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Mayor Von Frinzius: Quando il teatro incontra la disabilita

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Academic year: 2021

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Indice

Capitolo 1 Mayor Von Frinzius

1.1 Mayor Von Frinzius: la loro storia

1.2 Il teatro di Lamberto Giannini

1.3 La mia esperienza con Mayor Von Frinzius

Capitolo 2 Realizzare un documentario “disabile”

2.1 Il regista della Compagnia: Lamberto Giannini

2.2 Metodologia

2.3 L’impossibile può diventare possibile

2.4 interviste

Capitolo 3 Il teatro e i suoi aspetti terapeutici.

3.1 La teatroterapia nella storia

3.2 La teatroterapia, il benessere in scena

3.3 Tre processi per rendere il teatro una forma di benessere

3.4 La scelta del ruolo

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Premessa

Che cosa è il teatro?


Eugenio Barba, uno dei più importanti registi-pedagoghi del Novecento, lo definisce “il luogo dei possibili”.


Il teatro in quanto percorso “... può diventare l’ambiente caldo in cui l’uomo riesce a crescere e a sviluppare il proprio benessere fisico e psichico. Il teatro inteso come processo di formazione dell’attore-persona sta a metà strada tra l’intimità più nascosta dell’individuo, cioè le sue paure, i suoi sogni, le sue emozioni, e la realtà completamente esterna della vita reale, ovvero il giudizio dell’altro, il ruolo sociale, l’aspetto più formale dei rapporti. Questa sua posizione mediana permette che venga vissuto come luogo in cui è possibile giocare, cioè fare esperienza sia della propria interiorità, sia della realtà esterna senza l’ansia normalmente provocata dall’errore e dal giudizio”. Gaetano Oliva


Un percorso teatrale è essenzialmente educativo, in quanto implica un lavoro su se stessi, con gli altri e riguarda le azioni dell’attore-persona. Il centro di tutto è l’individuo nella sua naturalità, l’unico strumento che gli serve per creare è il suo corpo. Creare, agire, sperimentare, mettersi in discussione permette all’uomo di costruire la propria identità, che ne orienta poi le scelte concrete.


L’uomo in quanto uomo è un essere creativo ed in questa dimensione dove non sussistono modelli giusti o sbagliati, non esistono nemmeno deficit o menomazioni.
 L’esperienza teatrale, vista nella dimensione protetta ed accogliente del laboratorio e pensata in relazione alle reali esigenze dei ragazzi con disabilità, ai loro interessi ed

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alle loro capacità, rappresenta uno stimolo fondamentale all’espressione della creatività personale, alla scoperta di sé e all’interazione cooperativa con gli altri.

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Capitolo 1: Mayor Von Frinzius

1.1 Compagnia Mayor Von Frinzius: la loro storia

“Chi è Mayor Von Frinzius? Mayor Von Frinzius è emozione. E’ energia. E’ sudore. Mayor Von Frinzius è passione, vibrazione, è ansia e paura. Mayor Von Frinzius sono ottanta piccoli mondi che si uniscono per dar forma ad uno spettacolo. Mayor

Von Frinzius è l’invisibile che diventa accecante, è un edificio senza mura e senza tetto, che diventa una casa. Perché casa è dove si curano le ferite, è dove ci si sente

al sicuro. E io qui, mi sento al sicuro.”

Tratto da “Chi è Mayor Von Frinzius?” Mayor Von Frinzius è una compagnia teatrale livornese nata nel 1997. I suoi

spettacoli sono co-prodotti dalla Fondazione Teatro Carlo Goldoni di Livorno. È diretta da Lamberto Giannini, Lucia Picchianti, Francesca Vivarelli, Claudia

Mazzeranghi e Aurora Fontanelli. Attualmente è composta da circa 80 attori, disabili e non. La Compagnia annualmente tiene un laboratorio teatrale aperto ai ragazzi diversamente abili del territorio (attualmente circa 40, residenti anche in altri comuni della provincia) ed ormai è diventato un luogo in cui tutti i giovani possono fare un’esperienza, unica nel suo genere, di conoscenza e contatto con il mondo della disabilità; ad oggi quindi conta la presenza di utenti e giovani provenienti da tutto il territorio di Livorno, per un totale di oltre 80 attori. Gli incontri sono bisettimanali presso il teatro Goldoni di Livorno ed hanno come scopo principale la realizzazione di uno spettacolo che andrà in scena a maggio presso il teatro stesso.

