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Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia Atto di denuncia – querela

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Procura della Repubblica presso il

Tribunale di Venezia Atto di denuncia – querela

Il sottoscritto Salvatore Cauchi, nato a Gela (CL) il 10.01.1961, C.F.

CCHSVT61A10D960R, in proprio e in qualità di Presidente Regionale e legale rappresentante della sezione regionale per il Veneto dello SNAMI (Sindacato Nazionale Autonomo dei Medici Italiani) ex art. 24 dello statuto del sindacato, C.F. 13732811008, corrente in Farra di Soligo, alla via Sernaglia n. 15/B,

ESPONE

Il Consiglio dei Ministri n. 27/2020 dd. 31.01.2020 ha deliberato lo stato di emergenza sanitaria nazionale per mesi 6, conseguente all’epidemia (oggi pandemia) da cd. Coronavirus e/o Covid19.

I medici di medicina generale, cosiddetti medici di famiglia, sono legati da un rapporto di convenzione con le singole Aziende Sanitarie Locali (ASL).

Si tratta di lavoratori giuridicamente qualificabili come autonomi, ma di fatto in posizione di dipendenza verso il “committente”, ossia il sistema sanitario locale, tanto che si parla appunto di parasubordinazione.

I medici di medicina generale, essenza del loro lavoro, sono continuamente in contatto con i propri pazienti, potenziali veicoli di contagio, anche in considerazione delle ragioni per le quali ogni soggetto si reca in genere presso il medico.

Sarà la storia forse, prima che il diritto, a stabilire se l’zione governativa sia stata o meno tempestiva. Sta di fatto che gli operatori sanitari di medicina generale, per il particolare ruolo che rivestono sempre in contatto con il paziente persona fisica, rappresentano un presidio sanitario su cui deve massimamente concentrarsi la sicurezza sia in fase emergenziale sia ancor più in fase preventiva. Se non si è in grado di proteggere se stessi come si possono curare gli altri?

In tale contesto (di prevenzione e poi nell’emergenza) ai predetti medici di famiglia avrebbe dovuto essere garantita prontamente la fornitura di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) da parte delle ASL

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territorialmente competenti in numero e quantità tali da scongiurare qualsiasi rischio di contagio verso il medico e soprattutto dal medico.

Ciò non è avvenuto.

I DPI non sono stati forniti, ovvero -se si preferisce- la loro fornitura è stata del tutto inadeguata per qualità e per quantità.

Per DPI s’intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal medico allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo (tute e camici monouso, mascherine protettive filtranti eccetera).

La direttiva comunitaria 89/656/Cee prevede che “le attrezzature di protezione individuale debbono normalmente essere fornite a titolo gratuito dal datore di lavoro”. Nulla quaestio circa il fatto che detto onere incomba sulla Regione per il tramite delle varie Asl. Il criterio di legge di cui al D.Lgs 81/2008 è infatti quello di applicare la normativa prevenzionistica a tutti i lavoratori (autonomi, subordinati e parasubordinati, come i Medici di Medicina Generale e gli Specialisti Ambulatoriali); l’art. 3 comma 4 D.Lgs 81/2008 stabilisce infatti l’applicazione a tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti a essi equiparati delle norme in esso contenute.

L’art. 71, fermi gli obblighi specifici, impone al datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore mezzi personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate.

Tale norma evidenzia che l'obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro prescinde dal contesto in cui l’incarico lavorativo sia conferito [Cass. 50306/2018].

Tale contesto normativo è peraltro caratterizzato in maniera determinante dalla Deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 323 del 13.02.2007, la quale ha approvato e adottato per la Regione Veneto il PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE.

Nel 2006, a seguito dell’influenza cd. aviaria, è stato emanato il PIANO NAZIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA

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INFLUENZALE. Tale documento tracciava le linee guida per fronteggiare situazioni quale quella che oggi paralizza la nazione, ossia la pandemia da Covid19. In particolare il PIANO NAZIONALE contiene anche le indicazioni secondo le quali avrebbero dovuto essere poi adottati i singoli piani regionali, linee guida secondo cui è stato infatti adottato il PIANO REGIONALE sopra citato.

