• Non ci sono risultati.

3- Una democrazia da difendere

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3- Una democrazia da difendere"

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

3- Una democrazia da difendere

§ 3.1 Transizione e “giustizia post-autoritaria”

Quando si parla di democratizzazione si intende un processo che solitamente viene suddiviso in due fasi, la transizione e il consolidamento. Ovviamente si tratta di una ripartizione semplificata rispetto alla complessità e alla totalità del percorso, cioè da quando cessa di operare il vecchio regime autoritario a quando si instaurano a pieno le nuove democrazie. Essendo un processo dinamico, può essere che ogni fase sopracitata possa scomporsi ulteriormente in più momenti.

Durante il XX secolo, si è sviluppò un forte interesse per lo studio delle “transizioni costituzionali”, ognuna caratterizzata da differenti aspetti rendendo così difficile delineare uno schema unico che le includesse tutte ; si è trattò infatti di percorsi 1 discordanti gli uni dagli altri, ma allo stesso tempo accomunati da un medesimo procedimento conclusosi con l’approvazione di nuovi documenti costituzionali . 2 Analizzando nello specifico l’argomento, possiamo notare che si susseguirono più “ondate”, grazie alle quali si ebbe la possibilità di assistere al trionfo del modello liberal-democratico: la prima riguardò le transizioni del secondo dopo guerra, caratterizzate dalla nascita di nuovi assetti istituzionali nei paesi sconfitti; la seconda faceva riferimento all’Europa meridionale, teatro dei regimi portoghese, spagnolo e greco, dove la transizione assunse aspetti meno violenti ed avvenne più velocemente; la terza ondata fu invece quella più complessa poiché in alcuni paesi non si è ancora conclusa e riguarda in

Considerando che il periodo di transizione ha riguardato tutta l’area dell’Europa centro-orientale, a

1

complicare la situazione era il numero di paesi coinvolti nello studio. Data la disomogeneità che li caratterizzava e le diverse situazioni interne ai singoli paesi, risultò complesso, se non impossibile, elaborare un unico schema di riferimento sull’argomento delle transazioni, si veda A. Di Gregorio,

Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di giustizia post-autoritaria, Franco Angeli, 2012, p. 37.

In alcuni casi, come per la Lettonia, venne mantenuta la vecchia Costituzione sotto l’aspetto della

2

denominazione e della struttura interna; in altri casi, come per la Slovacchia e la Croazia, ritenne opportuno creare nuovi testi costituzionali, si veda M. Ganino e G. Venturi, L’Europa di domani: verso l’allargamento dell’Unione, Milano, Giuffrè, 2002, p. 114.

(2)

primis la transizione post-comunista , seguita da quelle sviluppatesi in America Latina e 3 in Sudafrica; infine, l’ultima ondata ebbe come protagoniste le transizioni degli anni ’90 derivate da conflitti bellici ovvero Iraq e Afghanistan.

Inizialmente il processo di democratizzazione era concepito come un fenomeno prevedibile e coerente, in quanto si sosteneva che qualsiasi transizione avrebbe dovuto terminare con l’affermazione della democrazia dopo aver percorso una serie di fasi prestabilite. In realtà, come si evince dall’analisi delle singole “ondate”, non è mai stato possibile definire un modello univoco di transizione costituzionale, questo non solo perché il processo verso la democrazia in alcuni casi si è compiuto e in altri si è arrestato , ma anche a causa delle molteplici diversità riguardanti il contesto storico, 4 sociale, nazionale e politico che resero impossibile paragonare le varie situazioni.

Una delle questioni principali da tenere di conto durante lo studio di questo argomento è la protezione della democrazia, tema che si è andato a rinnovare negli ultimi anni in seguito alle intimidazioni terroristiche; l’obiettivo era quello di affermare l’ordinamento democratico evitando un ritorno al passato e cercando di prevenire il costituirsi di vecchie forze autoritarie. A tale proposito vennero introdotte norme costituzionali o legislazioni volte alla necessità di proteggere l’equilibrio dei valori costituzionali . 5

L’interesse primario durante i periodi di transizioni fu quello di “fare i conti con il passato”, ovvero tentare di migliore le modalità di applicazione della giustizia nei confronti dei crimini commessi durante i periodi precedenti di autoritarismo. Per questo

A differenza degli altri processi transitori, quelli post-comunisti, oltre ai mutamenti radicali effettuati

3

sotto un profili politico ed economico, apportarono cambiamenti anche a livello nazionale. Si fa riferimento alle rivendicazioni della propria identità e autodeterminazione nazionale con il riconoscimento legittimo all’interno dei nuovi ordinamenti, ivi, p. 128.

