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Provestandarddifratturainterlaminare Capitolo3

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Capitolo 3

Prove standard di frattura interlaminare

Sommario. In questo capitolo vengono brevemente descritte le principali prove sperimentali standardizzate per la caratterizzazione della tenacità a frattura dei materiali compositi. In particolare, si descrivono le norme ASTM per le prove sperimentali DCB e MMB e la norma JIS per la prova ENF, richiamando i procedimenti suggeriti per la riduzione dei dati sperimentali allo scopo di valutare il tasso di rilascio dell’energia.

Summary. This chapter briefly describes the main standardized tests for the characterization of the fracture toughness of composite materials. In particular, the ASTM standards for DCB and MMB tests and the JIS standard for the ENF test are described, recalling the suggested data reduction procedures to assess the strain energy release rate.

3.1

Introduzione

Le proprietà di resistenza a frattura dei materiali compositi possono essere valutate attraverso prove di frattura interlaminare, che si mostrano un valido supporto allo sviluppo, alla selezione, al progetto e alla verifica di nuove soluzioni costruttive. La conoscenza del tasso di rilascio dell’energia (strain energy release rate) per date geometrie e condizioni di carico è di vitale importanza per la corretta previsione del comportamento di un materiale nei confronti dei fenomeni di delaminazione o di accrescimento del danno.

Il successo predittivo di un qualunque modello analitico è legato alla scelta di un criterio di frattura, la cui efficacia però dipende da una corretta valutazione sperimentale del valore critico del tasso di rilascio dell’energiaGc.

Una delaminazione può accrescersi in condizioni di modo I puro (di apertura), o di modo II puro (scorrimento) (vedi Figura 2.7 a Pagina 34), o anche attraverso una serie di combinazioni di questi due modi: è necessario non soltanto caratterizzare il comportamento di un materiale rispetto ai modi puri, ma anche valutarne la resistenza a frattura nelle condizioni di modo misto.

Una imprecisa conoscenza degli effettivi valori della tenacità di un materiale obbligano all’utilizzo di fattori di sicurezza talmente elevati da vanificare gli effetti positivi dati dall’elevata resistenza speci-fica dei materiali compositi, traducendosi in strutture non ottimizzate di scarsa efficienza, più pesanti e costose.

Molte sono le prove sperimentali che sono state ideate per la misurazione della resistenza a frattu-ra, sia statica che a fatica. Tra queste alcune sono state approfonditamente valutate negli anni [Davies, Kausch, Williams, Kinloch, et al., 1992; Sela e Ishai, 1989] e hanno raggiunto lo status di standard.

Le prove standardizzate si limitano a valutare la resistenza di laminati unidirezionali [0◦]nnei quali

la delaminazione propaghi tra le lamine nella direzione delle fibre. Infatti nei laminati multidirezionali la fessura potrebbe mostrare la tendenza a migrare tra le lamine, vanificando l’ipotesi di propagazione piana. I laminati ottenuti interponendo tra gli strati delle sottili pellicole di resina ad alta resistenza (in inglese chiamati interleaved laminates) possono presentare un comportamento peculiare a seconda che la fessura propaghi all’interno dello strato di adesivo (frattura coesiva) o all’interfaccia tra adesivo e

(2)

lamina (frattura adesiva). Nei compositi realizzati con tessuti, nel suo avanzare la fessura può interagire in modo differente con le regioni occupate dalla matrice e quelle occupate dalle fibre, traducendosi in un andamento variabile della resistenza a frattura. Infine, i laminati compositi che presentano rinforzi nello spessore (ad esempio attraverso lo Z-pinning) possono presentare larghe regioni attraverso le quali la fessura migra tra gli strati (bridging zones) invalidando la riduzione dei dati basata sulla meccanica della frattura lineare elastica [Adams et al., 2003].

Sebbene il fenomeno del bridging sia comune anche nei laminati unidirezionali [0◦]n, la

caratterizza-zione della resistenza a frattura di questa famiglia di laminati è generalmente associata a minori difficoltà interpretative.

