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Studio numerico della dispersione di effluenti tossici derivanti da incendi di depositi di rifiuti

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA DELLA SICUREZZA CIVILE E INDUSTRIALE

Tesi di Laurea Magistrale

Studio numerico della dispersione di effluenti tossici

derivanti da incendi di depositi di rifiuti

Relatore: Dott. Ing. Chiara Vianello

Correlatore: Ing. Paolo Mocellin

Laureando: Paolo Brigante

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Riassunto

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5

Indice

Introduzione ... 9

Capitolo 1 ... 13

Il ciclo e i numeri dei rifiuti in Italia ... 13

1.1 Produzione al livello nazionale e direttiva comunitaria ... 13

1.2 Percentuale raccolta differenziata in Italia ... 16

1.2.1 Composizione dei rifiuti urbani ... 17

1.3 Il riciclo e il recupero della Plastica ... 18

1.3.1 Separazione e compattazione della plastica ... 19

1.3.2 Riciclo meccanico omogeneo o rilavorazione ... 22

1.3.3 Riciclo meccanico eterogeneo o trasformazione ... 22

1.3.4 Riciclo chimico o depolimerizzazione ... 22

1.3.5 Recupero energetico o termovalorizzazione ... 23

1.4 Il riciclo e il recupero della Plastica ... 24

Capitolo 2 ... 27

Il fenomeno degli incendi di rifiuti ... 27

2.1 Eventi significativi sul territorio nazionale ... 27

2.1.1 Distribuzione sul territorio nazionale ... 27

2.1.2 Cause dell’aumento degli incendi ... 31

2.2 Gli stoccaggi di rifiuti ... 31

2.2.1 Le nuove Linee Guida per la gestione operativa degli stoccaggi ... 32

Capitolo 3 ... 37

Incendio di materie plastiche ... 37

3.1 La combustione ... 37

3.1.1 Tipologie di combustibili e triangolo del fuoco ... 37

3.1.2 La combustione completa ed incompleta ... 37

3.2 Materiali plastici ... 38

3.2.1 Polietilene (PE) ... 38

3.2.2 Polipropilene (PP) ... 40

3.2.3 Polietilentereftalato (PET) ... 41

(6)

6

3.3.1 Le Diossine... 44

3.3.2 Gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) ... 46

3.4 Monitoraggio ambientale ... 48

3.4.1 Normativa di riferimento per il monitoraggio ambientale... 49

Capitolo 4 ... 51

Fire Dynamics Simulator ... 51

4.1 Fire Safety Engineering ... 51

4.2 Fire Dynamics Simulator ... 52

4.3 File input di FDS ... 52

4.3.1 Struttura del file ... 53

4.3 Output di FDS ... 55

Capitolo 5 ... 57

Modellazione di incendi di rifiuti ... 57

con FDS ... 57

5.1 Costruzione del modello ... 57

5.2 Scenario 1: Incendio di una pila di plastica mista. ... 67

5.2.1 Risultati ... 67

5.3 Scenario 2: Incendio di una pila di plastica mista. ... 71

5.3.1 Risultati ... 71

5.4 Scenario 3: Incendio di tre pile di plastica omogenee. ... 75

5.4.1 Risultati ... 75

5.5 Scenario 4: Incendio di tre pile di plastica omogenee. ... 79

5.5.1 Risultati ... 79

5.6 Calore prodotto dalla combustione ... 83

Capitolo 6 ... 87

Software ALOFT-PC ... 87

6.1 ALOFT-FT ... 87

6.1.1 Il modello matematico ... 87

6.1.2 Il modello numerico ... 88

6.1.3 Intrappolamento delle particelle ... 89

6.1.4 Il software ... 89

6.1.5 Input di Aloft ... 90

Capitolo 7 ... 93

(7)

7

7.1 Analisi della dispersione degli effluenti ... 93

7.2 Dispersione effluenti dello Scenario 1 ... 94

7.3 Dispersione effluenti dello Scenario 2 ... 98

7.4 Dispersione effluenti dello Scenario 3 ... 102

7.5 Dispersione effluenti dello Scenario 4 ... 106

Conclusioni ... 111

APPENDICE ... 115

Bibliografia ... 127

Indice bibliografico. ... 127

(8)
(9)

9

Introduzione

Il fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti, negli ultimi anni, ha assunto una considerevole dimensione a livello nazionale. Le notizie di incendi di rifiuti, di minore o maggiore gravità a seconda dei casi, di origine dolosa o colposa, riscuotono una sempre maggiore attenzione mediatica, dovuta anche alla crescente sensibilità alle ripercussioni sull’ambiente e sulla salute delle persone che essi causano. Cresce, dunque, l’esigenza di dare una dimensione a quello che è ormai considerato un “fenomeno” nazionale; analizzarne cause, sviluppi ed esiti, sia per l’uomo che per l’ambiente, in modo da poter agire preventivamente ed essere in grado di limitarne le conseguenze quando l’incendio è già avvenuto.

La conseguenza più diretta di un incendio è lo sviluppo di calore sotto forma di fiamma: quando si pensa al fuoco vengono subito in mente le ustioni che può provocare all’uomo. Un altro aspetto da non sottovalutare è la dispersione in atmosfera degli effluenti tossici che derivano dall’incendio. Quest’ultimo può senza dubbio ritenersi tra i risvolti peggiori, se non addirittura il più pericoloso, ai fini della salute e della sicurezza delle persone, così come per l’ambiente. Per l’uomo, il danno principale dovuto alla ricaduta dei fumi tossici, è quello subìto all’apparato respiratorio.

L’esposizione ai fumi può causare alle persone direttamente coinvolte nell’incendio degli effetti immediati, mentre ulteriori danni possono manifestarsi in tempi differiti anche a chi non ne è stato coinvolto in maniera diretta.

Si parla di effetti immediati riferendosi ai danni che possono occorrere alle vie aeree superiori, con ostruzione delle stesse, avvelenamento da ossido di carbonio ed inalazione polmonare di fumo. Altri tipi di complicazioni, tra cui polmonite, atelectasie (dovute proprio all’assenza di aria negli alveoli) ed embolie polmonari, sono riscontrabili anche a distanza di settimane o mesi dall’incendio.

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diretta di cancro. I più comuni, secondo la IARC, sono acetaldeide, benzene, acido cianidrico, ammoniaca, ossido di azoto e ossido di carbonio.

I danni ai polmoni derivano perlopiù dalla chiusura dei bronchi e dall’azione tossica sopracitata, mentre i danni causati dal calore dei fumi, grazie alla capacità delle vie aeree di raffreddare e umidificare l’aria inalata, sono limitati.

Gli effluenti degli incendi si dividono in due macro-componenti, i fumi e il particolato. Le manifestazioni cliniche più frequenti legate all’inalazione dei suddetti sono:

- fumi: respiro accelerato, tosse, difficoltà di respiro, raucedine ecc. Nelle successive 24-48 ore dall’esposizione, può insorgere ipossiemia (carenza di ossigeno nel sangue). Quest’ultima può aggravarsi quando insorgono gli edemi polmonari, in quanto la funzionalità respiratoria è ulteriormente limitata. I meccanismi di difesa del polmone vengono a mancare e spesso possono anche instaurarsi delle infezioni batteriche. Successivamente può instaurarsi una sindrome da distress respiratorio (ARDS), le cui cause sono tutt’ora poco chiare e che contribuisce in modo non irrilevante al peggioramento delle condizioni degli esposti.

L'ossido di carbonio è il maggiore responsabile dell’avvelenamento, esso si sostituisce all’ossigeno nel sangue, grazie soprattutto all’affinità che ha con la molecola dell’emoglobina. Questo fenomeno porta ad una carenza di ossigeno negli organi che necessitano di un suo continuo apporto, come il cervello ed il cuore, coinvolgendo molto spesso il sistema nervoso centrale. La sintomatologia nota comprende cefalea, nausea e vomito, stato confusionale, disturbi della vista, perdita dello stato di coscienza, convulsioni, fino ad arrivare al coma ed infine alla morte;

- polveri sottili: inizialmente erano note solamente le polveri con diametro pari a 10

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respiratorie già compromesse. Recenti studi hanno inoltre dimostrato come il particolato più fine sia in causa nella genesi di tumori.

