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L'Indice dei libri del mese - A.09 (1992) n.04, aprile

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(1)

Il Libro del Mese

Brandelli d'Italia

di Antonio Cederna

recensito da Mario Fazio

e Luigi Mazza

Enrico Allasino

Giuseppe De Lutiis

Marco Fini

Cossiga, Gladio e le Leghe

Arroganza dei nuovi mandarini

Intervista a

Pierre Bourdieu

Eugenio De Signoribus:

due poesie commentate da

Fernando Bandini

Rossana Rossanda

Le trame di Christa Wolf

Antonio La Penna

La letteratura greca

(2)

Nuove ragioni pe

R E C E N S O R E

A U T O R E

T I T O L O

Il Libro del Mese

1

4 Mario Fazio, Luigi Mazza Antonio Cederna Brandelli d'Italia. Come distruggere il Bel Paese

I

5 Michele Semini S. Pompei, S. Stanghellini (a cura di) Il regime dei suoli urbani

Pier Luigi Cervellati La città bella. Il recupero dell'ambiente urbano

E. Salzano (a cura di) La città sostenibile

Il Caso italiano

m

6 Marco Fini Paolo Guzzanti Cossiga uomo solo

Antonio Padellaro Chi minaccia il Presidente

Michele Gambino Carriera di un presidente

Enrico Allasino V. Cesareo, M. Lombardi, G. Rovati Localismo politico: il caso della Leggi Lombarda

Renato Mannheimer La Leggi Lombarda

7 Giuseppe De Lutiis G. M. Bellu, G. D'Avanzo I giorni di Gladio

Antonio e Gianni Cipriani Sovranità limitata

Claudio Gatti Kìmang/i tra noi

Gerardo Serravalle Gladio

8

Intervista

Arroganza dei nuovi mandarini, colloquio con Pierre Bourdieu

Letteratura

m

9 Cesare Cases Cesare de Seta Era di maggio

Gabriella Catalano Erri De Luca Una nuvola come tappeto

10 Lidia De Federicis Salvatore Mannuzzu La figlia perduta

Francesco Roat Andrea Canobbio Traslochi

Marina Paglieri Andrea De Carlo Tecniche di seduzione

11 Silvio Perrella Severino Cesari Colloquio con Giulio Einaudi

Bianca Maria Frabotta Niva Lorenzini Il presente della poesia, 1960-1990

12 Franco Fortini Giovanni Pascoli Myricae

13

La Musa commentata

Eugenio De Signoribus, a cura di Fernando Bandini

14 Rossana.Rossanda Christa Wolf Trama d'infanzia

Olga Cerrato Ludwig Winder L'organo ebraico

David Vogel Vita coniugale

15 Claudia Sonino Edgar Hilsenrath La fiaba dell'ultimo pensiero

16 Francesco Rognoni Samuel T. Coleridge Biographia Literaria; Diari 1797-1819

17 Alessandro Monti Bharati Mukherijee Episodi isolati

18 Ernesto Franco Manuel Vazquez Montalban Tatuaggio; Il centravanti è stato assassinato verso sera

Claudia Pozzana Edoarda Masi Cento trame di capolavori della letteratura cinese

Guia Boni Nuno Judice La poesia corrompe le dita

19 Paolo Tortonese Georges Poulet La coscienza critica

20

Fausto Malcovati Michail Bulgakov Il grande cancelliere

Michele Colucci Riccardo Picchio Letteratura della Slavia ortodossa

21

Libri per Bambini

m

1

R E C E N S O R E

A U T O R E

T I T O L O

Manfredo Tafuri, Ricerca del

Ri-nascimento. Principi, città,

archi-tetti.

L'uso politico di città come

Roma, Firenze o Venezia; il palazzo

di Granada e Carlo V; intellettuali e

artisti alla corte dei papi. L'analisi

storica di sei episodi in cui il potere

rappresenta se stesso. Saggi, pp.

XXIV-392 con 166 illustrazioni

fuori testo,L. 65.000.

Rudolf Wittkower, Idea e

immagi-ne. Studi sul Rinascimento.

Mi-chelangelo, Raffaello, Brunelleschi,

le culture periferiche, i Sacri Monti:

i percorsi culturali, i motivi

figurati-vi di una ricchissima stagione.

Tra-duzione di Augusto Roca de Amicis

e Caterina Volpi. Saggi, pp.

XXVI-432 con 271 i llustrazioni fuori testo,

L. 65.000.

Alfred W. Crosby, Lo scambio

co-lombiano. Conseguenze biologiche e

culturali del 1492.

Portarono il

vaio-lo e scoprirono la sifilide. Partirono

con zucchero, banane e caffè e

torna-rono con ananas, tabacco e patate. La

trasformazione del genere umano e del

mondo in un'inedita prospettiva

bio-storica. Trad. di Igor Legati.

Paper-backs,pp.XII-228,L. 30.000.

Claude Lévi-Strauss, Parole d

Le lezioni al collège de France i

l'Ecole pratique des hautes étu

(3)

R E C E N S O R E

A U T O R E

T I T O L O

Teatro, Cinema, Arte

• 1

22 Paolo Puppa Dario Fo Johan Padan a la descoverta de le Americhe

Luisa Passerini Laura Mariani Il tempo delle attrici

23 Antonio Costa Vittorio Martinelli Il cinema muto italiano 1917-1918

24 Ester Coen Giuliano Briganti Il viaggiatore disincantato

25

Inserto Schede

Libri di Testo

41 Antonio La Penna Guido Paduano (a cura di) Il racconto della letteratura greca

42 Graziella Spampinato Vincenzo Lo Cascio (a cura di) Lingua e cultura italiana in Europa

Storia

m

43 Roberto Rusconi Giovanni Miccoli Francesco d'Assisi

Sofia Boesch Gajano Grado Merlo Tra eremo e città

45 Giuliano Tamani Cecil Roth Storia dei marrani

Josef Hayim Yerushalmi Dalla corte al ghetto

46 Enzo Collotti Nobert Elias I tedeschi

47 Gustavo Corni Antonio Spinosa Hitler il figlio della Germania

Laura Mancinelli Peter Wapnewski La letteratura tedesca del Medioevo

Società e Politica

m

49 Paolo Vineis Fabio Levi Un mondo a parte

50 Giulio Angioni Francesco Ciafaloni Kant e i pastori. Ovvero: il mondo e il paese

Georges Balandier Il disordine. Elogio del movimento

Francesca Rigotti AA.VV. I concetti della politica

51 Giovanna Zincone Giancarlo Bosetti Il legno storto

52 Clara Gallini AA.VV. Uguali e diversi

Scienze e Filosofia

53 Andrea Bairati AA.VV. 5000 giorni per salvare il pianeta

54 Tito Magri Mario Reale La diffìcile eguaglianza

Federico Vercellone Stefano Zecchi (a cura di) Estetica 1991. Sul destino

55 Marilena Andronico Ray Monk Wittgenstein. Il dovere del genio

Maurizio Ferraris Gufo Fornenti Piccole apocalissi

56 Annalisa Ferretti Betty Joseph Equilibrio e cambiamento psichico

Caterina Riconda Elisabetta Donini Conversazioni con Evelyn Fox Keller

Carla Ravaioli La nube e il limite

57 Paolo Roccato Massimo Cuzzolaro, Luigi Frighi Reazioni umane alle catastrofi

58 Giorgio Bignami Comunità di San Benedetto al Porto Dalla dipendenza alla pratica della libertà

59

Liber

R E C E N S O R E

A U T O R E

T I T O L O

leggere ancora.

Natalie Zemon Davis, Storie

d'archi-lo. Racconti di omicidio e domande

i grazia nella Francia del 500.

No-ili e mendicanti, assassini di

profes-one, uomini e donne secondo le

ra-ioni dell'odio e dell'amore, i motivi

ella passione e dell'ira. Tra astuzie e

igenuità, la retorica dell'omicidio,

rad. di Patrizia Guarneri.

Paper-acks,

P P

.XIV-226,L. 32.000.

Paolo Bertinetti, Il teatro inglese

del Novecento.

Da Shaw a Eliot,

da Beckett a Osborne e Pinter,

Stoppard e oltre. Con un panorama

ragionato di tutti i fenomeni di

sce-ne, spettacolo e sperimentazione

che hanno determinato le scelte

drammaturgiche degli autori.

Pic-cola Biblioteca Einaudi, pp.

VII-288, L. 26.000.

Alberto Asor Rosa, Fuori

dall'Oc-cidente. Ovvero Ragionamento

sul-l'«Apocalissi».

Uno sguardo non

integrato su una civiltà trionfante e

sfigurata. Il «regno» dell'Occidente

sigilla in maniera cruenta e

definiti-va l'omologazione di tutto il

piane-ta in un unico sistema di valori.