In questi casi, essendosi la transizione bloccata ad una certa fase del processo, si crearono delle forme

4

ibride alle quali furono attribuite diverse definizioni: semi-democrazie, pseudo-democrazie, democrazie di facciata, democrazie virtuali, ecc., si veda A. Di Gregorio, Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di giustizia post-autoritaria, op. cit., p. 36.

Il primo intervento a protezione della democrazia è stato effettuato nel 1937 da parte del

filosofo-5

politologo Karl Loewenstein. Attraverso la definizione “militant democracy”, egli faceva riferimento alle democrazie che ricorevvano all’utilizzo di strumenti di qualsiasi tipo per eliminare le varie forme di disaccordo nei confronti dei valori democratici, ivi, p. 41.

(3)

motivo la “post-conflict justice”6 divenne parte integrante nel processo di legittimazione dei sistemi democratici, soprattutto in seguito alla seconda guerra mondiale quando insorse la necessità di creare un riferimento teorico. Anche in questo caso, non è possibile delineare un’unica definizione che racchiuda tutte le misure attuate con lo scopo di rendere giustizia ai crimini commessi in passato; purtroppo il tema è troppo ampio e non si può prescindere dalla contestualizzazione storica e geografica di ogni transizione. Quando si affronta il tema della “giustizia di transizione” è giusto tener di conto che non si trattò di una questione prettamente giudiziaria, bensì anche politica: uno dei principali obiettivi fu quello di riuscire a controllare gli istinti sociali di vendetta, di delineare nuovi valori democratici e infine di creare una memoria collettiva condivisa che permettesse alla società di sentirsi partecipe di un qualcosa di più grande. Per far sì che ciò accadesse, venne incrementato l’impegno nel raggiungimento di certi obiettivi tra cui il tentativo di assicurare la ricerca della verità, l’affermazione della giustizia, l’elaborazione e la messa in atto di riforme democratiche e l’instaurazione dello Stato di diritto. Durante lo studio della materia, ci si trova davanti ad una duplice classificazione della “giustizia di transizione”, comunemente suddivisa in retributiva e restaurativa. Nel primo caso, essa si distingue per il processo penale, la figura del giudice, la centralità del momento sanzionatorio e per un rituale agonistico; la seconda non prevede sanzioni, ma solo condanne e può essere suddivisa a sua volta in diverse tipologie . 7

Ovviamente, laddove venne deciso di attuare delle sanzioni, ci si rese subito conto della difficoltà dell’orientamento scelto, difatti, vi era la possibilità di trovarsi davanti più ostacoli da affrontare , essendo il panorama giudiziario limitato sotto certi aspetti e 8

Seppur generica come definizione, si riporta quanto scritto nell’Encyclopedia of Genocide and

6

Crimes against Humanity circa la “transitional justice”: “Come le società affrontato le eredità dei precedenti abusi dei diritti umani, delle atrocità di massa, o di altre forme di severo trauma sociale, compreso il genocidio o la guerra civile, allo scopo di costruire un futuro più democratico, giusto e pacifico”, ivi, p. 50.

Le tipologie in questione sono: alternative dispute resolution, victim-offender mediation, victim

7

centred approach, family group conferencing. La giustizia restaurativa non prevede sanzioni e questo perché il crimine è inteso come violazione di una persona da parte di un’altra e non come violazione di una regola, ivi, p. 53.

Le possibili difficoltà riscontrabili erano: il malfunzionamento del sistema giudiziario, il disinteresse ad

8

investigare da parte delle autorità competenti, la carenza di norme adeguate e il dover rispettare i principi di un giusto processo, ivi, p. 54.

(4)

rischioso da applicare. Ad incidere sul potenziamento della “giustizia post-autoritaria” furono le circostanze in cui si sviluppò il processo transitorio; infatti, è più giusto partire proprio dall’analisi del tipo di regime che caratterizzò ogni singolo paese in passato. Paradossalmente, negli stati in cui il regime autoritario fu più longevo e radicato nella società risulta maggiormente complicato attuare norme e sanzioni . 9

La Repubblica Ceca si è sempre impegnata per eliminare ogni traccia di protezionismo e assistenzialismo dallo scenario normativo al fine di rendere più efficiente l’applicazione della “giustizia di transizione”. Alcuni provvedimenti riguardanti i risarcimenti risalgono già al 1990 quando il Parlamento federale decise che dovevano esser ricompensati tutti i torti commessi tra il 25 febbraio 1948 e il 17 novembre 1989. Le leggi in questione erano applicabili per le questioni concernenti sia il campo della proprietà che il campo delle riabilitazioni giudiziarie; per molto tempo queste norme rimasero al centro di accese discussioni, in quanto ci si domandava quale fosse il miglior modo di svolgere le restituzioni. Una prima opzione prevedeva la resa in natura, ovvero in forma originaria dei beni confiscati; la seconda optava per la concessione di indennizzi monetari; la terza proposta era di rilasciare coupons da scambiare con quote delle imprese da privatizzare. Alla fine fu scelta la restituzione in natura dei beni e venne specificato che ne avrebbero potuto far richiesta solo persone fisiche, in qualità di proprietari originari, eredi o parenti.