Lo stoccaggio di rifiuti, inteso sia come operazioni di smaltimento che come operazioni di recupero, è un’attività che deve sempre rispondere alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché alle norme generali di prevenzione degli incendi, che impongono al datore di lavoro di valutare tutti i rischi connessi all’esercizio dell’impianto. È obbligatorio dunque adottare tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie. L’innesco di un incendio all’interno di un impianto, in cui sono presenti dei rifiuti, dovrà pertanto attivare tutte le opportune azioni previste nel piano di gestione dell’emergenza, anche in relazione ai rischi di natura chimico-biologica e ambientale.

La sensibilizzazione al riciclaggio maturata negli ultimi anni, così come l’esigenza di trattare i rifiuti in maniera differente in relazione alla “pericolosità” degli stessi, hanno di fatto portato ad una differenziazione degli stoccaggi. Per questo motivo all’interno degli impianti di trattamento o smaltimento dei rifiuti, si è avuta una sorta di omogeneizzazione dei materiali depositati. Possiamo infatti trovare depositi di rifiuti liquidi o solidi, all’aperto o al chiuso, imballati e non, sempre in relazione alle caratteristiche ed alla pericolosità del rifiuto stesso.

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Capitolo 1

Il ciclo e i numeri dei rifiuti in Italia

Il capitolo 1 riporta una panoramica sulle quantità di rifiuti presenti sul territorio nazionale, sulla loro gestione e distribuzione territoriale, divisi per tipologia e regione. In aggiunta, si riporta un breve focus sulla normativa europea in vigore e gli obbiettivi da essa prefissati.

1.1 Produzione al livello nazionale e direttiva comunitaria

Il Decreto Legislativo del n.22, del 5 febbraio 1997, definisce rifiuto un qualsiasi oggetto o sostanza, derivante da una qualsiasi attività umana o da cicli naturali, di cui il detentore abbia deciso di disfarsene, in autonoma scelta oppure obbligatoriamente.

A seconda dell’origine si dividono in rifiuti urbani e rifiuti speciali, mentre a seconda delle caratteristiche vengono classificati come rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

La Tabella 1 seguente mostra la produzione di rifiuti solidi urbani sul territorio italiano, divisa per regioni.

Tabella 1. Quantità rifiuti prodotti espressi in migliaia di tonnellate[1].

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14 Regione 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 Molise 135 136 132 133 127 124 121 122 120 117 Campania 2723 2719 2786 2640 2554 2545 2564 2567 2628 2561 Puglia 2135 2150 2150 2095 1972 1929 1912 1895 1914 1876 Basilicata 228 225 221 220 219 207 201 199 202 196 Calabria 922 944 942 898 852 830 811 803 793 774 Sicilia 2650 2602 2610 2580 2426 2380 2341 2350 2357 2299 Sardegna 847 837 825 795 755 733 725 720 734 723 ITALIA 32466 32109 32478 31386 29994 29573 29650 29522 30116 29583

Dopo l’aumento riscontrato tra il 2015 e il 2016, si nota immediatamente come nel corso del 2017 la produzione di rifiuti urbani sia nuovamente calata, attestandosi sui 29,6 milioni di tonnellate. Si è registrata infatti una riduzione pari a 1,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente, corrispondente a circa 534 mila tonnellate in meno di rifiuti prodotti rispetto al 2016. Il calo della produzione è avvenuto in tutte le regioni e, andando a considerare le tre macro-aree geografiche, si nota una riduzione pari a:

 - 2,2% nel Sud  - 2% nel Centro  - 1,4% al Nord

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I punti chiave sui quali si basa la direttiva sono i seguenti:

1) La direttiva stabilisce innanzitutto una gerarchia di azioni da intraprendere in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti che sono:

a) prevenzione; b) riutilizzo; c) riciclaggio;

d) recupero per altri scopi (ad esempio produzione di energia); e) smaltimento.

2) Ribadisce il principio “Chi inquina paga”, ossia che è onere del produttore iniziale accollarsi anche i costi di gestione del prodotto quando diventerà un rifiuto.

3) Introduce un concetto di “Responsabilità estesa del produttore”, ovvero che è il produttore ad avere la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto, incluse le operazioni di raccolta differenziata, di cernita e di trattamento.

4) Distingue tra rifiuti e sottoprodotti. Quest’ultimo è inteso come il risultato non principale di un processo di produzione. Scopo di tale processo era invece ottenere un altro prodotto. A differenza del rifiuto, il sottoprodotto deve dunque poter essere utilizzato in seguito.

5) La gestione dei rifiuti deve avvenire senza che vi sia alcun rischio per acqua, aria, suolo, flora e fauna, così come non deve arrecare danni al paesaggio ed eventualmente a siti di importanza storica e culturale.

6) Produttori e detentori di rifiuti devono trattarli autonomamente oppure consegnarli a degli operatori, ufficialmente riconosciuti, che se ne occuperanno.

7) È compito delle Autorità nazionali competenti elaborare piani di gestione e prevenzione dei rifiuti.

8) Per i rifiuti organici, oleosi e pericolosi si applicano delle condizioni particolari di gestione e smaltimento.

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1.2 Percentuale raccolta differenziata in Italia

Come precedentemente accennato, relativamente al riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti, l’articolo 11 della Direttiva 2008/98/ CE, prevede che entro il 2020 gli Stati membri adottino le misure necessarie per conseguire:

- un aumento sino al 50% in peso della preparazione, per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti provenienti dai nuclei domestici o da altra origine, ma assimilabili a domestici. Tale frazione percentuale è riferita come minimo alle frazioni di plastica, vetro, metalli e carta presenti all’interno dei rifiuti considerati.

Tale obiettivo è stato recepito nell’ordinamento nazionale tramite l’articolo 181 del D.Lgs. 152/2006 e successivamente modificato dal D.Lgs. 205/2010.

L’emanazione della direttiva 2018/851/UE ha invece introdotto nuovi obiettivi per la preparazione, per il riutilizzo e per il riciclaggio, stabilendo il raggiungimento di nuove percentuali in peso, da conseguirsi entro:

 il 2025 sino al 55%;  il 2030 sino al 60%;  il 2035 sino al 65%.

I tre nuovi obiettivi, a differenza del precedente, fanno riferimento all’intero ammontare dei rifiuti urbani prodotti.

Nel 2017 la percentuale di raccolta differenziata sul territorio italiano ha raggiunto il 55,5% della produzione nazionale, con una crescita di oltre 3 punti percentuali rispetto al 2016. In cifre assolute, la quantità di rifiuti destinati alla raccolta differenziata ammonta a 16,4 milioni di tonnellate, con un aumento di circa 600 mila tonnellate rispetto al all’anno precedente.

Se si considera il dato in relazione alle macro-aree geografiche italiane, si ottiene:  Nord 9,2 milioni di tonnellate raccolti;

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Considerando le percentuali rispetto alla produzione totale di rifiuti urbani si ha:  Nord 66,2%;

 Sud 51,8%;  Centro 41,9%.

La più alta percentuale di raccolta differenziata nel 2017, così come nel 2016, è stata conseguita dalla regione Veneto con il 73,6%, seguita da Trentino-Alto Adige con il 71,6%, Lombardia con il 69,6% e Friuli-Venezia Giulia con il 65,5%. La Figura 1 mostra le percentuali di raccolta differenziata per ogni Regione italiana.

Figura 1. Percentuale di raccolta dei rifiuti urbani suddivisa per regione[2].

1.2.1 Composizione dei rifiuti urbani

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e cartone. Il vetro rappresenta il 7,6% del totale riciclato, la plastica il 12,8% e il legno il 3% circa. Nella Tabella 2 è riportata la frazione merceologica media dei rifiuti urbani prodotti in Italia.

Tabella 2. Composizione merceologica media percentuale dei rifiuti urbani (media periodo 2008-2017) [2].