Tutti i piani di preparazione e risposta, sia nazionale sia regionali, si basano su una suddivisione temporale in tre periodi e complessive 6 fasi, come indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2005:

- periodo interpandemico (fasi 1 – 2);

- periodo di allerta pandemica (fasi 3 – 5);

- periodo pandemico (fase 6).

Ora, secondo la programmazione di cui ai Piani Nazionale e Regionale di Preparazione e Risposta, nella fase 1 del periodo interpandemico non vi è alcuna emergenza, in quanto la stessa fase è caratterizzata da “nessun nuovo sottotipo virale isolato nell’uomo. Un sottotipo di virus influenzale che ha causato infezioni nell’uomo può essere presente negli animali. Se presente negli animali, il rischio di infezione malattia nell’uomo è considerato basso” [Piano Nazionale, pag. 9, tabella 1]. Si tratta appunto della fase che intercorre tra una pandemia e la successiva, fase caratterizzata da assenza di emergenza e che viene utilizzata per pianificare la reazione alla successiva emergenza. Tale fase, con rischio approssimativamente nullo, è comunque oggetto di attività di prevenzione, controllo e sorveglianza tali da scongiurare il verificarsi delle fasi successive o comunque di attenuarne l’impatto sulla popolazione e sugli operatori (tra i quali i medici di medicina generale).

In particolare il PIANO NAZIONALE prevede espressamente, per il periodo interpandemico, l’”approvvigionamento dei DPI per il personale sanitario” (Piano Nazionale, pag. 14), mentre il PIANO REGIONALE prevede in capo alla Regione Veneto il compito di “stimare il fabbisogno, implementare l’approvvigionamento e coordinare la distribuzione dei DPI”

e “verificare l’attuazione dei percorsi per l’implementazione delle scorte di DPI e vaccini” [Piano Regionale, pagg. .15 e 16], e, in capo

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alle singole AULSS l’”organizzazione dei siti di stoccaggio per i dispositivi di protezione individuale (DPI), i farmaci e i vaccini” [Piano Regionale, pag. 16].

Occorre evidenziare che il PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE, adottato con delibera di Giunta Regionale n. 323 del 13.02.2007, stabiliva tempi di attuazione di 90 gg. (diconsi giorni novanta) per la stima del fabbisogno, l’implementazione dell’approvvigionamento e la coordinazione della distribuzione di dispositivi di protezione individuale (DPI) [Piano Regionale, pag. 39, sub Azioni chiave | Azioni di livello generale – Prevenzione e controllo dell’infezione] e in 180 gg. (diconsi giorni centottanta) la verifica dell’attuazione dei percorsi per l’implementazione delle scorte di DPI e vaccini [Piano Regionale, pag. 40, ibidem].

È pacifico che le previsioni di cui al PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA siano state ampiamente disattese, dato che ai medici di medicina generale, dopo la dichiarazione di emergenza del 31.01.2020, è stato imposto di svolgere la loro funzione (nominale) di tutela della salute pubblica, in assenza di DPI e, pertanto, esponendo gli stessi al contagio quasi certo oltrechè a divenire involontario strumento di ulteriore contagio nei confronti di altri pazienti eventualmente non interessati da Covid19.

Mancano financo le mascherine protettive, quelle omologate s’intende, fondamentali come prima precauzione, che però i medici di Medicina Generale non hanno ancora ricevuto benché previste nelle linee guida ufficiali comunicate agli addetti ai lavori.

I medici svolgono la loro funzione in condizioni estreme e, in assenza della necessità di svolgere il loro compito, pacificamente sarebbero i primi a stare in isolamento, sicché nessun dubbio sul fatto che il loro contagio è strettamente connesso alla loro attività ambulatoriale.