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La Compagnia teatrale, quindi, rappresenta un importante punto di incontro e di socializzazione ed una grande risorsa per la città; ha fra i suoi obiettivi principali quello di far uscire dalla marginalità coloro che sono più a rischio di rimanervi imprigionati. L’Associazione Haccompagnami, a cui la compagnia è affiliata, è stata costituita da genitori di ragazzi disabili e non, è presente sul territorio del Comune di Rosignano Marittimo dal 1978 ed è legalmente costituita e iscritta all’albo regionale, provinciale e comunale. Lo scopo più importante dell’associazione è quello di

promuovere la sensibilità, la coscienza sociale e la partecipazione al fine di affermare per tutti il diritto di cittadinanza. Collabora con i genitori in difficoltà mediante

riunioni di auto aiuto e cerca di combattere contro ogni fenomeno di emarginazione e, in modo particolare, quella che vivono le persone disabili.

Nel 1997 nasce all'interno dell'Anffas Onlus di Livorno l'esigenza di iniziare un 1 laboratorio teatrale per fornire ai ragazzi un senso di sé che possa essere diverso dall'identità che lo specchio sociale fissa loro addosso come una maschera indelebile. Dopo un periodo di formazione, i primi laboratori vedono sulla scena solo ragazzi disabili che vengono diretti da Lamberto Giannini nel doppio ruolo di attore e regista. A partire dal 2002, grazie ai finanziamenti del Comune di Livorno, ai laboratori teatrali interni all'Anffas si affiancano lezioni e laboratori aperti a disabili

appartenenti ad altre associazioni della zona di Livorno.

L'associazione indica percorsi di condivisione e confronto a sostegno della genitorialità diffondendo la pedagogia dei genitori attraverso un patto educativo rivolto a tutti i soggetti educanti: famiglia, scuola, sanità e terzo settore.

Associazione Nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale 1

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Da questo lavoro nascono ulteriori produzioni teatrali di un sempre più numeroso gruppo di persone.

Il 2006 è l'anno della svolta. Iniziano infatti 3 importanti collaborazioni che cambieranno notevolmente la storia della compagnia Mayor Von Frinzius.

Innanzi tutto, la collaborazione con l'AAMPS , azienda di pubblici servizi di Livorno, 2 che finanzia l'iniziativa al motto “Rifiuti urbani rifiuti umani”. Nel maggio 2006 va così in scena “CRUDO CRUDELE”, replicato in numerose manifestazioni cittadine e festival regionali.

Nel giugno dello stesso anno nasce anche la collaborazione del gruppo teatrale con Bobo Rondelli e l'Ottavo Padiglione , rimasti profondamente colpiti dalla carica di 3 spontaneità di questa compagnia. I Mayor Von Frinzius e i musicisti iniziano quindi a lavorare a un nuovo progetto: “IO CLAUN TE DAUN”: spettacolo in cui surreali coreografie accompagnano la musica degli Ottavo Padiglione giocando su contrasti, provocazione, esagerazione, autoironia, sincerità. Dopo il debutto, verrà replicato in numerose città italiane.

Infine, da luglio 2006 ha inizio la collaborazione della compagnia con la Fondazione Teatro Goldoni di Livorno, che dimostra di credere fortemente nel progetto di

Giannini, e inserisce il laboratorio teatrale nel Progetto Pasolini. È grazie a questa collaborazione che sono state messe in scena sul palco del teatro stesso le prime degli spettacoli successivi, a partire dal maggio 2007.

MA CHE COLPA C'HA TU MA' (2007), MA TI 'ETI (2008), DI GIA'? (2009)

Azienda Ambientale di Pubblico Servizio S.p.A 2

Gruppo musicale livornese 3

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La trilogia di spettacoli, i cui titoli prendono spunto da modi di dire tipicamente labronici, trattano in toni provocatori e ironici temi come quello della diversità e del tempo.

Sia nel 2008 che nel 2009 Mayor Von Frinzius è invitata a partecipare al Premio Ciampi . In questa occasione, la compagnia si è esibita con “L'AMORE è UNO 4 SCOSSONE” (2008) e “URSS-SU – qualcosa da quelle macerie vorrei tirare su” (2009).

