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Social Housing

“La complessità della questione (abitativa, [N.d.R.]) è anzi tradotta in una diversificazione delle risposte che ci obbliga a parlare non più di ‘politiche per la casa’ ma di politiche dell’abitare.” 1

Nel contesto del disagio abitativo, non più legato solo alle fasce economicamente più deboli ma anche alle difficoltà di quanti non riescono ad accedere al mercato pur disponendo di un dignitoso reddito, è evidente la necessità di approfondire la conoscenza del social housing come possibile campo di sperimentazione abitativa2, allo scopo di riempire il vuoto della zona intermedia fra l’edilizia pubblica tradizionale, quella delle “case popolari” destinate a coloro che si trovano in grave disagio economico, e l’edilizia privata, finanziata e realizzata alle condizioni del libero mercato. La fascia intermedia di edilizia abitativa, finanziata con finanziamenti provati o pubblico-privati, in Italia corrisponde all’Edilizia Residenziale Sociale (ERS) e rientra nell’ambito del social housing3.

Definizione

Tradotto alla lettera, social housing significa “abitare sociale” e rimanda a modelli finanziari, gestionali e abitativi sperimentati già da tempo in nord Europa e non solo. La parola "sociale" in questo caso indica sia l’accoglienza verso un target di soggetti che hanno una qualche forma di disagio abitativo, sia un diverso modo di abitare, che risponda alle esigenze della società attuale, complessa e in continua trasformazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, l'intervento di social housing si basa sul contrastare l'esclusione abitativa e sul rispondere alle difficoltà di chi non trova soluzioni alla propria portata sul mercato. Il secondo aspetto, invece, rimanda all'innovazione del modello abitativo: diventano importanti gli aspetti di “socievolezza” dell'abitare, la possibilità degli abitanti di appropriarsi dei contesti di vita e il loro coinvolgimento degli stessi nell'azione abitativa4. L’housing sociale comprende l’offerta di alloggi, servizi e strumenti con l’obiettivo di migliorare o rafforzare le condizioni abitative dei soggetti cui è rivolto, formando un contesto residenziale di qualità, in cui le persone possano vivere rapporti umani ricchi e significativi e sperimentare relazioni positive con gli altri abitanti della comunità5.

Peculiarità degli interventi

Gli interventi di questo tipo sono accomunati da alcuni aspetti: a) L’interazione tra soggetti pubblici e privati

b) L’assunzione, come target sociale, di diverse fasce della popolazione, con riferimento al reddito o alle esigenze di particolari categorie (anziani, precari, disabili, etc.)

c) L’offerta di diverse soluzioni di acquisto e/o di contratto

1

M.PRADA,C.RIZZICA, Un fondo per l’housing sociale, in G.FERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing. Promemoria per chi progetta, Bruno Mondadori, Orio Litta (LO), 2015, p. 159

2 Il CECODHAS (European Federation of Public, Cooperative & Social Housing), infatti, definisce il social housing

come l’insieme di attività volte a fornire soluzioni abitative per quei nuclei familiari i cui bisogni non possono essere soddisfatti alle condizioni di mercato e per le quali esistono regole di assegnazione. G.FERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op.cit., p. 156

3 Cfr. Ivi, p. 157 4

Cfr. M. BRONZINI, Nuove forme dell’abitare. L’housing sociale in Italia, Carocci Editore, Città di Castello (PG), novembre 2014, p. 10

5 G.F

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42 d) Lo sviluppo di destinazioni miste (residenziali, commerciali, culturali, ricreative, etc.)

e) L’apertura a servizi di vario genere: socio-assistenziali, sanitari, di accompagnamento, servizi di sviluppo della comunità (rivolti sia ai residenti che al vicinato)

f) Il coinvolgimento dei residenti nei processi decisionali per la gestione della comunità e delle residenze6.

Oltre a ciò, nei contesti di social housing possono trovare spazio i fattori utili per stimolare alcuni cambiamenti distributivi legati alle nuove esigenze e comfort7: la tecnologia, che consente di svolgere ovunque numerose attività, ridurre il volume degli oggetti, dar vita a spazi facilmente trasformabili e capaci di adattarsi a diversi usi contemporanei8; le ridotte disponibilità economiche, che impongono questa ottimizzazione e flessibilità degli spazi che trovano perfetta corrispondenza negli ambienti neutri, facilmente adattabili, anche nel tempo, alle esigenze di chi vi abita; infine, la disponibilità delle persone verso la possibilità di condividere spazi e servizi.

