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IL TUMORE – GENERALITA’

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IL TUMORE – GENERALITA’

Per tumore o neoplasia si intende l’insieme di una popolazione di cellule somatiche che ha preso origine quasi sempre da una sola cellula dell’organismo che ha subito una serie sequenziale di peculiari danni genetici (mutazioni) trasmissibili alla progenie.

Gli effetti primari provocati dalle mutazioni cancerogene sono:

a. acquisizione dell’autonomia moltiplicativa per sopravvenuta incapacità̀ a sottostare ai meccanismi regolatori della proliferazione cellulare;

b. riduzione o perdita della capacità differenziativa;

c. riduzione o perdita della possibilità̀ di andare incontro a morte cellulare programmata.

L’aumento progressivo della massa cellulare neoplastica dipende, quindi, essenzialmente dal fatto che un maggior numero di cellule tumorali si moltiplica ed un minor numero di esse muore con la conseguenza che quelle che sopravvivono continuano anch’esse a moltiplicarsi.

Agli effetti primari si aggiungono da caso a caso numerosi altri effetti consistenti nella comparsa di diverse caratteristiche morfologiche e funzionali che dipendono sempre da modificazione dell’espressione genica (sovraespressione o silenziamento) causate da mutazioni geniche o da piccole delezioni cromosomiche.

Tutti i vari citotipi presenti nell’organismo possono andare incontro alla “trasformazione neoplastica”, quando hanno accumulato nel proprio genoma un certo numero di mutazioni a carico di determinati geni. Ciò significa che non esiste un solo tipo di tumore ma molti tipi di tumore, non solo perché́ numerosi sono i citotipi presenti nell’organismo ma anche perché́ da caso a caso possono variare l’intensità e la localizzazione del danno genomico. La variabile molteplicità̀ dei siti genomici coinvolti nel fenomeno della trasformazione neoplastica spiega perché́ le cellule neoplastiche esibiscono fenotipi diversi1.

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2 Nella Fig.1 sono schematizzate le varie tipologie di tumori: tra i tumori maligni, i carcinomi (neoplasie che traggono origine dagli epiteli) sono più̀ frequenti dei sarcomi (costituiti da tessuto connettivo) e delle emoblastosi, probabilmente perché́ l’epitelio della pelle, delle mucose o degli organi parenchimatosi è più̀ esposto ai fattori nocivi dell’ambiente. I tumori benigni sono costituiti da cellule che mantengono pressoché́ inalterate le loro caratteristiche morfologiche e funzionali in confronto a quelle normali, pur esibendo

autonomia moltiplicativa in quanto non rispondono ai meccanismi regolatori della proliferazione cellulare; sono caratterizzati da un tipo di sviluppo detto espansivo che comprime le cellule vicine senza disintegrarle1. Sono spesso circoscritti da una capsula di tessuto connettivo o da tessuto normale compresso e sono solitamente più̀ differenziati di quelli maligni. Producono danni rilevanti solo per compressione od ostruzione di importanti strutture anatomiche e una volta asportati non recidivano.

I tumori maligni sono costituiti da cellule che appaiono morfologicamente e funzionalmente diverse da quelle normali. L’atipia morfologica, che è tanto più spiccata quanto più è differenziato il tumore, si manifesta con mancanza di uniformità̀ nella forma e nelle dimensioni delle cellule (polimorfismo) e degli organuli cellulari, in particolare del nucleo che è frequentemente ipercromico e in fase mitotica1. Differiscono da quelli benigni, tra l’altro, per le seguenti caratteristiche:

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3 b. il tessuto in crescita irregolare non differisce molto nella forma dal tessuto

iniziale;

c. il tessuto cancerogeno cresce in maniera autonoma senza inibizioni (in maniera infiltrativa) e con azione distruttiva;

d. il tessuto cancerogeno può immettere cellule tumorali nelle vie linfatiche ed ematiche; queste cellule si localizzano su altri organi e tessuti provocando tumori secondari (metastasi);

e. sono recidivi cioè si può avere la riformazione del tessuto nel sito d’origine dopo l’asportazione chirurgica.

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CAUSE DELL’INSORGENZA DEI TUMORI

Le modalità̀ di insorgenza dei tumori non sono ancora note, infatti la maggior parte delle neoplasie degli individui adulti insorge spontaneamente in risposta ad uno stimolo sconosciuto. I fattori che vengono identificati come probabile causa delle neoplasie umane possono dividersi in:

a. Estrinseci: cioè fattori ambientali (virus, sostanze chimiche, fattori fisici, dieta ecc...);

b. Intrinseci: genetici, correlati con l’età o fisiologici.

L’alterazione di base in una cellula cancerosa consiste in una modifica della struttura o dell’espressione di uno o più geni; tutti i cancerogeni chimici, fisici e virali agiscono producendo alterazioni della struttura o dell’espressione genica. I geni che vengono alterati sono quelli coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare: a. proto-oncogeni: famiglia di geni che codificano per proteine coinvolte nei meccanismi fondamentali del ciclo cellulare; quando sono attivati in modo sregolato diventano oncogeni (geni, che se attivati, possono causare la trasformazione di una cellula normale in una tumorale);

b. anti-oncogeni o geni inibitori tumorali: arrestano il ciclo cellulare (Rb, p-53, NF-1, BRCA-NF-1, BRCA-2);

c. geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA;

d. geni coinvolti nell’indirizzare la cellula verso il processo apoptotico (p-53, blc2); e. geni coinvolti nei processi di adesione cellulare.

I principali fattori ambientali implicati nella cancerogenesi sono: i virus oncogeni, le sostanze chimiche e gli agenti fisici.

1. Virus Oncogeni

a. L’esistenza di virus erpetici a DNA e di particelle virali a RNA in grado di causare tumori è stata dimostrata per molte specie animali (è per esempio il caso della leucemia a cellule T del pollo); mentre la capacità dei virus di produrre affezioni analoghe nell’uomo è dibattuta. I virus oncogeni a DNA contengono due tipi di geni: quelli per gli eventi precoci (eventuale integrazione e replicazione del DNA virale) e quelli per eventi tardivi (sintesi delle proteine virali del capside e per l’assemblamento del virione). Nel fenomeno infettivo normale, tutto il ciclo produttivo del virus viene completato con la formazione di numerosi virioni, lisi cellulare e liberazione di particelle

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5 virali; al contrario nella trasformazione neoplastica avvengono solo gli eventi precoci quali l’integrazione del DNA nel genoma cellulare e la codificazione di proteine che hanno un ruolo determinante nella trasformazione di uno o più geni virali. Il meccanismo con cui i prodotti genici dei virus a DNA producono la trasformazione tumorale è soprattutto il legame e l’inattivazione delle proteine prodotte dai geni soppressori tumorali (p-53 e retinoblastoma); altre volte si può avere attivazione di prodotti genici di proto-oncogeni attivatori (polioma virus)2.

b. I virus oncogeni a RNA (retrovirus) costituiscono un gruppo eterogeneo di virus umani ed animali che, tranne per i virus HIV (HIV1 e HIV2), non sono associati ad alcuna patologia infettiva; questi producono molti tumori nell’animale (tumore mammario nel topo, leucemia e sarcomi), mentre nell’uomo determinano un tipo di leucemia acuta a cellule T osservata in Giappone e nei Caraibi, sostenuta principalmente dal virus HTLV-I e raramente da un secondo virus HTLV- II. I retrovirus sono costituiti da una doppia copia di un filamento di RNA (a singola catena), che durante la replicazione virale viene trascritto dalla trascrittasi inversa e integrato nel genoma; in questa forma i geni virali rimangono integrati per sempre nel DNA cellulare, duplicandosi con esso e rilasciando il virus per gemmazione. I retrovirus possono essere suddivisi in 3 classi: a trasformazione lenta, a trasformazione veloce e i virus umani HTLV-I e HLTV-II 2.

2. Sostanze chimiche

I cancerogeni sono sostanze che possono provocare cancro sia nell’uomo che negli animali. Si dividono in tre classi principali:

 cancerogeni ad azione indiretta o procancerogeni: idrocarburi aromatici policiclici (PAH), azocomposti, nitrosocomposti, sostanze naturali, idrocarburi alogenati, sostanze varie e farmaci. Queste sostanze devono essere metabolizzate nella cellula a cancerogeni;

 cancerogeni ad azione diretta: metalli, sostanze spontaneamente alchilanti;  cancerogeni non genotossici: asbesto, fibrati 3

. a. Procancerogeni

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6 Sono omociclici i derivati del fenantrene, dell’antracene e del pirene; queste molecole di base non sono cancerogene, mentre lo sono i loro derivati, i quali sono caratterizzati dalla

presenza di gruppi metilici o anelli benzenici: benzopirene, dibenzo-antracene e 1,4 - dimetilfenantrene (Fig.2,

strutture 1, 2, 3

rispettivamente).