Sempre grazie alla coproduzione della Fondazione Teatro Goldoni, a maggio 2010 va in scena “THANATOS – quando sono morto, sono morto”, produzione che, in

seguito alla morte di un attore della compagnia, affronta il tema della fine delle piccole e delle grandi cose, attraverso riferimenti alle storie personali degli attori della compagnia, ma anche a personaggi storici quali Pasolini, Garcia Lorca, Neruda e Marat.

L'anno successivo arriva il debutto di “FR-AGILE”, ancora una volta sul palco del Goldoni di Livorno. L'intero gruppo, dopo “THANATOS”, aveva sentito la necessità di scaricare la grande tensione emotiva accumulata nel corso dell'anno precedente. Da qui il tema della follia, vista semplicemente come un punto di vista differente con cui guardare al mondo.

Oltre al successo avuto nella propria città, Mayor Von Frinzius con “FR-AGILE” vince a giugno il concorso “Tutti Pazzi x il Teatro” a Benevento, dopo essere stata

manifestazione livornese dedicata al cantautore Piero Ciampi 4

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selezionata a livello nazionale tra le compagnie teatrali composte da soggetti disabili e non.

Dopo il blitz nella città campana, lo spettacolo viene replicato in forma integrale nel corso di numerose manifestazioni; durante una di queste Marco Cavallo accompagna 5 la performance della compagnia.

La coproduzione della Fondazione Goldoni continua anche nel 2012.

Il 24 e il 25 maggio, sul palco del Teatro Goldoni va in scena “Agàpe – ti manca chi c'è, t'innamori di chi manca” spettacolo che tenta di raccontare l'amore analizzandolo da ogni possibile punto di vista. L'amore è inteso come sentimento che spazia dalla passione tra due amanti all'affetto incondizionato, passando per il legame complesso esistente tra madre e figlio. Nei mesi estivi la Mayor Von Frinzius ha replicato lo spettacolo in versione integrale in occasione della Festa Democratica e della serata conclusiva di Effetto Venezia ; ma anche in versione ridotta, adattandosi a luoghi 6 particolari. “Agàpino” è stato infatti messo in scena sul prato della Fortezza Nuova, al moletto di Antignano e altri palchi di dimensioni ridotte, caratteristiche che hanno evidenziato la grande capacità di adattamento dei 60 attori. “Agàpe”, in versione integrale, è stato poi replicato due volte a gennaio 2013, rispettivamente al Teatro l'Ordigno di Vada e al Centro Artistico “Il Grattacielo”, luogo ormai simbolico per la compagnia, che da qualche anno ormai mette in scena l'ultima replica proprio su quel palco.

istallazione artistica in legno realizzata nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste. 5

Grazie a Franco Basaglia divenne simbolo per i pazienti simbolo di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità come persona.

Famoso festival livornese. 6

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Oltre agli spettacoli la Compagnia tiene da tempo “lezioni aperte” di teatro, le ultime tre delle quali sono state tenute nella Casa Circondariale di Livorno coinvolgendo i detenuti di due delle sezioni di massima sicurezza presenti nel carcere. Ottima occasione di condivisione di due realtà molto diverse tra loro, ma pur sempre “marginali”.

La compagnia ha anche ideato e realizzato le campagne promozionali attraverso spot televisivi e manifesti per conto dell'AAMPS di Livorno.

Tra il 2012 e il 2013, Mayor Von Frinzius ha tenuto lezioni e prove aperte al

pubblico, all'interno del progetto “Teatro e integrazione nelle diversità”, presentato al Tavolo Giovani del Comune di Livorno. Gli incontri proposti sono volti ad

evidenziare come il teatro possa diventare un ottimo mezzo per comprendere e relazionarsi con la disabilità.

Il 23 maggio 2013 ha debuttato “Cima coppi – quando non rimane più niente”,

sempre sul palco del Teatro Goldoni. Lo spettacolo ha coinvolto tutti gli ottanta attori del gruppo, ed ha ospitato Pierluigi Falca, partigiano, Lady Raissa, drag queen che aveva già partecipato con entusiasmo ad altri spettacoli della Compagnia, e gli One eat One, un gruppo musicale formato da musicisti, appassionati e ragazzi disabili, che hanno suonato dal vivo sul palco, accompagnati da una coreografia della Compagnia. Lo spettacolo è stato replicato più volte nel corso dell’estate.