1. Schema del ciclo della vita e relativa evoluzione degli spazi della casa9

Questo latente desiderio o bisogno di sperimentare […] spazi condivisi10 ha comportato un diverso

approccio nella progettazione, e negli ultimi anni si è notevolmente diffuso attraverso la realizzazione di immobili con spazi comuni e cohousing, anche nel mercato di lusso. Il programma italiano di social housing è indirizzato sull’idea di rendere disponibili spazi e risorse così da massimizzare la comodità dell’abitazione senza la necessità di aumentare la superficie degli spazi privati11. Attraverso lo studio degli ambienti e il livello di intimità di cui necessitano, è possibile creare una sorta di graduatoria che

6 Cfr. Ivi, p. 7

7 Come la possibilità, sempre più frequente, di poter svolgere all’interno dell’abitazione attività che

precedentemente erano svolte al di fuori di essa: lavorare, studiare, guardare film, fare esercizio fisico e simili. Tra i nuovi comfort rientrano tutte le attrezzature elettroniche di cui sono dotate le cucine, le molte dotazioni delle camere dei bambini, le tecnologie ospitate all’interno dei soggiorni, che accolgono sempre più funzioni.

8

G.FERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 18

9 Tratto da G.F

ERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 19

10 Ivi, p. 23 11

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43 identifichi gli spazi che possono essere localizzati al di fuori dell’abitazione e quelli che necessariamente sono parte del nucleo più privato di essa.

2. Organizzazione degli spazi di vita dell'uomo in funzione del livello di intimità che richiedono12 La flessibilità

Quello della flessibilità un concetto basilare nella realizzazione di housing sociale, sebbene, nella pratica, i componenti impiantistici, strutturali, economici e normativi lo rendano complesso e critico13.

L’edificio, infatti, dovrebbe essere tecnologicamente aggiornato, così da rendere semplice l’intervento sugli impianti, non solo per l’apporto di modifiche, ma anche per la manutenzione ordinaria. La struttura, similmente, dovrebbe essere ottimizzata per ridurre i vincoli distributivi e consentire ripartizioni diverse da quella iniziale. Infine la distribuzione interna degli ambienti dovrebbe essere pensata in funzione della loro flessibilità nel tempo, attraverso gli accorgimenti summenzionati, ma anche con l’accorpamento delle cosiddette “parti umide”14 non al centro dell’alloggio e l’utilizzo di partizioni interne facilmente rimovibili e pavimentazioni continue.

Gli alloggi possono essere parzialmente o totalmente flessibili, a seconda che sia possibile ridistribuire solo la zona notte o tutto l’alloggio (lasciando come elementi fissi solo il bagno e la cucina).

Gli spazi integrativi

Gli ambienti localizzabili al di fuori della sfera privata delle abitazioni sono raccolti in locali comuni, basati sulle necessità della comunità e adattabili alle attività previste nell’arco della giornata o rispetto all’evoluzione nel tempo della comunità stessa.

12 Tratto da G.F

ERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 23

13 Cfr. Ivi, p. 69 14

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44

3. Schema tipo delle attività quotidiane che potrebbero essere svolte dai co-abitanti di un social housing, con età che variano dalla prima infanzia alla vecchiaia15

La flessibilità dello spazio comune è necessaria perché la sostenibilità di queste dotazioni è possibile se li spazi vengono sfruttati intensamente sia dagli inquilini che dal quartiere16, e perché le attività che vi sono svolte dipendono dalle scelte e necessità della comunità residente. I locali per i servizi integrativi all’abitare, quindi, dovrebbero essere preferibilmente separati dall’area residenziale, ad esempio posizionandoli al piano terra o in un edificio attiguo a quello residenziale, ma centrali nella vita comunitaria.

Gli spazi verdi

La progettazione del verde è uno strumento utile al raggiungimento degli obiettivi del social housing se pensato come luogo fruibile e definito nelle sue funzioni; possono esservi aree coltivate e curate dagli inquilini, altre destinate a barbecue comunitari, luoghi attrezzati per attività sportive, e simili. È, però, di fondamentale importanza non sottovalutare l’aspetto manutentivo: le aree verdi infatti richiedono una cura pressoché costante, e il loro degrado produce immediatamente una percezione di incuria ed abbandono17, per cui è preferibile l’utilizzo di specie arboree di facile manutenzione, resistenti e in grado di offrire l’ombra necessaria per l’uso degli spazi verdi anche durante la stagione estiva.

