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E' ora di salvare le politiche del lavoro seguendo il modello tedesco

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Academic year: 2021

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21-04-2021

IL FOGLIO V

A SCUOLA DI RECOVERY

E' ora di salvare le politiche del lavoro seguendo il modello tedesco

La discussione sul destino della Agenzia nazionale delle Politiche attive del lavoro (Anpal) si sta perico- losamente spostando dal come miglio- rarne l'efficacia al come svuotarne le funzioni. E non manca chi propone di smantellarla del tutto. Se si osservas- se questo dibattito da un altro pianeta, si potrebbe trarne la conclusione che nel nostro paese il mercato del lavoro abbia raggiunto un equilibrio ottima- le nel rapporto tra la domanda e l'of- ferta di lavoro e che si sia finalmente conseguito il risultato della massima occupazione. A queste condizioni la scelta di dismettere l'agenzia sarebbe più che comprensibile.

Se, però, si cala sulla terra il punto di osservazione, lo scenario appare rovesciato. Quello italiano è uno dei mercati del lavoro più critici del con- tinente europeo. Prendiamo tre para- metri indicativi dello stato di salute occupazionale: il tasso di attività a li- vello nazionale è al 58%, con il nord al 66% e il sud al 44%; il tasso di occupa- zione dei giovani (15-24, media nazio- nale) è al 16%; la differenza tra il tas- so di occupazione maschile e quello femminile di circa 20 punti (è occupa- ta una donna su due).

Certo, si potrebbe sostenere che per sciogliere i nodi del nostro mer- cato del lavoro non ci sia bisogno di una agenzia nazionale che promuova, coordini e monitori gli standard qua- litativi dei servizi per il lavoro, of- frendo assistenza tecnica a tutti i 554 centri per l'impiego sparsi per le 20 regioni di Italia. Si potrebbe anche sostenere che sia giusto lasciare che ogni regione continui a mantenere i suoi sistemi informativi del lavoro, anziché rinunciarvi in favore di un si- stema informativo unitario (che non è una app) gestito da Anpal in coordi- namento con le altre banche dati na-

zionali di Inps e Inail. E che, in defi- nitiva, sia meglio lasciare che ogni re- gione organizzi in autonomia le misu- re e i servizi ai disoccupati, perché è solo a livello territoriale che si posso- no progettare ed erogare al meglio. In fondo, questa prospettiva risponde molto bene all'idea del "piccolo è bello". Del resto, come negare che qua e là, nei territori, è pur possibile scovare qualche esempio virtuoso di centro per l'impiego di eccellenza che se la gioca alla pari con i servizi offerti dalle migliori agenzie private per il lavoro? Bene, se si pensa che questa sia la soluzione, non c'è altro da fare che considerare la vicenda di Anpal una breve e sfortunata paren- tesi, indissolubilmente legata all'esi- to infausto della riforma costituzio- nale del Titolo V, e lasciare che la polvere si depositi su quella che fu la pazza idea di realizzare anche nel no- stro paese un sistema nazionale di politiche attive.

Un caso di successo: Hartz IV Prima, però, di gettare la spugna, sarebbe opportuno guardare cosa è stato fatto nell'ultimo quarto di seco- lo fuori dal nostro uscio di casa, e pre- cisamente in quei paesi europei che hanno investito idee e risorse in un sistema nazionale di servizi per ri- lanciare la crescita e loccupazione.

Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Olanda e paesi scandinavi. co- gliendo i segnali della trasformazio- ne industriale ed economica che ave- vano preceduto il passaggio al nuovo millennio, hanno rafforzato, trasfor- mato o creato ex-novo agenzie nazio- nali delle politiche attive. Tra gli esempi di maggiore successo vanno segnalati quello tedesco, realizzato con le leggi "Hartz III" e "Hartz IV", che hanno trasformato l'Agenzia fe-

derale per il lavoro in un fornitore di servizi moderno, riunendo i sistemi di assistenza per la disoccupazione e quelli di assistenza sociale. La Hartz IV, in particolare, ha assegnato all'agenzia nazionale anche le politi- che passive per la disoccupazione e l'assistenza sociale, ponendo le fon- damenta di un sistema di protezione sociale integrato per le persone in cerca di lavoro. In Francia, nei 2008, i servizi di politica del lavoro sono sta- ti delegati dal governo al "Pâle Em- ploi", operatore unico nazionale frit- to della fusione tra la Agence natio- nale pour l'Emploi, che si occupava della gestione del sistema delle poli- tiche attive in raccordo con i servizi pubblici per l'impiego territoriali, e la Association pour l'emploi dans l'industrie et le commerce, che gesti- va le politiche passive, provvedendo alla raccolta dei contributi obbligato- ri contro la disoccupazione e all'ero- gazione degli ammortizzatori sociali e dei sussidi di disoccupazione.

Cifra comune di questi modelli è stata la cessione dal governo centrale alle agenzie nazionali delle funzioni collegate alle politiche attive, sul presupposto che per fornire servizi efficaci si dovesse sburocratizzare le procedure ed affidare la complessa macchina gestionale a un ente che avesse capacità operative più agili, restituendo all'apparato ministeria- le le funzioni più propriamente di in- dirizzo politico. Comune è stata an- che la scelta di portare le politiche passive, cioè la parte dei sussidi, tra le competenze della agenzia delle po- litiche attive. In partica. come se in Italia l'Ines cedesse ad Anpal il ramo di attività che gestisce la cassa inte- grazione e della Naspi. Un obiettivo molto ambizioso, che ha spostato l'in- tero baricentro degli ammortizzatori

sociali vero la missione della riquali- ficazione, inserimento e reinseri- mento al lavoro dei disoccupati. Con risultati straordinari che hanno con- sentito di rilanciare l'economia di- mezzando la disoccupazione nel giro di qualche anno.

Perché non in Italia?

A chi obbietta che in Italia il siste- ma delle politiche attive è costituzio- nalmente incardinato su base regio- nale, basterebbe ricordare che la Germania è uno stato federale, così come lo è la Spagna, e che in moti al- tri paesi europei i territori sono a va- rio titolo chiamati a giocare un ruolo da protagonisti delle politiche attive del lavoro. Il problema, semmai, è su- perare la logica della contrapposizio- ne tra stato e regioni che ha contrad- distinto il periodo pre e post referen- dario. La verità è che per il successo delle politiche attive italiane è ne- cessario il concorso di tutti, a ogni li- vello della architettura istituzionale.

Così come c'è bisogno di una collabo- razione tra soggetti pubblici e sogget- ti privati che da anni operano nel mercato del lavoro. Esistono già esperienze di successo nella collabo- razione tra stato e regioni e tra pub- blico e privato. E' da lì che si deve ripartire, da un coinvolgimento sem- pre più stretto tra i vari attori dei ser- vizi per il lavoro.

E' ora di riannodare í fili della re- te, non di disfarla come la tela di pe- nelope, metafora sempre attuale di una politica che, a ogni cambio di go- verno, sente la necessità di disfarsi di ciò che è stato avviato dal governo precedente, per mancanza di visione o, semplicemente, per incapacità di coltivare le riforme nella loro fase più faticosa, quella della esecuzione.

Maurizio Del Conte

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