Tutti i provini, indipendentemente dalla tipologia di prova sperimentale per la quale sono stati prepa-rati, sono caratterizzati dall’essere pre–fessurati: vengono infatti realizzati interponendo tra le lamine, al momento della polimerizzazione della resina, una pellicola di materiale polimerico antiaderente (gene-ralmente politetrafluoroetilene o poliamide). La prova consiste nel caricare il provino fino a raggiungere la condizione di propagazione della fessura.

3.2

Prova Double-Cantilever Beam (DCB)

Il provino per la prova Double-Cantilever Beam, o DCB, per la caratterizzazione della resistenza a frattura di modo I è schematicamente illustrato in Figura 3.1.

Figura 3.1: schema del provino per la prova DCB.

Questa prova è standardizzata secondo la ASTM (American Society for Testing and Materials Inter-national) [ASTM D5528-13]. L’obiettivo del test è di determinare la tenacità a frattura interlaminare di modo I,GIc.

Il provino DCB è caratterizzato da una propagazione instabile in controllo di carico, mentre risulta sempre stabile in controllo di spostamenti [Adams et al., 2003].

Nella prima versione proposta di questa prova, la forma dei provini era rastremata per garantire un rapporto fisso a/b durante la propagazione [Sela e Ishai, 1989], dove a è la lunghezza della fessura e b è la larghezza del provino.

Il carico P viene trasmesso al provino attraverso cerniere metalliche incollate all’estremo fessurato, che viene aperto controllando lo spostamento dei punti di applicazione e registrando il carico e la lun-ghezza della delaminazione. Il tasso di rilascio dell’energia viene calcolato usando la teoria classica delle travi, opportunamente modificata, o il metodo di calibrazione della cedevolezza.

3.2.1 Preparazione del provino

Lo standard ASTM D5528-13 prevede provini di forma rettangolare, la cui lunghezza L deve essere di almeno 125 mm. Lo spessore h deve essere costante e compreso tra 20 mm e 25 mm.

Il numero delle lamine deve essere pari, il materiale unidirezionale [0◦]n e la delaminazione deve

avanzare nella direzione delle fibre.

L’inserto antiaderente deve essere collocato in corrispondenza del piano medio per formare la zona di iniziazione della fessura: lo spessore della pellicola non dovrebbe essere maggiore di 13 µm. Questa

(3)

3.2. PROVA DOUBLE-CANTILEVER BEAM (DCB) 41

procedura è preferita alla realizzazione della fessura attraverso mezzi meccanici, per esempio tagliando un provino integro, per garantire che il primo valore ottenuto dalla prova sperimentale sia esente dal fenomeno del bridging.

L’inserto deve creare una fessura con una profondità di circa 63 mm. La lunghezza iniziale della fessura è definita a0e, riferita alla posizione delle cerniere, deve misurare 50 mm (2 in.). La disposizione

dell’inserto, che definisce la posizione all’apice della fessura, deve essere accuratamente registrata e segnalata sul provino.

Lo spessore del provino h deve essere compreso tra i 3 mm e i 5 mm, e non devono esserci variazioni maggiori di 0.1 mm nello spessore di ogni provino.

Nel caso il materiale sotto esame sia caratterizzato da un’alta resistenza o una rigidezza flessio-nale non elevata, per evitare spostamenti eccessivi (condizione individuabile per δ/a > 0.4) la norma ASTM D5528-13 prescrive comunque valori differenti per la lunghezza della fessura o per lo spessore. In particolare a0≤ 0.042 s h3E 1 GIc (3.1) e h≥ 8.283 s GIca20 E1 . (3.2)

Le prove devono essere condotte, nelle stesse condizioni, su almeno cinque provini.