Sono eterociclici i derivati del fluorene, del fluorantrene e dell’acridina; anche queste

molecole base non sono cancerogene, mentre lo sono i loro derivati, caratterizzati dalla presenza di gruppi metilici o anelli benzenici: benzofluorantrene (Fig.3, strutture 4 e 5 rispettivamente).

4 5

Fig.3

Sono sostanze insolubili in acqua e solubili nei lipidi, passano facilmente attraverso le membrane cellulari. Si trovano nel fumo di sigaretta, nei derivati del petrolio in seguito a combustione, negli scarichi delle automobili, nel fumo prodotto dagli impianti di riscaldamento a gasolio o a carbone, nei fumi delle industrie, nel catrame, nella fuliggine, nella combustione di materie organiche.

Nell’uomo i tumori indotti da queste sostanze si sviluppano a carico della cute, dell’apparato respiratorio e dell’apparato gastro-enterico. I PAH sono procancerogeni e diventano cancerogeni se le cellule sono in grado di metabolizzarli; il composto attivo è un epossido, che essendo instabile tende ad unirsi con grosse molecole nucleofile come il DNA, le proteine e i lipidi 3.

H3C

CH3

1 2

3 Fig.2

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7 2) Ammine aromatiche

Sono derivati dell’anilina e del diammino-difenil-metano, che non sono cancerogeni. Tra i derivati dell’anilina ricordiamo la 2-naftilammina (composto 6, Fig.4) e la benzidina (composto 7, Fig.4); tra i derivati del diammino-difenil-metano ricordiamo dei coloranti, come il verde Magenta (composto 8, Fig.4) e un catalizzatore dei processi di polimerizzazione, utilizzato nelle industrie di materie plastiche, il 3-3-dicloro-diammino-difenil- metano (MOCA) (composto 9, Fig.4).

NH2 NH2 H2 C H3C H2N CH3 NH2 H2 C Cl NH2 Cl H2N 6 7 8 9 Fig.4

A differenza degli idrocarburi policiclici, le ammine aromatiche non agiscono nel punto d’ingresso dell’organismo ma soprattutto nelle vie di eliminazione producendo carcinomi della vescica. Queste richiedono un lungo tempo d’azione (fino a 20 anni), sono precedute da manifestazioni precancerose (papillomatosi vescicale) e per agire devono prima venir metabolizzate dai sistemi microsomiali epatici in N-idrossi derivati.

3) Azocomposti

Gli azocomposti sono dei coloranti per i quali è stata dimostrata la cancerogenicità sugli animali. Tra questi abbiamo il rosso scarlatto (composto 10, Fig.5,), che contiene la molecola procancerogena 4-ammino-azotoluene e il dimetil- ammino-azobenzene (DAB) (composto 11, Fig.5).

CH3 N N CH3 N N HO 10 N N N CH3 CH3 11 Fig.5

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8 Danno tumori al fegato, dove sono metabolizzati a composti attivi con l’introduzione di un gruppo ossidrilico e con la coniugazione con acido solforico.

4) Nitrosocomposti Si dividono in:

 nitrosamine (composti 12 e 13, Fig.6);  dinitrosamine ( composto 14, Fig.6);  nitrosamidi (composto 15, Fig.6).

Sono composti solubili in acqua e quindi diffondono facilmente attraverso i liquidi biologici dando tumori a quasi tutti gli organi.

N NO R R N N ON NO R = R' = CH3 dimetilnitrosamina 12 R = R' = CH2H5 dietilnitrosamina 13 nitrosopiperazina 14 NO N H3C C NH2 O N-nitroso-N-metil-urea 15 Fig.6 5) Aflatossine

Sono sostanze prodotte dal fungo Aspergillus flavus che contamina le derrate alimentari (cereali, pane, vino ecc...) conservate in ambienti caldo-umidi. Le aflatossine vengono metabolizzate nelle cellule a epossidi che si possono legare al DNA formando un addotto oppure possono essere attivati attraverso l’enzima epossido idrossilasi e coniugati con glutatione. In associazione con i virus dell’epatite possono causare tumori al fegato.

b. Cancerogeni ad azione diretta 1) Composti metallici

Molti metalli o composti metallici possono indurre cancro (arsenico, ferro, cromo...) ma il meccanismo d’azione è poco noto. I cationi bivalenti, essendo elettrofili, possono interagire con le basi del DNA o con i gruppi fosfato. Tra i

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9 meglio documentati vi sono i tumori indotti dall’arsenico negli addetti all’agricoltura esposti ad insetticidi. In questi soggetti vi è un aumentata incidenza di tumori della pelle per contatto diretto o polmonari per inalazione3.

2) Composti alchilanti

Si definiscono con questo nome le sostanze capaci di cedere gruppi alchilici ad altri composti; non richiedono attivazione metabolica, tuttavia altri composti (ad esempio nitrosammine e cloruro di vinile) vengono attivate metabolicamente a composti alchilanti. Il meccanismo d’azione sembra essere diverso a seconda che i composti siano mono o bifunzionali. Nei composti monofunzionali si verifica alchilazione di specifiche basi del DNA mentre i composti polifunzionali creano ponti intramolecolari tra le catene di DNA.

c. Cancerogeni non genotossici

L’ASBESTO o AMIANTO ha una struttura a fibre costituite da catene di silicati con la presenza di ferro, magnesio o calcio. Si trova sulla crosta terrestre sotto diverse forme: crocidolite (ferro), amosite (ferro), antofillite (magnesio), tremolite (calcio e magnesio), crisotilo (magnesio). L’asbesto per le sue proprietà ignifughe è stato ampiamente utilizzato come impasto per cemento, per materiali e tessuti isolanti e nella costruzioni di navi. Esso è causa di una patologia infiammatoria cronica detta asbestosi e di tumori ai polmoni (adenocarcinoma), alle sierose, alla pleura e al peritoneo (mesotelioma). L’asbesto può indurre tumore:

 direttamente: induce proliferazione e trasformazione stimolando la sintesi proteica, la sintesi di prostaglandine e la sintesi dell’attivatore del plasminogeno danneggiando il citoscheletro oppure penetra nel nucleo e causa aberrazioni cromosomiche;

 indirettamente: viene fagocitato dai macrofagi che liberano enzimi lisosomiali e specie reattive dell’ossigeno che causano inattivazione di enzimi, denaturazione di proteine e danno agli acidi nucleici.

3. Agenti fisici

Gli agenti fisici considerati cancerogeni sono:  le radiazioni ultraviolette;

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10  i corpi estranei.

a. Radiazione ultravioletta

La radiazione ultravioletta (UV) è una porzione dello spettro elettromagnetico a corta lunghezza d’onda. I raggi UV si dividono in UV- A (da 400 nm a 315 nm) UV-B (da 315 nm a 280 nm) e UV-C (da 280 nm a 10 nm). Gli effetti della radiazione UV sulle cellule comprendono: inattivazione di enzimi, inibizione della divisione cellulare, mutagenesi, morte cellulare e cancro. L’effetto cancerogeno è stato dimostrato solo per radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 290 e 320 nm. L’effetto biochimico più importante della radiazione UV è la formazione di dimeri di pirimidina nella catena del DNA che distorce l’asse del fosfodiestere della doppia elica nella zona di ciascun dimero.

b. Radiazioni ionizzanti

Le radiazioni X e  sono parte dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda di circa 10 (alla meno 8) e con energia fotonica sufficientemente elevata per eccitare o espellere elettroni dalle loro orbite formando ioni. Le radiazioni ionizzanti inducono un ampio spettro di danni nel DNA: rotture di uno o entrambi i filamenti, ponti tra ed intrafilamento, danni cromosomici ma anche alterazioni di basi2.

c. Corpi estranei

Numerosi e vari sarcomi sono stati indotti nei roditori in seguito all’impianto di materiali inerti, come pellicole di plastica o metalliche, fibre varie dischi di carbonio ecc. Sono importanti ai fini della cancerogenesi le dimensioni, la levigatezza della superficie e la durata della permanenza dell’impianto. Questi tipi di tumori sono altamente specie-specifici: per esempio, ratti e topi sono molto sensibili alla cancerogenesi da corpo estraneo, mentre l’uomo risulta molto resistente come dimostrato dall’assenza di tumori in seguito all’impianto di protesi di plastica o di metallo.