Il 6 giugno 2014 presso il Teatro Goldoni ha debuttato“Tutti esauriti. Quel qualcosa che non trovo”, il nuovo lavoro della Compagnia frutto di una coproduzione fra Fondazione Goldoni e Associazione Haccompagnami. Lo spettacolo esplora il senso

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dell’esaurimento a 360° mettendo a nudo la fragilità degli attori. Il 21 maggio 2015, invece, la Compagnia ha debuttato al Teatro Goldoni con lo spettacolo “Ossessione- il surplace di Maspes”, spettacolo che al festival di Alba si è aggiudicato il premio come “miglior spettacolo”. Attualmente la Compagnia sta lavorando al nuovo spettacolo che debutterà il 26 maggio presso il Teatro Goldoni.

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L’idea nasce da Lamberto Giannini, uno dei personaggi più stravaganti della Livorno solidale, progressista, sempre dalla parte degli ultimi. Lamberto è un professore di filosofia del liceo, ma è anche un pedagogista, uno scrittore e un politico di sinistra. Un tipo tosto quando si trova sugli scranni del consiglio comunale, umanamente esigente quando è dietro la scrivania e un piccolo mago dell’arte e della

comunicazione davanti ai «suoi attori» sul palco. Lavora da sempre con i ragazzi disabili ed è stato l’ideatore della compagnia teatrale, uno straordinario cammino anche riabilitativo per molti ragazzi. Insieme a Giannini hanno collaborato Bobo Rondelli e l’Ottavo Padiglione, la Fondazione Teatro Goldoni di Livorno, Paolo Ruffini ed ha avuto ospiti d’eccezione come Igor Protti, ex calciatore amaranto, e il difensore juventino Giorgio Chiellini.

Lo spettacolo è anche uno strumento pedagogico. Perché, come dice Giannini, sono tanti gli esempi di ragazzi disabili che grazie al teatro sono riusciti a cambiare il loro modo di comunicare, muoversi e relazionarsi. Giannini racconta che il teatro è come un grande ricostituente dell’anima. Intanto per i ragazzi disabili che acquistano una maggiore autostima in loro stessi mentre gli spettatori abbandonano quel modo di vedere pietistico rendendosi conto di trovarsi davanti a veri attori.

Gli esempi sarebbero tanti e tutti fantastici. Come la storia di C., una ragazza che ha iniziato il suo percorso di attrice da più di 10 anni fa. Quando è arrivata, aveva difficoltà nell’esprimersi: non articolava le parole, la sua scialorrea le impediva di parlare. È stata lei a chiedere al professore di aiutarla. Oggi, C. recita scandendo perfettamente le parole di lunghi monologhi, a dimostrazione del fatto che la sua

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difficoltà era solo frutto di una resistenza mentale, che il meccanismo di responsabilità teatrale è riuscito a sbloccare.

D., un ragazzo autistico, è da sempre innamorato del ballo. Il suo senso del ritmo, i suoi salti esplosivi sono spesso stati momenti salienti delle rappresentazioni di Mayor Von Frinzius.

Dal 2011, la compagnia ha iniziato una collaborazione con la coreografa Silvia Tampucci, che è riuscita a incanalare l’energia di D. in coreografie strutturate, addirittura, in passi a due. Ed è stato questo uno dei successi più belli della compagnia.

Ricordiamo tra i successi dei ragazzi disabili

«Cima Coppi. Quando non rimane più niente». Vi hanno partecipato ottanta attori della Mayor Von Frinzius che hanno scalato la vetta di una storia che può essere letta anche come una poesia imperfetta. «In Cima Coppi si ritrova infatti il fallimento del dittatore malinconico di Charlie Chaplin – spiega Giannini – e l’addio struggente che Oscar Wilde ha rivolto al proprio amato, senza trascurare maestri favoriti come Pasolini e Basaglia».