Una stima empirica del carico massimo cui il provino sarà soggetto durante la prova è data dalla seguente espressione [ASTM D5528-13]:

Pmax=b a r h3E 1GIc 96 , (3.3)

dove il valore di GIc in questo caso è una stima del valore ottenibile prevista sulla base di

esperien-ze precedenti. Queste stima può essere utile per valutare l’efficacia dell’incollaggio delle cerniere alla superficie esterna del provino.

3.2.2 Svolgimento della prova

I valori di larghezza e spessore di ogni provino devono essere misurati nella mezzeria e agli estremi, e le corrispondenti medie devono essere registrate.

Su entrambi i lati del provino deve essere realizzata una scala graduata che agevoli la lettura del-l’avanzamento della fessura durante la prova. I primi 5 mm dall’apice della fessura devono essere con-trassegnati con righe verticali distanziate tra di loro di 1 mm, mentre i successivi 20 mm devono essere contrassegnati ogni 5 mm (Figura 3.2).

(4)

Figura 3.3: schema semplificato della condizione di carico della prova DCB.

Il provino viene quindi fissato ai bracci della macchina di prova, avendo cura di verificare che sia ben disposto e correttamente centrato. Il carico deve essere applicato a velocità comprese tra 1 e 5 mm/min.

Dal momento in cui viene applicato il carico, la lunghezza della fessura a viene monitorata: ogni-qualvolta la fessura attraversa una delle linee verticali della scala graduata dovranno essere registrati i valori del carico applicato, P, della lunghezza della delaminazione, a e la distanza di cui si sono aperti i bracci del provino, δ (Figura 3.3); l’errore massimo per la registrazione della posizione dell’apice deve essere minore di 0.5 mm. I dati vengono riportati su opportune curve (Figura 3.4). La prova si considera generalmente conclusa quando la propagazione della fessura raggiunge il fondo della scala (25 mm).

Figura 3.4: curve P–δ per matrice (a) fragile o (b) tenace [ASTM D5528-13].

I valori diGIc riportati su curve di resistenza o R-curve (Figura 3.5) possono essere ottenuti

utiliz-zando uno dei metodi illustrati nel seguito. Oltre ai valori registrati durante tutta la prova, sulle curve di resistenza vengono evidenziati anche il valore diGI,VIS(determinato sulla base dei valori registrati al

primo rilevamento visivo dell’avanzamento della fessura) eGI,NL (stimato sulla base dei valori al

mo-mento della perdita di linearità della curva P–δ ). Quest’ultimo valore, più conservativo degli altri, viene raccomandato per il calcolo diGIc[Adams et al., 2003].

In una prima fase la delaminazione propaga dall’inserto antiaderente senza subire l’influenza del bridgingdelle fibre, e a questa condizione corrispondono i valori stimati diGI,VISeGI,NL. Man mano che

il test procede, le fibre che sono andate gradualmente incontro al bridging fanno sì che sia necessaria una maggiore energia per consentire alla fessura di propagare, risultando in un aumento apparente della resistenza. Questo avviene fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio nella quale il numero delle nuove fibre estratte dalla matrice uguaglia il numero di quelle rotte, e il valore diGIc si assesta su

un valore costante. Questo giustifica il perché il valore diGI,NL, quindi esente da questo fenomeno, sia

preferito agli altri.

3.2.3 Calcolo diGIc

Come detto, sono tre i metodi che la norma ASTM D5528-13 propone per il calcolo diGIc: un metodo

(5)

3.2. PROVA DOUBLE-CANTILEVER BEAM (DCB) 43

Figura 3.5: esempio di curva di resistenza per la prova DCB [ASTM D5528-13].

un metodo di calibrazione della cedevolezza (compliance calibration method, CC); e infine una variante del precedente, denominato modified compliance calibration method (MCC). I valori numerici ottenuti utilizzando questi tre metodi mostrano tra di loro un sostanziale accordo, ma in generale il metodo MBT conduce ad una stima più conservativa in circa l’80% dei casi e il suo utilizzo è quindi raccomandato [ASTM D5528-13; Ducept, Gamby, e Davies, 1999].