Einaudi Contemporanea, pp. 125,

L. 16.000.

EINAUDI

(4)

L'INDICE

• • • E L L I B R I D E L M E S E | ^ B APRILE 1992 - N. 4, PAG. 4

Il Libro del Mese

Un archeologo contro i vandali

di Mario Fazio

ANTONIO CEDERNA, Brandelli d'Italia.

Come distruggere il Bel Paese, Newton Compton, Milano 1991, pp. 391, Lit 28.000.

Quando "Il Mondo" di Pannun-zio pubblicò i suoi primi articoli, nel 1950, Antonio Cederna era un gio-vane archeologo, reduce da una cam-pagna di scavi lungo la via Tiburtina (la descrive col piglio del narratore nelle bellissime pagine che aprono il suo nuovo libro, Brandelli d'Italia). Aveva la vocazione del critico che si affaccia sulla realtà per denunciare misfatti da una tribuna ideale, riu-scendo a provocare indignazione con una miscela di dati culturali e di fru-state intrise di sarcasmo. Era l'Anno Santo. Si inaugurava la via della Conciliazione dopo lo sventramento della Spina e dei Borghi. Il suo primo attacco fu rivolto ai 26 falsi obelischi definiti con una battuta fulminante: "S. Pietro e il cimitero dei birilli". Ebbe un successo immediato nella cerchia di amici del "Mondo" e di lettori che più si appassionavano alle vicende urbanistiche della capitale, allora minacciata dall'abusivismo sulla via Appia, da progetti di sven-tramenti oggi incredibili. Ebbe suc-cesso anche sul campo: la parziale di-struzione del centro storico, con sfondamento da via Veneto a via Margutta e via Ripetta, fu evitata grazie a un suo articolo cui seguì un appello firmato da Corrado Alvaro, Ennio Flaiano, Mario Pannunzio, Emilio Cecchi e altri.

Si affacciò alla ribalta un nuovo modello di giornalista: quello che ha la funzione di testimone critico, at-tento ai fatti che interessano la città, il territorio, il paesaggio. Allora non si parlava di ecologia né di ambienta-lismo. Antonio Cederna divenne un pioniere e un maestro per i giovani giornalisti che cominciavano a occu-parsi delle speculazioni edilizie nelle grandi città e lungo le coste. Erano gli anni dei massicci assalti alle rivie-re liguri: sparivano ville, giardini, agrumeti, per far posto a mostruosi agglomerati pseudomoderni.

Comin-ciai a denunciare lo scempio diven-tando allievo di Cederna a distanza. Non ebbi mai occasione di incontrar-lo nelle visite che facevo alla redazio-ne del "Mondo", in via della Colon-na AntoniColon-na, con la timida riverenza del giornalista di provincia ammesso in un tempio della capitale.

Antonio Cederna ebbe in quegli

anni il suo momento magico. Al "Mondo" lo consideravano un po' sopra le righe per la veemenza del suo stile, ma condividevano le sue battaglie. Quel trentenne milanese emigrato a Roma, nervoso anche nel-la mimica del volto magrissimo, ag-gressivo nelle sue denunce, stava di-ventando un punto di riferimento e il

protagonista di un nuovo modo di fa-re cultura difendendo la città, il pa-trimonio ereditato, la natura. Nel 1955 un gruppo di suoi amici fondò Italia Nostra, la prima associazione nazionale di tutela. Tra i fondatori Giorgio Bassani, il quale ne fu presi-dente per molti anni. Fu proprio a Italia Nostra che io conobbi Antonio

Dalla parte del torto

di Luigi Mazza

Nel 1955, introducendo la sua prima raccolta

di saggi, I Vandali in casa, Cederna scriveva:

"Da tempo immemorabile i vandali trionfano anche per il silenzio delle persone ragionevoli, per l'assenza di una forte posizione moralistica: in attesa di tempi migliori è bene servirsi dei mez-zi a disposimez-zione, quali la campagna di stampa, la polemica acre e violenta, la protesta circostan-ziata e precisa, lo scandalo sonoro... Abituati a intimidire e corrompere, [i vandali] si trovano sconcertati di fronte all'inflessibile denuncia: la loro potenza è fatta di viltà altrui... Occorre sfondare il sipario di complice riservatezza in cui operano, dilatare le loro colpe sul piano più am-pio possibile, ridicolizzarli screditarli persegui-tarli processarli nelle intenzioni, mettendo in evi-denza la sostanziale matta bestialità che li muo-ve". In queste righe sono riassunti programma e metodo di quarantanni di azione civile e politi-ca a difesa del patrimonio culturale italiano dal-la specudal-lazione e da un capitalismo ottuso. Resi-stenza ed insieme testimonianza, si potrebbe dire una vita "dalla parte del torto", ma segnata an-che da indubbi successi: battaglie vinte contro l'ignoranza avida dell'imprenditoria di rapina e la negligenza complice di burocrati e tecnici, ed un'indubbia influenza su una parte significativa dell'opinione pubblica.

Per Antonio Cederna conoscenza, rispetto e cura della tradizione culturale che arte, città e

paesaggio ci trasmettono, sono componenti ne-cessarie dell'identità e della moralità nazionale, un dovere nei confronti di noi stessi e delle gene-razioni future che impone un'incessante batta-glia allo spreco ed alla distruzione. Gli strumenti di questa battaglia sono soprattutto la denuncia, l'invettiva e lo scherno, prima che sia troppo tar-di. Cederna rifiuta un giornalismo che si limiti a registrare e descrivere, a favore di un giornalismo che interviene, che partecipa della lotta politica, si espone, rischia. Il carattere più immediato e quasi necessario di questo tipo di azione è la par-zialità. Dna parzialità volontaria e dichiarata che consiste sia nello schierarsi apertamente con una parte, sia nell'utilizzare un punto di vista parziale per rendere più incisiva l'azione. La par-zialità nell'esporre è rivolta a semplificare il caso discusso per facilitare la comunicazione e per agevolare la costituzione di un fronte di resisten-za e di attacco; nello stesso tempo costringe l'av-versario, se vuol competere, a scendere sul nostro terreno e a non poter far uso delle sue armi di ri-catto o di rivalsa, o, se ne ha, delle sue ragioni. La parzialità delle argomentazioni diviene un consapevole strumento per cercare di trasformare la condizione minoritaria e talora di solitudine in cui si muove l'azione di denuncia, in una con-dizione di forza, almeno di forza relativa, grazie

>

Cederna, quando "Il Mondo" stava avviandosi al tramonto. Ricorda lui stesso in un'intervista di Vittorio Emiliani: "All'inizio ero solo tra i giornalisti. Poi altri si dedicarono agli stessi temi, a cominciare da Ma-rio Fazio".

Dal 1966 ci trovammo assieme a combattere diverse battaglie, lui sul "Corriere della Sera" ed io su "La Stampa", per contenere l'espansione dell'Aga Khan sulla Costa Smeralda, contro i grandi scandali urbanistici di Roma e le operazioni immobiliari fuori legge a Milano, contro gli attac-chi ai parattac-chi nazionali e alle coste di mezza Italia, contro lo sfascio di Na-poli e di Palermo. I nuovi vandali di-lagavano. Ad essi Antonio Cederna aveva già dedicato nel 1956 il suo primo libro, un classico quasi intro-vabile: I Vandali in casa, edito da La-terza. Li aveva così definiti: "Non hanno niente a che fare con quei co-siddetti barbari che percorsero l'Ita-lia dopo il disfacimento dell'Impero Romano... Quelli che ci interessano sono i vandali contemporanei, dive-nuti legione. Per turpe avidità di de-naro, per ignoranza, volgarità d'ani-mo, o semplice bestialità, vanno ri-ducendo in polvere le testimonianze del nostro passato. Proprietari e mer-canti di terreni, speculatori, privati affaristi chierici e laici, urbanisti sventratori, aristocratici decaduti, scrittori e giornalisti confusionari o prezzolati...".

Non ha mai usato la mano leggera. Si è fatto molti nemici. Il mondo del-l'informazione e della cultura che si ritiene "progressista" non lo ha mai sopportato, o lo digerisce a fatica. In questo nuovo libro, che non è una semplice raccolta di articoli ma un'antologia di scritti dal 1950 al

1980 con brevissimi commenti a con-fronto delle situazioni odierne, alcu-ni braalcu-ni aiutano a capire i motivi. Ec-co Ec-come parlava degli architetti nel 1955: "Delle molte migliaia di archi-tetti, ingegneri e urbanisti italiani, la maggioranza è formata da gente

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Suoli all'asta

Il regime dei suoli urbani, a cura di Stefano Pompei e Stefano Stanghel-lini, Alinea, 1991, pp. 221, Lit 35.000.

