reale, le complicanze sono molto più frequenti di quanto si dedu- ce dalle “belle” percentuali riportate nei libri che leggiamo!

Le percentuali delle complicanze variano in base all’esperienza e al numero dei casi; aspettatene di più negli ospedali più piccoli e con endoscopisti con minor esperienza.

I rischi associati all’endoscopia sono maggiori quando la patologia è più com- plessa; sono inoltre più frequenti nelle procedure terapeutiche rispetto a quel- le diagnostiche.

Riguardo alle complicanze endoscopiche, è spesso più importante riconosce- re quando non operare che quando operare; molti episodi di sanguinamento e di perforazione dopo un esame endoscopico, sono trattati meglio conserva- tivamente. È inutile eseguire una laparotomia per delle complicanze post- endoscopiche per poi non essere in grado di identificare la perforazione o la causa del sanguinamento.

Quando sarete chiamati a visitare un paziente “in cattive condizioni” dopo un esame endoscopico:

Sospettate una catastrofe! E, fino a prova contraria, considerate che nel paziente siano in atto le più terribili complicanze chirurgiche: emorragia o perforazione. La pancreatite severa è un’altra eventualità dopo CPRE (colan- gio-pancreatografia retrograda endoscopica).

Ciò che è frequente è frequente! Gli eventi avversi che si verificano immedia-

tamente dopo un esame endoscopico sono, con tutta probabilità, dovuti all’e-

same stesso.

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Trasferite sempre i pazienti “in cattive condizioni” in un reparto di chirurgia, indipendentemente dal fatto che vi sia più o meno bisogno di un intervento chirurgico immediato. Nell’interesse di tutti, e soprattutto del paziente, l’am- biente migliore è il reparto chirurgico, dove il paziente può essere monitora- to e trattato in maniera idonea.

L’identificazione ed il trattamento precoce delle complicanze sono la chiave per poter ottenere un esito positivo. Perciò… se non ci penserete, non le dia- gnosticherete.

Indipendentemente dall’eziologia, trattate immediatamente lo shock, prepa- rate il paziente con segni palesi di peritonite ad una laparotomia d’urgenza.

Per favore, LEGGETE sempre con molta attenzione la cartella clinica e il refer- to endoscopico; PARLATE con il paziente, con il suo medico curante e con- tattate direttamente l’endoscopista che ha eseguito l’esame “senza alcuna diffi- coltà” (ci possono essere molti indizi sulla possibile complicanza, spesso non citati nel referto) e CONTROLLATE, di persona, tutte le immagini rilevate all’endoscopia e successivamente ad essa.

Complicanze dell’endoscopia del tratto gastro-intestinale superiore

L’esofago-gastroduodenoscopia (EGD) con endoscopio flessibile è un esame relativamente sicuro, con poche complicanze. Quasi la metà delle complicanze gra- vi sono cardio-polmonari, correlate all’aspirazione, all’ipossiemia, ai riflessi vaso- vagali e all’endocardite. Le complicanze chirurgiche comprendono:

Perforazione esofagea. L’esofago cervicale è l’area più probabilmente a rischio.

I fattori di rischio includono: osteofiti cervicali anteriori, diverticolo di Zenker, ste- nosi o membrana esofagea e costola cervicale. La maggior parte delle perforazioni dell’esofago cervicale si verifica durante l’esecuzione di una endoscopia con stru- mento rigido o per l’introduzione alla cieca di un endoscopio flessibile. Avere dei conati di vomito con lo stomaco insufflato e l’endoscopio che occlude la giunzione gastro-esofagea può determinare una lacerazione di Mallory-Weiss o una perfora- zione transmurale. Il dolore cervicale, il crepitio e la cellulite sono tutti segni di una perforazione esofagea alta. Le perforazioni distali causano dolore toracico; una radiografia del tessuto molle cervicale e una Rx del torace possono essere utili negli stadi iniziali per identificare la presenza di aria cervicale, di pneumomediastino, di pneumotorace o di un versamento pleurico. La diagnosi è confermata dall’esofago- grafia con contrasto idrosolubile o dalla TC. Se avete dei dubbi, non perdete tempo.

Una TC d’urgenza con mezzo di contrasto per os è in grado di rilevare le perfora- zioni più piccole e di fornire altre preziose informazioni sulla sede e altri reperti importanti. Il trattamento delle perforazioni esofagee è accennato nel

Cap. 14.