Il problema abitativo

La questione abitativa ha da sempre un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico e politico di molti Stati europei; l’impatto della lunga crisi economico-finanziaria18 sulla disponibilità economica delle famiglie e sulla rigidità del mercato immobiliare hanno riportato al centro dell’attenzione il problema dell’accesso alla casa e del fabbisogno abitativo, per i quali l’ambito dell’housing sociale rappresenta, in Europa, una possibile risposta. Molte sono le pratiche nate in questo ambito per sopperire alle necessità di alloggi adeguati; tra queste vi sono: l’abitazione ad affitto moderato in Francia, la

15

Tratto da G.FERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 112

16 G.F

ERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 112

17 Ivi, p. 110 18

Scoppiata nel 2007 in ambito immobiliare, la crisi dei mercati finanziari del 2007 è stata scatenata dalla diffusione dei mutui subprime di scarsa qualità e con garanzie reali valutate in modo non adeguato, che erano stati concessi alle famiglie economicamente disagiate, aumentando così il rischio connesso a questa tipologia di finanziamenti. Cfr. M. BRONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., p. 18

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45 residenza condivisa in Danimarca, l’alloggio pubblico in Svezia, l’housing a profitto limitato in Austria, la residenza protetta in Spagna, la promozione residenziale tramite sussidio pubblico in Germania, la locazione convenzionata/agevolata in Italia19.

L’eterogeneità delle proposte di social housing in ambito europeo deriva dalla specifica regolamentazione interna di ciascun Paese, e trova un punto di convergenza comune negli obiettivi (l’offerta di alloggi a costi calmierati) e nella scelta dei destinatari (individuati in base al profilo socio-economico e a condizioni di vulnerabilità e disagio, più o meno duraturo).

4. Alloggi in affitto in social housing come percentuale dello stock residenziale totale nei paesi dell'Unione Europea secondo i dati del 2011 raccolti dall’osservatorio CECODHAS dell’housing in Europa20

Il cosiddetto “abitare collettivo” è stato introdotto a seguito dei numerosi segnali di squilibrio registrati dai sistemi abitativi tradizionali europei; in Italia, ad esempio, il censimento ISTAT del 2011 delineava una situazione in cui il numero complessivo di abitazioni era superiore a quello delle famiglie, vi era una quantità di seconde case stimata pari circa al 11% delle abitazioni totali, e nonostante questo permanevano situazioni di esclusione abitativa e alloggi impropri21, senza

considerare che la disponibilità di un alloggio non è di per sé garanzia di benessere abitativo22. A questo proposito la federazione Europea delle organizzazioni nazionali che lavorano con i senza dimora (FEANTSA) ha distinto quattro condizioni di vulnerabilità abitativa: la condizione dei

19 Cfr. G.F

ERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 156

20 Tratto da G.F

ERRI, L.PACUCCI (a cura di), Realizzare social housing…, op. cit., p. 159. Fonte: Housing Europe

Review 2012. The nuts and bolts of European social housing systems, pubblicato da CECODHAS Housing Europe’s Observatory, Bruxelles (Belgio), ottobre 2011

21 M. B

RONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op.cit., p. 11

22

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46 senzatetto, che non hanno un riparo e dormono in strada; la condizione dei senza casa, alloggiati in ricoveri temporanei; la condizione di insecure housing, di coloro che, pur avendo un alloggio, non hanno garanzie legali del titolo di godimento; la condizione di inadeguate housing, che riguarda quanti vivono in una abitazione impropria o inadeguata23.

Le componenti del disagio abitativo

Risulta evidente, dunque, come il disagio abitativo sia legato a diversi aspetti: fisico, legale, sociale, economico, territoriale. La dimensione dell'abitare fisico riguarda il comfort e la sicurezza dell'ambiente in cui si vive, la presenza di servizi, di spazi e salubrità, e l'assenza di problematiche strutturali. La dimensione legale riguarda la garanzia di stabilità abitativa che deriva dal titolo di godimento (o dalla regolamentazione del mercato per quanto riguarda gli affitti). La dimensione sociale si riferisce a tutto ciò che ruota attorno all'abitare: se l'abitazione è, insieme a luogo di lavoro, un centro della vita sociale, è necessario considerare come essa risponde ai bisogni di relazione ed espressione degli individui. La dimensione economica si riferisce all'accessibilità del mercato e alla sostenibilità delle spese abitative, e ad oggi è probabilmente tra le cause maggiori di disagio abitativo, connotato principalmente come un problema di affordability24, dovuto cioè alla eccessiva onerosità dei costi sostenuti per l'abitazione: canoni di affitto, rate del muto, tasse, costi delle utenze, spese condominiali, etc. Infine, la dimensione territoriale, considera l'ambiente circostante e il relativo livello di segregazione e degrado, oppure la presenza di servizi, luoghi pubblici, spazi verdi, ecc.25