La Camera ha chiuso i suoi lavori senza approvare un progetto di legge sul diritto di edificazione e sull'in-dennità di esproprio già passato al Senato nel 1990. Secondo le ambi-zioni dei proponenti, il progetto in-tende garantire un trattamento pari-tario di tutti i proprietari e la loro uguaglianza rispetto alle scelte dei piani urbanistici. Per conseguire questo difficile risultato il progetto riconosce una stessa edificabilità

le-gale a tutte le aree urbane. Quindi, per avere forme differenziate di edi-ficabilità nelle diverse parti del terri-torio urbano, il progetto introduce accanto all'edificabilità legale un'e-dificabilità reale ed un meccanismo di compensazione da applicare là do-ve l'edificabilità legale non coincide con quella reale. I proprietari delle aree con edificabilità reale superiore a quella legale pagano parte della maggiore edificabilità, e questi paga-menti dovrebbero servire per inden-nizzare i proprietari di aree con edifi-cabilità reale nulla o minore di quella

legale. Pagamenti ed indennizzi ven-gono definiti con riferimento a dei valori convenzionali stabiliti per ogni zona omogenea della città, ad esempio, tendenzialmente decre-scenti dal centro verso la periferia. Diritti di edificazione e controllo dei valori del suolo sono temi che hanno occupato per trent'anni una parte ri-levante del dibattito politico e tecni-co sull'urbanistica italiana senza pro-durre risultati significativi sul piano pratico.

Oggi i diritti di edificazione sono regolati da norme riconducibili alla legge urbanistica del 1942 e, dopo le note sentenze della Corte costituzio-nale del 1980 e 1982, le indennità di esproprio sono assimilate ai valori di mercato con un'interpretazione estensiva della legge del 1865.1 saggi del volume curato da Pompei e Stan-ghellini forniscono una breve rico-struzione delle vicende che hanno portato alla situazione attuale dei di-ritti di edificazione ed una discussio-ne del progetto di legge. Da questo punto di vista i saggi più interessanti sono quelli che simulano gli effetti dell'applicazione della legge, in par-ticolare quelli dei due stessi curatori.

I risultati non sono incoraggianti.

Le indennità di esproprio risultano diverse a seconda delle aree in cui so-no calcolate, e iso-noltre appaioso-no ra inferiori al valore di mercato, talo-ra superiori. Anche i criteri di defini-zione dei contributi dovuti per un'e-dificabilità reale superiore a quella legale portano a risultati disomoge-nei. In altre parole, qualora il proget-to di legge venisse approvaproget-to e appli-cato mancherebbe proprio l'obietti-vo dichiarato dai proponenti: un eguale trattamento tra i proprietari. Questa conclusione non può stupire perché il sistema di valori convenzio-nali, che presiedono alla determina-zione di indennizzi e contributi, è costruito sulla base di semplificazio-ni eccessive, incapaci di rappresenta-re la rappresenta-realtà del mercato urbano. Ad esempio, si assume che, all'interno di una stessa zona, un metro cubo edifi-cato abbia lo stesso valore indipen-dentemente dalla sua localizzazione e qualunque sia il suo uso. Non è chiaro perché il progetto di legge pre-ferisca inventare un meccanismo, po-liticamente costoso e tecnicamente inefficace, per costruire un mercato convenzionale, invece di fare diret-tamente 1 conti con il mercato reale. Una delle conseguenze non trascura-bili di questa scelta è di sottrarre le collusioni tra politica ed affari al con-trollo che scaturisce dal confronto tra interessi contrapposti, in quanto

buona parte degli interessi sarebbero sterilizzati dal vedersi riconosciuta l'edificabilità legale. Infine, l'appli-cazione della legge banalizzerebbe ulteriormente la progettazione e l'amministrazione dell'urbanistica, riducendo la realtà del tessuto ur-bano e del mercato a zonizzazioni ru-dimentali e costringendola all'inter-no di standard prestabiliti di edifica-bilità.

La convinzione che la legge non funzioni percorre con accenti diversi quasi tutti i saggi; ciò nonostante, e con sorpresa del lettore, le conclusio-ni del volume sono di critico soste-gno della proposta. Influisce, forse, su queste conclusioni la speranza di certi amministratori locali di ottene-re dalla nuova legge indennizzi di esproprio inferiori ai valori di merca-to o comunque commisurati (?) "alle capacità finanziarie degli enti espro-priami", con buona pace non del-l'eguale, ma anche solo di un equo trattamento dei proprietari. Nel mo-mento in cui cultura politica e ur-banistica riscoprono l'importanza dei diritti, sembra difficile assumere una richiesta di questo tipo come ra-gione di una legge che determina il valore dei suoli urbani. Per rimettere ordine e chiarezza nell'amministra-zione dell'urbanistica, sono necessa-ri strumenti per colpire i profitti spe-culativi in modo non discrezionale e

nel rispetto dei diritti di ciascuno. Se ci fosse la volontà di farlo, sarebbe possibile trovare strumenti adatti per ottenere processi amministrativi più limpidi, per evitare eccessi di of-ferta immobiliare e far guadagnare qualcosa alla comunità. Ad esempio, perché non riconsiderare la proposta di mettere all'asta il diritto di edifi-care? A chi la giudicasse una propo-sta sconsiderata, ricordiamo che è stata avanzata recentemente da un giornale moderato come "The Eco-nomist" e, molti anni fa, da un'ina-scoltata commissione parlamentare italiana.

(5)

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sponsabile e semianalfabeta, e come tale piena di presunzione. Basta os-servare quel cbe hanno costruito e vanno costruendo, dal centro di Mi-lano ai Parioli, a Monte Mario, per convincersi che non abbiamo a che fare con uomini ma con un branco di scimmie". Postilla dell'autore: "Il paragone con le scimmie è forse ec-cessivo e oggi non lo userei. Per ri-spetto degli animali".

Il direttore generale delle Antichi-tà e Belle Arti, Guglielmo De Ange-lis d'Ossat, il quale voleva esportare capolavori chiusi "in cassoni stagni galleggianti" (nel caso di affonda-mento della nave) venne ritratto co-me "un grande equilibrista disposto sempre all'obbedienza verso i pezzi più grossi di lui... se vossignoria illu-strissima sapesse... che intimazio-ni... che comandi ho avuto... Vada a farsi benedire, dentro un cassone sta-gno e galleggiante". Affiora il culto di Antonio Cederna per Manzoni, in particolare per I Promessi Sposi che conosce a memoria. Ne cita brani nei suoi interventi oratori alla Camera (è deputato della Sinistra indipenden-te) e nel Consiglio comunale di Ro-ma, come nei convegni e nelle con-versazioni, usando con arte la forte vena ironica e umoristica che ne fa un grande attore: i suoi discorsi sono pezzi di bravura proprio per la recita-zione, che dosa sapientemente scop-pi d'ira e pause timide, apparenti dif-ficoltà di espressione, fievoli sospiri. Ecco un altro brano del 1977, scritto contro la cultura dello sviluppo quan-titativo e la concezione dell'uomo dominatore della natura: "Chi difen-de quest'ultima è considifen-derato un esteta, un'anima bella, un romanti-co, una zitella, un diverso, insomma un'entità femminea e femminile, con tutti gli incovenienti del caso: isteri-smi, furori uterini, menopausa...".

Antonio Cederna ha certamente i suoi furori. Ci hanno aiutato a scon-giurare la lottizzazione delia pineta di Migliarino (oggi protetta a parco), una città-satellite sulle isole della la-guna veneta, un sistema autostradale da Chioggia al Lido, la cementifica-zione del Parco nazionale d'Abruz-zo, lo sfacelo totale del Circeo e dei lidi romani. Il "Cederna furioso", tribuno caustico, ha dato un contri-buto fondamentale alla diffusione della cultura della conservazione non limitata al singolo monumento o al singolo lembo di paesaggio. A rileg-gere i titoli degli articoli compresi in questo libro Napoli città omicida, La

morte a Venezia, Roma sepolcro dei propri beni culturali, con l'aggiunta del sottotitolo Come distruggere il Bel

Paese, si potrebbe ricavare un'im-pressione di nero catastrofismo. Ma Antonio Cederna è stato ed è autore o propugnatore di leggi e progetti con forte carica innovatrice, da quel-li per Roma e i Fori a quelquel-li per la di-fesa del suolo. È stato protagonista nella difficile e lunga campagna per il recupero dei centri storici, dagli anni ormai lontani in cui lottammo assie-me a sostegno del piano di Pier Luigi Cervellati per Bologna. Devo ag-giungere che non è affatto triste: ab-biamo viaggiato assieme e spesso mi sono divertito. Da attore è irresisti-bile, reciti VAmleto o faccia l'imita-zione di Meazza intervistato alla ra-dio (è un tifoso passionale dell'In-ter). Soffre di fissazioni senza rime-dio, come di un'esterofilia che gli provocava scatti furibondi quando osavo criticare qualche aspetto delle New Towns o di città straniere visi-tate assieme. A volte si è tentati di mandarlo al diavolo. A volte si ha 0 dubbio che reciti la parte del combat-tente stanco di combattere: seduto nel suo studio tra montagne di carte e di libri, oppure rintanato in un an-golo della sala del consiglio di Italia Nostra, ripete con accenti shake-speariani "Che noia, che noia, che noia".