L’approccio ed il trattamento di una emorragia del tratto GI superiore (dovu- to o no a varici) dopo EGDS, si basa sui principi presentati nel

Cap. 16.

Altre complicanze. Dopo una scleroterapia e, meno frequentemente, dopo

legatura di varici esofagee, quasi la metà dei pazienti presenta una o più delle

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seguenti complicanze: dolore toracico, versamento pleurico, infiltrato polmona- re e batteriemia (senza perforazione). La batteriemia è frequente soprattutto dopo una dilatazione esofagea e, per tale motivo, dovrebbe essere presa in con- siderazione l’eventualità di instaurare una antibiotico-profilassi con l’intento di prevenire, in individui predisposti, una endocardite batterica. La presenza nel- l’esofago di uno stent, posizionato a livello della giunzione gastro-esofagea per una stenosi maligna, può causare erosione, sanguinamento, migrazione, accre- scimento intraluminale del tumore con ostruzione recidivante, impattamento di cibo o esofagite con aspirazione. Ricordate: questi pazienti hanno una breve aspettativa di vita perciò fate il minimo indispensabile per la palliazione. Questa può includere ripetute sedute endoscopiche per l’ablazione del tumore o il posi- zionamento di un secondo stent.

Complicanza della CPRE

La CPRE è associata ad una incidenza relativamente elevata di complicanze. Se i curatori non ci avessero vietato di citare le percentuali in questo libro, vi diremmo che, in ordine decrescente, le complicanze comprendono: pancreatite (2%-5%), emorragie (2%), colangite (1%-2%) e perforazione (0,5%-1,2%). La mortalità può raggiungere l’1,5%. Perciò la CPRE – soprattutto quella terapeutica – dovrebbe esse- re considerata un esame endoscopico potenzialmente rischioso!

Pancreatite

Mentre una iperamilasemia si verifica in almeno 2/3 dei pazienti, una pan- creatite clinica insorge raramente. L’incidenza è la stessa sia per gli esami ad inten- to diagnostico che per quelli terapeutici. Nella maggior parte dei casi la gravità varia, da lieve a moderata ed è auto-limitante. Sfortunatamente, però, dopo una CPRE possono verificarsi pancreatiti gravi e persino decessi. È interessante notare che la pancreatite si verifica più frequentemente in pazienti più giovani e che l’in- cidenza è maggiore nei pazienti sottoposti a CPRE per sospetta “disfunzione dello sfintere di Oddi”.

Diagnosi왘

La presenza di intenso dolore addominale localizzato nei qua-

dranti superiori, associato ad iperamilasemia dopo CPRE, deve farvi sospettare

una pancreatite. A volte è difficile stabilire una diagnosi, dato che la perforazione

(vedi sotto) può manifestarsi con un quadro clinico simile. Se l’incannulamento

del dotto è stato semplice e non sono stati tentati interventi “pre-cut” o terapeuti-

ci, l’eventualità di una perforazione duodenale è bassa. Comunque, se sospettate

una perforazione fate eseguire un Gastrografin del tratto gastro-intestinale alto o,

meglio ancora, una TC addome per escludere la presenza di perforazione e con-

fermare la pancreatite.

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Trattamento 왘

Di solito sono necessari soltanto la somministrazione di liqui- di ev e digiuno assoluto fino alla risoluzione dei sintomi. In una piccola percentuale di pazienti può esserci un decorso più lungo e laborioso: per questi casi, la strate- gia di trattamento è discussa nel

Cap. 18. È ovvio, la presenza di calcoli impatta- ti nel coledoco può scatenare la pancreatite e protrarre il decorso; se così fosse, potrebbe essere indicato ripetere una CPRE o eseguire una esplorazione chirurgica del coledoco.

Emorragia

Dopo una sfinterotomia endoscopica (SE) può verificarsi una emorragia cli- nicamente significativa. Nei pazienti con ittero ostruttivo, prima di sottoporli a SE, è importante controllare e, se necessario, correggere il tempo di protrombina (TP).

Se la SE deve essere eseguita in urgenza, è necessario somministrare del plasma fre- sco congelato. La somministrazione di farmaci antiaggreganti dovrebbe essere interrotta 7-10 giorni prima della SE. Allo stesso modo, in caso di SE urgente, deve essere misurato il tempo di coagulazione e, se anomalo, corretto con trasfusione di concentrati piastrinici.