Per concluder credo sia opportuno stilare un breve elenco di quelle che sono state le tipologie principale sviluppatesi nell’Europa centro-orientale in ambito di giustizia post-autoritaria: giustizia penale o punitiva, sia a livello nazionale che internazionale; commissioni di inchiesta parlamentari e commissioni per la verità e la riconciliazisnione; amnistie, cioè forme di negazione delle punizioni; epurazioni politico-amministrative; leggi di compensazione o risarcimento; restituzione dei beni; politiche della memoria; riforme di istituzioni.

A prescindere da qualsiasi tipologia fosse stata scelta, era di primaria importanza assicurarsi che non venisse fatto un uso discriminatorio della giustizia post-autoritaria;

La difficoltà stava anche nell’impossibilità di ricostruire i fatti in maniera adeguata a causa della

9

(5)

purtroppo in alcuni casi, le organizzazioni internazionali dovettero intervenire denunciando l’illegalità e la drammaticità con cui si svolsero i processi. Per questo motivo, il diritto applicabile venne posto sotto osservazione e i paesi dell’Europa centro-orientale furono invitati ad apportare opportune modifiche.

§ 3.2 Diritti delle minoranze

Come ci è già capitato di spiegare nei capitoli precedenti, l’Europa centrale non è mai stata una zona omogenea data la complessa diversità che l’ha sempre caratterizzata.

La tutela delle minoranze è un tema molto delicato che ha oltremodo interessato sia i dibattiti politici che l’ambito normativo con l’elaborazione di nuovi principi, essendo divenuto uno dei criteri imprescindibili per l’accesso all’Unione Europea da parte dei nuovi stati . All’interno delle Costituzioni dei paesi dell’Europa centro-orientale non era 10 presente una chiara definizione di “minoranza”, veniva esclusivamente indicato che gli appartenenti a tale gruppo possano beneficiare dei diritti della persona e delle libertà fondamentali in base al principio di uguaglianza dinanzi alla legge e del principio di non discriminazione. Si faceva inoltre riferimento al diritto di libera scelta della propria nazionalità, come stabilito dall’art. 3 comma 3 della Carta dei diritti fondamentali : 11

“Ognuno ha il diritto di scegliere liberamente la propria nazionalità. Ogni forma di pressione diretta a sopprimere l’identità nazionale” 12

Nel 1993, in sede del Consiglio dei Ministri a Copenhagen, fu stabilito che oltre alla democrazia, al

10

principio di legalità e ai diritti dell’uomo, i paesi candidati avrebbero dovuto garantire “il rispetto delle minoranze e la protezione delle stesse”, si veda M. Ganino e G. Venturi, L’Europa di domani: verso l’allargamento dell’Unione, op. cit., p. 336.

Si ricordi che la Carte dei diritti e delle libertà fondamentali (Listina Základnich pravo a svobod),

11

approvata dall’Assemblea Federale nel dicembre 1992, garantisce la tutela dei diritti e ad essa è riconosciuto valore costituzionale dalla Costituzione all’art. 3, si veda T. Cerruti, L’Unione europea alla ricerca dei propri confini: i criteri politici di adesione e il ruolo dei nuovi stati membri, Torino, Giappichelli, 2010, p. 103.

M. Ganino e G. Venturi, L’Europa di domani: verso l’allargamento dell’Unione, op. cit., p. 338.

(6)

Entrando nello specifico della Costituzione ceca, si può notare come il Capitolo III sia interamente dedicato ai “Diritti delle minoranza nazionali ed etniche”, in particolare, ciò che ci interessa è l’art. 25:

“Ai cittadini che formano delle minoranze nazionali o etniche è garantito il loro pieno sviluppo, in particolare il diritto di sviluppare con gli altri membri della minoranza la propria cultura, il diritto di diffondere e di ricevere informazioni nella loro lingua e il diritto di unirsi in associazioni etniche. La legge stabilirà in merito a ciò delle disposizioni dettagliate. Ai cittadini che costituiscono delle minoranze nazionali o etniche devono inoltre esser garantiti in base alle condizioni stabilite per legge il diritto di educare nelle proprie lingue, il diritto di usare le proprie lingue nei contatti ufficiali, il diritto di partecipare alla soluzione delle questioni che riguardano le minoranza nazionali ed etniche” 13

Quanto illustrato in questo articolo trova riscontro all’interno della legislazione ordinaria con alcune norme, come per esempio la legge sulla scuola e la legge sulla televisione . 14