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AZIONE CITOSTATICA DEGLI ANTITUMORALI

Poiché́ le cellule tumorali continuano a dividersi senza sosta e poiché́ la moltiplicazione cellulare richiede la sintesi di acidi nucleici, il primo obiettivo dei ricercatori è stato quello di trovare composti che, inibendo selettivamente la formazione di tali acidi o dei loro precursori, siano in grado di arrestare la crescita incontrollata della massa tumorale. Infatti, i farmaci antitumorali, che bloccano la crescita di tutte le cellule, si comportano da citostatici con scarsa tossicità selettiva: la differenza di attività nei confronti delle cellule cancerose e delle cellule sane è molto bassa anche se l’aumento della sintesi di acidi nucleici e nucleoproteine è in alcuni tumori molto più veloce che nelle cellule normali. A tale azione si devono imputare gli effetti collaterali estremamente gravi di questi farmaci che si manifestano in modo particolare su altri tessuti in rapida crescita nell’organismo, quali ghiandole sessuali, sistema emopoietico e mucose.

Un grande svantaggio nell’uso degli antineoplastici è legato alla diminuzione delle capacità difensive endogene dell’organismo nei confronti di malattie infettive, correlato all’azione immunosoppressiva dei citostatici 4

. I farmaci antitumorali si possono distinguere in:

 agenti ad azione diretta sull’acido desossiribonucleico (DNA) con formazione di legami chimici irreversibili (farmaci chimicamente reattivi) o con formazione di complessi più o meno stabili che influenzano la conformazione dell’acido nucleico e il relativo cambiamento funzionale;

 agenti ad azione indiretta, come gli antimetaboliti, che inibiscono o interferiscono sulla normale sintesi del DNA.

La quasi totalità dei farmaci antitumorali agisce mediante l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare o della morte cellulare programmata (apoptosi), indipendentemente dalla struttura chimica o dal meccanismo d’azione. Le principali classi di farmaci per cui è stato dimostrato sperimentalmente un effetto proapoptotico includono:

 agenti che danneggiano il DNA, in grado di provocare danni di tipo differente come la formazione di legami crociati inter- o intra-catenari;

 inibitori delle topoisomerasi che provocano rotture alla doppia elica del DNA in corrispondenza della sua associazione con le proteine;

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12  inibitori della formazione del fuso mitotico;

 inibitori della sintesi del DNA;

 antimetaboliti in grado di interferire con i principali circuiti metabolici cellulari 5 . Ad ogni modo, in base al loro meccanismo d’azione, i farmaci antitumorali sono stati suddivisi in tre gruppi principali (Fig.7), che includono farmaci che agiscono sul DNA (alchilanti ed intercalanti), farmaci che interferiscono con la biosintesi degli acidi nucleici e delle proteine (antimetaboliti) e farmaci veleni del fuso mitotico (derivati della Vinca, taxani e inibitori delle topoisomerasi).

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DERIVATI ETEROCICLICI CON ATTIVITÁ INTERCALANTE

Le molecole di piccole dimensioni che interagiscono con il DNA, utilizzano tre modalità̀ di legame (Fig.8):

 intercalazione;

 legame al solco minore;  legame al solco maggiore6.

1. Intercalazione

Nell’intercalazione (Fig.9) il legame di una molecola con il DNA determina la distorsione dell’elica, caratterizzata

dall’estensione della doppia elica e dal locale srotolamento a livello del sito di attacco. Una vasta gamma di molecole si lega al DNA mediante intercalazione e la maggior parte di quelli definiti come leganti del solco minore o maggiore sono ulteriormente stabilizzati dall’intercalazione di un cromoforo pendente 7

. Dal punto di vista chimico, gli agenti intercalanti, sono fondamentalmente caratterizzati dalla presenza di:

 una struttura policiclica aromatica o eteroaromatica planare, che forma un complesso molecolare con le basi del DNA, stabilizzato da legami a idrogeno, forze di Van der Waals e interazioni idrofobiche;

 gruppi o catene laterali, legate in opportune posizioni del sistema planare, in grado di collocarsi in uno od entrambi i solchi della doppia elica del DNA,

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14 realizzando interazioni esterne che possono favorire la formazione del complesso d’intercalazione.

Tra gli agenti chemioterapici antitumorali, che hanno come principale meccanismo d’azione l’intercalazione, si è dimostrata particolarmente interessante una classe di alcaloidi indolici isolati da numerose piante appartenenti alla famiglia delle Apocinaceae. Il rappresentante più importante di tale classe è l’ellipticina (Fig.10).

N H N CH3 CH3 Fig.10 - ELLIPTICINA

L’ellipticina è in grado di legarsi al DNA attraverso l’intercalazione e di inibire l’attività delle topoisomerasi II legandosi al complesso DNA- enzima 7

. 2. Leganti al solco minore (Fig.11)

Le caratteristiche strutturali del solco critiche per il riconoscimento delle molecole di piccole dimensioni sono: ampiezza e profondità del solco, funzionalità del fondo, potenziale elettrostatico e sono tutte dipendenti dalla sequenza nucleotidica. L’ampiezza del solco varia da 3-4 Å per i tratti ricchi in AT, fino a oltre 8 Å per quelli ricchi in GC. La profondità del solco è minore per le sequenze GC rispetto ai tratti AT per la presenza dell’amina esociclica nella guanina. In realtà, il gruppo aminico ha carattere nucleofilo e funziona come sito di riconoscimento e di alchilazione attraverso la formazione di legami a idrogeno. A differenza dell’intercalazione, dove il legame

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15 delle molecole induce ampi cambiamenti nella conformazione del DNA, il legame al solco minore è caratterizzato da piccole o non apparenti distorsioni del DNA, spesso accompagnata da cambiamenti nella conformazione della molecola7.

3. Leganti al solco maggiore (Fig.12)

Attualmente ci sono pochi esempi di composti che si legano selettivamente al solco maggiore: gran parte dei composti si lega per intercalazione e stabilisce ulteriori legami ad idrogeno con il solco maggiore. In generale, le intercalazioni con il solco maggiore forniscono qualche grado di specificità per la sequenza, ma l’affinità di legame è dovuta, principalmente, all’intercalazione.

In un primo tempo si riteneva che il complesso con l’acido nucleico costituisse un motivo sufficiente a scompaginare i processi biochimici

che presiedono al corretto funzionamento della cellula, cosicché l’addotto binario farmaco-DNA era considerato la specie citotossica7. In generale, infatti, si parla di effetto citotossico quando il danno al DNA, con alterazioni della struttura dell’acido nucleico o inibizione persistente di una funzione cellulare, avviene come conseguenza del legame stesso con il DNA. Le lesioni che possono essere indotte dopo tale legame sono molteplici: modificazioni strutturali del DNA, scissione del DNA o inibizione delle topoisomerasi, enzimi che rappresentano un nuovo bersaglio dalla terapia antiblastica (Fig. 13).

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LE DNA TOPOISOMERASI

Durante i normali processi biologici, come la replicazione, la trascrizione, la riparazione del DNA, l’assemblamento dei nucleosomi e la segregazione dei cromosomi, il DNA tende fisiologicamente a cambiare la sua forma: i cambi topologici possono interessare sia l’avvolgimento dei due filamenti costituenti il DNA, l’uno intorno all’altro, che il superavvolgimento della doppia elica intorno al suo asse. Il superavvolgimento è regolato da una specifica classe di enzimi, le DNA topoisomerasi, le quali giocano un ruolo cruciale nel controllo dello stato topologico del DNA, mantenendone la funzionalità e l’espressione genica. Ogni modifica della topologia del DNA richiede la rottura di almeno uno dei due filamenti, così che l’altro può ruotarvi intorno. Inoltre, le DNA-topoisomerasi sono enzimi ubiquitari, essenziali per la risoluzione di problemi topologici complessi del DNA per i suddetti processi fondamentali.

Tutte le DNA topoisomerasi possiedono tre caratteristiche:

a. La capacità di rompere lo scheletro fosfodiestereo del DNA tramite due successive reazioni di transesterificazione. Durante lo stato di transizione di rottura del DNA si forma un intermedio covalente fra DNA e proteine fra il gruppo idrossilico della tirosina dell’enzima ed un gruppo fosfato nel punto di rottura del DNA.

b. Dopo che si è formato l’intermedio topoisomerasi-DNA, esse permettono la separazione delle estremità rotte, così creando un’altra
 apertura per un altro segmento di DNA, sia per un filamento, come nel caso della topoisomerasi I, che per due filamenti, nel caso della topoisomerasi II.

c. Le topoisomerasi sono capaci di unire nuovamente covalentemente le due terminazioni dei filamenti precedentemente tagliati7.