Diagnosi왘

L’emorragia può manifestarsi come una emorragia del tratto GI superiore, ma può anche evidenziarsi simulando una emorragia del tratto GI infe- riore; il paziente può emodinamicamente destabilizzarsi prima che compaiano ematemesi o melena. Per ottenere un valido monitoraggio e trattare adeguatamen- te una emorragia GI è opportuno ricoverare il paziente in Unità Intensiva o in reparto chirurgico.

Trattamento 왘

Per stabilire una diagnosi accurata, è indicato ripetere l’esa-

me endoscopico, e ciò anche per chiarire se l’emorragia è sotto forma di stillici-

dio o di intensa “perdita” arteriosa, come anche per tentare l’emostasi. In caso di

fallimento o quando non sia disponibile una EGDS, se il paziente è stabile ed è

presente un radiologo interventista competente, una angiografia del tripode celia-

co con embolizzazione selettiva del ramo sanguinante dell’arteria gastro-duode-

nale, può evitare l’intervento chirurgico. Tuttavia, se anche questa fallisce o non

è disponibile ed il sanguinamento continua o il paziente è instabile, allora deve

essere eseguito l’intervento chirurgico. Dopo kocherizzazione completa del duo-

deno, una duodenotomia longitudinale della seconda porzione vi permetterà di

accedere alla papilla di Vater. È possibile controllare l’emorragia con una sutura,

stando attenti a non stenosare lo sbocco della papilla o la sede della sfinterotomia

(spesso convertendo quest’ultima in una sfinteroplastica chirurgica). Se il pazien-

te è stabile ed in caso di fallimento della CPRE e della SE, l’attenzione va focaliz-

zata sulla correzione chirurgica definitiva della patologia per cui la SE era stata

eseguita. Altrimenti deve essere fatto il minimo indispensabile per permettere il

drenaggio del sistema biliare ostruito (ad es. una colecistectomia con posiziona-

mento di Kehr – tubo a T).

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Perforazione

Questa è senza dubbio la complicanza più seria della CPRE e dell’endoscopia in generale, con una mortalità che arriva fino ad 1/5 dei pazienti. La stragrande maggioranza delle perforazioni si verifica nel retroperitoneo nella zona periampol- lare ed è causata da procedure “pre-cut” o dalla SE. Sono meno frequenti le perfo- razioni del coledoco e del dotto pancreatico causate dal filo guida. Solo 1/10 delle perforazioni è intra-peritoneale ed è causato dall’endoscopio (generalmente sulla parete anteriore della seconda porzione duodenale). I fattori di rischio sono la poca esperienza dell’endoscopista, la tecnica “pre-cut”, una SE troppo generosa, un trat- tamento terapeutico, l’iniezione intramurale di mezzo di contrasto, ripetuti esami CPRE e pazienti con gastrectomia sec. Billroth II.

Diagnosi왘

È spesso ovvia in corso di trattamento o al termine di essa, quan- do l’endoscopista sospetta che qualcosa sia andato storto. La comparsa di dolore addominale irradiato al dorso – durante o subito dopo una CPRE – e la presenza di aria nel retroperitoneo ad una Rx diretta addome, confermano la diagnosi. In alternativa è possibile evidenziare la lesione facendo iniettare dall’endoscopista, del mezzo di contrasto che così, mostrerà la perdita. La migliore metodica diagnostica è la TC – in quanto rileva la presenza di aria retro- o intra-peritoneale e lo spandi- mento di mezzo di contrasto. Tutto ciò evita, alla fine, una diagnosi errata di pan- creatite che porterebbe a determinare ritardi ad un corretto trattamento.

Trattamento 왘

In centri altamente specializzati, è possibile tentare “ex novo” una CPRE con inserimento di uno stent per “sigillare” la perforazione, ma la maggior par- te degli endoscopisti è riluttante a ripetere l’esame in questi pazienti in quanto pro- prio l’esame endoscopico è stato la causa del problema. Benché non vi sia un unani- me consenso nello stabilire quale sia la strategia di trattamento migliore da seguire per risolvere questo problema, sembra che in presenza delle seguenti condizioni la maggior parte dei pazienti possa essere trattata non chirurgicamente con risultati positivi:

Assenza di spandimento libero di mezzo di contrasto

Assenza di peritonite clinicamente evidente e/o flogosi sistemica (compro- missione emodinamica, febbre alta e leucocitosi)

Assenza di voluminoso pneumoperitoneo

I pazienti con spandimento di mezzo di contrasto, aria intra-peritoneale (che denota una perforazione intra-peritoneale), peritonite e/o sepsi devono essere trat- tati chirurgicamente.