La nuova domanda abitativa

La crisi finanziaria è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di problematiche radicate nella domanda e offerta di immobili. Come già accennato, nel social housing sono ricercate alcune caratteristiche tipologiche trascurate nell’edilizia residenziale tradizionale, per la quale, negli ultimi anni, sono state prodotte molte innovazioni relative al solo ambito estetico ed esteriore del manufatto architettonico. Infatti, al contrario dell’offerta, che si è mantenuta rigida su tipologie edilizie e soluzioni abitative “storiche”, senza dar seguito ai cambiamenti sociodemografici ed economici che hanno caratterizzato la società negli ultimi decenni, la domanda abitativa si è evoluta con la società, divenuta più che mai poliedrica: restano le richieste del ceto medio in difficoltà, ma vi si aggiungono quelle dei giovani in cerca di indipendenza o con la necessità di rispondere a richieste di mobilità lavorativa, gli anziani soli o poco autonomi, le figure sviluppatesi con la crisi del modello familiare (come coloro che escono da un rapporto di coppia, le famiglie cosiddette allargate, etc.), le famiglie povere espulse dai circuiti economici, i profughi e i senza dimora.26

Tra gli altri fattori che hanno contribuito a creare il disagio nella domanda abitativa vi sono l’invecchiamento della popolazione27, le trasformazioni della struttura familiare e delle reti di

23 Cfr. Ibidem 24

L’affordability è misurata come rapporto fra le spese per l'abitazione e il reddito familiare, oppure come reddito che residua alla famiglia una volta tolte le spese per l'abitazione. Nel primo caso si considera sostenibile la spesa che ha incidenza non superiore al 30%, nel secondo caso è definita famiglia povera quella il cui reddito residuo scende al di sotto dei due terzi della soglia di povertà. Cfr. Ivi, p. 15

25 Cfr. Ivi, p. 12 26 Cfr. Ivi, p. 19

27 L’Italia è uno dei Paesi con la popolazione più longeva al mondo, e questo si riflette nella domanda abitativa

sia dal punto di vista della quantità che della qualità. Accresce, infatti, il numero di famiglie unipersonali, composte da anziani solo che decidono di restare a vivere nelle proprie abitazioni anche se talvolta sovradimensionate rispetto alle loro necessità e mancanti di tutte quelle componenti necessarie all’età

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47 solidarietà, i fenomeni migratori e l’aumento del precariato nel mondo del lavoro. Questi fattori sollecitano un ripensamento delle tradizionali modalità di risposta, circa, ad esempio, la stabilità nel tempo, lo spazio dei bisogni abitativi, la cultura abitativa stessa.

La questione dell’abitazione è un “fatto sociale” tra i più complessi, e può essere analizzato da diverse prospettive: l'alloggio come bene economico e proprietà, come diritto universale, come bene sociale, come progetto architettonico, come possibile destinazione d'uso del suolo (pianificazione urbanistica), come luogo di vita identitario e simbolico, come fattore di controllo sociale, come luogo di cura e di assistenza (alternativo alle forme istituzionalizzate), come possibilità di vita indipendente (soprattutto nell’ambito della disabilità), e altro ancora, per cui diventa importante maturare un diverso approccio alla “questione della casa”, per passare dalle “politiche per la casa” alle politiche dell’abitare28.