Modified beam theory (MBT)

Si suppone che i due bracci del provino, nell’aprirsi sotto carico, si comportino come travi a mensola incastrate ad un estremo e sollecitate all’altro da un carico trasversale (Figura 3.3); in corrispondenza della sezione all’apice della fessura queste travi sono supposte incastrate alla parte integra, anch’essa assimilabile ad una trave. Si suppone inoltre che ognuna di queste travi si comporti come una trave di Eulero–Bernoulli. Sotto tali ipotesi la sezione all’apice della fessura, non potendo subire rotazioni differenti nelle sue parti, impone rotazioni nulle alle sezioni di estremità dei bracci (Figura 3.6) il cui momento d’inerzia (per una sezione rettangolare con larghezza b e altezza h/2) è

J=bh

3

96 . (3.4)

In questo caso il tasso di rilascio dell’energia risulta essere pari a GI=

3Pδ

2ba. (3.5)

Figura 3.6: rotazioni relative impedite all’apice della fessura nel caso in cui il provino sia considerato come un assemblaggio di travi di Eulero–Bernoulli.

Nella realtà questa espressione sovrastima il valore effettivo diGI dato che l’incastro perfetto

ipo-tizzato non è realmente realizzabile e in corrispondenza del fronte della delaminazione possono aversi rotazioni relative. Allo scopo di tenere in debito conto queste rotazioni la norma suggerisce di trattare il provino DCB come se contenesse una delaminazione leggermente più lunga: a + ∆. Il valore di ∆ può

(6)

(a) Modified beam theory (b) Compliace Calibration (c) Modified Compliance Calibration

Figura 3.7: diagrammi di ausilio al calcolo diGIc[ASTM D5528-13].

essere determinato sperimentalmente tracciando l’andamento della radice cubica delle cedevolezza,√3

C, in funzione della lunghezza di delaminazione (Figura 3.7(a)): la tenacità a frattura di modo I è pertanto

GI=

3Pδ

2b (a + |∆|). (3.6)

Compliance calibration method (CC)

Questo metodo empirico stima sperimentalmente la cedevolezza del provino, partendo dal presupposto che questa sia una funzione esponenziale della lunghezza della delaminazione.

Una volta valutata la cedevolezza (δi/Pi) per ogni i-esimo avanzamento della delaminazione se ne

traccia la variazione rispetto ai valori di aisu di un diagramma bilogaritmico (Figura 3.7(b)). Tracciando

la retta dei minimi quadrati se ne può calcolarne il coefficiente angolare n: n= ∆y

∆x

, (3.7)

dove ∆xe ∆ysono le grandezze indicate nella Figura 3.7(b).

La tenacità a frattura di modo I è calcolabile con la seguente espressione: GI=

nPδ

2ba. (3.8)

Modified compliance calibration method (MCC)

Combinando assieme tutti i risultati sperimentali con il metodo dei minimi quadrati, si traccia il diagram-ma che descrive l’andamento della lunghezza della delaminazione, adimensionalizzata con lo spessore del provino, a/h, al variare della radice cubica della cedevolezza. La pendenza della retta dei minimi quadrati (Figura 3.7(c)) è definita A1.

Il tasso di rilascio dell’energia elastica di modo I è quindi GI= 3P23 √ C2 2A1bh . (3.9)

3.3

Prova End-Notched Flexure (ENF)

La prova End-Notched Flexure, o ENF, per la caratterizzazione della resistenza a frattura di modo II dei laminati compositi unidirezionali [0◦]nè schematicamente illustrata in Figura 3.9.

La prova è standardizzata in Giappone dalla Japanese Industrial Standard (JIS K 7086) [Adams et al., 2003; Shivakumar Gouda, Chatterjee, Barhai, Jawali, et al., 2014], e è al momento sotto esame del D30 Committeeper la standardizzazione ASTM (ASTM WK22949).