Frazione

merceologica

Nord

Centro

Sud

Italia

% Organico 34,6 32,7 39,8 35,7 Carta 22 25,8 20,2 22,6 Plastica 11,5 14,1 12,9 12,8 Metalli 2,7 2,8 2,3 2,6 Vetro 9,5 6,8 6,6 7,6 Legno 4,5 2,7 1,8 3 RAEE - - - 0,9 Tessili - - - 3,6 Materiali inerti/spazzamento - - - 0,8 Selettiva - - - 0,3 Pannolini/materiali assorbenti - - - 3,5 Altro - - - 6,6

1.3 Il riciclo e il recupero della Plastica

Lo smaltimento della plastica può essere effettuato attraverso il recupero e il riciclo della stessa, dalla quale è possibile non solo ottenere nuovi prodotti, ma anche energia, calore ed elettricità.

Il riciclaggio prevede la trasformazione della materia: una volta selezionata e lavorata adeguatamente, la plastica è pronta per essere riutilizzata infine come “materia prima seconda” (MPS); con tale termine si indicano le materie costituite da sfridi di lavorazione delle materie prime oppure da materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti. A questo punto la plastica viene destinata a dei centri di selezione e riciclo oppure a centri di compattazione e termovalorizzazione.

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1.3.1 Separazione e compattazione della plastica

All’interno di tali impianti si effettua essenzialmente la rilavorazione termica, meccanica o chimica dei rifiuti plastici. A seconda del materiale di partenza, il processo di riciclo necessita anche di un lavaggio preliminare della plastica. Il lavaggio viene eseguito per rimuovere tracce di sporco, residui alimentari ed eventuali sostanze tossiche, in modo da ottenere una materia prima seconda e dei manufatti completamente sicuri e privi di residui indesiderati e di pesticidi.

Raggiunto lo stabilimento di riciclaggio, la plastica raccolta e lavata viene destinata ad una prima fase all’interno di un impianto, che provvede dapprima all’apertura dei sacchetti di raccolta e successivamente alla separazione delle plastiche e dai metalli, quando presenti, mediante degli appositi separatori magnetici.

Si passa a questo punto ad una fase di separazione effettuata con degli appositi vagli rotanti che separano le diverse tipologie di plastiche in relazione alla dimensione delle stesse. Un vaglio rotante è una grossa centrifuga, di solito inserita a monte di impianti di selezione, che consente di effettuare la separazione dei materiali trattati sfruttando le diverse proprietà fisiche da essi posseduti, le quali vengono poi convogliate alle successive fasi del processo di selezione.

Nel caso della plastica il prodotto della separazione, comunemente chiamato sottovaglio, è composto prevalentemente da bottiglie, film plastici, nylon, polistirolo ma anche da frazioni estranee, ad es. carta o tessuti, che vengono inserite per sbaglio nella raccolta differenziata. Il materiale viene poi destinato ad una ulteriore fase di separazione mediante lettori ottici che separano la plastica in base ai polimeri di composizione e a eventuali colorazioni.

Plastica mista

Riciclaggio meccanico

Riciclaggio

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Contrariamente al caso precedente, in questo caso la separazione non avviene con un movimento rotatorio, ma con dei soffi d’aria.

Dei lettori ottici sono solitamente installati in successione sulla linea e sono composti rispettivamente da lampade VIS e NIR. Le prime VIS sono dotate di sensori a luce visibile, in grado di individuare i materiali in base alle caratteristiche cromatiche specifiche, mentre le lampade NIR sono dotate di infrarossi a corto raggio in grado di riconoscere i materiali considerando le caratteristiche della loro luce riflessa. In Figura 2 ne è riportato un esempio. In relazione alle applicazioni ed al tipo di materiale che si vuole selezionare, è possibile combinare i sensori dei lettori ottici in maniera differente. Ad esempio si può utilizzare il primo lettore per selezionare solo le bottiglie in polietilene, per poi passare al secondo lettore che seleziona gli altri polimeri.

Oltre ai metodi di separazione meccanici, molto spesso è prevista anche una selezione manuale delle materie plastiche. Il materiale che passa sul nastro trasportatore, viene passato al vaglio da una serie di addetti che hanno il compito di rimuovere eventuali materiali plastici non idonei al riciclaggio perché erroneamente smaltiti nella raccolta differenziata e correggere eventuali errori delle macchine (ad esempio quelli del lettore ottico sulla lettura del pigmento delle bottiglie).

La disposizione delle varie fasi è ovviamente variabile, in relazione soprattutto alla tipologia di materiali ricevuti, dalla destinazione degli stessi e dalla configurazione dell’impianto, anche in relazione alla presenza più o meno considerevole di manodopera.

A questo punto le materie plastiche vengono convogliate in una pressa e compattate in imballi omogenei per tipologia di plastica:

1. polietilene tereftalato - PET (data principalmente da bottiglie) in tre diverse colorazioni, cioè colorato, azzurrato e trasparente;

2. polietilene ad alta densità - HDPE (dato principalmente dai fustini dei detersivi e flaconi vari);

3. polietilene a bassa densità - LDPE (dato principalmente da buste, shopper e altro estensibile industriale).

Una volta ultimata questa fase di selezione è possibile dunque attivare uno dei seguenti processi di riciclo:

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21 ► Riciclo chimico;

► La parte di materiale plastico non recuperabile andrà invece a formare il cosiddetto rifiuto che costituisce la base per il recupero energetico (termovalorizzatore).

Figura 2. Fase di selezione tramite detettori NIR per tipo di colore sulle bottiglie di PET.

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1.3.2 Riciclo meccanico omogeneo o rilavorazione

Il materiale confezionato in balle di prodotto omogeneo viene avviato al successivo processo di lavorazione, che consente di ottenere nuove risorse da questi rifiuti. I materiali oramai divisi in pile omogenee, vengono macinati, lavati (per eliminare eventuali residui di colle, organici ecc.) ed ulteriormente separati con i sistemi visti in precedenza. Attraverso una sequenza di passaggi (macinazione a umido, flottazione, lavaggio, centrifugazione, essiccamento, macinazione fine, controlli) si ottengono infine quindi scaglie polimero destinate ad ulteriori lavorazioni.

1.3.3 Riciclo meccanico eterogeneo o trasformazione

Per materiali provenienti da raccolte differenziate senza selezione, contenenti PE, PP, PS, PVC e altri polimeri, il riciclo procede secondo tre fasi:

 triturazione e frantumazione grossolana del materiale;  densificazione;

 estrusione.

Ovviamente non tutti i polimeri sono sufficientemente compatibili, in modo tale da rendere economicamente vantaggiosa la loro miscelazione. Può accadere infatti che miscelando due polimeri diversi non si ottengono proprietà intermedie tra quelle dei polimeri di partenza, ma si ottengono proprietà tanto migliori o peggiori a seconda del livello di compatibilità degli stessi. Per ovviare a questo problema, spesso, si aggiunge alla mistura un terzo componente, detto compatibilizzante.

La plastica eterogenea mista ottenuta, ha delle proprietà meccaniche e di resistenza inferiori rispetto a quella omogenea, ma resta comunque un’ottima alternativa e trova largo impiego nella produzione di articoli e arredi per giardini, panchine, recinzioni, arredi per la città, cartelloni stradali, ecc.

1.3.4 Riciclo chimico o depolimerizzazione

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I polimeri delle diverse plastiche vengono sostanzialmente scomposti nei rispettivi monomeri, innescando una sorta di processo inverso rispetto a quello della loro formazione. I polimeri di policondensazione, per loro natura chimica, si prestano meglio a questo genere di trattamento, infatti il PET polietilentereftalato, le poliammidi PA (Nylon) ed i poliuretani PU possono essere efficacemente depolimerizzati.

I processi di decomposizione chimica sono vari e si differenziano in base al metodo utilizzato per compiere la depolimerizzazione. I più comuni sono Glicosi, Metanolisi e Ammonolisi. Si tratta di processi che utilizzano rispettivamente glicol tereflatico, metanolo e ammoniaca e che decompongono i polimeri, riportandoli allo stato di monomeri o di materia prima originale. Questi reagenti causano la decomposizione dei polimeri, tuttavia non si arriva alla struttura base di partenza ma a stadi intermedi. Tali procedimenti risultano vantaggiosi dal punto di vista economico solo per lo smaltimento di grandi quantità di materie plastiche, ma restituiscono un prodotto di ottima qualità.