D futuro è

a Comacchio

di Michele Semini

P I E R L U I G I C E R V E L L A T I , La città

bel-la. Il recupero dell'ambiente urbano, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 104, Lit

12.000.

La città sostenibile, a cura di E. Sal-zano, Edizioni delle Autonomie, Ro-ma 1992, pp. X-347, Lit 30.000.

"Cederna è emaciato perché è

fu-rente", dice Pier Luigi Cervellati a proposito degli sforzi di Cederna per far capire agli italiani la loro arretra-tezza in materia di tutela ambientale. L'evidente sodalizio tra l'amabil-mente postmoderno Cervellati e Ce-derna contagia presto il lettore.

Un primo capitolo introduce alla questione urbana e territoriale. Se-guono un capitolo sui piani del traffi-co e uno che tratta il rapporto tra am-biente costruito e amam-biente naturale. Il quarto capitolo è dedicato al dibat-tito in materia di restauro ieri e oggi; è la parte più tecnica, vi si sente l'e-sperienza dell'autore del piano per il centro storico di Bologna, noto nel mondo. L'ultimo capitolo, il più pro-vocatorio, tratta degli aspetti positi-vi della museificazione dei centri sto-rici, che torneranno ad essere luogo delle Muse. La postfazione ricorda il progetto di rivitalizzare il devastato centro di Dallas con un grande lago. E propone il ripristino delle valli di Comacchio com'erano prima del pro-sciugamento: di nuovo lambita dalle acque, cui si accompagnerebbe il ri-torno delle Muse fuggite da un terri-torio privo di confini e dunque di identità, Comacchio diverrebbe "una fra le città più affascinanti del duemila". Palude è vita, dicono giu-stamente gli ecologisti. Ma è anche il sogno di uno stile controculturale: "la palude, prima di tutto, e la bru-ghiera, appartengono allo

Jugend-stil"r scriveva nel 1932 Ernst Bloch.

Il lettore assuefatto all'esecrazio-ne per ogni novità che rovina l'am-biente storico e naturale avrà la con-ferma di trovarsi su di un terreno a lui noto. Cervellati è contro il ce-mento, il metro cubo, l'automobile, il parcheggio, la metropolitana, il piano regolatore mal fatto, quello "concertato", il "progetto" cbe so-stituirebbe il piano. E soprattutto contro ogni metro cubo di cemento. Non solo quello abusivo. Quasi sem-pre l'invettiva colpisce tutti gli ulti-mi cento anni di costruito. Qui si im-pone qualche riflessione. I lettori che non hannó già un automatico e radi-cato consenso per queste posizioni possono essere interessati a qualche

nota critica. Ciò non toglie che si possano approvare battaglie sacro-sante: la svendita del patrimonio im-mobiliare pubblico è un errore; Mon-teruscello di Pozzuoli è un "quartie-re infame"; il verde come standard urbanistico dà la misura della civiltà urbana; l'architetto Léon Krier ha imitatori assai meno raffinati; le pe-riferie sono "squallore"; i quartieri popolari periferici, tutti identici, so-no poveri, so-non perché popolari ma perché vi mancano le caratteristiche del centro storico; le varianti di pia-no regolatore sopia-no sempre peggiora-tive.

Il filo del ragionamento generale del libro è semplice e senza sfumatu-re: non si riesce a fare urbanistica co-me si dovrebbe; del resto in epoca postindustriale l'urbanistica avrà principi nuovi, ancora non ben ela-borati; l'urbanistica "contrattata" o "concertata" non è soddisfacente né dignitosa; facciamo convergere le forze sull'unico campo operabile, in-dispensabile per salvare la memoria storica, l'identità dei luoghi, il valo-re, anche economico (l'indotto), del patrimonio urbano per le generazioni future: il restauro o recupero dei cen-tri storici, entro territori ben defini-ti. Siamo vicini alla nozione di città come "bene raro", che i cittadini de-vono pagarsi. Un'incongruenza, que-sta città-merce, per chi vuol criticare il consumismo.

Il ragionamento "tecnico" e pro-positivo che sostiene questa linea è ancor più semplice, provocatorio: il centro storico, equivalente alla vera "città", è come un unico oggetto-monumento, su cui applicare il re-stauro; il territorio è come un parco, da restaurare e progettare. Città me centro storico, centro storico co-me^ monumento e come museo.

E possibile qualche obiezione. Il postindustriale, su cui avevamo criti-cato Cervellati già anni fa, si profila meno brillante e sicuro del previsto: tecnologia, benessere, tempo libero, civiltà dell'immateriale, spesso ap-paiono panorami lontani. Una ten-denza non può essere data per defini-tiva e addirittura costituire l'origine

di ogni pianificazione del futuro. La città, si dice, non esiste più, solo il centro storico merita 0 nome di città. Il centro storico con le sole stratifica-zioni precedenti l'epoca industriale. La "città" industriale ha avuto mo-dificazioni troppo frequenti ed este-se. La "data" di un centro storico da restaurare sarebbe dunque almeno quella di un secolo fa, o anche prece-dente (la Firenze del Foscolo, la Ro-ma di Sisto V). Ma le capitali euro-pee dell'Ottocento sono città. Il ring di Vienna non è un disastro. Parigi da metà Ottocento nasceva già come un rimedio a taluni difetti della città industriale. Si potrebbe dunque ri-baltare la prospettiva: la città è sem-pre città, con tutte le sue modifica-zioni ed espansioni, ed è arbitrario stabilire confini di spazio e di tempo entro i quali l'urbano è "storico". Ancora. La città storica-museo re-staurata non è per pezzi da museo, sarà invece "giardino di pietra" e luogo vivo delle Muse.

L'affermazione apodittica si può rovesciare. Per l'opinione comune "non si può ridurre la città ad un mu-seo". Forse questa "banalità" vince sulle perorazioni di Cervellati. L'anti industrialismo senza progetto politi-co torna ad essere negli ultimi anni utopia prescientifica metà Ottocen-to. Una possibile critica sta nei fatti. Già dieci anni fa con le politiche eu-ropee per il recupero c'era il dubbio

che si trattasse di "congelamento" più che di rivitalizzazione della città. Cervellati stesso nota che il centro storico è diventato una plasticata boutique, una Disneyland, e la sua Bologna una città "spenta". Colpa del modo di intervento, o non piutto-sto della filosofia, volgarizzata con slogan del tipo città come salotto, teatro, museo, e via metaforizzando? Forse non spetta al tecnico del re-stauro di ripristinare l'intero piane-ta, mutato nei secoli da azioni varie, storiche al pari dei "centri storici". Le nostre periferie sono, dice An-tonio Cederna, una "crosta repellen-te di asfalto e cemento". Il giudizio è riportato, in una pagina di La città

so-stenibile che raccoglie quarantadue interventi svolti al convegno orga-nizzato a Venezia per presentare il "Libro verde sull'ambiente urbano in Europa", predisposto dal commis-sario per l'ambiente della Cee (il te-sto del Libro verde è riportato in ap-pendice). Molti interventi al conve-gno si legano alle polemiche di Ce-derna sull'urbanistica italiana e sull'ambiente. Gli interventi che se-guono l'introduzione di Salzano so-no raggruppati in sette parti: il mer-cato e la città; i confini della città; la città ecologica; muoversi in città; i luoghi (interventi su città del Mezzo-giorno, e su Roma, Livorno, Firenze, Venezia, Trieste, Milano, Torino); città e politica; l'Europa per le città.

Molti interventi criticano il Libro

verde, pur riconoscendo l'utilità del-l'iniziativa Cee. Il documento è piut-tosto prolisso e vago, a differenza di altri documenti ufficiali di questo ti-po. Inoltre, si tratta solo di "racco-mandazioni" e intenzioni di future attività. Le critiche riguardano tutta-via prevalentemente due punti del documento: l'attacco all'urbanistica funzionalista, che ravviva l'astio tra urbanisti ed architetti, e l'estensione delle raccomandazioni a tutte le città europee senza distinzioni.

Il Libro verde si riferisce non tanto all'ambiente urbano in genere, che per il senso comune riguarderebbe l'intera problematica del vivere in città, quanto alle questioni dell'am-biente naturale che coinvolgono la città. Provenendo dal commissario per l'ambiente, il documento non può concernere tutta la politica della Comunità in materia di città. Ne può risultare accreditata, forse senza vo-lerlo, un'opinione diffusa, che la "qualità della vita" e la "qualità del-la città" riguardino quasi esclusiva-mente gli aspetti dell'ecologismo, dell'ambiente naturale, e non anche — insieme alla forma urbana — i rapporti sociali ed economici. La cit-tà compare nel Libro verde sia come luogo il cui degrado dimostra i guasti dello sviluppo sull'ambiente, sia co-me "la maggior fonte di inquinaco-men- inquinamen-to". Se lo sviluppo dovrà diventare "sostenibile" la città dovrà subire il maggior carico di cambiamenti. Più che modificare la produzione, gli ec-cessi nei consumi e nei movimenti, è tutto lo stile di vita della gente che verrà colpito, attraverso una costri-zione a vivere diversamente per vive-re meglio. Su questo aspetto si sorvo-la; per le persone colte la città è supe-rata, tutti si trovano male nella città, e quindi è ovvio che, centri storici a parte, la vita urbana tradizionale non è più un modello.