La compagnia comincia ad essere richiesta anche in altre regioni. Grande successo l’ha ottenuto a Benevento dove ha vinto il Festival «Tutti pazzi per il teatro», a Catanzaro, a Cremona e a Roma. E all’estero applausi e bis si sono susseguiti nel teatro comunale di Wroclaw in Polonia. Ma già mezza Europa sta strizzando gli occhi a questi attori così fantastici.

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1.3 La mia esperienza tra i ragazzi della Mayor

Il primo giorno in cui ho lavorato con la Compagnia Mayor Von Frinzius avevo molti pregiudizi. Non riuscivo a comprendere il loro modo di fare teatro; era troppo diverso dal mio. Non riuscivo a capire come un “balletto” felice di ragazzi disabili potesse divertire e appassionare un pubblico ed essere acclamato dalla critica; sopratutto, non riuscivo a capire cosa c’era dietro a quel modo di fare quel “balletto”. Allo stesso tempo questa incomprensione mi attirava e volevo scoprire le loro carte.

Forse è proprio vero quello che si dice, per capire veramente una cosa bisogna viverla.

Ho iniziato in punta dei piedi questo rapporto, provando ad avvicinarmi a loro per poi scoprire che non era tutto “oscuro” come me lo ero immaginato.

Il tipo di teatro dei Mayor Von Frinzius viene definito dagli attori e dallo stesso regista Lamberto Giannini, come una “scatola magica” in cui ogni tipo di limite si trasforma in una vera e propria risorsa.

Per capire meglio, prenderò come esempio la fiaba di Peter Pan perché penso che il teatro Mayor sia un mondo parallelo tra la fiaba e la realtà.

I soggetti disabili hanno bisogno di uno spazio che possa esprimere la propria fragilità in modo positivo e il teatro è il luogo perfetto perché possiede un “potere magico”, anormale ma comunque potente.

Questo “potere” è “magico” perché è autoriflettente; riesce a far emergere le difficoltà, per poi superarle fino ad arrivare al punto in cui non si ha più paura.

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Così il ragazzo disabile affronta un Teatro, come il Goldoni, come se fosse una passeggiata e dietro le quinte dà sostegno agli attori che sentono più la tensione (e quasi sempre sono quelli normodotati ). 7

Arriva a un livello di autostima che riesce a inventarsi monologhi del tipo: “Andrea sei Down?” - “No, sono guarito!”.

Riesce a lasciare il pubblico a bocca aperta perché sfida una malattia come l’autismo con l’autoironia. Trova, in quel palco, una seconda casa. Viene protetto ma allo stesso tempo lasciato libero di sperimentare.

E’ come se lo spettacolo diventasse un viaggio, una fuga verso un’ Isola Che Non C’è.

Tutti gli attori riescono a ritrovare il loro lato nascosto da Peter Pan, fregandosene del pregiudizio e delle critiche.

Affrontano la fuga come un tesoro, tutto nuovo, che ogni anno, ha un nuovo sapore. Ne ho la prova perché ho visto il momento emotivo in cui i teatranti avevano recitato l’ultima replica dello spettacolo “Resistenti - Vola Pirata”.

E’ sorprendente come un tale gruppo si possa affezionare a uno spettacolo, provare un senso di attaccamento, sentirlo suo in ogni singola scena, vincere un premio

importante come è stato quello al Festival di Trani, commuoversi e tornare a Livorno come se avessero vinto la Coppa più importante del mondo.

Percepire il loro senso di vuoto, il dover ripartire da zero dopo aver scalato la cima più alta. Penso sia faticoso per ogni attore, ma nei Mayor “dire addio” a uno

spettacolo è necessario per crearne un altro.

Definizione che Lamberto Giannini ha coniato per i ragazzi privi di disabilità 7

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Così, dopo due settimane di riposo, sono ripartiti più carichi che mai. Le prove sono ripartite da zero ed è come se avessero ricostruito tutta la loro energia, chiodo dopo chiodo. Vedevo l'intensità diversa mano a mano che le prove aumentavano.

Queste parole potranno risultare esagerate, io stesso non riuscivo a capirle, ma stando a contatto con il mondo Mayor ho imparato a vedere il teatro con occhi diversi e completamente opposti alla mia idea di fare teatro.

E’ stata quasi una “costrizione”.

Basta provare ad assistere alle prove dei Mayor e già dal primo momento, in cui entri in sala specchi del teatro Goldoni, non hai altra scelta; vieni catapultato dentro il loro mondo.