Nella Repubblica, come in altri paesi, erano considerati appartenente ad una minoranza solamente chi è in possesso della cittadinanza dello stato in cui vive; a tale soggetto erano riconosciuti e garantiti determinati diritti, ovvero quello allo sviluppo sotto molteplici aspetti e il diritto di coltivare, con altri appartenenti alla minoranza, la propria cultura, diffondere e ricevere informazioni nella lingua materna e associarsi in organizzazioni nazionali, secondo modalità stabilite dalla legge . 15

Come verrà meglio approfondito nel capitolo successivo, la Commissione europea espresse delle valutazioni su ogni singolo paese candidato dell’Europa centro-orientale, passando in analisi i settori componenti gli ordinamenti interni degli stati. Questi pareri, ripetuti poi negli anni, avevano lo scopo di evidenziare gli aspetti negativi che

Ivi, p. 343.

13

La legge sulla scuola specifica che agli studenti appartenenti alle minoranze si garantisce il diritto

14

all’istruzione nella loro lingua madre; la legge sulla televisione sottolinea l’impegno della Tv ceca ad occuparsi dello sviluppo dell’identità culturale della nazione ceca, così com delle nazionalità e delle minoranze della Repubblica Ceca, ibidem.

T. Cerruti, L’Unione europea alla ricerca dei propri confini: i criteri politici di adesione e il ruolo dei nuovi

15

(7)

necessitavano dell’intervento dei governi interni al fine di renderli adeguati agli standard europei.

Per quanto concerne la Repubblica Ceca, il tema delle minoranze è quello che ha richiesto maggiori interventi nell’ordinamento durante i lavori per l’adesione all’Unione. Inizialmente la Commissione europea nel suo parere del 1997 evidenziò che il governo ceco non aveva provveduto alla ratifica della Convenzione quadro sulle minoranze nazionali e che, a livello di diritto interno, non vi era presenza di rappresentanza delle minoranze nel Parlamento. In seguito venne riscontrato un crescente miglioramento della situazione riguardante il tema della tutela delle minoranze, questo grazie alle modifiche delle leggi precedenti e all’istituzione di nuove norme costituzionali sulla base degli standard internazionali. Questi passi avanti erano riscontrabili nei report periodici pubblicati dalla stessa Commissione negli anni successivi (1998, 1999 e 2000), anche se persistevano delle mancanze in ambito giuridico e nel processo di applicazione. L’aspetto più importante che continuava a rimanere irrisolto era quello dei Rom ; essi hanno 16 sempre vissuto sul territorio ceco e rappresentano la minoranza etnica più consistente. Già nel 1996 i sondaggi rivelavano che ben il 70% della popolazione non era in buoni rapporti con la minoranza Rom. Negli anni successivi più di un terzo dei cittadini cechi era a favore dell’idea di isolarli dagli altri abitanti e quasi la metà avrebbe approvato la loro definitiva espulsione dal paese . Nel 1998, nel nord della Repubblica Ceca, il 17 sentimento di astio nei confronti della minoranza Rom raggiunse proporzioni grottesche: nella città di Ústi venne addirittura avviata una petizione circa la costruzione di un muro di quattro metri che circondasse ed isolasse un quartiere abitato da Rom . 18

In risposta a quanto riportato dalla Commissione europea, il governo ceco mise in atto alcune iniziative di miglioramento: nel 1999 un gruppo di esperti venne incaricato di

La Commissione sottolineò come il problema dell’integrazione dei Rom riguardasse il godimento sia

16

dei diritti civili che dei diritti sociali (abitazioni, scuola, occupazione e utilizzo della lingua madre), ivi, p. 116.

R. Shepard, Czechoslovakia: the Velvet Revolution and beyond, op.cit. , p. 117.

17

“This wall is not meant to separate people. It is not racially motivated. We simply want to separate the decent

18

people from those that are not”, queste furono le parole del Sindaco in risposta alle domande dei giornalisti su quanto stava accadendo nella sua città, ivi, p. 118.

(8)

elaborare una strategia per integrare la minoranza Rom, strategia che l’anno successivo si trasformò in un progetto politico.

Durante il periodo di “monitoraggio” da parte della Commissione, in aggiunta agli istituti già esistenti , venne creato un nuovo organo: il difensore pubblico dei diritti. 19 Esso fu introdotto con la legge n. 349/1999 e si trattava di una personalità indipendente eletta dal Parlamento, che aveva il compito di controllare le attività di certi organi dell’amministrazione statale . 20

Un’altra situazione difficile da affrontare per la Repubblica Ceca e presa seriamente in considerazione solo negli anni 2000 fu quella riguardante l’aumento degli assassinii a sfondo razziale . Per esempio, nel 1997, uno studente del Sudan, Hassan Elamin, fu 21 ucciso da uno skinhead diciottenne; ovviamente non si trattava del primo assassinio con motivazioni razziali nel paese, ma provocò sconforto e rabbia all’interno della società a tal punto che molte persone scesero in piazza contro il Parlamento affinché si occupasse del movimento degli skinhead e della dilagante ostilità nel paese nei confronti dei “non bianchi” . 22