(7)

3.3. PROVA END-NOTCHED FLEXURE (ENF) 45

(a) (b)

Figura 3.8: immagini delle prove sperimentali condotte presso il Consorzio CETMA (Brindisi) da Ben-nati e Valvo [2014]:

(a) prova DCB standard; (b) prova ENF standard.

Figura 3.9: schema della prova ENF.

Il provino ENF presenta una crescita potenzialmente instabile anche in controllo di spostamenti. È possibile determinare l’espressione del tasso di rilascio dell’energia G applicando la teoria classica delle travi (classical beam theory):

G= 9P

2Ca2

2b (2L3+ 3a3), (3.10)

dove P è il carico applicato, C è la cedevolezza, a è la lunghezza della fessura, b la larghezza del provino ed L la distanza tra il cilindro centrale di applicazione del carico e i due supporti laterali (Figure 3.9 e 3.10).

Figura 3.10: schema semplificato della condizione di carico della prova ENF. La cedevolezza C è ancora ricavabile dalla teoria delle travi, e risulta essere

C=2L

3+ 3a3

8E1bh3

, (3.11)

doveE1il modulo di elasticità, e h è il semi–spessore del provino.

La stabilità della propagazione della fessura può essere valutata in base al segno della derivata dG/da. In condizioni di controllo di carico, sostituendo l’Equazione 3.11 nella 3.10 e derivando rispetto ad a si

(8)

ottiene dG da = 9aP2 8E1b2h3 . (3.12)

Questa quantità è sempre positiva, e la fessura propaga in modo instabile. In condizioni id controllo di spostamenti, invece, si ottiene

dG da = 9δ2a 8E1b2h3C2  1 − 9a 3 2L3+ 3a3  . (3.13)

Questo si traduce in una condizione di stabilità: la delaminazione propaga in modo stabile se a≥ √3L

3 ≈ 0.7L. (3.14)

Quindi per il valore a0= L/2, generalmente assunto come lunghezza iniziale della fessura, la

delamina-zione propaga in modo instabile anche in controllo di spostamenti: a differenza che con la prova DCB (che in condizioni di controllo di spostamenti risulta sempre stabile), con la prova ENF è ottenibile soltanto una misurazione da ogni provino.

Preparazione del provino

Tipicamente il provino ENF ha una lunghezza di 120 mm e una larghezza b compresa tra i 20 e i 25 mm. Lo spessore 2h è compreso tra i 3 mm (provini in fibra di carbonio) e i 5 mm (provini in fibra di vetro), equivalenti a circa il 60% della frazione di volume di fibre. L’apparato di carico è tale che la distanza tra i punti di appoggio sia 2L = 100 mm e i cilindri di carico hanno diametro D di 5 mm.

Il rapporto tra lunghezza iniziale della fessura e la semilunghezza, a0/L, deve essere, possibilmente,

pari a 0.5.

Le modalità per la preparazione del provino sono analoghe a quelle già discusse per il provino DCB (Paragrafo 3.2.1), e prevedono l’inserimento di un film di Teflon R o Kapton R di 13 µm di spessore

[Adams et al., 2003].

Analoga a quella per il DCB è anche la preparazione della scala graduata sui due lati del provino al livello dell’apice della fessura.

L’opportunità di eseguire l’operazione di pre-cracking, da evitare in un provino DCB perché rischia di incentivare il fibre bridging, è ancora oggetto di discussione per la prova ENF, ma la norma giapponese non la raccomanda.

Il provino ENF è montato in un dispositivo standard di flessione a tre punti e la lunghezza iniziale della fessura deve essere a0= 25 mm (Figura 3.9).

Durante la prova viene monitorata la deflessione δ della mezzeria del provino, e vengono tracciati diagrammi P–δ (Figura 3.11). Prima che avvenga l’improvvisa rottura instabile deve essere registrata ogni più piccola variazione di lunghezza della delaminazione che generalmente, per matrici duttili e sotto le condizioni fissate dall’Equazione 3.14, risulta lenta e stabile. Materiali particolarmente fragili non mostrano discostamenti dal comportamento lineare e possono non presentare tratti di crescita stabile.