L'interesse degli studiosi andrà al bel saggio di Gambino, Reti urbane e

spazi naturali. Ho più volte criticato l'uso ideologico e pianificatorio che sovente viene fatto da alcuni della scoperta che l'insediamento italiano è sempre più reticolare. Ma si può senza difficoltà ammettere che è ra-gionevole espandere gli insediamenti sui nodi e sulle maglie esistenti, la-sciando il più possibile intatto il ter-ritorio libero. La pianificazione di rete sarà prevalentemente cura per le cuciture e i riassestamenti, anche morfologici, delle parti improvvisate ed incomplete di reticolo.

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alla scelta di un terreno su cui l'avversario si muove a disagio. Determinare questa condizione di disagio, mostrare che anche un potente può es-sere debole, è un passo importante per facilitare una maggior mobilitazione contro di lui e dare corpo ad un 'azione efficace.

La parzialità ha ovviamente i suoi costi: co-stringe, ad esempio, a non soffermarci troppo sui conti economici. Probabilmente Cederna rifiute-rebbe questa osservazione con l'ironica sopporta-zione che si deve ad un interlocutore noioso e miope, ma una delle semplificazioni che si può rimproverare, ad esempio, alla cultura dei centri storici sembra proprio quella di aver sottovaluta-to l'incidenza dei costi di ristrutturazione e di manutenzione dell'edilizia degradata e l'impossi-bilità, una volta assunti standard di qualità, di procedere al suo recupero con le risorse disponi-bili per l'edilizia economica e popolare. E so-prattutto a questa sottovalutazione che si può

imputare il fallimento delle politiche rivolte a mantenere nei centri storici un'utile mescolanza di attività e di ceti sociali e il successo dei proces-si di espulproces-sione e di terziarizzazione. Un atteggia-mento parziale, mentre da un lato cerca di risve-gliare le coscienze, dall'altro, consapevole della sua condizione minoritaria, è portato a cercare delle scorciatoie brevi, come leggi o divieti, per sciogliere ì nodi che un'attenta coscienza civile saprebbe risolvere senza atti di imperio. Scaturi-sce probabilmente di qui una fiducia eccessiva nella nazionalizzazione del suolo e nell'espro-prio per la soluzione dei conflitti di interesse che stanno alla base dei problemi della città.

Ceder-na, a differenza di molti urbanisti, sa che l'espro-prio è pochissimo usato da quei paesi che si assu-mono come modello di governo urbanistico, e lo scrive, ma di fronte allo sfascio della situazione italiana non vede altra risorsa che l'intervento autoritario della legge. Ancora un 'atteggiamento parziale può non tener conto del fatto che il bloc-co della crescita della città, spesso invocato da Cederna, ha come contropartita proprio un au-mento della pressione speculativa sui centri stori-ci che si vuol difendere. Ma osservazioni di que-sto tipo, condivise o meno, vanno rivolte alla cultura urbanistica italiana più che a Cedema. L'importanza ed il valore dei suoi contributi non sono da cercare nella congruità delle sue afferma-zioni tecniche ma nella radicalità delle prospetti-ve che Cedema indica per la formazione di una diversa cultura tecnica e politica.

Gli articoli pubblicati in Brandelli d'Italia

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H corpo speciale del presidente

di Marco Vini

PAOLO G U Z Z A N T I , Cossiga uomo solo,

Mondadori, Milano 1991, pp. 227, Lit 28.000.

ANTONIO PADELLARO, Chi minaccia il

Presidente, Sperling & Kupfer, Mila-no 1991, pp. 192, Lit 24.500.

M I C H E L E G A M B I N O , Carriera di un

presidente, Edizioni Associate, Roma 1991, pp. 153, Lit 20.000.

Quello di Guzzanti non è un libro sul caso Cossiga, ma un prodotto ad uso interno del cosiddetto partito del presidente, una variegata lobby che da Craxi scende fino al Movimento sociale e alle leghe passando attraver-so l'alta burocrazia militare e la no-menclatura dei servizi segreti. Lo straordinario rianimatore della mor-ta scena politica imor-taliana ha attirato l'attenzione quotidiana della stam-pa, di giornalisti che poi hanno con-densato il loro lavoro in forma di vo-lume. Si tratta di opere commissio-nate e realizzate in tempi brevi ed esposte al rischio di un rapido invec-chiamento, così frenetico era il ritmo delle prediche, lezioni, minacce che venivano dal Quirinale. Non c'è sta-to ancora il tempo per una riflessione matura sulla vicenda del primo citta-dino d'Italia, che, forte della propria irresponsabilità formale, attacca le radici del sistema politico, di cui è ti-pico figlio. Neppure è stato chiarito fino in fondo il progetto istituzionale e politico, a cui strenuamente lavora, occultandolo nel fumo di molte appa-renti contraddizioni.

Tra i libri qui considerati, tutti egualmente carenti dal punto di vista dell'analisi finale dei comportamenti cossighiani, quello di Guzzanti è l'u-nico che può essere considerato una prova d'autore. Non si perde nella ri-costruzione dei precedenti o nel con-fronto di versioni diverse del medesi-mo fatto. Prende partito, 'il partito del presidente appunto, dando per scontato che il lettore sappia già tut-to della biografia cossighiana, della mappa del potere democristiano, del-la strategia deldel-la tensione in Italia. Più pertinentemente il libro si sareb-be dovuto chiamare "Io e il presiden-te". Vi si narra di un innamoramento a prima vista e chi conduce la love

story è piuttosto l'intervistatore che l'intervistato. "Posso ora rivela-re..." è la formula a cui volentieri ri-corre Guzzanti quando la scena è da troppo tempo occupata dal partner. Tra una rivelazione e l'altra, tese a ri-badire il ruolo esclusivo e privilegia-to di cui ha goduprivilegia-to il giornalista am-messo perfino a visitare le segrete stanze abitate dai fantasmi dei pre-decessori di Cossiga al Quirinale, il presidente viene blandito in ogni modo e assurgerebbe a totale beatifi-cazione se, per un lapsus assai diver-tente, Guzzanti non lo descrivesse con immagini sottilmente denigrato-rie: Kamikaze e Charlie Brown, ma-ster di spionaggio e collezionista di soldatini di piombo, periglioso gla-diatore e Charlot del Quirinale, per culminare nella figura di improbabile rilievo drammatico, un "uomo solo che grida nella palude".

Spesso lo stile tradisce l'ansia di Guzzanti di ben figurare nel partito del presidente. Frasi brevi, troppo brevi, a raffica, urlate, secondo la ris-sosa retorica portata in Tv da Giulia-no Ferrara. E gli stessi metodi dei co-municatori televisivi: ampia citazio-ne (con sarcasmi e sottovalutazioni) degli avversari dichiarati (il giudice Casson, il repubblicano Libero Gual-tieri, Achille Occhetto tra gli altri), silenzio sugli alleati non ufficiali (Craxi) e su quelli imbarazzanti come i leghisti (buon per Guzzanti che i fa-scisti non fossero ancora venuti allo scoperto). Gli episodi nevralgici del-la biografia cossighiana, Gdel-ladio,

Mo-ro, Ustica sono trattati come barzel-lette, farse all'italiana, perché il dramma non sfiori il candido e solita-rio abitatore del Quirinale, a cui la morte dell'amico Moro — viene rive-lato — fece prematuramente incanu-tire i capelli e sensibilmente aggrava-re la malattia della pelle che lo perse-guita dalla più tenera età.

Eppure la lettura di questo libro non può essere mancata e proprio dai più avvertiti anti-Cossiga. Per alme-no due interviste interne all'amorosa

correnza di calzare il glorioso berret-to verde). La seconda notevole inter-vista è a Paolo Emilio Taviani, padre nobile di Gladio, che ha modo di ri-mettere a posto la verità storica: Cos-siga era solo il "furiere" dei gladiato-ri e tutta l'organizzazione mirava a contrastare le armate d'invasione so-vietiche sempre in procinto di mar-ciare su Bergamo, via Austria. Que-st'ultimo argomento piace molto an-che a un altro personaggio, Edgardo Sogno, referente, prima

semiclande-si più tardi dallo stesso giornale con la benedizione del presidente.