Se vi sono le condizioni per poter eseguire un trattamento non chirurgico, deve essere inserito un sondino naso-gastrico e somministrati antibiotici ad ampio spettro con una adeguata copertura sui Gram negativi. I pazienti devono essere seguiti con attenzione; il miglioramento dovrebbe avvenire entro 12-24 ore. Di soli- to questi pazienti guariscono entro 7-10 giorni e, se ancora indicato, in caso di necessità, dopo tale periodo potranno essere sottoposti ad un nuovo trattamento.

La mancanza di miglioramento, la presenza di irritazione peritoneale o di sepsi in

atto richiede un immediato intervento chirurgico.

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Dopo aver completamente “kocherizzato” il duodeno, la sede della perfora- zione è generalmente individuata sulla parete duodenale posteriore. A seconda del grado di indurimento e di flogosi dei tessuti, viene eseguita o una semplice raffia o una riparazione con lembo omentale (vedi

Cap. 17) lasciando sempre un dre- naggio in sede. Il passo successivo dipende dalle condizioni del paziente, dalla patologia di base, dal fallimento o dal successo della CPRE, causa delle compli- canze e dall’adeguatezza della sutura duodenale. I principi sono: se il paziente è in condizioni stabili e la riparazione è adeguata (questo accade per le perforazio- ni ad uno stadio precoce), non c’è bisogno di eseguire un intervento di esclusio- ne del piloro. Se il sistema biliare è ostruito deve essere decompresso, preferibil- mente con un KEHR (dopo colecistectomia ed esplorazione e clearance del cole- doco). Se siete in sede, per favore non lasciate il paziente, di nuovo, alla mercé dell’endoscopista! Se non siete comunque sicuri e siete preoccupati sulla tenuta della duodenorafia, o temete che residui una stenosi duodenale, dovete comple- tare il vostro intervento con una esclusione pilorica: si fa una gastrotomia quin- di si chiude il piloro dall’interno con punti di sutura riassorbibili e si confeziona una gastro-digiunostomia (

Cap. 35). Infine, inserite in profondità nell’ansa effe- rente della gastro-digiunostomia, distalmente allo stoma e alla sutura duodenale, un sondino naso-digiunale di piccolo calibro per nutrire il paziente.

Le complicanze importanti e la mortalità dopo CPRE sono strazianti, ma ciò che è tragico, è che in molti di questi casi – retrospettivamente – l’esame endoscopico che ha causato tutto questo massacro, in realtà, non era indicato!

Complicanze della colonscopia

La colonscopia è un esame relativamente sicuro: le sue complicanze princi- pali sono la perforazione e l’emorragia. Negli esami diagnostici, la percentuale di complicanze è piuttosto bassa (fino allo 0,3% per le perforazioni e lo 0,2% per l’emorragia), aumentando poi quando la procedura diventa terapeutica, soprat- tutto dopo una polipectomia (fino allo 0,4% per le perforazioni e il 2,3% per l’e- morragia).

Emorragia

Questa si può verificare subito dopo l’esame endoscopico o può essere

“secondaria” o tardiva – da un’ulcera insorta in sede di polipectomia o biopsia. Il

rischio è maggiore con la resezione di polipi >15 mm, dopo esami ripetuti o inda-

ginosi o in caso di diatesi emorragica. È raro che l’emorragia possa essere causata

da un danno della mucosa provocato dall’inserimento o dalla manipolazione trau-

matica dello strumento. Molto raramente una energica manipolazione a livello

della flessura splenica del colon determina una lesione splenica ed una emorragia

intra-addominale.

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Trattamento 왘

Prevede le ben note manovre di stabilizzazione del paziente e la correzione di una eventuale coagulopatia, quindi nuovo esame endoscopico per tentare di trattare l’emorragia. Se, dopo aver reintegrato i liquidi e corretto il defi- cit coagulativo, il sanguinamento è terminato, si può decidere di non ripetere la colonscopia in modo da minimizzare il rischio di perforazione in sede di biopsia.