1. CLASSIFICAZIONE

Dalla scoperta della prima topoisomerasi, la topoisomerasi I, nel batterio E.coli8, nel 1971, questi enzimi sono stati ritrovati in tutte le cellule eucariotiche e procariotiche, in numerosi fagi e virus. Sulla base del loro meccanismo d’azione, questi enzimi sono classificati in topoisomerasi di tipo I e di tipo II9

. Inoltre, sulla base delle proprietà enzimatiche comuni e dell’omologia della

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18 struttura primaria e della sequenza strutturale, le DNA topoisomerasi I nell’uomo sono ulteriormente raggruppate in tre famiglie correlate dal punto di vista evoluzionistico: tipo IA, IB e IC. Mentre il tipo IA si lega covalentemente alla terminazione 5’ del filamento tagliato durante il ciclo catalitico, il tipo IB lega covalentemente la terminazione 3’. Anche la topoisomerasi II è suddivisa in due sottoclassi, IIA e IIB, ma solo il primo tipo è umano; solo recentemente è stato ritrovato il tipo IIB in particolari ceppi batterici10. La DNA-topoisomerasi di tipo I modifica la topologia del DNA consentendo il passaggio del filamento intatto attraverso una temporanea apertura, che viene generata sull’altro filamento complementare della doppia elica, tramite la formazione di un intermedio covalente con l’acido nucleico; questi enzimi agiscono soprattutto come monomeri e catalizzano la rottura di un singolo filamento di DNA per permettere il rilassamento della doppia elica. L’energia di legame viene incorporata nell’intermedio DNA-proteina in un legame fosfotirosinico; questo significa che l’energia rilasciata dal legame fosfodiestereo viene usata per rendere possibile il movimento di rotazione del singolo filamento legato all’enzima, permettendo così il rilassamento della doppia elica. Inoltre, non sono richiesti cofattori di energia per questa attività di rottura e riparazione del DNA ed il numero di legami cambia solo di un’unità11

.

Le DNA topoisomerasi di tipo II agiscono, invece, come omodimeri o eterodimeri, producendo doppie aperture in entrambi i filamenti della doppia elica. In questo caso, la loro attività catalitica richiede consumo di energia sotto forma di ATP, che viene normalmente usato per introdurre cambi conformazionali dell’enzima, così da permettere il passaggio della doppia elica intatta attraverso quella in cui è presente la rottura a doppio filamento; il numero di legami, in questo caso, varia di due unità. Come ricordato sopra, in entrambi i casi, durante la fase di rottura del DNA, si forma un intermedio covalente DNA-proteina a livello del sito di rottura fra il gruppo idrossilico di una tirosina della topoisomerasi e un gruppo fosfato del DNA (Fig.14).

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19 Le DNA topoisomerasi, inoltre, convertono un tipo isomerico del DNA in un altro dopo che è avvenuta la variazione del numero di legami nel caso della topoisomerasi I, o lo scioglimento di due anelli di DNA concatenati nel caso, invece, della topoisomerasi II12.

2. PRINCIPALI FUNZIONI CELLULARI DELLE DNA TOPOISOMERASI

Una delle principali funzioni delle DNA topoisomerasi è quella di prevenire un eccessivo superavvolgimento positivo e negativo del DNA che potrebbe causare alterazioni strutturali e/o funzionali nelle cellule. Quei superavvolgimenti che richiedono l’intervento delle topoisomerasi sono generati principalmente a causa di numerosi processi che comportano il movimento di grosse macromolecole lungo il DNA, come la replicazione semiconservativa, durante la quale si formano superavvolgimenti positivi a monte della forcella della replicazione, mentre i filamenti parentali si separano a valle. Nel lievito, per esempio, la topoisomerasi I (Top1) è il principale fattore responsabile del controllo del superavvolgimento durante questi eventi. Anche la trascrizione può generare superavvolgimenti positivi nel DNA avanti e dietro durante lo scorrimento della polimerasi; in questi casi, le topoisomerasi rilassano i superavvolgimenti negativi, portando all’accumulo di quelli positivi. Le

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20 topoisomerasi si comportano in maniera differente nel controllo del grado di superavvolgimento del DNA:

a. Le topoisomerasi I e II eucariotiche e la topoisomerasi IV batterica possono rimuovere efficientemente sia i superavvolgimenti negativi che quelli positivi. b. Le topoisomerasi batteriche I e III e la topoisomerasi III eucariotica riescono

a rimuovere efficientemente i superavvolgimenti negativi ma non positivi, a meno che non sia presente una regione di DNA a singolo filamento.

c. Le girasi e girasi inversa batteriche sono uniche nella loro capacità di convertire i superavvolgimenti positivi in negativi.

Inoltre, l’attività delle topoisomerasi è richiesta al momento di altri importanti eventi cellulari, come la segregazione cromosomica, la condensazione/de condensazione cromosomica (specialmente la topoisomerasi II) e per il mantenimento della stabilità genomica12.

3. DNA TOPOISOMERASI I

Come già discusso nelle parti precedenti, la DNA topoisomerasi di tipo I determina la rottura di un singolo filamento al fine di rilassare il DNA superavvolto in tensione. Tutti gli enzimi della classe I possono essere suddivisi in tre sottofamiglie che differiscono nel loro meccanismo di rilassamento del DNA e per l’origine, procariotica e/o eucariotica11

.

a. Topoisomerasi IA (Fig.15 – A): ha origine procariotica. Sono richiesti ioni magnesio e molecole di DNA a singolo filamento per la sua attività catalitica. La prima topoisomerasi di questa famiglia – E.coli – fu scoperta da Wang nel 1971. A parte la girasi inversa del Methanopyrus kandleri, gli enzimi di questo tipo sono tutti monomerici; poiché la loro attività decrementa quando il DNA tende a uno stato rilassato, essi rilassano parzialmente solo i superavvolgimenti negativi e legano covalentemente l’estremità 5’ del filamento tagliato, lasciando l’idrossile libero in 3’ 13

. Questa famiglia di enzimi, a sua volta, è suddivisa in ulteriori quattro sottogruppi:

1) Topoisomerasi di tipo I batterica; 2) Topoisomerasi di tipo III batterica;

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21 3) Topoisomerasi di tipo III eucariotica, importante nei processi di ricombinazione, riparazione del DNA, mantenimento della stabilità genomica e trascrizione dei geni ribosomiali. Di questa sottofamiglia si conoscono anche i sottotipi IIIα e IIIβ;

4) Girasi inversa, enzima non monomerico, presente solo in batteri termofili e iper-termofili, come il Methanopyrus kandleri14. Il prototipo di questa classe è rappresentato dalla topoisomerasi di tipo I dell’E.coli, conosciuta anche con il nome di proteina σ. Dalla cristallografia a raggi X e risonanza magnetica nucleare, è stato possibile delineare la struttura di questa proteina, la quale consiste in 865 amminoacidi ed è suddivisa in tre domini:

a) Il dominio N-terminale, conosciuto come cleavage-strand passage domain contenente Tyr319 del sito attivo, la quale consente il taglio di un filamento e la rotazione dell’altro filamento. Questo dominio è parte degli elementi conservati, poiché esso è presente anche negli altri membri di questa sottofamiglia;

b) Il secondo è la regione finger che contiene tre motivi a dita di zinco che legano il DNA. Essi sono importanti durante quegli steps in cui avviene il passaggio del filamento (nelle altre classi, questi motivi che legano lo zinco mantengono le stesse funzioni, anche se differiscono per struttura e sequenza);

c) L’ultimo dominio è quello C-terminale, ricco di residui basici, il quale contribuisce al legame con il substrato. Esso conferisce maggiore affinità per le molecole a singolo filamento del DNA.