Altri processi comuni di depolimerizzazione sono la Pirolisi, l’Idrogenazione e la Gassificazione. Nel primo caso il processo consiste nel portare il materiale sottovuoto ad alte temperature, così da ottenere gli idrocarburi e i gas in esso contenuti. Nel secondo caso si raggiunge lo stesso obiettivo sfruttando l’azione combinata dell’idrogeno e del calore, mentre l’ultimo caso è un processo effettuato in assenza di aria e a temperature dell’ordine degli 800°- 1600°C, dove si ottiene una miscela di syngas da utilizzare come combustibile nelle centrali termiche, per la lavorazione di altre materie oppure per la sintesi di altri prodotti chimici come il metanolo.

1.3.5 Recupero energetico o termovalorizzazione

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I rifiuti, dopo un’accurata selezione ed uno specifico trattamento di triturazione, prendono il nome di CDR – Combustibili Derivati dai Rifiuti – e sono molto utilizzati, oltre che nella produzione di energia, anche in alcuni processi industriali, come ad esempio nei cementifici. Il residuo di rifiuti, dopo la termovalorizzazione si attesta attorno al 10-12% del volume iniziale dei rifiuti, con un peso attorno al 15-20% dei rifiuti stessi, tuttavia resta la problematica legata alla tossicità dei derivanti dalla combustione. È necessario pertanto dotare gli impianti di efficaci sistemi di abbattimento degli inquinanti.

Gli impianti di questo tipo possono bruciare da 4 a 30 tonnellate di rifiuti ogni ora, producendo fino 450 kWh di energia elettrica per tonnellata di rifiuto e, se utilizzabile, fino a 1000 kWh di calore a bassa temperatura.

Il recupero di energia mediante i termovalorizzatori ha rappresentato negli ultimi decenni una valida soluzione al problema dei rifiuti. La combustione confinata e controllata dei rifiuti rappresenta infatti una importante alternativa rispetto all’interramento in discarica degli stessi, riducendo di fatto i volumi di rifiuti e di conseguenza anche le emissioni di metano dalle discariche e, allo stesso tempo, si è ridotta la richiesta di energia da fonti fossili. La termovalorizzazione è infatti divenuta, secondo l’EPA una sorgente di energia rinnovabile.

1.4 Il riciclo e il recupero della Plastica

Non tutti i rifiuti realizzati in plastica possono essere riciclati. In generale, sono destinati al processo di riciclaggio tutti i prodotti che recano le sigle PE, PET e PVC, mentre tutte le altre plastiche e i contenitori con residui di materiali organici o pericolosi sono da considerarsi esclusi dal processo, ma destinabili alla termovalorizzazione o al recupero energetico.

Nel primo caso, i rifiuti sono detti economicamente riciclabili e comprendono tutti i contenitori per liquidi, bottiglie per bevande, flaconi per prodotti per l’igiene personale e della casa, vaschette per l’asporto del cibo, confezioni di alimenti, polistirolo espanso degli imballaggi, borse di nylon e pellicola in plastica.

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plastica, tubi di dentifricio, bottiglie di olio, rifiuti ospedalieri (es.: siringhe, sacche per il plasma, contenitori per liquidi fisiologici e per emodialisi), beni durevoli di plastica (es.: articoli di casalinghi, elettrodomestici, completi per l'arredo, etc.), articoli per l'edilizia, grucce per appendiabiti, ecc.

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Capitolo 2

Il fenomeno degli incendi di rifiuti

Nel capitolo 2 viene condotta un’analisi degli incendi che avvengono su impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, con riferimento al contesto nazionale italiano. Di seguito un breve focus sulla normativa vigente per gli impianti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, in materia di sicurezza.

2.1 Eventi significativi sul territorio nazionale

La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, nel corso del 2017, ha effettuato una raccolta dati ed un approfondimento in merito agli incendi di impianti di stoccaggio di rifiuti, relativi al triennio 2014-2016 e il periodo gennaio - giugno 2017. Dal rapporto emesso è emerso come nel corso del triennio siano stati segnalati incendi di rifiuti sul territorio nazionale. Il numero cresce fino a 261 se si considerano anche gli eventi segnalati negli anni precedenti al 2014.

2.1.1 Distribuzione sul territorio nazionale

Nella Tabella 3, si possono osservare il numero di incendi esaminati dalla Commissione, divisi per anno e tra quelli che hanno colpito impianti di trattamento di rifiuti e quelli che hanno colpito discariche:

Tabella 3. Numero di incendi segnalati sul territorio nazionale nel periodo 2014-2017 [1].

IMPIANTI DISCARICHE Totale

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Come si evince dalla tabella, solo la prima metà dell’anno 2017 ha segnato il massimo incremento tendenziale dell’ultimo triennio, anche se nei due anni precedenti era già stato considerevole.

Volendo considerare la distribuzione territoriale degli eventi sulle macro-aree geografiche, avremo che:

 al Nord 52,6%;  al Sud 21,6%;  nel Centro 13,8%.

Questa distribuzione, tendenzialmente opposta ai storici problemi che hanno afflitto le regioni meridionali, è legata soprattutto alla maggior concentrazione di impianti di recupero e smaltimento di rifiuti nelle zone settentrionali, inevitabilmente legata alla maggior urbanizzazione e presenza di complessi industriali rispetto al Sud e alle Isole. Nella Tabella 4 sono riportati i dati relativi al numero di incendi sul territorio nazionale italiano nel periodo 2014-2017, divisi per macro-aree e la loro incidenza in percentuale sul totale.

Tabella 4. Numero di incendi segnalati sul territorio nazionale nel periodo 2014-2017, divisi per macro-aree e incidenza percentuale sul totale[1].

Incendi

Incidenza

NORD

124

47,5%

CENTRO

43

16,5%

SUD

62

23,7%

ISOLE

32

12,3%

TOTALE

261

100%

Il dato tuttavia può non risultare totalmente esaustivo della situazione, la Commissione ha infatti stimato una mancata comunicazione di circa un terzo degli eventi alla Procura della Repubblica, ai quali si aggiunge una quota ulteriore dovuta ad alcuni incendi gestiti autonomamente dal sistema di gestione delle emergenze interno alle aziende responsabili degli impianti, per i quali non è stato richiesto l’intervento dei Vigili del Fuoco.

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29

Tabella 5. Incendi segnalati sul territorio nazionale nel primo semestre del 2017 [2].

Evento Descrizione

11 marzo

Chieti Scalo Incendio nell’impianto di trattamento dei rifiuti ex Seab. I cittadini denunciano lo svilupparsi di molti roghi negli impianti che circondano la città. Se ne registrano ben 19.

25 marzo Rossano Veneto

(Vicenza)

Maxi incendio divampato alle prime luci dell’alba a Rossano Veneto nel capannone di un’azienda che smaltisce batterie, oli esausti e rifiuti speciali.

16 aprile

Follo (La Spezia) Un vasto incendio ha interessato l’azienda Ferdeghini, nella quale è presente un impianto di trattamento rifiuti che si occupa della selezione, recupero e stoccaggio di materiali pericolosi e non. Per precauzione sono state emanate delle ordinanze che consigliano ai cittadin

i di tenere le finestre chiuse e limitare gli spostamenti a piedi allo stretto necessario. Vietato anche utilizzare l’acqua sorgiva e raccogliere e consumare ortaggi, frutta e verdura dei campi. La stessa cosa hanno predisposto i cittadini di Bolano e Vezzano Ligure. 5 aprile

Pinerolo (Torino) Rogo in un centro di raccolta rifiuti dell’azienda Cmt.

12 aprile

Strillaia (Grosseto) 60 tonnellate di rifiuti a fuoco in uno stabilimento a Strillaia. 24 aprile

Gaggiano (Milano) A fuoco lo stabilimento per il trattamento dei rifiuti. Sono 14 i mezzi andati fuori uso. 5 maggio

Pomezia (Roma) Va a fuoco l’impianto di trattamento dei rifiuti EcoX. È un incendio che distrugge completamente l’azienda a sud di Roma. Si indaga per inquinamento ambientale colposo e incendio colposo. Ancora ignota la causa dell’incendio che ha fatto anche crollare il tetto in Eternit dell’azienda. Si ipotizza la matrice dolosa. Secondo i vigili del fuoco l’innesco sarebbe avvenuto all’esterno dell’azienda dove da giorni erano accumulati grandi quantità di rifiuti, tanto che i cittadini l’avevano anche segnalato con un esposto al sindaco.