La persistenza invece del sanguinamento indica naturalmente che il nuovo esame endoscopico non ha avuto successo ed è quindi necessaria una immediata esplora- zione dell’addome. Tenete sempre l’endoscopista pronto in sala operatoria per ese- guire una colonscopia intra-operatoria (o meglio ancora – imparate voi stessi la tecnica). Ricordatevi: trovare la sede del sanguinamento può risultare un compito arduo: una colonscopia intra-operatoria minimizza la perdita di sangue ed evita una inutile resezione intestinale. Nella maggior parte dei casi, dopo aver localizza- to l’origine dell’emorragia, è sufficiente eseguire una colotomia ed ottenere l’emo- stasi suturando la sede del sanguinamento, quindi richiudere la colotomia. Se l’e- morragia è causata da “un qualche cosa” che richiede una resezione (ad es. un gros- so polipo o un carcinoma), allora deve essere eseguita una colectomia adeguata.

Perforazione

Il meccanismo di perforazione determina la grandezza del foro che in seguito può essere trattato selettivamente da un chirurgo in gamba – non da un gastro- enterologo “cieco”.

Colonscopie difficili, traumatiche e terapeutiche si associano ad un rischio maggiore di perforazione del colon. Il barotrauma da eccessiva insufflazione di aria, un eccessivo utilizzo dell’elettrobisturi, una dilatazione troppo zelante delle steno- si, sono fattori causali frequenti. Inoltre, un precedente intervento chirurgico, una diverticolite, la presenza di pre-esistenti aderenze, un intestino insufficientemente preparato, possono aumentare le difficoltà dell’esame e la possibilità che si verifichi una perforazione.

Quando si verifica una perforazione del colon, la gamma delle conseguenze è ampia e imprevedibile. Il meccanismo di perforazione è importante: le perforazioni dopo una colonscopia terapeutica (nella sede della biopsia o della polipectomia) sono generalmente piccole e più suscettibili ad un trattamento non chirurgico. Le perforazioni conseguenti a colonscopia diagnostica determinano invece, il più del- le volte, lacerazioni di dimensioni considerevoli della parete colica e richiedono, per tale motivo, un trattamento chirurgico tempestivo.

Diagnosi왘

La chiave della diagnosi è essere sempre in allerta. Dovete sospet-

tare una perforazione in tutti i pazienti con malessere o dolore addominale che

sono stati sottoposti recentemente ad una colonscopia. La presentazione è variabi-

le: quando c’è una cospicua lacerazione del colon i problemi e la sintomatologia

addominale possono insorgere subito dopo la colonscopia. Alcuni pazienti invece,

possono presentarsi dopo qualche giorno con segni ingravescenti di infezione loca-

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le e sistemica. Questa presentazione tardiva è tipica delle perforazioni che all’inizio sono “circoscritte” al retroperitoneo o ai foglietti mesenterici e che gradualmente filtrano o si perforano nella cavità peritoneale libera. Conoscete bene i segni addo- mino-peritoneali e le ripercussioni sistemiche della perforazione colica. Ma ricor- date che le anse intestinali – insufflate con aria durante la colonscopia – possono essere ancora dolorabili dopo molte ore dall’esame. Si deve cercare la presenza di aria libera con una Rx torace in ortostatismo e con una Rx diretta addome in decu- bito laterale sinistro. La presenza di aria libera endo-addominale e un quadro cli- nico di peritonite, localizzata o diffusa, ci fanno fare una diagnosi di perforazione.

A volte, dopo una colonscopia, in assenza completa o con una lievissima sintoma- tologia clinica di perforazione, è possibile visualizzare la presenza di un pneumo- peritoneo (pneumoperitoneo post-colonscopia “benigno”).

Al contrario, altre volte, l’aria libera può non essere presente quando la perforazione è inizialmente circoscritta o è retroperitoneale. Basare le proprie decisioni sull’assenza o meno di aria libera è indice di ingenuità, frequente nei non chirurghi (ad es. gastro-enterologi) che tentano di trattare le urgenze addo- minali chirurgiche.

Ovviamente la presenza di una sintomatologia clinica segno di perforazione, aria libera alla Rx diretta addome, pone la diagnosi di perforazione. In assenza di aria libera insistete per ottenere una TC (o un clisma con Gastrografin in mancan- za di una TC). La TC non soltanto è in grado di mostrare la presenza di aria libera non visualizzata alla radiografia diretta, ma può anche mostrare altri dettagli indi- cativi di un danno come un ematoma della parete del colon o la presenza di aria nella parete colica, nel mesentere o nel retroperitoneo. Quando la TC è associata ad un clisma con Gastrografin, di solito, ci indica la sede e le dimensioni della perdita e se questa è o meno circoscritta. La presenza di liquido libero può indicare uno spandimento del contenuto fecale o una peritonite.