Anche altri membri della sottofamiglia contengono un dominio C-terminale relativamente basico non conservato che, presumibilmente, mantiene la stessa funzione. Il meccanismo di azione, conosciuto come enzyme-bridged strand passage, è il medesimo per ogni sottogruppo. Questo modello ipotizza la formazione di una sorta di “cancello” nel complesso covalente DNA-enzima, che porta conseguentemente a cambi conformazionali. Nella prima fase, la DNA topoisomerasi di tipo I si lega al DNA attraverso due

(22)

22 domini delimitanti la cavità centrale. Nella seconda fase, il dominio contenente la tirosina catalitica nel dominio N-terminale taglia un singolo filamento di DNA e, inoltre, la tirosina catalitica lega l’estremità 5’ del filamento tagliato, mentre l’estremità 3’ è collegata non covalentemente ad altre parti del ponte proteico. Dopo aver intrappolato il secondo filamento intatto nella cavità del DNA, che già accoglie il filamento tagliato, avviene il terzo passaggio di risaldatura. L’ultima e quarta fase è l’apertura dell’enzima e la fuoriuscita del DNA integro. Inoltre, l’enzima promuove il rilassamento del DNA controllando il passaggio del filamento intatto attraverso quello tagliato15. In questo modo, il lavoro dell’enzima permette la modifica del numero di legami del DNA di solo una unità per ciclo. Anche se è stata osservata una considerevole diversità di sequenza fra i membri della sottofamiglia IA, ci sono alcune caratteristiche comuni che permettono di identificare l’intera sottofamiglia alla quale appartengono topoisomerasi I e III batteriche, topoisomerasi III α e III β umane e topoisomerasi IA isolata in archeobatteri.

b. Topoisomerasi IB (Fig.15 – B): è un enzima di origine eucariotica e virale che provvede al rilassamento di superavvolgimenti positivi e negativi del DNA. A differenza delle topoisomerasi di tipo IA, queste non richiedono la presenza di ioni metallici, anche se in realtà stimolerebbero la loro attività, né molecole a singolo filamento di DNA come substrato per la reazione, che, al contrario, è rappresentato da DNA a doppio filamento. Inoltre, a differenza delle topoisomerasi di tipo IA, che rilassano solo superavvolgimenti negativi (con l’eccezione della topoisomerasi IIIα umana che rilassa anche quelli positivi), le topoisomerasi di tipo IB sono in grado di rilassare entrambi i tipi di superavvolgimento, conducendo a un rilassamento completo; queste ultime legano covalentemente il filamento tagliato alla sua estremità 3’ 15. Gli enzimi di questa famiglia rilassano il DNA tramite un meccanismo di rotazione controllata. Secondo questo modello, la parte della doppia elica non legata covalentemente all’enzima, che ha la posizione idrossilica in 3’ libera e non è legata al sito catalitico, ruota intorno al legame fosfodiestereo

(23)

23 intatto localizzato nella parte opposta al sito di taglio. Questa rotazione non è libera, ma è controllata da interazioni elettrostatiche fra le basi del DNA e gli amminoacidi della struttura dell’enzima16

. La DNA topoisomerasi di tipo IB lavora con un meccanismo ATP indipendente: l’energia richiesta per la rotazione deriva da quella accumulata nel superavvolgimento. Per questa ragione, il rilassamento dello stress nella doppia elica superavvolta si verifica tramite uno o più cicli di rotazione controllata17. Questi enzimi sono proteine monomeriche le cui dimensioni vanno da 80 a 135 KDa; essi sono molto importanti nei processi di trascrizione e replicazione del DNA poiché essi rilassano i superavvolgimenti positivi che si accumulano sopra la forcella di replicazione18. Il prototipo di questa famiglia è la DNA topoisomerasi I che si trova in tutte le cellule eucariotiche. Questa classe include anche la topoisomerasi I virale, come la Poxyvirus topoisomerasi del Vaccinia virus, la cui presenza è essenziale per il virus per poter cominciare il suo ciclo replicativo e che possiede un’alta omologia nella sequenza degli amminoacidi e proprietà enzimatiche molto simili all’enzima umano. C’è, inoltre, una terza categoria che consiste nella topoisomerasi V procariotica isolata in archeobatteri ipertermofili come il Methanopyrus kandleri, che ha un’attività catalitica simile alla topoisomerasi di tipo I eucariotica, e Vaccinia, ma solo una sottile omologia di sequenza. Nella FIGURA 2 0 a - b sono mostrati vari meccanismi di azione della topoisomerasi IA e IB.

c. Topoisomerasi IC: l’unico membro di questa famiglia è la topoisomerasi V 19 isolata in archeobatteri metanogenici. Inizialmente classificata come topoisomerasi di tipo IB, oggi è considerata appartenente a una nuova classe da quando è stata riconosciuta la sua funzione e la sua attività topoisomerasica nel processo di riparazione del DNA.

(24)

24

Fig. 15: Meccanismi proposti per le topoisomerasi di tipo I:

A) Passaggio attraverso l’apertura nel filamento creata dall’enzima per
 la topoisomerasi di tipo I;

B) Meccanismo di rotazione attorno al filamento per la topoisomerasi di tipo IB. d. DNA topoisomerasi nell’uomo

La struttura cristallografica della DNA topoisomerasi I umana è stata risolta19, apportando importanti informazioni sulla struttura tridimensionale della proteina. Questo studio ha mostrato che l’enzima forma un anello che circonda il DNA essenzialmente nella sua conformazione B. La DNA topoisomerasi umana è un enzima di circa 90 KDa e consiste in 765 residui amminoacidici19. Strutturalmente è un monomero che presenta quattro principali domini: il dominio N-terminale, il dominio centrale, chiamato anche core, ulteriormente suddiviso in tre sottodomini distinti, il dominio linker (le due alfa eliche che formano un dominio proteico avvolto a spirale che si protrude dall’anello), e il dominio C-terminale. Essenziali per l’attività catalitica sono il core e i domini C-terminali, l’ultimo dei quali contiene la tirosina catalitica, mentre gli altri due non sono indispensabili14. Questi domini sono organizzati in due lobi che abbracciano e avvolgono i duplex di DNA: il lobo superiore consiste in due sottodomini, I e II del core e il lobo inferiore è formato dal sottodominio del core III e il dominio C-terminale. Il dominio NH2 terminale, consistente in circa 200 residui, molti dei quali non organizzati e idrofobici, hanno la funzione di localizzare l’enzima nel nucleo, avendo almeno quattro motivi localizzati nel nucleo. Apparentemente, questo

(25)

25 stesso dominio è coinvolto anche nella localizzazione nucleolare attraverso interazione con specifiche proteine20.

La forma dell’enzima ricorda quella di una pinza e si può trovare avvolta intorno al DNA in due distinte conformazioni: aperta o chiusa. Nella forma chiusa, o compatta, l’enzima esibisce un poro centrale di circa 15-20Å (Fig.16) all’interno del quale è situato il DNA.

Fig.16. Struttura della Topoisomerasi I umana nella sua forma compatta

Il poro ha residui con cariche positive sulla superficie, complementari al potenziale elettrostatico negativo sulla superficie della doppia elica del DNA. All’interno del poro c’è il sito catalitico della topoisomerasi I, dominio altamente conservato in tutte le topoisomerasi eucariotiche che consiste in una tirosina 723. Questo residuo è responsabile dell’attacco nucleofilo al gruppo fosfato del DNA ed è localizzato, come detto prima, nel dominio C-terminale. Nel sito attivo dell’enzima ci sono residui amminoacidici altamente conservati: due arginine (488 e 590), una istidina (His 632) e una tirosina (723).

Tutti questi residui sono posizionati intorno al legame fosfodiestereo che dovrà essere rotto. Come già detto, la rottura di un singolo filamento di DNA si verifica per attacco nucleofilo del gruppo idrossilico della tirosina. Sorprendentemente, non ci sono residui amminoacidici vicini abbastanza da

(26)

26 essere capaci di agire come basi attivanti l’ossigeno della tirosina; probabilmente lo stato di transizione pentavalente è stabilizzato sia dai due residui di arginina attraverso ponti a idrogeno che dal residuo di istidina protona l’ossigeno in 5’ in posizione del gruppo uscente.

e. Meccanismo enzimatico della DNA topoisomerasi I umana

Sulla base degli studi cristallografici, è stata suggerita un’ipotesi per il meccanismo di catalisi della topoisomerasi I eucariotica, conosciuta come modello di rotazione controllata del DNA (Fig.15 – B). Il modello prevede che l’estremità 5’ del filamento tagliato ruoti intorno all’altro filamento integro non liberamente e sotto il controllo dall’interazione con l’enzima stesso. Infatti, è possibile che il DNA interagisca attraverso legami ionici con i residui amminoacidici delle eliche 5 e 6 del dominio del core e di due lunghe α- eliche del dominio linker. L’attività della topoisomerasi I umana si verifica in quattro steps:

1) Legame con il DNA: l’enzima nella conformazione aperta del suo dominio del core riconosce la catena ribonucleotidica (22pb) e conduce alla conseguente formazione del complesso non covalente DNA-topoisomerasi, Top1ccs (Fig.17); questo legame è diretto verso la catena polinucleotidica dalla complementarietà fra la struttura e la carica elettrostatica di superficie dell’enzima, e culmina con la chiusura della topoisomerasi I intorno all’acido nucleico, così che i sottodomini I e III del dominio del core possano entrare in contatto;

2) Cleavage del DNA: gli amminoacidi del sito attivo sono localizzati in una posizione tale da permettere l’attacco nucleofilo da parte della 723Tyr a livello del gruppo ossidrilico sul legame fosfodiestereo del DNA, al fine di formare un legame fosfotirosinico e costituire il cleavable complex (“complesso scindibile”) in cui l’enzima è covalentemente legato alla catena tagliata del DNA (conosciuta come Top1 cleavage complex o

(27)

27

Fig.17: Topoisomerasi I umana complessata con
l’elica di DNA 22 pb.