3.3.1 Calcolo diGIIc

Una volta che sia stato tracciato il diagramma P–δ (Figura 3.11), è possibile determinare il valore delle tenacità corrispondenti alla perdita di linearità (GII,NL), alla propagazione visibile della fessura (GII,VIS)

e al carico massimo (GII,MAX).

Nel caso in cui il modulo elastico a flessioneE1non sia noto, è possibile determinare il valore diGIIc

sulla base della cedevolezza misurata sperimentalmente. Infatti, GIIc=

9a2P2(C −CSH)

4bL3h1 + 1.5 a L

(9)

3.3. PROVA END-NOTCHED FLEXURE (ENF) 47

Figura 3.11: esempio del diagramma P–δ ottenibile durante una prova ENF [Adams et al., 2003]: PNLè l’intensità del carico al discostarti della curva dalla linearità;

PVISè l’intensità del carico al momento della prima propagazione rilevabile visivamente;

PMAXè l’intensità del carico al momento della propagazione instabile.

dove il fattore di correzione della cedevolezza CSH, derivante dalla deformabilità interlaminare a taglio,

è calcolabile dalla CSH=

6L + 3a −La32

20bhG13

. (3.16)

Nel calcolo di CSHè richiesta la conoscenza diG13; nel caso questo valore non fosse noto è ammissibile

utilizzare in sostituzione, per compositi unidirezionali, il moduloG12.

Noto il valore diE1, invece, è possibile applicare la seguente espressione:

GIIc= 9a2P2 16b2h3E 1 " 1 + 0.2 h a 2 E 1 G13 # . (3.17)

I valori diGII,NL, GII,VIS e GII,MAX si ottengono sostituendo i rispettivi valori del carico applicato

(PNL, PVIS, PMAX) e della corretta lunghezza della delaminazione nell’Equazione 3.15 o nell’Equazione

3.17.

Qualora si utilizzino provini di elevata lunghezze e con delaminazioni iniziali particolarmente grandi anche il metodo della calibrazione della cedevolezza può essere utilizzato per stimare la tenacità a frat-tura per il provino ENF: la lunghezza del provino è tale da permette di testarlo in differenti posizioni rispetto al sistema di fissaggio, traslandolo semplicemente da destra a sinistra. Questa operazione, la-sciando inalterata la distanza 2L tra gli appoggi, cambia virtualmente la lunghezza della fessura, ad ogni dimensione della quale è possibile associare il corrispettivo valore della cedevolezza senza la necessità di innescare la delaminazione. Si ottiene pertanto un insieme di valori di cedevolezze C al variare di a, che possono essere interpolati da una curva di terzo ordine:

C= C0+C3a3. (3.18)

Derivando l’Equazione 3.18 rispetto ad a e sostituendo nell’Equazione 2.20 (Pagina 31) si ottiene G = 3P2C3a2

2b . (3.19)

Per i provini ENF il metodo della calibrazione della cedevolezza risente comunque di un maggiore er-rore percentuale rispetto all’utilizzo delle Equazioni 3.15 e 3.17, fornendo una maggiore dispersione dei valori diGIIc. Questo è dovuto anche in parte alla piccola variabilità della cedevolezza rispetto alla

varia-zione della lunghezza di delaminavaria-zione, e alla difficile misuravaria-zione della lunghezza della delaminavaria-zione, del carico e della deflessione del provino [Adams et al., 2003].

(10)

Figura 3.12: schema della prova MMB.

3.4

Prova Mixed-Mode Bending (MMB)

Nella maggior parte dei casi, le delaminazioni nei laminati compositi soggetti alle effettive condizioni di carico sono caratterizzate da campi di sforzo all’apice della fessura ottenuti dalla sovrapposizione dei due modi puri: questa condizione prende il nome di modo misto.