23 maggio

Parona (Pavia) Un incendio è divampato in un’azienda specializzata nel trattamento di rifiuti speciali, l’Aboneco recycling di Parona (Pavia). 25 maggio

Malagrotta (Roma) A fuoco il deposito di rifiuti nella discarica di Malagrotta. Dopo poche ore sarebbe dovuta arrivare la Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti per un’ispezione.

29 maggio

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30 Evento Descrizione

5 giugno

Rosolini (Siracusa) In fiamme autoparco di mezzi per la raccolta di rifiuti di Rosolini a Siracusa. Si tratta della ditta che ha l’appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nel comune.

7 giugno

Marghera (Venezia) Un incendio di vaste proporzioni ha interessato un capannone per il trattamento dei rifiuti ingombranti della società Ecoricicli. L’impianto era stato inaugurato a dicembre 2016 ed è capace di trattare 28.800 tonnellate di ingombranti all’anno e recuperare materiale per seguire poi le filiere del riciclaggio.

8 giugno

Casale Bussi (Viterbo) A fuoco un impianto di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti, che ha reso possibile il conferimento da parte dei comuni della zona nord della provincia di Roma.

14 giugno

Castelforte (Lazio) Incendio di modeste dimensioni a un impianto trattamento rifiuti. Il proprietario è stato anche oggetto di intimidazioni. 15 giugno

Calvi Risorta (Caserta)

Rogo in area sequestrata per disastro ambientale. Si è rischiato che le fiamme toccassero i rifiuti dissotterrati nell’ex area industriale Pozzi Ginori. Sono andati a fuoco anche rifiuti industriali.

18 giugno

Alessandria A fuoco una parte dell’impianto della Raee Man di Sale, che si occupa di rifiuti industriali e speciali. 20 giugno

Terranuova Bracciolini (Arezzo)

Va a fuoco un impianto di compostaggio. L’incendio si sviluppa all’interno di un lotto che contiene rifiuti di tipo tessile.

20 giugno

Roma Incendio al deposito cassonetti Ama sulla Pontina. 27 giugno

Cannicci Di Monte Antico (Grosseto)

Circa 73mila metri quadrati di rifiuti urbani sono interessati da un incendio nella discarica del grossetano. A bruciare è stato il telone di coibentazione nel contenitore con sponde alte di otto metri.

27 giugno Monterotondo

(Roma)

Fiamme in un capannone per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Ad andare a fuoco carta, legno e plastica.

(31)

31

2.1.2 Cause dell’aumento degli incendi

Determinare le cause che possano spiegare un aumento così considerevole del fenomeno risulta tutt’altro che semplice ed immediato e non è argomento di tale trattazione.

Al livello ingegneristico si può senz’altro dire che gli incendi di rifiuti possono essere generati da cause molteplici, tra cui ad esempio:

 di natura dolosa;

 fermentazione di materiale organico;  guasti elettrici;

 utilizzo improprio di fiamme libere.

Tali cause sono sicuramente rese ancor più determinanti da problematiche di vario genere più o meno comuni a tutti gli impianti che trattano rifiuti:

- l’età degli impianti, con tutte le conseguenti carenze strutturali e organizzative; - l’assenza di adeguati sistemi di sorveglianza e controllo;

- il ridotto numero di impianti che porta inevitabilmente a situazioni di sovraccarico degli impianti esistenti e quindi di incrementato pericolo di incendio;

- la carente efficienza della macchina dei controlli da parte delle autorità e quindi rifiuti stoccati anche dove non dovrebbero;

- l’assenza di adeguati investimenti, mirati alla prevenzione e alla tutela dell’ambiente e della salute delle persone;

- la poca domanda a valle del mercato dei materiali riciclabili e quindi un sovraccarico di materiali non gestibili.

Proprio quest’ultima condizione ha fatto sì che negli ultimi anni fosse sempre più diffuso il cosiddetto “incendio doloso liberatorio”, ossia un incendio innescato strategicamente per liberare l’impianto o l’azienda dal sovraccarico di materiale non gestibile.

2.2 Gli stoccaggi di rifiuti

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32

Si tratta di una serie di indicazioni orientate alla prevenzione del rischio incendio negli impianti che gestiscono rifiuti, pubblicate nella Circolare n. 4064 del 15 marzo 2018. L’art. 26-bis della Legge 132/2018 pone in capo ai gestori di impianti di stoccaggio e di lavorazione dei rifiuti, esistenti o di nuova costruzione, l’obbligo di predisporre un piano di emergenza interna.

Successivamente il Ministero dell’Ambiente ha nuovamente scelto di intervenire sul fronte operativo, annullando e sostituendo la precedente circolare n. 4064/2018,con la nuova circolare n. 1121 del 21 gennaio 2019. Con essa sono state dunque introdotte le nuove “Linee Guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”.

2.2.1 Le nuove Linee Guida per la gestione operativa degli stoccaggi

Mantenendo l’indice tematico delle precedenti Linee Guida adottate con la circolare n. 4064/2018, nel nuovo testo viene subito precisato a quali impianti si riferiscano questi criteri operativi.

2.2.1.1 Quadro normativo

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2.2.1.2

Contesto autorizzativo degli stoccaggi e garanzie finanziarie

Gli impianti di stoccaggio operano nell’ambito di autorizzazioni integrate ambientali (AIA), di procedure ordinarie (art. 208 del D.Lgs 152/2006), mentre per operazioni di solo recupero è sufficiente la procedura semplificata di cui all’art. 216 del D.Lgs. 152/06.

Per quanto concerne le garanzie finanziarie previste nell’ambito delle procedure ordinarie di autorizzazione, il Ministero invita, le autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione ad includere tra le misure precauzionali e di sicurezza quelle concernenti il rischio di incendio correlato alle tipologie e quantitativi di rifiuti autorizzati.

2.2.1.3 Prevenzione del rischio

Le Linee Guida inerenti a questa sezione risultano praticamente inalterate rispetto alla precedente versione. La prevenzione del rischio dell’impianto deve essere assicurata attraverso:

 l’ottimizzazione delle misure organizzative e tecniche;

 l’adeguata informazione e formazione del personale che opera negli impianti;  il controllo e il monitoraggio delle sorgenti di innesco e delle fonti di calore;

 l’adeguata manutenzione delle aree, dei mezzi d’opera, degli impianti tecnologici e degli eventuali impianti di protezione antincendi.

Per quanto riguarda l’organizzazione interna dell’impianto, il Ministero suggerisce una adeguata sistemazione della viabilità interna e degli spazi, di modo da differenziare, tramite apposita segnaletica e cartellonistica, le aree di accettazione in ingresso, le aree di stoccaggio e di lavoro. Tali aree dovranno essere mantenute in ordine, rispettando sempre le capacità di stoccaggio massime autorizzate.

I rifiuti liquidi devono essere stoccati in serbatoi in possesso di adeguati requisiti di resistenza, in relazione alle proprietà chimico-fisiche ed alla pericolosità dei rifiuti stessi. Devono altresì essere opportunamente etichettati e dotati di adeguati sistemi di sicurezza, in particolare dei bacini a tenuta per contenimento di eventuali sversamenti in fase di movimentazione dei contenitori o di rottura degli stessi.

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incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di primo soccorso e di gestione dell’emergenza, che dovranno ricevere un’adeguata formazione e aggiornamento.

Deve essere realizzato un impianto idrico antincendio adeguato ed altri impianti di spegnimento manuali e/o automatici, così come il giusto numero e posizionamento nel sito degli estintori portatili e carrellati.

È necessario dedicare una maggiore attenzione circa controllo e monitoraggio delle sorgenti d’innesco e delle fonti di calore. In questo modo è possibile evitare i fenomeni di autocombustione e di conseguenza si riduce il rischio di incendi.