L’importanza dell’edilizia sociale

L’edilizia residenziale sociale è una modalità di intervento del governo, uno strumento della politica abitativa che si propone di garantire l’accesso all’abitazione a prezzi sostenibili, di rispondere ai bisogni specifici di particolari gruppo sociali, come anziani e disabili, di favorire l’integrazione e di contribuire al risparmio energetico e allo sviluppo del territorio. In molti Paesi europei l’offerta di edilizia residenziale sociale è affiancata dalla previsione di contributi per l’alloggio per fronteggiare le spese abitative, come i trasferimenti economici per le famiglie a basso reddito, housing allowances. Nonostante questo intervento statale possa avere alcune ripercussioni indesiderate, se non addirittura controproducenti in certi casi29, si tende a riconoscere la necessità di queste misure accanto alla garanzia di una certa quota di edilizia sociale, che avrebbe conseguenze positive sul sistema economico e lavorativo: promuove lo sviluppo dell’edilizia in una fase recessiva, incoraggia l’introduzione di innovazioni, aumenta la competitività nella produzione abitativa, può sostenere la mobilità dei lavoratori rispondendo alle richieste di flessibilità lavorativa, può favorire l’uscita anticipata dal nucleo d’origine, può incoraggiare i consumi in altri ambiti grazie all’abbattimento dei costi per l’abitazione; infine un ampio settore di alloggi in affitto sociale stabilizza il mercato abitativo e conseguentemente anche altri settori dell’economia30.

Social housing in Europa

Come precisato precedentemente, i modelli di social housing divergono molto da Paese a Paese e l’espressione stessa di social housing non è utilizzata comunemente in tutti i contesti31. In linea di massima, due elementi comuni alle diverse tipologie di social housing in Europa sono l’affordability32

avanzata (dispositivi domotici, telemedicina, sistemi di sicurezza, ecc.). L’allungamento della durata media della vita fa supporre, in prospettiva, la riduzione di risorse economiche a disposizione della famiglia e dei giovani in quanto maggiormente destinate all’assistenza degli anziani piuttosto che al sostegno economico delle nuove generazioni. Cfr. Ivi, pp. 19-20

28 Cfr. Ivi, p. 11

29 Essendo misure inversamente proporzionate al reddito, infatti, potrebbero influire negativamente sulla

propensione all’occupazione, dando vita a una sorta di “trappola della povertà”. Cfr. Ivi, p. 29

30 Cfr. Ivi, p. 30

31 Ivi, nota 1 p. 49: “In molti Paesi si utilizzano termini diversi come: habitations à loyer modéré (abitazioni ad

affitto moderato) in Francia, common housing o not-for-profit housing in Danimarca, housing promotion in Germania, allmännyttan (ossia abitazioni per tutti o di pubblica utilità) in Svezia, vivienda protegida (edilizia protetta) in Spagna, etc.”

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48 e le regole di allocazione finalizzate all’integrazione sociale e alla preservazione di un adeguato mix sociale e urbano33.

Un rapporto biennale del 2010 della Commissione europea sui servizi di interesse pubblico amplia il concetto di social housing, che viene così a comprendere:

“Lo sviluppo, il noleggio/vendita e la manutenzione di abitazioni a prezzi accessibili, nonché la loro assegnazione e gestione, che può includere anche la gestione di alloggi e quartieri. Sempre più frequentemente, la gestione degli alloggi sociali può comprendere aspetti sociali: ad esempio, i servizi di assistenza sono coinvolti in programmi di alloggio o di reinserimento per gruppi specifici o nella gestione del debito per le famiglie a basso reddito. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, specifici istituti di cura coprono la componente acro e collaborano con i fornitori di alloggi sociali.” 34

Va precisato che esiste una distinzione tra social housing e edilizia residenziale sociale in affitto (o social rented sector), in quanto il primo comprende anche la possibilità di accedere facilmente alla proprietà, cosicché possa essere garantita a determinate fasce di popolazione. L’edilizia residenziale sociale in affitto, invece, comprende alloggi realizzati grazie a forme di sostegno pubblico, destinati a gruppi in difficoltà economiche e/o sociali attraverso canoni di affitto calmierati. 35

Edilizia sociale dal secondo dopoguerra ad oggi

Alle politiche abitative configurate a fine Ottocento da grandi riformisti, filantropi e capitalisti sulla base di necessità di salute pubblica e controllo sociale, seguono, solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, programmi pubblici su vasta scala per la tutela del bisogno abitativo36.

Inizialmente vi è la necessità di ricostruire il patrimonio edilizio distrutto durante la guerra, per cui l'orientamento è di tipo quantitativo poiché la prima necessità è colmare il vuoto creatosi tra domanda e offerta (fase di ripresa, 1945-1960). In seguito, però, l’approccio iniziale comporta un'importante riqualificazione urbana, attuata secondo scelte diverse da parte dei singoli paesi europei, in cui si pone maggiore attenzione alla qualità abitativa e alla vivibilità dei contesti ad alta concentrazione di edilizia sociale (periodo detto di “crescente diversità”37, 1960-1975). Una terza fase (1975-1990) vede l’attuazione di politiche di razionalizzazione a favore della riqualificazione del patrimonio abitativo esistente: si avviano processi di privatizzazione dell'edilizia sociale, liberalizzazione degli affitti e decentralizzazione delle responsabilità politiche e in tutti i paesi si assiste a un graduale disimpegno dello Stato dalla produzione diretta di abitazioni. Infine, dagli anni 90 fino alla crisi economico-finanziaria del 2007 sono confermate alcune tendenze della fase precedente, come il declino dell'investimento pubblico e l'attenzione verso specifiche categorie di utenti38.