Da quando l’emergenza è divenuta ineluttabile lo SNAMI, a tutti i livelli, ha chiesto il giusto supporto per i medici di base, i quali lavorano ogni giorno a contatto con malati potenzialmente asintomatici, ma di fatto contagiosi.

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I medici di medicina generale stanno combattendo ad armi ìmpari e ogni giorno s’allunga la lista dei medici contagiati, così come quella di quelli defunti. Ne sia la riprova il fatto che la cd. Medicina di Famiglia ha oggi il triste primato di avere il numero più alto di caduti sul lavoro e di contagiati in isolamento. Anche in questo stato di cose i medici di medicina generale continuano a non essere per nulla tutelati, poiché ancora sprovvisti di protezioni individuali adeguate alle reali necessità: i DPI forniti ai medici sono pochi e inadeguati.

I medici non vogliono essere chiamati “eroi”, ma svolgere bene la propria funzione a vantaggio della collettività protetti da VERI ed EFFICACI DPI.

A oggi i medici si recano in ambulatorio consci di non poter contare su protezioni idonee, e molti si contagiano. Alcuni muoiono.

La carenza di DPI mette concretamente a rischio la continuità dei servizi sanitari di base. Se gran parte della forza lavoro sanitaria si ammalasse, tutto il servizio sarebbe minacciato. Non si dimentichi infatti che, anche e soprattutto in fase di piena emergenza quale quello presente, il servizio di medicina generale rappresenta uno “scudo” per i servizi sanitari e gli operatori specialistici e ospedalieri, rappresentando l’interlocutore di prima istanza per il cittadino possibilmente contagiato.

Ancora a fine marzo 2020 i rappresentanti del Governo e della Regione discutono sulla carenza dei DPI, vaticinando che “tra poco” o “in breve tempo” essa si ridurrà…

Di fatto le istituzioni, incalzate anche dalla stampa sulla palese carenza dei DPI, si nascondono dietro la “novità del virus” e l’inevitabilità di una certa impreparazione nei primi tempi della risposta all’emergenza.

Si ritiene che tali affermazioni siano fuorvianti rispetto alle responsabilità di chi -essendone preposto- non ha attuato in fase preventiva il PIANO REGIONALE (o quello NAZIONALE) DI PREPARAZIONE E RISPOSTA ALLA PANDEMIA. L’ipocrisia di tali posizione è offensiva, oltre che nei confronti dei cittadini cui viene smerciata informazione drogata di falsità, anche e soprattutto nei confronti degli operatori sanitari i quali, in questi momenti, sono contemporaneamente bersaglio e potenziali vettori del virus.

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Si chiede che, nell’esercizio della propria funzione, la Magistratura inquirente indaghi e rinvenga le responsabilità di tale situazione, certamente evitabile se è vero che già nel 2007 la stessa era stata preventivata. Se oggi non si ricercano e si individuano le responsabilità di queste mancanze rischiamo di essere le vittime della pandemia di domani.

REATO DI EPIDEMIA COLPOSA (ARTT. 438 E 452 C.P.)

“Ai fini della configurabilità del reato di epidemia può ammettersi che la diffusione dei germi patogeni avvenga anche per contatto diretto fra l’agente, che di tali germi sia portatore, ed altri soggetti, fermo restando, però, che da un tale contatto deve derivare la incontrollata e rapida diffusione della malattia tra una moltitudine di persone” [Cass. n. 48014/2019].

La ratio della norma incriminatrice è quella d’impedire il diffondersi dei contagi, sicché essa attinge a tutte le condotte, anche omissive, in grado di moltiplicare, agevolare o semplicemente favorire il diffondersi del contagio.

Nel caso di specie, il disastro sanitario in cui si trova non solo la regione, ma l’intera nazione, esclude la necessità di approfondire se vi sia o meno uno stato di pericolo per la sanità pubblica.