Il gestore è anche richiamato a prestare una maggiore attenzione all’attività di manutenzione delle aree, sia adibite agli stoccaggi sia all’eventuale trattamento dei rifiuti, e degli impianti tecnologici in base alle cadenze stabilite dal costruttore ovvero dalla legge, dei mezzi e degli eventuali impianti di protezione antincendi.

2.2.1.4 Prescrizioni generali

Per l’ubicazione degli impianti si prediligono gli insediamenti industriali ed artigianali, le aree industriali o di servizi dismesse, sempre rispettando i requisiti di compatibilità ambientale ed in base alla disponibilità di un’adeguata rete di collegamento, nel rispetto dei vincoli d’uso del territorio previsti dalle specifiche norme di settore.

È necessario individuare una serie di aree all’interno degli impianti che gestiscono rifiuti, ognuna delle quali deve rispettare una serie di requisiti, in particolare:

– ufficio;

– area di ricezione dei rifiuti;

– area destinata allo stoccaggio dei rifiuti per categorie omogenee; – area per il deposito dei rifiuti fermentescibili;

– locali chiusi attrezzati da destinarsi alla raccolta e stoccaggio dei rifiuti pericolosi;

– area per il deposito delle sostanze da utilizzare per l’assorbimento dei liquidi in caso di sversamenti accidentali;

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2.2.1.5 Gestione dell’impianto

Le nuove Linee Guida ribadiscono il ruolo centrale del Direttore Tecnico dell’impianto, ossia il responsabile della gestione operativa dell’impianto. Un ulteriore sezione è dedicata alla formazione richiesta per tale ruolo, ossia la qualifica di Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti. Il Ministero raccomanda inoltre che il direttore tecnico sia sempre presente in impianto durante l’orario di operatività dello stesso. Nel caso di impianti dotati di organizzazioni complesse, il direttore tecnico può avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, anche di singoli responsabili, purché gli stessi siano in possesso delle conoscenze e dei requisiti allo svolgimento dell’incarico.

2.2.1.6 Controlli Ambientali

L’ultimo punto delle Linee Guida richiama l’attenzione sul fondamentale ruolo dell’attività di controllo. Le possibili cause dell’aumento dei fenomeni di incendio, come specificato nel paragrafo §2.1.2, negli impianti che gestiscono rifiuti possono essere riconducibili anche a:  una fragilità degli impianti, spesso non dotati di sistemi adeguati di sorveglianza e

controllo;

 la rarefazione dei controlli sulla gestione che portano a situazioni di sovraccarico degli impianti e quindi di incrementato pericolo di incendio;

 la possibilità di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi “liberatori”.

Da qui l’esigenza di programmare i controlli, tenendo conto della complessità dell’impianto, e alle sue dimensioni, ma evitando di trascurare gli impianti apparentemente minori ma potenzialmente a rischio.

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37

Capitolo 3

Incendio di materie plastiche

Nel presente capitolo, dopo un breve cenno ai principi fondamentali della combustione, si descriverà il fenomeno della combustione delle materie plastiche.

3.1 La combustione

Il termine combustione indica generalmente una reazione chimica di ossidazione rapida di una sostanza, che prende il nome di combustibile, con sviluppo di energia, generalmente sotto forma di calore e radiazione elettromagnetica.

In generale si indicano come combustioni le reazioni di ossidazione che avvengono con l’ossigeno, che prende il nome di comburente.

Durante la reazione si ha quasi sempre lo sviluppo di fiamma e di fumo.

3.1.1 Tipologie di combustibili e triangolo del fuoco

La combustione può avvenire a partire da combustibili solidi, liquidi o gassosi.

Il triangolo del fuoco rappresenta i tre elementi fondamentali che devono essere compresenti affinché la reazione abbia luogo:

 combustibile;  comburente;

 fonte di innesco (calore).

3.1.2 La combustione completa ed incompleta

Le reazioni di combustione sono delle reazioni comunemente costituite da schemi cinetici anche molto complessi.

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38

definite, dette quantità stechiometriche, quando ciò avviene si parla di combustione completa.

Un esempio di reazione stechiometrica riguarda la combinazione tra il carbonio e l’ossigeno per formare anidride carbonica:

C + O2 = CO2 + Calore

Analogamente l’idrogeno si combina con l’ossigeno per formare vapore acqueo con conseguente produzione di calore, secondo la formula:

2H2 + O2 = 2H2O + Calore

Se invece durante la reazione vi fosse un eccesso di combustibile o una carenza di comburente, così come in caso di insufficienza d’ossigeno, ci troveremmo nel caso di combustione incompleta, o parziale. È in tali condizioni, ad esempio, che viene prodotto il monossido di carbonio secondo l’equazione che segue:

2C + O2 = 2CO + Calore

3.2 Materiali plastici

Il presente lavoro si concentra sulle tre tipologie di materie plastiche di seguito descritte, le quali possono potenzialmente rappresentare la maggior parte della componente dei depositi di rifiuti di materiali plastici. Per ogni materiale, verranno elencate le principali caratteristiche, gli usi più comuni, le sostanze dannose che si liberano durante la combustione ed un accenno dei loro effetti sull’organismo.

3.2.1 Polietilene (PE)

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39

effetti esso rappresenta circa il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche.

Le principali caratteristiche sono:

 resistenza eccellente della corrosione e ai prodotti chimici;  resistenza eccellente all’abrasione;

 resistenza agli urti;

 basso coefficiente d’attrito;  facilmente saldabile;

 buona lavorabilità alle macchie utensili;  stabilità dimensionale.

Utilizzi comuni: grazie alle sue proprietà di atossicità e di basso assorbimento d’acqua è largamente utilizzato nell’industria alimentare. È molto diffuso anche nei settori meccanico, chimico ed elettrico.

Uno degli usi classici del polietilene è la fabbricazione dei cosiddetti sacchetti "di plastica", come anche la produzione del "film estensibile" e del "film a bolle d'aria" (o pluriball). È inoltre utilizzato per:

 impermeabilizzazioni edili generali;

 rivestimento interno di confezioni in cartone per alimenti (per esempio cartoni del latte);

 flaconi per il contenimento di detersivi o alimenti;  giocattoli;

 pellicole alimentari;  tappi in plastica;

 tubi per il trasporto di acqua e gas naturale;

 pellicola di rivestimento di cavi elettrici e telefonici;  palloni stratosferici;

 mobili per il giardino;

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40

(a) (b) (c)

Figura 5. (a) tappi in PE per bottiglie; (b) taniche in PE; (c) tubo in PE corrugato.

3.2.2 Polipropilene (PP)

Caratteristiche: è un materiale polimerico termoplastico, semicristallino, molto simile al

PE, ma con ben più elevate proprietà di resistenza e rigidezza, così come una maggior resistenza alle alte temperature. Grazie alle caratteristiche di non polarità, possiede un’ottima resistenza dal punto di vista chimico, soprattutto in presenza di soluzioni acquose contenenti sali, acidi e alcali forti.

Nonostante non abbia elevate proprietà meccaniche (basse resistenza a trazione, flessione, compressione ecc.) è un materiale abbastanza adatto ad essere saldato e, rispetto al Polietilene (PE) è più rigido e meno resistente agli urti.Grazie all'elevata resistenza agli acidi e alcali e per la superiore resistenza alla temperatura rispetto al PVC è largamente impiegato nella realizzazione di componenti per industria chimica galvanica e petrolchimica.

Principali caratteristiche del Polipropilene:  elevate resistenze chimiche;

 facilità di lavorazione sia alle macchine utensili sia per la saldatura;  buona resistenza alla temperatura.

(41)

41 È inoltre utilizzato per:

 reti per zanzariere plissettate;  tubi per acqua e gas;

 aeromodelli dinamici (velivoli leggerissimi);  componenti per l’arredo;

 banconote;  fibre tessili;

(a) (b) (c)

Figura 6. (a) sedia in PP; (b) film in PP; (c) bicchiere monouso in PP.

3.2.3 Polietilentereftalato (PET)

Caratteristiche:è essenzialmente una resina termoplastica, appartenente alla famiglia dei

poliesteri, adatta al contatto con gli alimenti. A seconda del processo produttivo, può trovarsi in forma amorfa (trasparente) o semi-cristallina (bianca e opaca). Ha un basso coefficiente di attrito ed eccellente resistenza all'usura, ottime proprietà elettriche, di resistenza chimica ed alla temperatura; viene ampiamente utilizzato nei settori medico, farmaceutico, alimentare, della stampa, della logistica e dei trasporti, elettrici, elettronici e dei semiconduttori ed auto motive, soprattutto grazie alla sua rapidità di stampaggio.