33

M. BRONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op.cit., p. 50

34 Testo originale: “Development, renting/selling and maintenance of dwellings at affordable prices as well as

their allocation and management, which may also include the management of housing estates and neighborhoods. Increasingly, management of social housing can encompass social aspects: for example, care services are involved in housing or rehousing programs for specific groups or in debt-management for low-income households. In most cases, however, specific care institutions cover the acre component and collaborate with social housing providers.” Riportato in M. BRONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., p. 50

35 Ibidem

36 Tra i pochi esempi di grandi opere di urbanizzazione precedenti alla seconda metà del Novecento, vi è la

diffusa opera di modernizzazione e urbanizzazione della città di Parigi, pianificata da Haussmann tra il 1850 e il 1870 per volere dell’imperatore Napoleone III.

37 M. B

RONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., p. 56

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49 Al di là delle differenze sviluppate nel secondo dopoguerra, esistono elementi ricorrenti nelle risposte di ciascun paese europeo ai cambiamenti sociodemografici ed economici:

- decentralizzazione politica delle responsabilità in materia di housing in favore di autorità regionali e locali

- esplicito sostegno alla proprietà della casa - processi di privatizzazione dell'edilizia sociale

- spostamento dell'azione pubblica verso il sostegno economico alla domanda - attenzione alla riqualificazione delle aree di edilizia sociale del dopoguerra

- cambiamento nel target dell'edilizia sociale (con misure rivolte a specifici gruppi vulnerabili)39.

Edilizia sociale negli orientamenti UE

Le politiche abitative non sono comprese negli ambiti di competenza riportati nel Trattato istitutivo dell’UE, che esclude dunque una politica comunitaria a riguardo; d’altro canto questo settore è influenzato dall’azione comunitaria in ambito ambientale, energetico, sociale, dei trasporti e altro ancora. La posizione dell’UE nei confronti dell’edilizia sociale risulta per certi versi ambigua in quanto chiede a ciascuno Stato membro la compatibilità delle politiche di housing sociale con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, e dunque una uniformità a livello comunitario, ma allo stesso tempo ribadisce la centralità del social housing nel contrasto all’esclusione sociale e nello stimolo allo sviluppo locale.40

Il diritto all’abitazione e all’assistenza abitativa sono stati riconosciuti dall’UE con gli articoli 30 e 31 della Carta Sociale Europea:

“Articolo 30 - Diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale

Per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale, le Parti s’impegnano:

a) a prendere misure nell’ambito di un approccio globale e coordinato per promuovere l’effettivo accesso in particolare al lavoro, all’abitazione, alla formazione professionale, all’insegnamento, alla cultura, all’assistenza sociale medica delle persone che si trovano o rischiano di trovarsi in situazioni di emarginazione sociale o di povertà, e delle loro famiglie; b) a riesaminare queste misure in vista del loro adattamento, se del caso.

Articolo 31 - Diritto all’abitazione

Per garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, le Parti s’impegnano a prendere misure destinate:

1) a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente;

2) a prevenire e ridurre lo status di "senza tetto" in vista di eliminarlo gradualmente;

3) a rendere il costo dell’abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti.”41

In modo simile con l’articolo 34 della Carta dei Diritti Fondamentali UE: “Articolo 34 - Sicurezza sociale e assistenza sociale

[…] 3. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire

39

Cfr. Ivi, p. 81

40 Cfr. Ivi, p. 84

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50 un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali.”42

Nel 2007 il Parlamento europeo è intervenuto sull’argomento approvando una relazione sul tema abitativo43 in cui viene fatto presente che l’inaccessibilità di abitazioni compromette le possibilità di integrazione e mobilità dei cittadini, e che l’influenza delle politiche comunitarie sul tema in questione richiederebbe la necessità di una dichiarazione ufficiale da parte dell’Unione sull’abitare. La relazione propone un coordinamento generale su più fronti: tra le diverse politiche comunitarie sugli alloggi, tra tutti i soggetti che si occupano dell’abitare a livello europeo, nazionale e locale, e tra autorità pubbliche, soggetti socioeconomici e società civile44.