Uno degli obiettivi più importanti raggiunti nell’ambito del tema delle minoranze fu l’approvazione della legge n. 273 del luglio 2001 “sui diritti degli appartenenti alle minoranze nazionali e sulla modifica di alcune leggi”, elaborata sulla base delle prescrizioni della Convenzione quadro Europea e con il coinvolgimento di rappresentati delle minoranze. Essa racchiude al suo interno l’insieme dei diritti riconosciuti alle minoranze e delle disposizioni che incidono sulle leggi degli organi rappresentativi degli enti locali. La definizione di “minoranza” che troviamo nella legge è molto generica:

Gli organi già esistenti erano: il Consiglio per i diritti umani, istituito nel 1998; il Consiglio per le

19

minoranze, del 1992; il Consiglio per le competenze inerenti alla Comunità Rom, nato come Commissione nel 1997 e divenuto tale nel 2001, si veda T. Cerruti, L’Unione europea alla ricerca dei propri confini: i criteri politici di adesione e il ruolo dei nuovi stati membri, op. cit., pp. 112-113

Il difensore pubblico dei diritti viene eletto per sei anni dalla Camera dei deputati, gode di immunità

20

giuridica e non può essere perseguibile penalmente. Si attiva su sollecitazione di persone sia fisiche che giuridiche, o anche di propria iniziativa; può rigettare una petizione solo in determinati casi previsti dalla legge. Il primo difensore fu Otakar Motejl, si veda A. Di Gregorio, Repubblica Ceca, op. cit., p. 122.

Si evince dai rapporti che purtroppo le leggi penali sui reati di questo tipo non venivano applicate in

21

maniera adeguata. Il Governo si è impegnato nel 2002 organizzando campagne contro il razzismo e definendo programmi circa una migliore integrazione degli stranieri, ivi, p. 111.

R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., p. 116.

(9)

“La minoranza nazionale è un insieme di cittadini della Repubblica Ceca che vivono sul territorio […] che si distinguono dagli altri cittadini di norma per una comune origine etnica, per lingua, cultura e tradizioni […] e che manifesta la volontà di esser considerata minoranza nazionale al fine di un comune sforzo per mantenere e sviluppare le proprie tradizioni, lingua e cultura e al fine di esprimere e tutelare gli interessi della propria comunità, come storicamente formatasi” 23

Da tenere di conto, invece, è il fatto che la legge oltre a non presentare un elenco completo di quelle che erano le minoranze riconosciute e presenti all’interno della Repubblica, fa però una distinzione tra le minoranze nazionali cosiddette tradizionali e gli altri gruppi minoritari non cechi . 24

Infine è opportuno fare riferimento ad un’altra minoranza molto importante nella storia del paese, ovvero quella tedesca. A causa dei regimi di occupazione istituiti sul territorio ceco dai nazisti, molti tedeschi furono i diretti interessati di richieste di risarcimento e vittime di discriminazioni. Tra il 1940 e il 1946 elaborati e promulgati i cosiddetti “decreti Beneš” volti alla confisca dei beni tedeschi e la conseguente espulsione dal paese dei cittadini di origine tedesca e ungherese. Con la caduta del comunismo alla fine degli anni ’80, Streibl, Primo ministro bavarese, invitò il governo cecoslovacco a scusarsi con i tedeschi sudeti, proprio come la Germania aveva già fatto riconoscendo pubblicamente i crimini commessi dai nazisti; nel 1990 Havel si scusò personalmente per quanto accaduto. Negli anni successivi venne concluso un accordo tra Germania e Cecoslovacchia, al fine di rendere meno insidiose certe questioni; se da un lato i sudeti si aspettavano la totale approvazione delle loro richieste, dall’altro i partiti cecoslovacchi rimanevano divisi sull’argomento . 25

Alla fine degli anni ’90 i partiti tedeschi, ungheresi ed austriaci chiesero che venissero abrogati i “decreti Beneš” in quanto in contrapposizione con i criteri di

A. Di Gregorio, Repubblica Ceca, op. cit., p. 124.

23

Per gruppi minoritari non cechi, la legge fa riferimento agli immigrati degli anni ’70. Le minoranze

24

storiche del paese sono: i Rom, gli slovacchi, i croati, i bulgari, i greci, i ruteni, gli ebraici, i russi e gli ucraini, i vietnamiti e i cinesi, ivi, p. 123

Alcuni ritenevano la questione come una “colpa collettiva”, mentre altri si limitavano ad utilizzarla

25

(10)

adesione all’Unione Europea. Al riguardo si espresse la Corte costituzionale ceca nel 1995 affermando che tali decreti erano considerati simbolo dell’identità nazionale e che non venivano considerati come illegittimi. Nonostante le organizzazioni sudete abbiano continuato a lottare per veder annullati i decreti cechi, questi hanno continuato ad esser validi e non sono stati mai considerati come un impedimento giuridico per l’adesione.