Le principali caratteristiche sono:

 elevata resistenza meccanica, rigidità e durezza;  basso e costante coefficiente d’attrito;

(42)

42  buona stabilità dimensionale;

 buone proprietà di isolamento elettrico;  idoneo al contatto con alimenti.

Utilizzi comuni: il PET viene utilizzato perlopiù per la produzione di contenitori per cibi e bevande, infatti, il Regolamento UE n.10 del 14 gennaio 2011, ne sancisce la compatibilità con tutti i tipi di alimenti.

È inoltre utilizzato per:  film;

 tubi;  bottiglie;  contenitori;  etichette;

 pelli per batteria.

(a) (b)

Figura 7. (a) contenitore monouso alimentare in PET; (b) varie tipologie di bottiglie in PET. Si riporta di seguito Tabella 6, riassuntiva delle principali proprietà della combustione delle sostanze sopracitate.

Tabella 6. Tabella con le principali proprietà di combustione[6].

Proprietà

Materiale Densità Conduttività Calore specifico Calore di

combustione

U.M. (kg/m3) (W/m/K) (kJ/kg/K) (kJ/kg)

PE 860 0.29 3.50 10948

PP 910 0.24 2.68 10948

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43

3.3 Prodotti della combustione

I prodotti della combustione possono essere suddivisi in quattro categorie:  fiamme;

 calore;  fumi;  gas/vapori.

Gas e vapori possono causare fastidio alla respirazione e possono avere un’interazione con i tessuti esterni e interni, con effetti che possono variare o peggiorare a seconda del tipo di sostanza e dei tempi di esposizione alla stessa. Durante la combustione, come già precedentemente accennato, si può sviluppare anidride carbonica e monossido di carbonio. Oltre a questi possono generarsi altri tipi di gas, che dipendono sostanzialmente dalla natura e dalla composizione chimica del materiale che sta bruciando.

Nel dettaglio:

- Monossido di carbonio: è un gas altamente tossico, presente in grande quantità negli

incendi e principalmente nei luoghi chiusi con scarsa ventilazione.

- Anidride carbonica: contrariamente al caso precedente, si forma in grande quantità

negli incendi all’aperto, dove la ventilazione è abbondante. Si tratta di un gas asfissiante che, in grande concentrazione, accelera il ritmo respiratorio.

- Idrogeno solforato: si sviluppa in presenza di incendi di materiali che contengono

zolfo, come la lana, la gomma, le pelli, la carne, ecc. È immediatamente individuabile per via del caratteristico odore di uova marce che sparisce subito dopo le prime inalazioni. In percentuale superiore allo 0,07 % diventa molto pericoloso perché tossico, attacca il sistema nervoso provocando il blocco respiratorio.

- Anidride Solforosa:Anche questo composto si forma nella combustione di materiali

che contengono zolfo e in presenza di una grande quantità di aria. Tuttavia, la quantità generata è molto modesta, salvo negli incendi dove sono coinvolte grandi quantità di zolfo. L'anidride solforosa è da considerarsi pericolosa già nella concentrazione dello 0,05 % anche per brevi esposizioni. È un gas irritante per le mucose, gli occhi e le vie respiratorie.

- Ammoniaca:si forma nella combustione di materiali che contengono azoto, come

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irritazioni agli occhi, al naso, alla gola ed ai polmoni; inalata in quantità di percentuale nell'aria pari allo 0,25 % - 0,65 %, può addirittura provocare la morte.

- Acido cianidrico:si sviluppa generalmente negli incendi con combustione della seta,

lana, resine acriliche, uretaniche e poliammidiche quando l’ossigeno è scarso. È un gas molto tossico, ha un odore caratteristico di mandorle amare e la sua concentrazione nell'aria pari allo 0,3 % è da ritenersi mortale.

- Acido cloridrico:si genera quando bruciano materiali contenenti cloro, come ad

esempio il PVC. Si avverte la sua presenza per il caratteristico odore pungente con effetto irritante per le mucose. Una concentrazione in aria pari a 1500 p.p.m. risulta fatale in pochi minuti.

- Perossido di azoto: si genera dalla combustione della nitrocellulosa e di altri nitrati

organici. È un gas di colore rosso-bruno, altamente tossico che, in concentrazione nell'aria pari allo 0,02 % - 0,07 % può addirittura essere mortale.

- Fosgene: si forma nelle combustioni di materiali che contengono cloro, come ad

esempio i materiali plastici. È un gas altamente tossico, da temere specialmente quando la combustione si verifica in ambienti chiusi. Se entra in contatto con umidità od acqua il fosgene si scinde in acido cloridrico ed anidride carbonica; è intensamente caustico e può raggiungere le vie respiratorie.

- Diossine:si generano quando la combustione coinvolge materie plastiche, solventi e

pesticidi. Le diossine sono delle sostanze altamente tossiche. I loro effetti verranno analizzati successivamente.

- Idrocarburi policiclici aromatici (IPA):si tratta di un gruppo di oltre 100 composti

chimici rilasciati nell'ambiente durante la combustione, che possono causare danni anche gravi all’organismo. Nei paragrafi successivi tali effetti verranno approfonditi.

3.3.1 Le Diossine

Con il termine generico di “diossine” si indica un gruppo di 200 composti chimici aromatici formati da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro, divisi in due famiglie:

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45

Si tratta di idrocarburi aromatici clorurati, per lo più di origine antropica, particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente, tossici per l’uomo, gli animali e l’ambiente stesso. Le diossine sono sostanze semivolatili, termostabili, scarsamente polari, insolubili in acqua, altamente liposolubili, estremamente resistenti alla degradazione chimica e biologica. A differenza degli altri tipi di gas e vapori tossici che si generano durante gli incendi, il cui effetto tossico e temporalmente legato alla presenza della nube tossica, per le diossine il discorso è diverso. Una volta dissolta la nube infatti, le diossine, si depositano sulle piante, sul suolo e nelle acque, vengono ingerite dunque dalla fauna e di conseguenza entrano a far parte della catena alimentare, fino ad arrivare all’uomo.

2.4.1.1 Effetti sulla salute umana

L’uomo risulta notevolmente esposto alle conseguenze derivanti dalla presenza di diossine nell’ambiente anche a concentrazioni bassissime. Questo è dovuto, in parte, anche al fenomeno del bioaccumulo all’interno dell’organismo umano.

Per bioaccumulo si intende il fenomeno di accumulo irreversibile di una sostanza nei tessuti degli organismi viventi. È un parametro utilizzato, indirettamente, per la determinazione degli effetti tossici delle diossine, in quanto può fornire una stima del reale livello di contaminazione degli organismi.

La diossina è stata riconosciuta come agente cancerogeno per l’uomo (classificata gruppo 1) dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). L’esposizione provoca danni al fegato, è irritante per gli occhi, la cute e il tratto respiratorio. La sostanza può determinare effetti, anche in tempi ritardati rispetto all’esposizione, sul sistema cardiovascolare, sul tratto gastrointestinale, sul fegato, sul sistema nervoso e sul sistema endocrino. Contatti ripetuti o prolungati con la cute possono causare dermatiti.

L’azione delle diossine può essere particolarmente dannosa durante lo sviluppo fetale, al momento cioè della differenziazione tissutale del sistema immunitario, determinando alterazioni a lungo termine, sia in senso immunodepressivo che ipersensibilizzante.

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46

condizioni di vita dell’ambiente interno del nostro organismo) e della regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo.

Può inoltre causare danni nei feti esposti durante la fase gestazionale, in particolare sullo sviluppo del sistema nervoso e sull’equilibrio ormonale della tiroide.