In una Risoluzione sul social housing più recente45 si riafferma l’essenzialità del diritto all’alloggio, anche come premessa ad altri diritti fondamentali. La relazione mostra che la forma del social housing può essere un importante ammortizzatore sociale46 e stabilizzante dell’economia, ma è necessario che gli Stati membri dell’Unione si muovano nella stessa direzione a riguardo; attraverso l’edilizia sociale possono inoltre passare gli investimenti per l’economia verde e l’occupazione locale.

Social housing in Italia

Nel caso specifico italiano, il percorso delle politiche abitative è costituito da tre periodi, a partire dal secondo dopoguerra.

La prima fase va dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta, è il periodo del boom economico e della ricostruzione come conseguenze del conflitto mondiale. In questo contesto si susseguono diversi interventi pubblici sul tema dell’alloggio: tra i primi vi è la legge Fanfani47 del 1949 che istituisce il piano INA-Casa, artefice della realizzazione di alloggi pari al 10% delle nuove costruzioni nel decennio 1951-6148. Convenzionato con la Gestione INA-Casa, nel 1954 viene istituito l’Ente Gestione Servizio Sociale (EGSS), con obiettivi come il coordinamento degli assistenti sociali di comunità, la gestione dei nuovi centri sociali di quartiere49 e la promozione di inchieste sugli affittuari dei nuovi alloggi. Il Piano INA-Casa aveva ampio respiro politico e urbanistico, sebbene nella pratica ha spesso disatteso le aspettative, lasciando quartieri incompleti, spazi aperti mai realizzati, ecc50. Nel 1963 il piano

42 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, Capo IV: Solidarietà, Art. 34, Nizza, 7 Dicembre 2000 43

Dal titolo Risoluzione del Parlamento europeo del 10 maggio 2007 sugli alloggi e la politica regionale, cfr. M. BRONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., pp. 84-85

44 Ibidem

45 Approvata l’11 Giugno 2013, A7-0155/2013.

46 A proposito della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, talvolta amplificata da un’involontaria

ghettizzazione nelle realtà locali.

47 Cfr. M. B

RONZINI, Nuove forme dell’abitare, op. cit., nota 1 p. 94: “Fanfani ricostruisce n questi termini la

genesi del piano: Il piano per la costruzione di case per lavoratori è nato per la preoccupazione […] di recare un contributo al riassorbimento dei troppi disoccupati italiani. Reputai utile rivolgere il mio sguardo alle costruzioni edilizie, visto che […] esse sono le più capaci a fungere da volano nel sistema economico; stralcio di un’intervista a Fanfani in “Architettura-cantiere”, 1957 […]”.

48 Cfr. Ivi, pp. 93-94. Il Piano INA-Casa prevedeva la costruzione, con finanziamenti provenienti da contributi sui

salari e contributi statali, di abitazioni destinate alla locazione con possibilità di riscatto successivamente. Lo scopo principale era quello di incrementare l’occupazione nel campo edilizio. Lo Stato attraverso questo piano realizza alloggi economici, le cosiddette “case popolari”, ma anche nuove aree di espansione urbana.

49 Cfr. Ibidem: I nuovi quartieri nati con al spinta del Piano Fanfani erano ispirati a una politica che li vedeva

come luoghi capaci di assecondare le richieste dei propri abitanti, luoghi di comunità e partecipazione democratica.

50 Cfr. Ivi, p. 96: Inoltre, realizzando una base di piccoli proprietari tra i lavoratori e sostenendo indirettamente

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51 Casa è sostituito dalla Gestione Case per Lavoratori Dipendenti (GESCAL), principale canale di finanziamento dell’edilizia pubblica fino agli anni Novanta; i Comuni con più di 50.000 abitanti devono dotarsi dei Piani di Edilizia Economica e Popolare (PEEP) che individuino le aree da destinare a questo tipo di edilizia.