§ 3.3 Il fenomeno dell’epurazione

Le varie procedure di epurazione furono portate avanti nell’Europa centrale a tutti i livelli, non solo all’interno degli organi di governo, ma anche tra i partiti politici. Il termine più comunemente utilizzato per indicare questo fenomeno fu “lustrazione”, che deriva dal latino lustratio, significa purificazione e venne utilizzato a livello burocratico per la prima volta in Cecoslovacchia ; con esso si indicavano le azioni di controllo da parte 26 della polizia sull’affidabilità politica delle persone che ricoprivano, o che si erano candidate, posizioni importanti sia in ambito economico che politico. La “lustrazione” fu un fenomeno che caratterizzò quasi esclusivamente i paesi post-comunisti , in quanto si 27 distinse molto dalle altre forme di epurazione portate avanti negli altri stati. Come affermato da Jon Elster, noto sociologo norvegese, la lustrazione si differenziò per esser stata prettamente uno strumento di esclusione; difatti le argomentazioni erano più

Nella lingua ufficiale si utilizzano i termini lustrace e lustrování. All’interno del dizionario ceco il verbo

26

lustrovati risulta essere un termine giuridico utilizzato per indicare “l’estrazione di dati dai registri del catasto fondiario o dai registri commerciali; procurarsi un estratto”, si veda A. Di Gregorio, Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di giustizia post-autoritaria, op. cit., p. 178.

In base agli studi sull’argomento possiamo notare come, a seconda del paese preso in analisi, ci si

27

possa trovar davanti a più diverse politiche di lustrazione. Roman David, professore presso il Lingnan College, definisce la “lustrazione” come “un insieme dei meccanismi che stabiliscono cosa accade se un esponente dell’ex apparato repressivo intende mantenere un particolare impiego pubblico”; in base da quanto lui affermato possono esser distinti i seguenti modelli di lustrazione: esclusivo (Cecoslovacchia, Bulgaria e Albania), inclusivo (Ungheria), inclusivo-riconciliatori (Polonia) e misto (Germania). Invece Wojciech Sadurski, professore all’Università di Sidney, invece basa la suddivisione dei modelli di lustrazione sul grado di severità delle sanzioni e sull’ampiezza delle categorie coinvolte ed essi sono: radicale (ex Ddr, Repubblica Ceca), indulgente (Polonia, Ungheria e Bulgaria) e intermedio (Albania e Paesi Baltici), ivi, pp. 186-190.

(11)

proiettate verso il futuro e non al passato. Ovviamente, i responsabili sotto accusa, erano colpiti più dall’azione punitiva del fenomeno . 28

Durante le transizioni post-comuniste con “lustrazione” ci si riferiva alla politica di limitazione della partecipazione di ex membri ed informatori della sicurezza di Stato (StB- Státni Bezpečnost) agli uffici dei governi, del parlamento o del pubblico impiego. Al riguardo, vennero adottate misure legislative circa i requisiti per l’eleggibilità a certe cariche politiche e per l’accesso e la permanenza al pubblico impiego; l’intento delle disposizioni era di assicurare che la persona che chiedeva di ricoprire una funzione pubblica non avesse avuto a che fare con l’apparato repressivo del regime comunista . 29 Altra caratteristica della “lustrazione” è che non si trattò di un fenomeno più violento delle altre tipologie di epurazione, questo perché vi furono diversi aspetti che incisero sulla sua applicazione, come per esempio la longevità del regime comunista, la questione morale, l’impegno dei comunisti nell’avvio del processo di transizione e le pressioni internazionali alla riconciliazione. In aggiunta, furono riscontrate difficoltà nell’elaborazione delle definizioni giuridiche di colpa e responsabilità. Si prenda in analisi la legge n. 198/1993 sul principio di “colpa collettiva” dove si afferma che “la responsabilità comune dei crimini deve esser condivisa da coloro che, in quanto funzionari, organizzatori e istigatori, hanno consentito l’attuazione del regime dal punto di vista politico e ideologico”. Purtroppo ci si rese presto conto che ad esser stati effettivamente puniti dall’applicazione delle leggi di lustrazione furono gli apparenti ai livelli bassi del sistema, ovvero coloro che non fecero altro che mettere in atto gli ordini ricevuti dagli individui politicamente responsabili.