3.3.2 Gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA)

Con il termine IPA si comprendono diversi composti organici con due o più anelli aromatici condensati tra loro. Anche se esistono più di cento diversi IPA, quelli più imputati nel causare dei danni per la salute dell'uomo e degli animali sono:

- l'acenaftene; - l'acenaftilene; - l'antracene; - il benzo(α)antracene; - il dibenzo(a,h)antracene; - il crisene; - il pirene; - il benzo(a)pirene; - l'indeno(1,2,3-c,d)pirene; - il fenantrene; - il fluorantene; - il benzo(b)fluorantene; - il benzo(k)fluorantene; - il benzo(g,h,i)perilene; - il fluorene.

Le proprietà chimico-fisiche degli IPA sono legate alle coniugazioni degli elettroni π e variano con il numero degli anelli e il peso molecolare.

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Come già detto si formano per la combustione incompleta, oltre che di materie plastiche, anche di materiale organico contenente carbonio, come carbone, legno o rifiuti. Il meccanismo di formazione, detto Craking, è assai complesso e consiste sostanzialmente nella ripolimerizzazione di frammenti di idrocarburo durante la reazione di combustione. Gli IPA più leggeri, in genere rimangono in forma gassosa quando sono immessi nell’atmosfera, per poi cominciare a degradarsi dopo circa 24 ore, mentre quelli più pesanti, non permangono a lungo nell’atmosfera sotto forma di gas e tendono ad essere condensati e ad essere adsorbiti dalle particelle di cenere e fuliggine che si vanno a depositare sul terreno, le piante e le acque superficiali.

Effetti sulla salute umana

L’esposizione, oltre che per inalazione, può avvenire anche per ingestione di cibo o di bevande contaminate, oppure per via cutanea, semplicemente toccando il terreno contaminato o i prodotti che li contengono.

Una volta nel corpo gli IPA si diffondono rapidamente per la loro liposolubilità che li rende in grado di attraversare le membrane cellulari e di penetrare e depositarsi nei tessuti adiposi. Gli organi target includono i reni, il fegato ed il grasso. La metabolizzazione è, però, abbastanza rapida e, nel giro di pochi giorni, gli IPA vengono eliminati tramite le urine e le feci.

La presenza degli IPA nell’atmosfera rappresenta un problema per la salute delle persone, in quanto molti di essi si sono rilevati cancerogeni.

L’esposizione a tali sostanze comporta vari danni a livello ematico, immunosoppressione e vari danni al sistema polmonare. L’effetto principale è la possibilità di causare il cancro, infatti dai vari test di laboratorio, risultano essere in grado di causare il cancro per inalazione (ai polmoni), per ingestione (allo stomaco) e per contatto dermico (alla pelle).

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha inserito tra i probabili cancerogeni per l’uomo il benzo(a)pirene, il benz(a)antracene e il dibenz(a,h)antracene. Sono invece ritenuti cancerogeni il benzo(b)fluorantene, il benzo(k)fluorantene e l’indeno(1,2,3,-c,d)pirene.

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3.4 Monitoraggio ambientale

Il monitoraggio ambientale a seguito di un incendio è un’attività che, proprio a causa della natura imprevedibile dell’evento, risulta impossibile da programmare. Un altro fattore che rende difficoltoso definire a priori un protocollo standard di monitoraggio, riguarda la molteplice varietà di sostanze che possono essere coinvolte nell’incendio, così come le specificità territoriali in cui si verificano.

A tal proposito sono state individuate due fasi dell’attività di monitoraggio connesse all’evoluzione dell’incendio.

1° Fase: incendio attivo

La prima fase coincide con la gestione dell’incendio fino a spegnimento; la durata solitamente limitata a poche ore o al massimo qualche giorno, pertanto risulta difficile effettuare un monitoraggio della qualità dell’aria durante l’evento. La segnalazione dell’evento molto spesso non è immediata, così come il tempo necessario per la preparazione, il trasporto e l’installazione di eventuali campionatori in un luogo idoneo, che sia custodito e provvisto di alimentazione elettrica. Nei casi in cui la durata dell’evento è compatibile con i tempi per l’avvio di una rilevazione, è possibile effettuare il monitoraggio della qualità dell’aria attraverso la raccolta di dati e indicazioni utili alla verifica dello stato rispetto dei limiti di legge fissati dal d.lgs. n.155/2010 e s.m.i., che prevede valori di riferimento espressi come medie orarie, medie massime di otto ore, medie giornaliere e medie annuali.

2° Fase: incendio spento

La seconda fase è solitamente avviata non appena l’incendio viene domato; nei casi in cui l’evento sia stato di durata e dimensioni significativi, è possibile anche realizzare uno studio modellistico con il quale vengono individuate le aree che con maggiore probabilità sono state interessate dalle ricadute al suolo degli inquinanti. Sulla base di tali studi, è possibile trovare i punti più idonei per l’installazione di campionatori passivi ed effettuare un campionamento del terreno superficiale e di eventuali sostanze vegetali.

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superficiale, pertanto è prevista l’installazione di campionatori passivi nell’area limitrofa all’incendio.

3.4.1 Normativa di riferimento per il monitoraggio ambientale

La normativa di riferimento per la tutela della qualità dell’aria affronta la tematica secondo due aspetti fondamentali:

1) tramite il controllo delle emissioni dalle fonti inquinanti, attraverso limiti di emissione;

2) individuando degli obiettivi di qualità dell’aria e valuta predisponendone il monitoraggio e fissando standard di qualità, con metodi e criteri comuni, allo scopo di proteggere la salute umana e l’ambiente nel suo complesso.

Tali obiettivi e standard di qualità sono indicati nel D.Lgs. n° 155 del 13/8/2010 e s.m.i. (D.Lgs. n° 250/2012) in cui trovano attuazione la Direttiva 2008/50/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 21/5/2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, e le nuove disposizioni di attuazione nazionale della Direttiva 2004/107/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 15/12/2004, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente.

Il decreto nello specifico:

 regolamenta la gestione della qualità dell’aria, andando a definire i valori limite,

valori obiettivo, obiettivi a lungo termine, soglie di informazione e di allarme, livelli critici, obbligo di concentrazione e obiettivo di riduzione delle esposizioni per gli inquinanti aerodispersi;

 indica gli strumenti con cui deve essere effettuata la valutazione della qualità

dell’aria, la zonizzazione e la classificazione del territorio, la rilevazione ed il monitoraggio dei livelli di inquinamento atmosferico effettuati mediante reti di monitoraggio e l’impiego di tecniche modellistiche, l’inventario delle emissioni e gli scenari emissivi;

 indica, in caso di superamento dei vari valori limite, le competenze (Regioni,

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per agire sulle sorgenti di emissione in modo da rientrare negli standard e gli obiettivi,

 disciplina l’attività di comunicazione necessaria per informare il pubblico in modo

adeguato e tempestivo sulla qualità dell’aria.

Si riportano di seguito i valori limiti per la protezione della salute umana imposti dal D.lgs. n.155/2010. Tali valori limite sono riferiti sempre ad un arco temporale pari ad un anno civile.

- PM10: valore limite di 50 μg/m3 per le concentrazioni medie giornaliere, non

superabile per più di 35 volte nell’anno; valore limite 40 μg/m3 per la concentrazione

media annuale.

- PM2.5: valore limite 25 μg/m3 per la concentrazione media annuale da raggiungere

entro il 2015. A partire dal 2009 è applicato un margine di tolleranza decrescente secondo un percentuale annua costante e tale da annullarsi il 2015. Nell’anno 2014 il valore limite incrementato del margine di tolleranza è pari a 26 μg/m3.

- NO2: valore limite di 200 μg/m3 per le concentrazioni medie orarie da non superare

più di 18 volte nell’anno civile; valore limite 40 μg/m3 per la concentrazione media

annuale.

- O3: valore limite di 180 μg/m3 e 240 μg/m3 per la concentrazione media oraria che

rappresentano rispettivamente soglia di informazione e di allarme; valore limite di 120 μg/m3 come massimo giornaliero della media mobile su 8 ore da non superare

più di 25 volte nell’anno.

- SO2: valore limite 350 μg/m3 delle concentrazioni medie orarie; valore limite 125

μg/m3 per la concentrazione media giornaliera da non superare più di 3 volte

nell’anno.

- CO: valore limite di 10 mg/m3 come massimo giornaliero della concentrazione media

mobile su 8 ore.

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