O provi a capirlo oppure non ci riuscirai mai.

La cosa bella è che i Mayor ti cambiano prospettiva, ma non accelerano i tempi. Ogni persona ha un proprio tempo per capire e scegliere se assecondare la loro filosofia. Ai Mayor non interessa lavorare con attori damerini o professionisti, anzi, cercano attori incomprensibili al pubblico. Ogni spettatore può trovare una propria interpretazione in quello che vede. E’ questa la loro rivoluzione, la loro sfida, un “il teatro che sfida il teatro”.

Sono proprio oltre il tempo, anacronistici in ogni singolo movimento.

Il laboratorio teatrale è diviso in due fasi: la prima è stata propedeutica: qui ho interagito con i ragazzi disabili, osservandoli svolgere esercizi di spazio, tempo e musica, nella seconda il regista Lamberto Giannini ha deciso il tema dello spettacolo e ha montato le scene. Prendeva ispirazione maggiormente da ciò che succedeva durante le ore delle prove, nell’improvvisazione dei ragazzi ma aveva anche dei testi

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pronti. Questo modo “originale” e contraddittorio di preparare le scene si è unito all’originalità del rapporto tra disabile e normodotato e così è nato lo spettacolo “Anacronistici - Voi siete i miei Occhi”.

Un altro obiettivo di questa Compagnia è consentire l’espressione di tutte quelle emozioni che nel mondo ordinario non sono lecite come la rabbia. Niente deve essere contenuto, ma fatto emergere. E’ lo stesso regista Giannini a non contenere i suoi modi “delicati”; sgridava i ragazzi allo stesso modo, pretendeva, esigeva, smuoveva. Mi sono trovato davanti a dei momenti davvero originali. Lamberto si arrabbiava perché, come ogni regista, cercava la perfezione. Pretendeva il silenzio assoluto. Ogni scena, anche la più semplice, veniva ripetuta più volte.

Il gruppo bene o male prendeva le sgridate in maniera neutra, ma rifletteva. E la volta dopo, un minimo miglioramento si osservava.

Ogni attore era comunque libero anche di arrabbiarsi, se c’era qualcosa che non condivideva. Una soluzione veniva sempre trovata. E’ un gruppo molto unito, molto diverso, unico nel suo genere e ricco di ossessioni…

Posso dire di averle capite tutte? No!

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In sintesi, penso che gli obiettivi della Compagnia Mayor Von Frinzius siano: 1. sottolineare ed esaltare ogni tipo di handicap per farlo apparire non più ostacolo, ma risorsa eccezionale

2. eliminare ogni tipo di compassione

3. fornire al ragazzo un mezzo di recitazione per esprimere il proprio essere 4. migliorare la capacità di esprimere le proprie emozioni

5. far diventare i ragazzi e i teatranti un corpo unico

Le attività teatrali proposte dal Giannini danno spazio all’immaginazione e ogni volta che le propone ai suoi ragazzi la reazione era sempre diversa. I partecipanti al gruppo trovavano modo di sviluppare la loro fantasia.

A volte viene chiesto di rappresentare temi complessi come “amore” o “morte” ed è interessante notare il loro modo di comunicare; alcuni preferivano usare il linguaggio verbale, altri quello non verbale, che è molto toccante all’occhio del pubblico. Il regista ha sempre cercato di proporre temi molto impressionanti che davano spazio anche ai loro sentimenti.

Un ragazzo con sindrome di Down di nome F. era sempre il primo a scegliere come tema “l’amore”; infatti non perdeva tempo nel rappresentare sculture romantiche o nel fare una dichiarazione teatrale ad una donna immaginaria.

Queste attività sono molto importanti perché aiutano il ragazzo a migliorare la propria comunicazione verbale con un aumento delle capacità di ascolto.

Di conseguenza il ragazzo disabile riesce ad interagire meglio con il gruppo, a capire se stesso, a non aver paura del pubblico che lo fissa riuscendo a rappresentare le sue emozioni e i suoi pensieri.

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Queste attività aiutano ad acquisire la conoscenza del proprio corpo e a sviluppare la capacità di osservazione.