La Cecoslovacchia fu il primo paese tra quelli appartenenti all’Europa centro-orientale ad approvare norme concernenti la “lustrazione”, infatti già nel 1991 venne adottata la legge n. 451 “su alcune condizioni ulteriori per poter ricoprire una serie di

La “lustrazione” in Repubblica Ceca era caratterizzata dalle notevoli conseguenze sociali che

28

spettavano agli accusati; sia la pubblicazione dei nomi che la ricerca di documentazione negli archivi erano vissute come forme di punizione, ivi, p. 180.

Di norma vengono controllati in tal senso gli incarichi principali dell’amministrazione e dell’esercito, i

29

quadri dirigenti dei media pubblici, la dirigenza delle aziende di proprietà statale e alcune cariche private, come per esempio i notai, gli avvocati, i giornalisti, ecc., ivi, p. 183.

(12)

funzioni in organi ed enti della Repubblica federale ceca e slovacca” . Al riguardo lo 30 scenari politico si schierò su fronti diversi: da un lato il centro-destra approvava la nuova norma ritenendola necessaria per ultimare il processo di purificazione della vita pubblica, dall’altro il centro-sinistra temeva invece che non fossero state valutate attentamente tutte le possibili conseguenze derivanti dalla sua adozione . In effetti, le preoccupazioni 31 della sinistra non erano del tutto infondate; rispetto al progetto iniziale, che prevedeva la presa in analisi di ogni singola persona riguardo la violazione dei diritti umani durante il regime, era stato adottato il principio di colpa collettiva rischiando così di dare vita ad ulteriori ingiustizie . Di conseguenza la legge venne impugnata di fronte alla Corte 32 Costituzionale, quest’ultima però ne convalidò le finalità affermando che la legge in questione agiva a tutela dell’interesse pubblico occupandosi di eliminare le ingiustizie del passato. In seguito alla sua adozione furono più di 300.000 le richieste di lustrazioni e l’approccio non diminuì di severità con la nascita della Repubblica Ceca nel 1993, quando la legge divenne parte dell’ordinamento ceco. Nel 1995 venne richiesto di estendere il periodo di validità della legge fino alla fine del 2000 . 33

Analizziamo in breve quella che è la procedura di “lustrazione”. Prima di tutto la persona che ricopre

30

o vuole ricoprire una determinata carica esibisce un certificato riguardante la sua passata appartenenza/ collaborazione con la polizia segreta e deve inoltre dichiarare di non aver fatto parte di atri gruppi elencati nella legge. Se questa persona non soddisfa i criteri stabiliti, il rapporto di lavoro cessa entro 15 giorni; l’atto di licenziamento può essere impugnato dal cittadino entro due mesi. La procedura non viene applicata a che ricopre o vuole ricoprire cariche politiche elettive, ivi, pp. 232-233.

Il Partito Civico democratico (ODS) si schierò a favore della legge di “lustrazione” a differenza del

31

Movimento per una Slovacchia democratica (HZDS) che ha sempre espresso la sua contrarietà, ivi, p. 229.

Erano diverse le motivazioni che avrebbero potuto dar vita a nuove ingiustizie: in primis, i dossier

32

della polizia segreta risultavano incompleti, distrutti o in certi casi falsificati; in secondo luogo non veniva effettuata una classificazione dei gradi di collaborazionismo; infine molte volte le persone non incluse negli elenchi non per forza erano estranee al regime, si veda A. Di Gregorio, Repubblica Ceca, op. cit., p. 41.

Il Presidente Havel aveva firmato la legge del 1991, ma in occasione dell’emendamento del 1995 si

33

oppose; il suo timore era che il paese risultasse esser ancora in una fase rivoluzionaria prorogando i termini di lustrazione, si veda A. Di Gregorio, Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di giustizia post-autoritaria, op. cit., p. 230.

(13)

Moti paesi dell’Europa Centrale decisero di voler rendere pubblici gli archivi contenti i dossier della ex polizia segreta ; i motivi di questa scelta sono tre: la possibilità 34 di elaborare una documentazione idonea per la lustrazione, esser la base probatoria per i processi penali e incentivare la conoscenza della verità. L’aver collaborato con la polizia era considerata una delle peggiori forme di coinvolgimento con il regime comunista. L’obiettivo dei servizi segreti era quello di dissipare ogni forma di dissenso ed opposizione, attuare forme di censura nei confronti della stampa e proteggere i leader del partito; sebbene svolgesse un ruolo di rilievo, la polizia non era altro che un mero strumento dei comunisti. I sevizi segreti vennero sciolti in seguito alla fine del regime, il 15 febbraio 1990.

Per quanto riguarda la Repubblica Ceca non era mai stato preso alcun provvedimento ufficiale circa l’apertura dei dossier prima del 1996, quando venne adottata la legge n. 140 “sull’accesso ai dossier derivanti dall’attività della ex sicurezza di Stato”. Questa fu successivamente modificata in più occasioni: la prima volta nel 2002 su volontà del Partito civico-democratico e una seconda volta nel 2004 in seguito ad una nuova legge sugli archivi e quando quest’ultima entrò in vigore nel 2005, i cittadini 35 ebbero la possibilità di richiedere la visione dei dossier non solo riguardanti gli agenti, ma anche quelli relativi a soggetti ostili al regime.