Per cominciare ad orientarsi nel personaggio Cossiga, bisogna ricor-rere al libro di Antonio Padellaro Chi

minaccia il Presidente. L'habitat cul-turale in cui Cossiga ha mosso i primi passi è ben rappresentato. Il padre era un sardista focoso, ma le sue sma-nie anarchiche non gli impedivano di puntare sul figlio come futuro politi-co romano di vertice. Per parte di madre, il sangue era borghese e

intel-Le leghe nel fianco

di Enrico Allasino

V I N C E N Z O C E S A R E O , M A R C O L O M B A R D I , G I A N

-C A R L O R O V A T I , Localismo politico: il caso della

Lega Lombarda, Comitato Regionale Lombar-do Democrazia Cristiana, Varese 1989, pp. 99,s.i.p.

R E N A T O M A N N H E I M E R , La Lega Lombarda,

Feltrinelli, Milano 1991, pp. 203, Lit 20.000.

V I T T O R I O M O I O U , Il tarlo delle leghe, Comedit

2000, Trezzo sull'Adda 1991, pp. 391, Lit 28.000.

La rapida avanzata della Lega Lombarda e di altri movimenti regionali analoghi ha sollecitato la pubblicazione di ricerche e di opere di docu-mentazione e di intervento politico sull'argo-mento. Sarebbe fuorviante usare questi studi co-me libri profetici sui futuri successi, o insuccessi, elettorali delle leghe riducendo ancora una volta tutto il problema a una spartizione di voti. Da questi studi risulta che il leghismo è un aspetto particolare di una più ampia e profonda crisi la cui comprensione richiede approfondimenti spe-cifici, oltre alla rifrequentazione della letteratura su vecchi temi come il populismo e il nazionali-smo. Già nella prima metà del 1989 la Democra-zia cristiana lombarda aveva commissionato una ricerca sui simpatizzanti per la Lega Lombarda che lucidamente mostrava come questo movi-mento politico non si radicasse in ambienti so-ciali e politici marginali, ma trovasse sostegno in fasce di popolazione attiva pienamente inserita

nella società e nell'economia lombarda e forte-mente motivata all'azione politica.

Successive indagini hanno confermato e preci-sato le caratteristiche del leghismo, mentre i suoi successi elettorali, per qualità e diffusione sul ter-ritorio, hanno fornito ulteriori elementi di rifles-sione. Molti di questi dati e informazioni sono analizzati e interpretati in La Lega Lombarda di

Renato Mannheimer (con scritti di Roberto Biorcio, Ilvo Diamanti, Renato Mannheimer, Paolo Natale), contributo di grande importanza per l'analisi del leghismo e per un suo corretto in-quadramento politologico e sociologico. Ai suoi esordi, la Lega Lombarda era un movimento lo-cale legato a temi quali la difesa del dialetto, la

riscoperta e la valorizzazione di tradizioni e usi locali, la richiesta di una maggiore autonomia. Su queste basi essa non sembrava destinata a espandersi oltre ristretti confinì territoriali e so-ciali, anche se nel corso degli anni settanta si era-no sviluppati in tutto l'Occidente nuovi movi-menti etnici regionali, alcuni dei quali destinati a divenire dei protagonisti delle scene politiche. Nel corso degli anni ottanta, in particolare sotto la leadership di Bossi, avvengono alcune rifor-mulazioni e riorientamenti dei temi politici cen-trali per la Lega, consentendole di diventare un movimento politico capace di raccogliere ben più ampi consensi. Il saggio di Roberto Biorcio illumina questi passaggi, chiarendone l'aspetto di elaborazione politica, contro l'ipotesi di un ge-nerico rispecchiamento di umori popolari non mediati e non interpretati.

La crescita del leghismo si inserisce nella crisi delle subculture politiche locali, nelle quali vie-ne meno il tradizionale legame di fedeltà a un partito, ma non scompare la spinta alla ricerca di un'appartenenza politica stabile in forme sub-culturali. Tra i passaggi fondamentali che hanno permesso un salto di qualità politica al leghismo, e da cui deriva la crescita nella quantità e diffu-sione dei consensi, vi è la riformulazione del-l'antimeridionalismo in ostilità verso gli immi-grati extracomunitari, lo spostamento di enfasi dagli aspetti localistici dell'appartenenza al re-gionalismo lombardo, con il passaggio dall'uso tendenziale del dialetto a quello di un linguaggio popolare non dialettale e l'introduzione di stili e temi tipici del populismo. Il leghismo insomma assume i connotati di una forma di nazionali-smo: rottura delle ristrette lealtà locali, enfasi sui valori morali e civili del popolo, individuazione di un duplice nemico, il potere romano e gli

"estranei". Interessi economici regionalistici e di ceti medi, identità locali, timore delle trasforma-zioni sociali vengono sintetizzati con la proposta di soluzioni drastiche e semplificatrici. La Lega fa uso di temi tipici del populismo conservatore,

comuni a molti altri movimenti politici europei

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storia. Nella prima, irresistibile, il presidente racconta per la prima vol-ta di essere andato a scuola di anti-terrorismo in Gran Bretagna, su in-carico di Moro, e di aver importato i Cis e i Nocs, corpi speciali dei Cara-binieri e della Polizia, che così inutili si dimostrarono nella caccia alle Br sequestratrici di Moro medesimo. Qui Guzzanti fa benissimo il suo ve-ro mestiere: opportunamente stuzzi-cato il presidente gli si confida con

dovizia di particolari, ribadendo da una parte la stretta familiarità coi

ré-seaux più segreti, dall'altra la sua in-fantile passione per divise, fregi e ri-tuali militari (creatore del Comsu-bin, si vanta di essere un incursore ad

honorem e di avere il diritto

all'oc-stino ora onorato ed esibito in piena luce, di Cossiga. In una estempora-nea intervista pubblicata da "Pano-rama", Guzzanti rende omaggio a questo "infelice eroe della democra-zia" (definizione che si attaglierebbe perfettamente anche al presidente) che, con rara coerenza, è sempre sta-to al servizio dei servizi segreti ingle-si o americani, nella Reingle-sistenza e do-po. A Guzzanti rivela una confiden-za che gli avrebbe fatta il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e che coinvolgerebbe il figlio di Togliatti nelle sanguinose trame Br. Solo l'in-tervento di Nilde Jotti avrebbe salva-to il Pei dallo scandalo. Gli stessi in-gredienti, insomma, dello scoop To-gliatti-Armir fatto scoppiare due

me-lettuale, il giro delle parentele e ami-cizie formato da "laici", spiegò Cos-siga in una intervista di tempi non sospetti citata da Padellaro, "repub-blicani, antigiolittiani, liberal-radi-cali e in qualche caso presenti nella li-bera muratoria" (puntualizzazione che illumina le successive frequenta-zioni di Gelli e generali della P2).

Il sangue misto Francesco cresce con la rabbia in corpo (il sintomo più evidente sono herpes e psoriasi, ma-lattie tra le più psicosomatiche). Puntigliosissimo negli studi, pedan-te, competitivo con i cugini Berlin-guer, esordisce nella politica sassare-se facendo fuori, con spregiudicatez-za che qualcuno definirà più tardi "leninista", Nino Campus capo

del-la segreteria provinciale deldel-la De. Eletto deputato nel '58 grazie all'ap-poggio di Antonio Segni, il più auto-revole dei dignitari democristiani sardi, è precoce anche negli affari. A ventinove anni, consiglierè del Ban-co di Sardegna e titolare di un florido studio di avvocato. Grande elettore di Segni al Quirinale nel '62, ne vie-ne ricompensato con una serie di in-carichi di fiducia, che subito lo por-tano a dar corpo alla sua adolescen-ziale passione per l'intelligence. È sottosegretario alla Difesa nei gover-ni Moro, Leone, Rumor. Gestisce il delicato compito di rendere inoffen-siva la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti del 1964, il Pia-no Solo, che vede la drammatica fol-lia di Segni e "lo zelo pericoloso" (questa è la definizione di Cossiga) del generale De Lorenzo. E ministro la prima volta nel '74 col quarto go-verno Moro e ha la definitiva consa-crazione occupando gli Interni nel '76 al posto del dimissionato Gui. Nel '78 arrivano i giorni bui del se-questro e dell'uccisione di Aldo Mo-ro, Cossiga si dimette, tra l'ammira-zione generale. Cinque anni più tardi sarà un vecchissimo Pertini a dargli un governo, che vive soltanto lo spa-zio di otto mesi. Caduto prematura-mente anche un secondo gabinetto, per Cossiga è l'ora dell'esilio nella natia Sassari. 1124 gennaio 1985 vie-ne eletto presidente al primo scruti-nio, coi voti di tutti, comunisti com-presi. Sembra garantire un tranquillo notariato della Repubblica. L'illusio-ne dura cinque anni. Ad accendere la micce per i fuochi finali è ancora una volta Giulio Andreotti che, provoca-to dall'inchiesta di Felice Casson su Gladio, gioca d'anticipo e invia il primo micidiale siluro al Quirinale. E Cossiga il più esperto in gladiatori e milizie segrete. Gladio, l'esercito parallelo, Ustica, la guerra senza esclusione di colpi dei servizi segreti italiani, in collusione forse con quelli di Libia e d'America, e soprattutto Moro, il delitto eccellente, l'enigma più indecifrabile di cinquant'anni di regime democristiano. Le denunce della stampa, della magistratura, del-la Commissione stragi di Libero Gualtieri si moltiplicano e Cossiga, il politico con un cursus honorum se-condo solo a quello di Andreotti, il politico che da trent'anni opera nel cuore del sistema con alte responsa-bilità scoperte o coperte, viene siste-maticamente chiamato in causa.