3) Rilassamento del DNA: l’enzima subisce un cambio conformazionale che permette il passaggio del filamento integro attraverso la momentanea interruzione dell’altro filamento. L’energia contenuta nella torsione interna del DNA presumibilmente guida la rotazione, la cui velocità è regolata dall’enzima stesso.

4) Riparazione del DNA: si verifica per transesterificazione. L’idrossile libero in posizione 5’ del filamento tagliato di DNA attacca il legame Tyr-fosfato, allineato con il gruppo idrofilico stesso, ancora legato alla tirosina dell’enzima all’interno del complesso Top1-Tyr-DNA. Successivamente, l’originale legame fosfodiestereo viene ricostituito e finalmente l’enzima rilascia il DNA21.

In normali condizioni, i complessi Top1ccs sono transienti e non è possibile rilevarli poichè l’integrità del DNA è energicamente più favorita rispetto alla rottura. Comunque, il Top1cc può accumularsi in casi in cui la

(28)

28 topoisomerasi I venga bloccata mentre è avvolta intorno al DNA a causa di alterazioni endogene (scissione di basi, mismatches, cioè accoppiamenti errati di basi, addotti, discontinuità a livello dei filamenti) o di alterazioni della cromatina indotte dal processo di apoptosi22.In normali condizioni, alla fine del ciclo catalitico, viene rilasciata una molecola di DNA, riducendo il numero di superavvolgimenti. Il DNA può comunque legare l’enzima e subire un ulteriore ciclo catalitico. L’azione catalitica della topoisomerasi I non richiede la presenza di energia in forma di ATP. Infatti, il processo è completamente reversibile poiché l’energia del legame fosfodiestereo scisso resta preservato nel legame fosfotirosinico del complesso covalente DNA-enzima. Il passaggio di ricongiunzione del DNA, inoltre, avviene solo grazie all’uso dell’energia accumulata nel legame fosfotirosinico.

Durante la replicazione del genoma, la funzione della topoisomerasi I è di estrema importanza: in sua assenza, il movimento della forcella replicativa sarebbe bloccato a causa dell’accumulo di torsione nel filamento, che agisce come uno stampo. Il suo intervento è essenziale anche per il processo di trascrizione e ricombinazione durante la mitosi.

4. DNA TOPOISOMERASI II

Le topoisomerasi di tipo II consistono in due o più subunità e catalizzano processi simili a quelli relativi alle topoisomerasi I. Il meccanismo d’azione è diverso da quello degli enzimi del tipo I: le topoisomerasi II causano la rottura di entrambi i filamenti che formano la doppia elica in particolari regioni del DNA e favoriscono il passaggio di un’altra doppia elica attraverso questa rottura. Inoltre, la topoisomerasi II riesce a rilassare i superavvolgimenti sia negativi che positivi. La forma di

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29 questo enzima è paragonabile a quella di una di una pinza (Fig.18).

Il taglio dei due filamenti avviene dopo attacco nucleofilo di una coppia di tirosine su due legami fosfodiesterei affacciati l’uno all’altro, due reazioni di trans esterificazione che avvengono in maniera concertata. I residui di tirosina sono legati covalentemente alle estremità 5’ dei filamenti interrotti, liberando così i gruppi idrossilici in posizione 3’. L’idrolisi di ATP induce cambi conformazionali nell’enzima risultanti nella separazione dell’estremità 5’ (legata) dall’estremità 3’ (libera), aprendo un passaggio nella doppia elica tagliata. A questo punto, l’enzima trasporta una intatta elica a doppio filamento attraverso l’apertura creata nella prima doppia elica, che, successivamente, verrà risaldata. Infine, i legami fosfodiesterei si riformano tramite una ulteriore transesterificazione23, con risultato di una variazione di due unità nel numero di legami del DNA. La reazione procede solo in presenza di ATP, essenziale per il rifornimento di energia per i significativi cambi conformazionali coinvolti nel meccanismo d’azione dell’enzima (Fig.19).

Fig.19: Meccanismo proposto per la Topoisomerasi II.

Sulla base di considerazioni strutturali, le topoisomerasi di tipo II possono essere divise in due sottofamiglie19:

a. Topoisomerasi IIA: appartengono a questa famiglia i seguenti enzimi:

1) Topoisomerasi II eucariotica: è un omodimero presente in tutte le cellule eucariotiche. Rilassa il DNA superavvolto positivamente e negativamente ed è per questo essenziale durante la separazione dei cromosomi. Inoltre,

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30 coopera con la topoisomerasi I per il rilassamento dei superavvolgimenti positivi durante i processi di replicazione.

2) Topoisomerasi IV o girasi batterica: è un enzima eterotetramerico batterico che sembra essere coinvolto nel processo di separazione cromosomica alla fine del processo di replicazione del DNA. Inoltre sembra essere in grado di introdurre superavvolgimenti negativi tramite una progressiva attività catalitica attraverso il meccanismo di inversione del segno.

3) Topoisomerasi IIB: furono scoperte negli archeobatteri, in cui sono
 ubiquitarie, e recentemente sono state identificate in alcuni batteri e alghe. Questa famiglia include la topoisomerasi IV (Archaea) e topoisomerasi IIB. Solo recentemente sono state isolate nelle cellule eucariotiche in cui, anche se è stato chiarito il loro ruolo strutturale, non è stata ancora ipotizzata la loro funzione fisiologica.

5. DNA TOPOISOMERASI COME TARGETS PER FARMACI ANTITUMORALI

Gli enzimi DNA-topoisomerasi sono largamente caratterizzati nei loro aspetti meccanicistici e funzionali. L’attenzione su di esse negli anni recenti non solo deriva dal fatto che queste proteine giocano un importante ruolo fisiologico in molti processi nucleari, come la duplicazione, la trascrizione e la riparazione del DNA, per il mantenimento dello stato topologico degli acidi nucleici, ma anche perché essi sono farmacologicamente significativi, in quanto possono essere trasformati in tossine cellulari grazie all’azione di uno specifico gruppo di farmaci antitumorali che riesce ad inibire la loro funzione24.

Nelle cellule dell’uomo, i due enzimi non sono espressi nella stessa maniera: la topoisomerasi I è molto abbondante in tumori solidi (per esempio, in quelli del colon), mentre la topoisomerasi II è predominante nei tumori di seno, ovaio e ematologici. In entrambi i casi, i tessuti del tumore, le cui cellule proliferano attivamente e rapidamente, hanno un’alta concentrazione di questi due enzimi rispetto alle cellule sane; la possibilità di sfruttare questi enzimi a scopi terapeutici ha spinto i ricercatori a sviluppare molti farmaci con questo preciso

(31)

31 meccanismo d’azione 25

. Possiamo inoltre dire che, al momento, le topoisomerasi hanno assunto primaria importanza nelle ricerche sul cancro e molti farmaci che le inibiscono sono fra i più largamente usati nella chemioterapia sull’uomo25

. Uno dei principali successi della ricerca biotecnologica sul cancro è lo sviluppo di più efficienti farmaci capaci di superare la resistenza tumorale. I farmaci antitumorali attualmente conosciuti per la loro attività anti-topoisomerasi possono essere suddivisi in due classi, a seconda del loro meccanismo d’azione26