Si tratta in effetti di una guerra. Ma non si può andare in guerra, in questa guerra, a viso scoperto: non si può combattere il Coronavirus senza i Dispositivi di Protezione Individuale, tanto meno in considerazione del fatto che non c’è, al momento, alcuna cura o vaccino.

Mancano le mascherine protettive, primo presidio irrinunciabile di protezione individuale. Mancano i camici e le tute protettive. Mancano negli ospedali, ma mancano soprattutto negli ambulatori dei medici di medicina generale, coloro che quotidianamente vengono e sono venuti a contatto con decine di pazienti ciascuno potenzialmente contagianti. O contagiabili. È noto che il Covid19 è un virus rispetto al quale il portatore può anche essere spesso “asintomatico”. Data tale circostanza è evidente che l’assenza di schermi, di protezioni tra il medico di famiglia e i pazienti, e la commistione tra medico e moltitudini di pazienti giorno dopo giorno,

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rende certo (non assai probabile, ma certo) il diffondersi del contagio;

rende certa l’epidemia.

Da un punto di vista strettamente normativo è cosa nota la competenza regionale in punto di sanità, quanto meno a far data dal 2005.

Gli organi preposti alla sanità veneta, oltre alla violazione degli obblighi di tutela ex D.Lgs 81/2008 nei confronti dei medici di medicina generale, sono ulteriormente responsabili rispetto alla violazione del PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE, adottato da parte della regione con Delibera della Giunta Regionale n. 323 del 2007, e rimasto pacificamente inattuato, attesa la carenza assoluta di DPI messi a disposizione dopo la dichiarazione d’emergenza.

In particolare la previsione specifica di un rischio pandemico quale quello oggi in atto, con l’adozione di un “piano” ad hoc per fronteggiare tale emergenza, determinano la responsabilità penale di tutti i preposti l’inattività dei quali abbia determinato l’assenza e/o la carenza dei DPI, assenza e/o carenza dalla quale è senz’altro derivata l’epidemia e/o un suo aggravamento.

Quando si pensa a una nuova pandemia infatti non ci si domanda se scoppierà, ma quando lo farà.

Il PIANO REGIONALE succitato, infatti, prevedeva azioni determinate a livello regionale che, se compiute, avrebbero determinato una reazione immediata ed efficace a scudo della salute dei medici di famiglia e, conseguentemente, della salute pubblica.

In particolare, al netto di ulteriori compiti la cui analisi non è ora rilevante, era prevista la stima del fabbisogno e l’implementazione dell’approvvigionamento nonché la coordinazione della distribuzione dei DPI tramite referenti locali [Piano Regionale, pag. 15, sub Azioni di livello regionale]. È chiaro che dalla coscienza della necessità di distribuire DPI tra la popolazione deriva la consapevolezza di predisporne l’immediato possesso in capo agli operatori sanitari, tra i quali i medici di medicina generale, attesa la delicatezza non solo della loro funzione, ma soprattutto della loro posizione socialmente/epidemicamente esposta.

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Ora, la violazione dell’obbligo di legge di fornire i DPI ai medici (art. 18 comma 1 lett. d), unitamente alla violazione degli obblighi di approvvigionamento degli stessi DPI di cui al PIANO DI PREPARAZIONE E RISPOSTA che la Regione Veneto si è appositamente data per fronteggiare situazioni quali quella attuale, integrano l’elemento soggettivo colposo richiesto per il reato in epigrafe.

Ai sensi dell’art. 452 c.p. la responsabilità per il reato di epidemia (art.

438 c.p.) può ricorrere anche in caso di colpa, con tutte le conseguenze in punto di pena.

Si è visto che il reato in parola “è configurabile nel caso in cui la diffusione dei germi patogeni, che in astratto possono essere trasmessi anche per contatto umano, raggiunga un numero indeterminato di persone, in tempi rapidi, nel medesimo luogo, con capacità di agevole successiva espansione” [Cass. 48014/2019].