Il resoconto più completo e pun-tuale dei misteri della Repubblica cossighiana è quello di Michele Gam-bino in Carriera di un presidente, ope-ra dichiaope-rata di opposizione. Un esempio tra i tanti chiaramente rico-struito nel libro: non è stata finora smentita l'iniziativa cossighiana di un comitato-ombra, incaricato di coordinare le indagini sul rapimento Moro e costituito da militari iscritti alla P2, da un tecnico della Cia, da uno psichiatra fascista e agente dei servizi segreti e quasi certamente con la presenza di Licio Gelli. Tutto ver-balizzato e registrato, tutto scompar-so. Prove di straordinaria inefficien-za o di straordinaria efficieninefficien-za?

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| D E I L I B R I D E L M E S E | APRIL.E 1992 - N. 4, PAG. 7

Gladio. La verità e i sospetti

di Giuseppe De Lutiis

GIOVANNI MARIA B E L L U , G I U S E P P E

D'AVANZO, I giorni di Gladio,

Sper-ling & Kupfer, Milano 1991, pp. 290, Lit 26.500.

ANTONIO CIPRIANI, GIANNI CIPRIANI,

Sovranità limitata, Edizioni Associa-te, Roma 1991, pp. 331, Lit 24.000.

CLAUDIO G A T T I , Rimanga tra noi,

Leonardo, Milano 1991, pp. 275, Lit 30.000.

GERARDO SERRAVALLE, Gladio,

Edi-zioni Associate, Roma 1991, pp. 104, Lit 18.000.

"Erano in avvio le operazioni di traghettamento verso un nuovo Qua-rantennio di potere con la speranza (di molti) di conservare tutt'intero il bagaglio personale. Viaggio difficile per l'intero ceto politico. Nell'ora degli addii, quella trentina di uomini che ne erano (e sono) i protagonisti si ritrovavano tra le mani soltanto un'arma. Anzi due. Il ricatto e la complicità. Non si scherza nell'ora degli addii". Questa frase che trovia-mo tra le prime pagine del libro di Bellu e D'Avanzo è forse la chiave per comprendere tutto ciò che è av-venuto e sta avvenendo in Italia in questi ultimi mesi. Ma essa va corre-data da un'altra frase, di Giampaolo Pansa, citata anch'essa nel libro: "Non sono più cronache del Palazzo dei Partiti. Sono storie enigmatiche del Palazzo dei Serpenti, un palaz-zaccio repellente che fa straripare dentro la nostra vita i giochi sporchi dei poteri invisibili". L'ora degli ad-dii è infatti anche l'ora nella quale di-venta concreto il "pericolo" che sia fatta finalmente luce su trent'anni di stragi, di tentativi o minacce di colpi di stato, di terrorismi più o meno protetti. Tutto questo., e anche del-l'altro, è contenuto nel Palazzo dei Serpenti, dove sono convissuti per decenni gli isterici terrori anticomu-nisti degli americani, le cosiddette "deviazioni" dei nostri servizi segre-ti, e i più concreti disegni di perpe-tuazione del proprio potere dei poli-tici italiani, soprattutto De. I quat-tro libri che qui esaminiamo hanno obiettivi e campi d'indagine diversi, sono quindi in un certo senso com-plementari; ci aiutano dunque a chia-rire la complessa e tragica storia del-l'ultimo quarantennio da angoli vi-suali differenti.

Il libro di Bellu e D'Avanzo guar-da alle vicende italiane partendo guar- dal-la "storica" data del 18 ottobre

1990, quando il presidente della Commissione parlamentare sulle stragi, Gualtieri, ebbe tra le mani il documento di Andreotti su Gladio. "Un giorno — essi scrivono — sul ta-volo del presidente di questa com-missione, il senatore Libero Gualtie-ri, appare una 'chiave' che si chiama 'operazione Gladio'. Ha l'aspetto di un documento scritto dal presidente del Consiglio Andreotti ed è una strana chiave: non apre nessuna por-ta in particolare, ma forse, raddrizza-ta da un fabbro, ripuliraddrizza-ta dalla ruggi-ne, potrebbe aprirle tutte". Qual è il filo che guida le quotidiane esterna-zioni del presidente? A questo pro-posito una data è importante: 0 17 novembre 1990. Quel giorno, men-tre a Roma duecentomila manife-stanti chiedono la verità sulle stragi e su Gladio, Cossiga nell'aula del con-siglio comunale di Cairo Montenotte parla di "fantasmi del passato che fu-nestano questo paese quando un ven-to di libertà spira su tutta l'Europa" e poi aggiunge: "l'Italia è l'unico paese che non sa chiudere una fase storica e riprendere il cammino, tutti insieme". Da quel giorno egli comin-cia ad attaccare duramente i dirigen-ti del Pds, organizzatori della mani-festazione di Roma. Fino ad allora si era forse ripromesso di assumere il ruolo di garante del Pds nei confronti degli altri partiti, cioè di traghettato-re degli ex comunisti nel salotto buo-no dei "democratici". La contropar-tita era però una pesante pietra tom-bale sugli eventi più oscuri

dell'ulti-mo trentennio. Cossiga aveva sognato insomma di far nascere una seconda repubblica sul buco nero della strategia della tensione e del golpismo, tentando forse di scambia-re sul mercato della Storia i morti del triangolo emiliano del 1945-46 con quelli per stragi e terrorismo del 1969-84 Bellu e D'Avanzo nella loro cronaca puntuale si fermano alla pri-ma metà del 1991, pri-ma gli eventi suc-cessivi non hanno fatto che confer-mare questa ipotesi.

Il libro dei fratelli Cipriani,

Sovra-nità limitata, parte invece dal periodo

più oscuro della guerra fredda riper-correndo poi la storia degli ultimi quarant'anni alla luce di una docu-mentazione che gli autori hanno rac-colto con pazienza sia tra ciò che è emerso nel corso dei lavori della Commissione parlamentare sulle stragi sia mediante canali personali. Un libro dichiaratamente schierato, che però fonda le sue tesi su basi ben solide. Il grande merito del volume è di ricollocare alcuni episodi nella loro cornice naturale. La struttura Gla-dio, ad esempio, perde quei connota-ti di organismo avulso dalla realtà po-litica italiana, quasi un battaglione fantasma disperso nel deserto dei Tartari, e viene inserito nel contesto politico italiano e internazionale. Il

sottotitolo del libro, Storia

dell'ever-sione atlantica in Italia, suona un po' troppo perentorio, e forse lo è. Ma ciò significa che la tesi così brutal-mente presentata sia falsa? Gli autori hanno condotto un meticoloso lavo-ro di raccolta e connessione di testi-monianze e documenti dal quale emerge la storia sconcertante di un'I-talia a sovranità limitata. Il libro non si ferma qui: gli autori forniscono prove su una. serie di infiltrazioni di cui sono state oggetto e vittime le Brigate rosse, al punto da far ritenere non infondata l'ipotesi di un loro

condizionamento fin dalla nascita. Se si aggiungono questi dati a quelli ampiamente noti sulla tutela eserci-tata dai servizi segreti nei confronti dello stragismo e del terrorismo di destra, emerge un quadro nel quale l'arma della "destabilizzazione sta-bilizzante" è stata usata per lunghi anni, con risultati ben evidenti.

Lo stesso periodo storico viene analizzato anche nel libro di Claudio Gatti, Rimanga tra noi. L'autore ana-lizza il ruolo avuto dagli americani nella nostra vita politica sulla base dei contatti e delle iniziative dei fun-zionari statunitensi a Roma. La rico-struzione è molto precisa e dettaglia-ta e si basa, per quanto si può com-prendere, su informazioni di prima

mano. Quando però Gatti passa ad esaminare gli eventi più oscuri della storia italiana, la narrazione si fa eva-nescente e i giudizi divengono som-mari e francamente inaccettabili, co-me quando la Rosa dei Venti viene definita "ennesimo complotto da operetta architettato da personaggi poco raccomandabili e poco seri". Già nell'introduzione, d'altro canto, l'autore si avventura in un'afferma-zione quantomeno incauta: "Per die-trologi, allarmisti e insabbiatori di ogni specie, le rivelazioni su Gladio, fatte nell'estate del 1990 da Giulio

Andreotti, hanno offerto un'oppor-tunità senza precedenti. E improv-visamente la 'gladiomania' ha porta-to a riesaminare e correggere la sporta-toria politica italiana del dopoguerra. Dal golpe Borghese alla P2, dalla Rosa dei Venti alla strage di Bologna. Tut-to è staTut-to rivisTut-to e gladio-interpreta-to". Affermazioni incaute, ci sem-bra, poiché se è vero che non è emer-sa nessuna diretta responemer-sabilità dei 622 gladiatori palesi nelle vicende più tragiche della storia italiana, ciò non significa che settori particolari dell'organizzazione non possano es-sere rimasti coinvolti in alcuni di quegli episodi. La Procura militare di Padova indaga proprio in questa di-rezione.