Quando due o più modi di frattura sono coinvolti simultaneamente il valore della tenacità a frattura può essere molto diverso da quello dei modi puri presi singolarmente: la tenacità a frattura di modo II per molti compositi a matrice fragile risulta essere considerevolmente più alta di quella del modo I, mentre i valori per il modo misto si collocano all’interno dell’intervallo compreso tra i valori dei modi puri [Tay, 2003].

La maggior parte delle prove sperimentali proposte per l’investigazione del modo misto mostrano una notevole complessità, una inaccettabile dispersione dei dati, una ristretta gamma di combinazioni analizzabili e una eccessiva variabilità dell’angolo di modo misto, ψ, al variare della lunghezza della delaminazione.

L’angolo di modo misto pesa il contributo relativo dei due modi puri, ed è definito come

ψ = arctan s

GII

GI

. (3.20)

La prova che si è dimostrata meno prona agli aspetti sfavorevoli sopra elencati è la prova Mixed-Mode Bending, o MMB, proposta da Crews e Reeder [1988] e Reeder e Crews [1991], e illustrata in Figura 3.12. La prova è uno standard ASTM [ASTM D6671/D6671M-13], e presenta semplicità di esecuzione e una vasta gamma di ψ investigabili [Tay, 2003].

Il test MMB si dimostra essere una combinazione lineare dei test DCB (Paragrafo 3.2) e ENF (Paragrafo 3.3), e con questi condivide la stessa configurazione del provino.

Le Figure 3.12 e 3.13 illustrano l’apparato di carico utilizzato per la prova e i principali parametri geometrici. La leva di carico permette la sovrapposizione di un carico di apertura alla prova ENF di scorrimento. La distanza c tra il punto di applicazione del carico e la mezzeria, influendo sull’equilibrio alla rotazione della leva di carico, permette di regolare il rapporto tra la forza diretta verso il basso, Pd, e

la forza diretta verso l’alto, Pu(Figura 3.14), e di conseguenza regola la composizione dei modi. Il modo

II puro corrisponde a c = 0 e l’angolo ψ decresce di conseguenza all’aumentare di c.

Modificando la distanza LH tra il punto di applicazione del carico P e il piano medio del provino si può influire sulle non–linearità geometriche: si consiglia di porre LH = 15 mm.

(11)

3.4. PROVA MIXED-MODE BENDING (MMB) 49

I supporti di carico cilindrici devono avere diametro compreso tra 5 mm e 15 mm e dovrebbero essere montati su cuscinetti per evitare contributi parassiti legati all’attrito.

La leva di carico è realizzata in alluminio e ha una sezione trasversale a doppio T per limitarne il peso e massimizzarne la rigidezza flessionale. Le cerniere, anch’esse di alluminio, sono incollate alle superfici esterne dei bracci del provino. L’apparato di carico è saldamente ancorato ad una base in acciaio.

3.4.1 Il provino

La procedura per realizzare i provini, di lunghezza totale pari a 165 mm, è analoga a quella descritta per le prove precedenti (DCB e ENF).

La larghezza del provino b deve essere pari a 25 mm, e lo spessore 2h è compreso tra 3 e 4.4 mm. La lunghezza iniziale della delaminazione a0, valutata tra l’apice della fessura e le cerniere di carico, è

25 mm, mentre la semilunghezza L è 50 mm.

La lunghezza della leva di carico c dovrebbe essere impostata in modo tale da raggiungere i seguenti modi misti (GII/GI): 0.25, 1, e 4 secondo l’Equazione 3.28 a Pagina 50. Un minimo di tre provini per

ognuno di questi modi deve essere testato, per un totale di almeno nove provini.

Durante la prova viene registrata e graficata la risposta forza–spostamento, mantenendo la propaga-zione della fessura sotto controllo. La Figura 3.15 mostra un tipico grafico per un laminato in fibra di carbonio: questo è simile all’analogo diagramma per la prova ENF (Figura 3.11), e consente di valutare Gc,NL,Gc,VIS, eGc,MAX.