Ricordate: la principale causa di morte dovuta ad una perforazione colon- scopica è il ritardo nella diagnosi con conseguente ritardo nel trattamento! Questo ritardo è di solito causato dal medico, responsabile (che poi è – il più delle volte – lo stesso endoscopista, al quale si presenta il paziente complicatosi) di non aver pre- so in considerazione questo tipo di diagnosi. Vi ricordate dello “struzzo chirurgico”

(

Fig. 30.1) che non è capace di diagnosticare le proprie complicanze? Bene, i gastro-enterologi non sono da meno. E noi dobbiamo aiutarli.

Trattamento non chirurgico 왘

Non tutti i pazienti con una lesione intestina- le da colonscopia devono essere sottoposti a laparotomia. I pazienti che sono poco sintomatici, senza febbre o tachicardia e con esame dell’addome negativo (ad es. assenza di segni di peritonite), possono essere trattati non chirurgica- mente con digiuno assoluto e somministrazione di antibiotici ad ampio spettro (come per una diverticolite acuta –

Cap. 26). I pazienti che rispondono positi- vamente al trattamento conservativo di solito non presentano pneumoperitoneo (o se è presente è minimo) e la perdita del mezzo di contrasto alla TC è minima o assente.

Come abbiamo detto sopra, la perforazione in sede di polipectomia è più

suscettibile ad un trial di trattamento non chirurgico. Questo approccio ha fre-

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quentemente successo dato che i pazienti sono sempre sottoposti a preparazione intestinale prima dell’esame endoscopico; tutto ciò riduce il potenziale di contami- nazione addominale. Tutti i pazienti devono essere attentamente monitorati per valutare la progressione locale e sistemica del processo o per constatare la mancan- za di miglioramento. Un deterioramento delle condizioni cliniche richiede un tem- pestivo intervento chirurgico. Una perforazione in un segmento colico patologico, che necessita comunque di colectomia (ad es. un tumore maligno), è una indica- zione ad intervento chirurgico immediato e definitivo.

Trattamento chirurgico 왘

I pazienti compromessi, che lamentano dolore localizzato o diffuso, con sepsi sistemica e peritonite localizzata o generalizzata dovrebbero essere sottoposti ad antibioticoterapia e ad una laparotomia d’urgen- za. Nella maggior parte dei pazienti sottoposti ad una tempestiva esplorazione, i reperti sono quelli di una contaminazione peritoneale piuttosto che di una infe- zione in atto; è sufficiente eseguire una “toilette peritoneale” (

Cap. 12) e una sutura immediata/primaria della perforazione come per una qualsiasi lesione traumatica del colon (

Cap. 35).

L’assenza di feci nel colon aiuta a minimizzare la gravità della contaminazione/

infezione. In pazienti selezionati, può essere indicata una colostomia derivativa o una esteriorizzazione della lesione colica; ad es. in caso di peritonite in atto trascu- rata o di debilitanti comorbilità gravi quali malnutrizione o dipendenza da steroi- di. Il ruolo della laparoscopia nella diagnosi e nel trattamento delle perforazioni coliche non è stato ancora definito. Tuttavia, un laparoscopista esperto, con l’ausi- lio della colonscopia intra-operatoria, può diagnosticare con accuratezza e trattare le perforazioni del colon.

Fig. 30.1. “Infermiera, è quello l’omento?”

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Conclusioni

Il trattamento delle lesioni endoscopiche dei visceri gastro-intestinali cavi, dall’esofago fino al retto, può essere così sintetizzato:

Sospettare sempre una tragedia

Eseguire esami di imaging per la diagnosi

I pazienti trascurati o quelli in cui la lesione non è riconosciuta vanno incon- tro a morte

Alcuni possono essere trattati conservativamente

Alcuni richiedono un intervento immediato

Alcuni sottoposti a trattamento conservativo possono alla fine richiedere un intervento chirurgico

Per ottenere risultati ottimali: siate selettivi, attenti e sempre pronti a cam- biare idea

Uno stupido con uno strumento rimane pur sempre uno stupido.

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