:

a. Farmaci di classe I (detti anche “veleni”): essi stabilizzano i complessi covalenti DNA-topoisomerasi I formando un complesso ternario reversibile DNA- enzima-inibitore che risulta essere cataliticamente inattivo, dal momento che viene inibito lo stadio di ricongiunzione dei filamenti di DNA27. La stabilizzazione del complesso covalente topoisomerasi-DNA rappresenta un ostacolo per lo scorrimento delle proteine lungo il DNA, quali le DNA polimerasi, elicasi, RNA polimerasi. Così il vero danno si verifica per collisione fra complesso e forcella di replicazione; la rottura reversibile del singolo o doppio filamento del DNA diventa così una rottura irreversibile e viene attivato il processo di apoptosi. Spesso, questi farmaci sono chiamati anche veleni delle topoisomerasi poiché essi trasformano l’enzima in una potente tossina cellulare. Il farmaco rappresentativo per questa classe è l’alcaloide naturale camptotecina e gli analoghi semisintetici topotecan e

irinotecan. Appartenenti ancora a questa categoria di veleni ci sono anche

farmaci intercalanti come la bleomicina, la quale non agisce direttamente sul DNA, ma interferisce con esso intercalandosi fra le basi azotate, conducendo la cellula alla morte.

b. Farmaci di classe II o soppressori della topoisomerasi: essi, senza agire direttamente sul complesso covalente, agiscono sul sito catalitico dell’enzima, prevenendo il suo legame con il DNA. La loro tossicità è dovuta al fatto che essi inibiscono il rilassamento della doppia elica e quei processi che coinvolgono il DNA, come la replicazione, sono prevenuti. Esempi di

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32 sostanze appartenenti a questa classe sono la shikonina e il β-lapacone (Fig.20). OH OH O O OH SHIKONINA O O O H3C CH3 Fig.20

-LAPACONE

La classificazione degli inibitori delle topoisomerasi più comunemente usata, comunque, è basata sul target enzimatico ed, inoltre, sull’abilità di interferire con l’azione della topoisomerasi I o della topoisomerasi II. I composti che inibiscono la topoisomerasi I agiscono principalmente durante la fase replicativa del ciclo cellulare (fase S), mentre le lesioni causate dalla topoisomerasi II sono associate alla fase di trascrizione dell’RNA e, quindi, avvengono durante la maggior parte del ciclo cellulare (fase G2, fase M) (Fig.21).

(33)

33

6. INIBITORI DELLA TOPOISOMERASI I

La Topoisomerasi I rappresenta un valido bersaglio per lo sviluppo di farmaci antineoplastici, infatti un notevole interesse ha suscitato la Camptotecina28, un alcaloide in grado di bloccare il complesso scindibile tra Topoisomerasi I e DNA. L’utilità clinica di questo composto è però limitata dalle sue tossicità e bassa solubilità, per cui opportune modifiche del capostipite hanno portato all’ottenimento dei derivati idrosolubili Irinotecan e Topotecan, che sono stati introdotti recentemente in terapia nel trattamento del tumore ovarico, del polmone e del colon retto (Fig.22).

(34)

34 N N O O O R2 R3 R1 OH Fig.22 Camptotecina : Irinotecan : Topotecan : R1 = R2 = R3 = H N N OCO ; R2 = H; R3 = C2H5 R1 = OH; R2 = CH2N(CH3)2; R3 = H

Ad essi si sono aggiunti gli omologhi strutturali Diflomotecan e Gimatecan29 (Fig.23), attualmente in fase II di sperimentazione clinica, in cui l’anello lattonico a sei termini, facilmente idrolizzabile in vivo, è stato sostituito con l’anello omologo -idrossilattonico, metabolicamente più stabile.

N N O O O OH F F

E

A

B

C

D

N N O O O OH N O A B C D E Fig.23 Diflomotecan Gilmatecan

Molto recentemente sono stati studiati alcuni composti, a struttura di tipo non camptotecino-simile, fra i quali gli indolocarbazoli, le indenoisochinoline e le fenantridine rivestono un ruolo di grande interesse futuro, soprattutto grazie al loro migliore indice terapeutico30 (Fig.24).

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35 N O O O H3CO H3CO O R R = CH3 NSC314622 (CH2)3 H N (CH2)2OH NSC706744 MJ-III-65 (CH2)3 N N NSC725776 (CH2)3 N O NSC724998 Indenoisochinoline N N O O H3CO H3CO O (CH2)2 N(CH3)2 Topovale (ARC-111) Fenantridine Indolocarbazoli N NH O O CHCH2OH HOH2C N H N HO OH O HO HO OH OH Endotecarin (ED-709) (J-107, 088) H N N N H O O F F O F HO HO OH BMS-250749

Fig.24 - Inibitori non camptotecino-simili della Top I

7. INIBITORI DELLA TOPOISOMERASI II Sebbene gli inibitori delle

Topoisomerasi II finora noti appartengano a classi chimiche diverse, quasi tutti hanno una porzione policiclica aromatica che può intercalare il DNA ed una o più catene laterali con vari sostituenti che si alloggiano nel solco minore della doppia elica e potrebbero interagire anche direttamente con l’enzima (Fig.25).

(36)

36 si possono dividere in due classi:

 inibitori catalitici che, legandosi specificamente con l’enzima, agiscono a livello di differenti stadi del ciclo catalitico.

 veleni che stabilizzano il complesso covalente DNA-Topoisomerasi II (cleavable complex).

a. Gli inibitori catalitici (Fig.26) della Topoisomerasi II sono un gruppo di sostanze, eterogenee dal punto di vista chimico, che possono: interferire con il legame tra il DNA e la Topoisomerasi (Aclarubicina, Suramina), stabilizzare i complessi non covalenti DNA-Topoisomerasi II (Merbarone, ICRF-I87) o inibire il legame con l’ATP (Novobiocina).

1) L’Aclarubicina (Fig.27) è un agente antineoplastico di tipo antraciclinico che funziona come forte agente intercalante e inibisce il legame della Topoisomerasi II al DNA: è, quindi, un antagonista dei classici veleni della Topoisomerasi II come Etoposide, Teniposide e Amsacrina. Inoltre l’Aclarubicina, ad alte concentrazioni, stimola la formazione di complessi covalenti DNA-Topoisomerasi I, mentre a concentrazioni biologicamente rilevanti, inibisce il legame della

CH2OH OH OH OCH3 O O O OH O O O N(CH3)2 H3CO O O H3CO O H3CO O Fig.27 - ACLARUBICINA

(37)

37 Topoisomerasi I al DNA e, perciò, è un antagonista della Camptotecina31. 2) La Suramina (Fig.28) è un composto polianionico che, ad alte

concentrazioni, modula l’attività di numerosi enzimi cellulari, mentre a dosi più basse agisce, preferibilmente, sulla Topoisomerasi II e alcuni recettori dei fattori di crescita. In particolare, la Suramina inibisce l’attività catalitica della Topoisomerasi II, inibendo il legame dell’enzima al DNA.

N H CH3 HN NaO3S NaO3S SO3Na O O O NH O N H O SO3Na SO3Na NaO3S H3C Fig.28 SURAMINA

3) Il Merbarone (Fig.29), un composto che deriva dalla coniugazione dell’acido tiobarbiturico con l’anilina tramite un legame amidico, inibisce l’attività catalitica della Topoisomerasi II, con

una certa selettività per l’isoforma IIα. In particolare, il Merbarone non ha effetto né sul legame della topoisomerasi II al DNA né sull’idrolisi dell’ATP, ma è un potente inibitore della rottura del DNA mediata dall’enzima32

.

4) Le cumarine, come la Novobiocina (Fig.30), possono inibire le DNA Topoisomerasi con diversi meccanismi. La Novobiocina inibisce la Topoisomerasi II bloccando il sito di legame dell’ATP, impedisce il legame del fattore di trascrizione IIIA al gene 5S RNA e dissocia i complessi TFIIIA-RNA e TFIIIA- DNA.

OH CH3 CH3 O O O OH CH3 O O OH CH3 CH3 H2N O H3CO Fig.30 NOVOBIOCINA H N O NH H N OH O S Fig.29 - MERBARONE

(38)

38 b. Anche i veleni della Topoisomerasi II sono una classe eterogenea di composti, tra questi troviamo le epipodofillotossine, le antracicline e gli antracenedioni. OO H R O OH O O O O H3CO OH OCH3 Etoposide Teniposide R : CH3 R : S Fig.31

Le epipodofillotossine, sono derivati semisintetici della podofillotossina, estratta dalla mandragola. Etoposide e Teniposide (Fig.31) sono strutturalmente simili ed agiscono entrambi inibendo la Topoisomerasi II, da cui consegue un danno mediato dalla rottura dei filamenti di DNA che avviene ad opera del complesso farmaco-enzima-DNA.