Sebbene la giurisprudenza si sia recentemente espressa anche con disfavore rispetto alla configurabilità del reato di epidemia colposa a titolo di omissione (v. Cass. 9133/2017) poiché lo stesso richiederebbe una condotta a forma vincolata asseritamente incompatibile con l’art. 40 comma 2 c.p. (a sua volta riferibile solamente alle fattispecie a forma libera), va precisato che in questa circostanza la condotta omissiva contestata è affatto tipica (mancata fornitura di DPI) sì da non consentire d’escludere la responsabilità a titolo di colpa per epidemia. È comunque infatti “configurabile il concorso per omissione, ex art. 40 comma 2 c.p.

rispetto anche ai reati di mera condotta, a forma libera o vincolata” [Cass.

43273/2013], e la Cassazione si è spinta ad affermare che è altresì

“configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., (…) posto che la responsabilità da causalità omissiva é ipotizzabile anche nei riguardi dei reati di mera condotta, a forma libera o vincolata, e che, nell'ambito della fattispecie concorsuale, la condotta commissiva può costituire sul piano eziologico il termine di riferimento che l'intervento omesso del concorrente avrebbe dovuto scongiurare” [Cass. 28301/2016; Cass.

43273/2013].

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A fondamento del giudizio di prevedibilità dell'evento deve porsi la consapevolezza, da parte degli imputati, dell’esposizione a pericolo della salute pubblica derivante dall’inosservanza di regole di stima e approvvigionamento di cui al Piano Regionale oltreché dalla violazione degli artt. 18 comma 1 lett. d) e 77 D.Lgs 81/2008, sanzionata ai sensi dell’art. 87 della stessa norma.

La consapevolezza del pericolo può essere desunta semplicemente dall’esistenza di un PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE.

Quanto al giudizio controfattuale, risulta pacifico che l'adozione e l’utilizzo dei DPI di cui si denuncia la mancanza avrebbe garantito l’intrasmissibilità del virus pur in presenza di una grave pandemia quale quella attuale: ne sia la prova il fatto che l’approvvigionamento di tali dispositivi è protagonista in quotidiane conferenze stampa degli organi regionali e nazionali preposti alla sanità.

RESPONSABILITÀ PENALE PER VIOLAZIONE DEL D.LGS 81/2008 L’art. 18 comma 1 lett. d) stabilisce che il lavoratore venga dotato di IDONEI dispositivi di protezione individuale. Gli artt. 71 e 77 specificano ulteriormente l’obbligo posto in capo al datore/committente.

Da quanto evidenziato sin qui appare evidente che questo precetto sia stato disatteso da parte dei responsabili della sanità veneta.

Peraltro, se è vero come è vero che non è esente da responsabilità il datore di lavoro che sia venuto meno all'obbligo di fornire ai suoi dipendenti i presìdi antinfortunistici previsti per le mansioni tipiche loro assegnate, anche laddove l'infortunio si sia verificato in occasione di un'attività non preventivata, qualora l'evento concretizzi il rischio che i predetti presìdi avrebbero dovuto prevenire si tratta allora di rischio prevedibile in quanto strutturalmente connesso al tipo di lavoro ordinariamente svolto.

Questo è appunto il rischio che si è concretizzato nel caso di specie. Non è infatti prevedibile che il medico stia a contatto con i propri pazienti? Non era infatti, se non prevedibile, preventivabile, l’insorgenza di una epidemia (oggi pandemia) quale quella in corso? La risposta deve essere sì, e ci

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viene data non dal buon senso o dall’odierna convenienza, bensì da parte della Regione Veneto, che all’uopo aveva adottato un piano specifico per fronteggiare questa situazione: il PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE. Un piano che prevedeva l’acquisto, l’implementazione e lo stoccaggio di DPI di cui fornire sia i medici sia la popolazione. Missione fallita sotto questo profilo. Fallita per totale inadempimento di quanto la stessa regione si era prescritta.