C’è da dire infine che i ragazzi disabili hanno una mimica facciale pazzesca e vengono quasi visti come dei “Clown con gli occhi a mandorla”

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Capitolo 2: Realizzare un documentario “disabile” 2.1 Il Regista della Compagnia: Lamberto Giannini

Per realizzare un documentario sulla Mayor Von Frinzius, una delle compagnie più controverse e strambe (in senso buono) della mia città sono dovuto entrare nella mentalità “Mayor”.

Il fare teatro di questa compagnia è completamente l’opposto del teatro tradizionale, è un teatro violento, diretto, senza peli sulla lingua, politicamente scorretto; il mio lavoro doveva rispecchiare questi punti.

Per entrare nel mondo Mayor mi sono affiancato a Lamberto Giannini, il regista della compagnia. Tra noi si è instaurato subito un rapporto di confidenza e di fiducia che ha portato ad un vero lavoro di squadra. Grazie a lui ho avuto modo di poter lavorare tre volte alla settimana con tutto il gruppo teatrale. Ho riscontrato una grande

professionalità nel suo ruolo e in quello delle sue collaboratrici Claudia, Lucia, Francesca ed Aurora.

Il professor Giannini è sempre stato al centro di ogni mio dubbio, perché era sempre pronto a correggermi o a gratificarmi, mi ha sempre spiegato il motivo e l’utilità delle attività proposte ed è sempre stato coerente con il mio indirizzo universitario. Mi ha lasciato prendere varie iniziative come riprendere i ragazzi, intervistarli o proporre degli esercizi diversi.

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Ovviamente come in ogni esperienza nuova bisogna essere bravi ad entrare in punta di piedi in un mondo nuovo. Ed il mondo del Giannini è molto particolare. Si capisce già dal suo modo di relazionarsi con il ragazzo disabile. Un modo normale, forse anche troppo, ma che comunque lascia un segnale. Non tratteneva rabbia, parole al vento o sgridate. Sembrava un professore anche nell’aula di teatro. Una relazione che ha coltivato con gli anni e con professionalità, che in ogni caso lo fa adorare dai suoi ragazzi. Paradossalmente adora anche le sue sgridate. Sono tutti stimoli, malgrado chi ne capisce poco possa pensare siano azioni cattive contro i disabili. Bisognerebbe parlarne con i disabili stessi per avere un’idea più chiara. E io, grazie a questo tipo di esperienza, ne ho avuto modo. Il mio approccio con il mondo dell’handicap è

cambiato radicalmente da quando ho osservato questo tipo di teatro e il loro modo di lavorare. I Mayor hanno anche come obiettivo quello di attirare più giovani possibili in questa realtà e in effetti ci sono riusciti. Quest’anno il laboratorio aveva la bellezza di venti ragazzi adolescenti: uno stimolo per il Giannini ma anche per i ragazzi. E’ giusto avere nuove presenze, senza perdere di vista le vecchie. Ci sono degli attori che lavorano da anni con il Giannini, si nota anche dal tipo di scena che viene loro proposta. Ognuno di loro aveva un rapporto diverso con il ragazzo disabile, come succede in quasi tutte le relazioni del mondo. Grazie all’insieme di questi rapporti diversi/speciali ma allo stesso tempo unici, si potevano inventare scene diverse in cui emergeva un’affettività indescrivibile.

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Per me è stata un’esperienza gratificante, utile e stimolante. Ho fatto esperienza di un lavoro di gruppo ma ho anche avuto modo di lavorare da solo con ogni singolo

ragazzo disabile. Avevo la possibilità di poter chiedere spiegazioni ad ogni genitore o membro della loro famiglia. Mi sono sempre sentito parte integrante del gruppo perché mi è sempre stata data la possibilità di intervenire ed esprimere il mio parere. Ho sempre pensato che la normalità ha bisogno dell’handicap quanto l’handicap ha bisogno della normalità. Quindi spiegare a parole i rapporti che ho visto instaurare e che ho instaurato non è semplice. Dico solo che stando tutti i giorni a stretto contatto con i ragazzi disabili si crea un rapporto che non è cosi lontano da quello con

qualsiasi altra persona. Consiglio a chiunque della mia città che voglia avvicinarsi al mondo dell’handicap di iniziare un percorso del genere. Perché è prima di tutto un’esperienza di crescita personale e come attore e poi perché ha contribuito

moltissimo a farmi acquisire le capacità gestionali e organizzative indispensabili per lo svolgimento di un lavoro educativo.