Gli antibiotici antraciclinici (Antraciclina) (Fig.32), isolati dallo Streptomyces

Peucentius, sono attualmente utilizzati anche nella terapia antineoplastica,

poiché ne sono stati documentati tre principali meccanismi d’azione:

 un legame ad alta affinità per il DNA dovuto ad intercalazione che comporta un blocco della sintesi di DNA e RNA, oltre che una scissione dei filamenti di DNA, mediata da modificazioni della Topoisomerasi II;  un legame alle membrane che ne altera la fluidità e la permeabilità agli

ioni;

 la trasformazione in un sistema semichinonico con la produzione di radicali ossigeno attraverso un processo enzimatico di riduzione.

(39)

39 O O OH OH OCH3 COCH2OH OH O H H OH H3C NH2 Fig.32 ANTRACICLINA

Gli antracenedioni (Mitoxantrone e Ametantrone, Fig.33) sono composti antracenici caratterizzati da una struttura simile a quella del nucleo antraciclinico e per questo mostrano gli stessi meccanismi d’azione degli antibiotici32. X X NH(CH2)2NH(CH2)2OH NH(CH2)2NH(CH2)2OH O O Ametantrone Mixotantrone X = H X = OH Fig.33

8. INIBITORI DUALI DELLE TOPOISOMERASI

Come già esposto, gli inibitori delle Topoisomerasi sono una larga classe di farmaci antitumorali che hanno un grande successo in un ampio spettro di tumori maligni, tuttavia l’insorgenza di fenomeni di resistenza a questi farmaci rimane il principale problema clinico, e costituisce la causa più frequente di insuccesso sull’efficacia della terapia farmacologia a lungo termine. Lo scopo degli esperimenti oncologici è quindi di capire i meccanismi responsabili di questo fenomeno, per portare allo sviluppo di nuove terapie più efficaci33.

Data la natura multifattoriale di numerose patologie ed in particolare del cancro, quando il trattamento monoterapico non è sufficientemente efficace, si può ricorrere o ad un trattamento multifarmaco, con problemi di compliance dei

(40)

40 pazienti, o alla somministrazione di una specialità unica contenente più principi attivi diversi, con problemi di biodisponibilità, farmacocinetica o metabolismo34. Per questa ragione, la messa a punto di farmaci con attività duale, o meglio, “multitarget” sembra costituire una nuova e promettente strategia terapeutica. Infatti lo sviluppo di composti capaci di colpire simultaneamente due o più bersagli biologici, dovrebbe portare ad una ottimizzazione del profilo farmacologico (ADMET), all’assenza di interferenza tra farmaci diversi ed a un regime terapeutico estremamente semplificato.

In questo contesto, alcuni studi hanno preso in considerazione la possibilità di ottenere composti capaci di inibire contemporaneamente l’attività di ambedue gli enzimi Topoisomerasi, Topo I e Topo II. E’ stato ipotizzato che, poiché gli enzimi hanno funzioni complementari e/o sovrapponibili nel metabolismo cellulare, anche composti con livelli di attività non elevati nei confronti di ciascun enzima, potrebbero mostrare un buon spettro di attività antitumorale.

Un ulteriore vantaggio potrebbe essere costituito dalla minore incidenza dei meccanismi di resistenza al farmaco. E’ stato infatti osservato che, in seguito a somministrazione di un inibitore selettivo di ciascun enzima, il sistema cellulare risponde con una upregulation dell’isoforma non coinvolta, per compensare il danno subito; con conseguente diminuzione di efficacia terapeutica. La sperimentazione clinica ha inoltre dimostrato che l’associazione di due farmaci con distinta attività, rispettivamente anti-Topoisomerasi I o II, si traduce esclusivamente in una aumento della tossicità, con un effetto di antagonismo, piuttosto che di sinergismo.

In questo ambito hanno assunto una certa importanza numerosi composti, descritti recentemente in letteratura, che, oltre ad esplicare notevoli proprietà antiproliferative, si sono mostrati efficaci inibitori dell’attività di entrambi gli enzimi Topoisomerasi34.

La prima e più ampia categoria include composti che si legano al DNA mediante intercalazione e comprende alcune acridine (DACA), piridocarbazoli (intoplicina), e derivati delle antracicline (aclarubicina). Una seconda classe è costituita da molecole ibride preparate unendo inibitori della Topoisomerasi I con quelli della Topoisomerasi II, come gli ibridi camptotecina-epipodofillotossina ed ellipticina-distamicina.

Una terza classe comprende composti come il Tafluposide (F11782), ottenuti da modificazioni strutturali di composti con attività selettiva nei confronti di una

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41 o l’altra classe di enzimi (Fig.34).

OH OH OH OH HO O Saintopina N N H O NMe2 DACA H N N HO Me HN NMe2 OH HN O NMe2 Intoplicina TAS-103 N H MeO R N N NMe2 Pyrazoloacridine N N N H H3CO O N XR 11576 N+ OH OMe MeO MeO Me Fagaronina F F F F O F O O O O O O O O O F F F F F O O O O H H OCH3 H3CO OPO3H2 Tafluposide (F11782) COOCH3 O O O OH OH OH OH O H3C N(CH3)2 O O H3C OH O O O H3C Aclarubicina

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42 Le DNA topoisomerasi (Top) sono enzimi essenziali che inducono le modifiche topologiche del DNA durante vari importanti processi cellulari, quali la replicazione, la trascrizione e la riparazione. Esitono due famiglie principali di topoisomerasi: DNA topoisomerasi di tipo I (Top1) e di tipo II (Top2), a seconda della necessità di rottura di uno o di entrambi i filamenti della doppia elica.

La Top1 rilassa i superavvolgimenti del DNA, formando rotture a singolo filamento, e successivamente riunisce le estremità della rottura per ripristinare rapidamente l’integrità della doppia elica. A questo livello, l’enzima è particolarmente vulnerabile a un gruppo di agenti antitumorali, i cosiddetti veleni della Top 1, i quali intrappolano reversibilmente il complesso scindibile derivato dal clivaggio mediato dall’enzima, con conseguenti rotture irreversibili nel filamento di DNA interessato, attivazione dell’apoptosi e arresto del ciclo cellulare. Gli inibitori della Top1 sono un gruppo relativamente nuovo di farmaci antitumorali con un ampio range di attività su tumori ematologici e tumori solidi. La camptotecina I, CPT (Fig.35) fu la prima piccola molecola identificata e classificata come inibitore della Top1. I tentativi di migliorare il suo profilo di tossicità e la sua farmacocinetica hanno condotto allo sviluppo di due derivati della CPT idrosolubili, l’irinotecan e il topotecan II (Fig.35) e di altri nuovi composti attualmente sotto sperimentazione clinica.

È, però, dimostrato che i farmaci camptotecino-simili non sono farmaci ideali in quanto presentano un gran numero di limitazioni, fra cui l’instabilità chimica e la potenziale induzione di resistenza cellulare, oltre ai pesanti effetti collaterali. Per ovviare a queste problematiche, sono state sviluppate diverse classi chimiche di veleni della Top1 a struttura non camptotecino-simile, alla ricerca di innovativi e promettenti farmaci antitumorali, tra cui le fenantridine III e le indenoisochinoline IV (Fig.35).

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43 N N O R1 R2 O O A B C D E OH N N O O O O O R N O O R4 R5 R1 R2 A B C D R3

MJ-III-65, R1 =R2= OCH3; R3 = (CH2)3NH(CH2)2OH; R4 =R5 = OCH2CH2O Indenoisochinolina IV; Fenantridina III R1 =H, R2 =H Camptothecin I: Topotecan II: R1 =CH2N(CH3)2, R2 =OH

Fig.35 STRUTTURE GENERALI DEGLI INIBITORI DELLA TOPOISOMERASI

In questo ambito, negli ultimi decenni, il gruppo di ricerca con il quale ho collaborato durante il mio lavoro di tesi ha studiato vari sistemi polieterociclici e ha diretto recentemente la sua attenzione verso una nuova classe di farmaci con formula generale V (Fig.36) 36.

N N N R X A B C D 2 3 (CH2)n N R1 R2 X = -CH2 , O , NH

-2(3)-fenil pirazolo[1, 5-a]chinazolina V

Fig.36 MODELLO DI PIRAZOLOCHINAZOLINA

R = OCH3, CF3, Cl, H R1 = R2 = -CH3, -CH2CH3 R2 = -1-Imidazolil N O O R4 R5 R1 R2 R3 Indenoisochinolina IV A B C D

Questa classe di composti è caratterizzata da una struttura 2(3)-fenilpirazolo

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