3.4.2 Calcolo diGc

La norma ASTM D6671/D6671M-13 fornisce espressioni semiempiriche per l’estrapolazione dei valori di tenacità a frattura di modo I e modo II dai rilevamenti sperimentali della prova MMB:

GI= 12PI2(a + χh)2 b2h3E 1 , (3.21) e GII= 9PII2(a + 0.42χh)2 16b2h3E 1 , (3.22)

Figura 3.13: fissaggio del provino per la prova MMB.

(12)

Figura 3.15: esempio della risposta forza–spostamento di un provino sottoposto alla prova MMB [Adams et al., 2003].

dove

G = GI+GII, (3.23)

e PIe PIIsono le componenti di apertura e di scorrimento del carico applicato P, definiti come

PI= P  3c − L 4L  , (3.24) e PII= P(c + L) L . (3.25)

Il fattore di correzione χ è ricavato interpolando l’Equazione 3.21 con valori ottenuti da un’analisi agli elementi finiti, e vale

χ = v u u t E1 11G13 " 3 − 2  Γ Γ + 1 2# , (3.26) dove Γ = 1.18 √ E1E2 G13 . (3.27)

Le espressioni alle Equazioni 3.21 e 3.22 sono considerate accurate per la maggior parte delle geometrie e dei materiali testati con la prova MMB.

Una espressione approssimata per il rapporto tra le tenacità di modo II e modo I, che mostra la scarsa dipendenza dalla lunghezza della delaminazione, è

GII GI = 3 4  c + L 3c − L 2 con c≥L 3. (3.28)

Per c < L/3 la prova si svolge senza che le facce della fessura si separino: questo corrisponde a porreGI

pari a zero e invalida tutto il modello descritto nelle Equazioni precedenti. L’Equazione 3.28 può essere utilizzata per una prima stima mentre per un valore più accurato del rapporto GII/GI si può calcolare

direttamente il rapporto tra le tenacità ottenute dall’Equazione 3.21 e dall’Equazione 3.22.

Applicare le Equazioni 3.21 e 3.22 richiede la conoscenza del carico critico e di alcune proprietà del materiale che devono essere precedentemente determinate attraverso opportune prove sperimentali.

(13)

3.5. APPLICABILITÀ DEI MODELLI DELLE PROVE STANDARD 51

Il modulo elasticoE1può essere calcolato una volta che sia nota la cedevolezza C del sistema costituito

dal provino e dal sistema di carico:

E1=

8 (3c − L)2(a + χh)3+ (c + L)2h4L3+ 6 (a + 0.42χh)3i

16CL2bh3 . (3.29)

È d’uso comune rappresentare la tenacità a frattura di modo misto in termini della frazione di modo II (GII/G), dove G è definito dall’Equazione 3.23. In questo modo si può ottenere il valore della tenacità a

frattura in condizioni di modo misto dalla seguente espressione empirica: Gc=GIc+ (GIIc−GIc) G II G β , (3.30)

dove β è un fattore empirico determinato dall’interpolazione dei dati sperimentali su un graficoGc–GGII.

3.5

Applicabilità dei modelli delle prove standard

Nei paragrafi precedenti sono richiamati brevemente i modelli semiempirici proposti nelle normative per la determinazione dei valori della tenacità del materiale.

Questi modelli, ottenuti spesso estrapolando risultati sperimentali e numerici, sono ormai entrati nell’uso comune per la caratterizzazione dei laminati unidirezionali simmetrici, ma come le stesse norme avvertono ripetutamente, non sono adattabili a laminati non simmetrici o multidirezionali. In questi casi infatti la complessità e il maggior numero di parametri geometrici e meccanici del provino vanificano la buona corrispondenza con il comportamento effettivo dei laminati [0◦]n che questi semplici modelli

empirici, dipendenti da un numero limitato di variabili, hanno dimostrato avere.

Nel Capitolo 4 sono illustrate le tecniche proposte in letteratura per affrontare lo studio di provini non simmetrici o con accoppiamento.

(14)

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