D'altro canto, nessuno ha mai ri-tenuto che la struttura Gladio e solo Gladio sia unica responsabile di sette stragi, tre tentativi di golpe, una ma-xiloggia e tutti gli altri episodi eversi-vi dell'ultimo trentennio. E invece da verificare se l'organismo possa aver costituito uno schermo presen-tabile e ufficiale — magari all'insa-puta di alcuni dei suoi stessi capi — per coprire il mondo occulto degli strateghi della tensione. Ed è signifi-cativo che questo sospetto sia chiara-mente avanzato proprio nel libro di uno degli ex dirigenti della struttura, il generale Serravalle. Il saggio va let-to tra le righe: con queslet-to accorgi-mento esso rivela assai più di quanto possa apparire ad una lettura fretto-losa. Possiamo escludere che l'orga-nizzazione sia stata usata come para-vento per attività più gravi se uno dei suoi responsabili ha questo sospetto? Nel libro di Serravalle troviamo anche un accenno ai rapporti tra uo-mini politici e dirigenti dei servizi se-greti, che potrebbe essere una chiave per comprendere l'origine di even-tuali coinvolgimenti dei politici in azioni illegali: "Raramente Sua Ec-cellenza dà direttive precise... Di norma Sua Eccellenza 'lascia inten-dere', si raccomanda 'senza peraltro entrare nella sfera delle Sue Compe-tenze, caro generale/ammiraglio', legge di sfuggita gli appunti che gli vengono sottoposti, non sempre li si-gla per 'presa conoscenza'... Di soli-to smemorasoli-to, non sempre gradisce che gli si rinfreschi la memoria". In Italia vi sono stati molti eventi tragi-ci: non sappiamo ancora se l'input è venuto dall'estero o dai politici, op-pure se vi è stato un eccesso di zelo dei dirigenti dei servizi. Se applichia-mo il applichia-modulo proposto dal generale Serravalle, possiamo ipotizzare che vi sia stato inizialmente un discorso appena accennato tra politici e verti-ci dei servizi segreti sul "pericolo" rappresentato dalla crescita elettora-le del Pei. Di fronte a ciò può esservi stata una disponibilità dei servizi a "fare qualcosa" che poi, dopo molti passaggi, può essersi concretizzata nelle stragi. Un dato incontestabile è che nelle indagini sui sette eccidi i servizi segreti hanno sempre operato a tutela dell'illegalità, ponendo in salvo i possibili responsabili, creando false piste, facendo sparire testimo-ni. In quest'ottica la querelle su Gla-dio perde una parte della sua impor-tanza: se è provato che i servizi se-greti hanno protetto per vent'anni gli autori delle stragi, il dato rilevan-te da chiarire è la motivazione che era alla base di questo comportamen-to. Se poi la tutela degli stragisti sia legata in qualche modo alla protezio-ne della struttura Gladio, ciò non sposta di molto i termini del proble-ma.

L'interrogativo fondamentale è però un altro: fu colpa esclusiva dei servizi? Serravalle non tocca questo tasto ma scrive significativamente: " E tempo di riacquistare la nostra piena sovranità. I servitori dello Sta-to nei Servizi non debbono mai più trovarsi nella condizione di dover giurare fedeltà a una Patria dimezza-ta dove gli interessi di Servizi stra-nieri giocano ruoli dai contorni poco nitidi e, nella migliore delle ipotesi, non sempre in armonia con i nostri". E una subalternità che si è manife-stata in mille modi ma che per i servi-zi segreti si è configurata in una sorta di dipendenza da quelli statunitensi, in particolare dalla Cia. La vicenda Gladio, dunque, è solo un aspetto di una problematica ben più vasta. Ma non possiamo parlare in termini ac-cademici di questo e degli altri pro-blemi posti da un'alleanza militare tra diseguali perché in Italia sulla vi-cenda pesano sette stragi senza col-pevoli, centinaia di morti senza giu-stizia, assassini di stato che circolano tra noi. E questo il dato che rende improponibile ogni tentativo di "pa-cificazione" senza chiarezza.

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contemporanei, ma mentre questi enfatizzano in genere l'appartenenza agli stati nazionali, la Le-ga ha saputo coniuLe-garli con un neoregionalismo che la radica territorialmente, le consente di at-tingere a un non esaurito bacino di consenso sub-culturale e unisce l'egoismo locale alla chiusura contro gli estranei.

Le analisi del libro di Mannheimer consento-no di chiarire la questione del presunto razzismo della Lega. Tra gli elettori e i simpatizzanti della Lega è diffusa una certa ostilità nei confronti dei meridionali, degli stranieri e in generale dei di-versi, ma il leghismo non si limita a rivelare, a far emergere una xenofobia diffusa in certi gruppi so-ciali. Il punto fondamentale è che esso fa passare l'esclusione degli stranieri, in senso sociologico, dal piano di generici e non strutturati atteggia-menti di ostilità a quello di un tema propriamen-te politico, oggetto di discussione, contrattazio-ne, valutazione anche con strumenti referendari. In questo sta il nodo fondamentale, il salto di qualità. Politiche di esclusione e dì segregazione assurgono alla dignità di temi di discussione e di negoziazione, divengono progetti percorribili e negoziabili. Indipendentemente dal grado di osti-lità personale verso gli stranieri degli esponenti o degli elettori leghisti, l'uso politico della xenofo-bia mette in moto processi che possono sfuggire di mano a chi li ha avviati e portare a situazioni di vero razzismo.

Più dedicata alla ricostruzione e alla confuta-zione delle posizioni politiche della Lega Lom-barda, l'opera di Vittorio Moioli II tarlo delle leghe fornisce un'ampia documentazione delle

strategie politiche della Lega Lombarda e delle altre forze politiche e sociali nei suoi confronti. Puntiglioso e incalzante nel ribattere le tesi dei leghisti, Moioli è nettamente contrario a tutte le interpretazioni che sminuiscono la rilevanza e la significatività politica della Lega. Una parte del volume è in effetti dedicata a mostrare come l'a-vanzata del leghismo nel quadro politico sia un fenomeno tutt'altro che marginale, non solo per

la percentuale di suffragi elettorali, ma anche per il radicamento e per la capacità organizzativa delle leghe in alcuni ambienti sociali, in partico-lare in certe fasce della borghesia produttiva. An-cora una volta ne esce smontata l'idea di un

le-ghismo folkloristico e marginale e se ne eviden-zia invece la caratteristica di fenomeno inserito in trasformazioni del quadro sociopolitico non solo italiano, ma internazionale. In effetti Moio-li ricorda come il leghismo "locaMoio-lista" si ricolle-ghi, mutatis mutandis, a situazioni e a

movi-menti politici presenti oggi in molti altri paesi, divenendo, paradossalmente, uno dei fenomeni più europei e attuali di un quadro politico italia-no per altri aspetti assai provinciale. La crescita del leghismo viene quindi ricondotta a una più generale crisi che in parte è dovuta a specifici ca-ratteri del sistema politico italiano, in parte si in-serisce in una più vasta crisi dei processi di mo-dernizzazione. La risposta del leghismo a queste crisi è chiaramente classificata da Moioli tra i movimenti neoconservatori populisti. I program-mi politici della Lega propugnano, non appena se ne esaminino i contenuti concreti, un netto ripie-gamento sulla difesa dell'esistente, una caduta di capacità di pensare al futuro, un crollo della soli-darietà e un arroccamento sulle posizioni di una società che teme le trasformazioni e il futuro.

' 'Quattro in particolare sono le connotazioni che fanno della Lega una forza neo-conservatrice e

cioè: il suo autonomismo separatista, il neo-liberismo in economia, le sue manìe xenofobe, l'autoritarismo politico che la contraddistingue come organizzazione" (pp. 151-52). L'ambigui-tà di certe posizioni leghiste, l'oscillazione so-stanziale di certi programmi politici, la fuga dalle responsabilità amministrative non sono, secondo Moioli, sìntomi di una letale incapacità politica, ma elementi caratteristici del populismo e del trasformismo politico della Lega che ne sorreggo-no la capacità di penetrazione e che la sottraggo-no al corretto contraddittorio politico. La quarta parte del libro, Alcune riflessioni su come argi-nare le leghe e rilanciare un'alternativa di cambiamento sociale, ha tra i suoi assi portanti

l'idea che il leghismo nasca anche da una grave crisi di progettualità sociale, dal ritrarsi miope e freddoloso della nostra società su obiettivi

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