La seconda fase va dagli anni Settanta al Duemila e vede anch’essa importati provvedimenti. La Legge quadro di riforma sulla casa dell’ottobre 1971 propone una logica universalista; l’Edilizia Economica e Popolare è sostituita dall’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), il cui nome sottintende come questo settore non sia più rivolto solo al ceto popolare, bensì alla tutela di un interesse collettivo, con particolare accento sul finanziatore. Nel 1972 c’è il tentativo di riorganizzare la materia nell’ottica di una programmazione unitaria degli interventi pubblici51. Nel 1977 alcune funzioni vengono trasferite dallo Stato alle Regioni, come la programmazione regionale, la localizzazione, le attività di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica52, convenzionata, agevolata e sociale e il relativo finanziamento. L’anno successivo viene approvata una legge che prevede il recupero degli immobili esistenti53 e la legge per l’equo canone, che regolamenta il mercato degli affitti54. Se nella prima fase aveva dilagato una politica di tipo “quantitativo”, che mirava cioè a realizzare grandi quantitativi di alloggi indipendentemente dal contesto e non solo, nella seconda fase vengono adottate misure volte a una logica distributiva in cui lo Stato aveva ampio margine di programmazione, regolazione e intervento. Queste misure innovative sono, però, successivamente ridimensionate per far fronte all’emergenza abitativa. Negli anni Novanta il patrimonio di edilizia pubblica si riduce notevolmente, sia per i minori investimenti pubblici nel settore, sia per la politica favorevole alla privatizzazione generalizzata del patrimonio pubblico realizzato nel ventennio precedente55. L’edilizia sovvenzionata viene affiancata da quella agevolata56 e si ha in questa fase un importante cambiamento nelle politiche abitative: poiché la maggioranza della popolazione disponeva di un alloggio, l’attenzione viene rivolta al mantenimento e recupero del patrimonio esistente, delle aree urbane degradate e degli edifici abbandonati. Col passaggio di funzioni dallo Stato alle Regioni, si perdono le politiche nazionali di ampio respiro, e con la soppressione dell’ex GESCAL scompare dal bilancio pubblico il finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica. Nel 1998 il mercato degli affitti viene liberalizzato57 e la crescita dei canoni di locazione è stata solo in parte coperta dal Fondo Nazionale per il Sostegno alla Locazione per le famiglie a basso reddito, con stanziamenti altalenanti fino al 2010, quando sono stati interrotti per tre anni lasciando l’onere alle Regioni.

La terza fase, ancora in corso, ha avuto inizio col nuovo millennio, a seguito della legge costituzionale n.3 del 18 Ottobre 2001: allo Stato compete la definizione dei livelli minimi di prestazioni che devono essere garantiti sul territorio nazionale, alle Regioni compete la gestione del patrimonio immobiliare

di comunità è stato indirizzato verso l’assistenzialismo e l’attenuamento dei conflitti, piuttosto che verso l’innovazione sociale e lo scongiuro di conflitti.

51 Ivi, p. 98, D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 e 1036 52 Ibidem

53

Legge 457 del 5 Agosto 1978

54 Legge 392 del 27 Luglio 1978 55 M. B

RONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., p. 99

56 Nell’edilizia sovvenzionata gli Enti territoriali o lo Stato si fanno carico delle costruzioni; gli alloggi sono

assegnati a persone in difficoltà socio-economiche e si tratta di edifici di nuova costruzione o acquistati o recuperati. L’edilizia agevolata, invece, prevede un accordo fra pubblico e privato: le strutture sono proprietà di privati, e lo Stato interviene mettendo a disposizione mutui agevolati. Cfr. S. FRATTICCI,

www.progedil90.it/blog/differenze-tra-edilizia-sovvenzionata-agevolata-e-convenzionata/, ultima consultazione gennaio 2018.

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52 ERP. I limiti nella capacità di programmazione delle Regioni, l’esaurirsi progressivo degli introiti provenienti dai fondi ex GESCAL e la mancata introduzione di nuove forme di finanziamento, ha portato ad un drastico calo di alloggi ERP (la produzione annua è passata da 34.000 unità del 1984 a 1.900 del 2004) e di edilizia convenzionata o agevolata (da 56.00 a 11.000 unità58). Gli interventi dell’ultimo decennio si sono dunque rivolti al rilancio dell’edilizia pubblica, sono state sospese molte procedure di sfratto nei Comuni ad alta tensione abitativa, sono state prese misure di sostegno alla locazione ed è stato rafforzato il sostegno all’acquisto della prima casa, ma tutto questo è stato fatto senza una programmazione organica, con interventi frammentari59.

58 Cittalia – Fondazione ANCI Ricerche, 2010. Cfr. M. B

RONZINI, Nuove forme dell’abitare…, op. cit., p. 102

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