Nel 2007 venne messa in atto la più grande apertura degli archivi dei cittadini cechi, un progetto che prese il nome di “passato aperto”; in relazione a questa iniziativa vennero anche creati un nuovo Istituto per lo studio dei regimi totalitari (Ustav pro studium totalitnich rezimu) e un Archivio degli apparati di sicurezza. Il compito principale fu quello di acquisire conoscenze sulla memoria dei periodi autoritari del passato, quello nazista (1938-1945) e quello comunista (1948-1989).

A differenza di altri paesi dell’Europa Centrale, la Repubblica Ceca non nascose mai il suo sentimento di rigetto per il passato comunista, troppo lontano dalle tradizioni

Essi presero questa decisione sebbene da un lato fossero consapevoli del rischio di incorrere nella

34

violazione della privacy e dall’altro pensassero che i dossier non erano altro che un insieme di documenti colmi di false testimonianze, ivi, p. 367.

Si tratta della legge n. 499/2004 secondo cui la protezione dei dati personali non concerne i

35

(14)

democratiche insite del paese. Sia per questo motivo, sia per la paura che i crimini commessi negli anni ’50 rimanessero impuniti, il Parlamento ceco nel 1993 approvò la legge n. 198 “sull’illegittimità del regime comunista e sull’opposizione ad esso”. In seguito, nel 1995, venne anche istituito dal Ministro degli Interni un Ufficio per la documentazione e l’investigazione dei crimini del comunismo (Úrad dokumentace a vyšetrovani zločinu komunismu), il cui compito era quello di ricercare e perseguire tutti i reati compiuti tra il 1948 e il 1989.

Possiamo concludere affermando che il tema della lustrazione è divenuto parte integrante della nuova società democratica ceca; è stato più volte sottolineato che la “lustrazione” venne utilizzata come strumento politico e giuridico durante la formulazione del nuovo assetto costituzionale dello Stato. Sebbene gli ostacoli e le critiche internazionali alla legge di “lustrazione” siano stati molti , il paese ha terminato 36 il suo percorso di transizione con il consolidamento democratico e la sua integrazione sia nella NATO che nell’Unione Europea.

La Repubblica Ceca persiste nel voler scoprire ogni lato nascosto del suo passato, non tanto per punire quei reati commessi durante i periodi autoritari, ma piuttosto per difendere e rafforzare le proprie tradizioni democratiche che sono parte infrante della società civile.

In più occasioni le organizzazioni e le corti internazionali hanno ritenuto i processi di “lustrazione”

36

incompatibili con i principi del costituzionalismo. A tale riguardo vennero elaborati dei requisiti che i paesi, al cui interno venivano attuate leggi di “lustrazione”, avrebbe dovuto rispettare, come si evince dalla Risoluzione n. 1096 del Consiglio d’Europa del 1996 dove era affermato che tali leggi “sono compatibili con uno stato di diritto democratico solo se sono rispettati una serie di criteri”. Venne riscontrato che quasi la totalità dei paesi coinvolti non stavano rispettando i principi richiesti e furono dunque esortati dall’Unione ad adeguasi ad essi, ivi, p. 451.

Riferimenti

Documenti correlati

Ebbene questa onnipotenza è ciò che si richiede alla politica perché la politica possa essere impotente nei confronti dei mercati, subalterna nei

En España, don Giovanni Cagliero también inicia la obra salesiana con el Oratorio festivo, tanto en Utrera (1881), como, sobre todo, en Málaga, garanti- zando a Don Bosco y a don

I dati personali forniti dagli interessati mediante l’allegato modulo saranno raccolti presso l’ufficio comunale di censimento del comune di Jesolo e trattati unicamente per

Per mantenere un legame permanente tra i cooperatori sloveni e i responsabili della comunità salesiana, il 28 gennaio 1895 don Rua nominò il catechista Janez Smrekar come direttore

Una buona parte della corrispondenza gira sui problemi finanziari della compera di terreni e le costruzioni della chiesa del Sacro Cuore a Battersea e delle altre case in

En primer lugar, la comprobación de la resonancia social que el carisma sale- siano ya tenía en España en los años que abarca el presente trabajo, irradiado no sólo desde las Casas

L’IGAS raccomanda alla DGT di quantificare gli obiettivi ispettivi all’inizio di ogni anno e di organizzare la preparazione del piano d’azione regionale e

Claudio Capra nel ruolo di Segretario, si avvale della significativa partecipazione di Colleghi Dirigenti ANDI (Dr. Paolo Dri, Dr. Alessandro Zovi) ed è espressione della