Ne consegue la responsabilità per violazione delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro, in particolar modo relativo all’omessa consegna dei DPI, obbligo imprescindibile previsto peraltro nel Documento di Valutazione dei Rischi in tutte le strutture sanitarie, a carico dei Direttori Generali di tutte le ASL e le Aziende Ospedaliere italiane, con precise sanzioni da imputare ai “preposti”.

Merita di essere specificato peraltro che, secondo la Corte di Cassazione

“la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore; (…) ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei DPI” [Cass. Sez. Lav. – Ord. 16749/2019].

SOGGETTI RESPONSABILI

Chi si è “dimenticato” di porre in essere le attività di prevenzione e preparazione e risposta all’epidemia? Chi ha omesso l’esecuzione del, pur programmato, approvvigionamento di scorte di DPI?

Al fine di individuare tali soggetti, attività appannaggio del Magistrato inquirente, si ritiene fondamentale fare riferimento, oltre che al legale rappresentante della Regione Veneto, alle persone con cariche apicali in

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ambito sanitario regionale o sovraregionale. Non si potrà prescindere dall’indagare la responsabilità del direttore generale di Azienda Zero, ente unico di governance della sanità regionale veneta istituito con legge regionale n. 19/2016, cui competono i compiti di programmazione finanziaria e di acquisti della sanità regionale, del suo direttore amministrativo, nonché dei direttori generali di ciascuna ASL territoriale, ciascuno in relazione alle specifiche competenze in relazione al tema della pianificazione e dell’approvvigionamento dei DPI si medici sul territorio.

Si dovranno indagare tutti i soggetti, anche eventualmente oggi ignoti, che, a far data dall’assunzione del PIANO REGIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE (13.02.2007) abbiano rivestito ruoli apicali tra quelli summenzionati o altri che, per autonomia di potere e/o di spesa, fossero gravati dall’onere di soddisfare le esigenze di approvvigionamento di Dispositivi di Protezione Individuale il cui inadempimento è oggi drammaticamente di attualità.

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Per tutti i motivi suesposti il sottoscritto Salvatore Cauchi, nato a Gela (CL) il 10.01.1961, C.F. CCHSVT61A10D960R, in proprio e in qualità di Presidente Regionale e legale rappresentante della sezione regionale per il Veneto dello SNAMI (Sindacato Nazionale Autonomo dei Medici Italiani) ex art. 24 dello statuto del sindacato, C.F. 13732811008, corrente in Farra di Soligo, alla via Sernaglia n. 15/B, sporge formale

DENUNCIA | QUERELA

affinché l’Autorità Giudiziaria assuma le opportune determinazioni e proceda penalmente qualora, anche a esito di indagini preliminari, emerga qualsiasi ipotesi di reato in capo al Presidente e legale rappresentante della Regione Veneto, al Direttore Generale e al Direttore Amministrativo dell’Ente di governance della sanità regionale denominato Azienda Zero, ai Direttori Generali delle Aziende – ULSS venete, nonché a chi abbia rivestito tali incarico a far data dal 13.02.2007 o altri ignoti, in particolare per i reati di cui agli artt. 438 e 452 c.p. e/o 18, 77 e 87 D.lgs 81/01 ovvero per qualsiasi altra fattispecie penalmente rilevante.

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Ai sensi e per gli effetti dell’art. 408 co. II c.p.p. dichiaro di voler essere informato circa l’eventuale richiesta di archiviazione.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 459 co. I c.p.p. dichiaro di oppormi al procedimento per decreto.

Nomino sin d’ora difensore di fiducia l’avv. Barnaba Battistella, con studio in Oderzo, alla piazza Carducci n. 3, presso il quale dichiaro di eleggere domicilio.

Delego l’avv. Battistella al deposito del presente atto.

Oderzo, li 28 marzo 2020.

Salvatore Cauchi È AUTENTICA

avv. Barnaba Battistella

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