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2.2 Metodologia

Ogni incontro teatrale si articolava in un momento educativo stimolante ed anche divertente all’interno del quale, per ogni ragazzo disabile, venivano messi a disposizione tecniche e materiali di lavoro che stimolavano la sua libera fantasia. Attraverso la sperimentazione delle potenzialità del proprio corpo e della propria voce, l’esplorazione dello spazio e la relazione con l’altro ogni partecipante raggiungeva una maggiore e più profonda consapevolezza di sé.

Succedeva di sentire delle forti risate, ma anche dei pianti. Nessuna emozione doveva essere frenata. Ogni teatrante era LIBERO in una libertà meravigliosamente guidata. Ciascun incontro iniziava con un momento dedicato alla socializzazione ed alla creazione di un gruppo di lavoro sereno e non-giudicante, grazie alla proposta del Giannini di attività di conoscenza reciproca e di giochi teatrali. Ogni esercizio veniva guidato da musiche diverse scelte dalle collaboratrici del Giannini e in base ad esse il ragazzo disabile reagiva in modi diversi e nuovi.

I temi principali riguardavano il linguaggio verbale e non, l’ambiente e le attività creative, divertenti ed appaganti.

Questo metodo consentiva ai ragazzi di vivere il teatro come un luogo accogliente, ricco di stimoli espressivi ed aperto alla sperimentazione. Quando questo

meccanismo si creava era proprio il ragazzo disabile che chiedeva al Giannini di sceglierlo come volontario per delle improvvisazioni teatrali.

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Al termine degli incontri era previsto un momento finale dedicato al rilassamento e alla verbalizzazione di quanto era stato affrontato. Ovviamente veniva diviso sia con il gruppo in generale, sia con i ragazzi normodotati. Il professor Giannini faceva in modo di favorire l’esteriorizzazione di opinioni, vissuti, emozioni che poteva provare ogni singolo ragazzo. Si teneva disponibile anche a chiarire dubbi e disagi. Non ha mai costretto alcun ragazzo a rimanere nel laboratorio né a decidere se interromperne il percorso. Ricordiamo che nei primi mesi di un laboratorio di questo tipo le riunioni sono fondamentali, lavorando con soggetti con disabilità psichiche e fisiche.

Alla fine di ogni incontro erano previsti momenti di verifica per raccogliere a caldo opinioni, vissuti, emozioni da parte dei ragazzi ed il grado di interiorizzazione degli obiettivi proposti. Da essi si tendeva a valutare i cambiamenti avvenuti in ciascun ragazzo (normodotato o disabile) e nella relazione tra i membri del gruppo rispetto agli stimoli offerti, riguardanti i contenuti del percorso teatrale in cui ciascuno si stava sperimentando ed il grado di interesse e di attivazione rispetto alle tematiche proposte. Questa verifica non era in verità molto rigida, anche perché è la parola GRUPPO quella al centro della filosofia dei Mayor Von Frinzius.

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2.3 L’impossibile può diventare possibile

Un percorso teatrale che ha come caratteristica del proprio mondo la disabilità è un percorso essenzialmente educativo, in quanto implica un lavoro su se stessi e con gli altri e riguarda le azioni dell’attore-persona. Il centro di tutto è l’individuo nella sua naturalità, l’unico strumento che gli serve per creare è il suo corpo, la sua voce, la sua mimica.Creare, agire, sperimentare, mettersi in discussione permette al ragazzo

disabile di costruire la propria identità, che ne orienta poi le scelte concrete. Nei Mayor Von Frinzius non esistono modelli giusti o sbagliati, non esistono nemmeno deficit o menomazioni. Sono tutti nella stessa barca.

I due elementi “teatro” e “ritardo mentale” suscitano quasi sempre paura, stranezza e la sensazione dell’impossibile. La reazione del pubblico che non conosce i Mayor è spesso.. “Com’è possibile che un disabile possa recitare un pezzo studiato al Teatro Goldoni?”

“Com’è possibile che un disabile non venga manipolato?”

“Com’è possibile che un disabile possa ricordarsi il numero del proprio microfono?” Tutto ciò emerge con il piano su cui la società si muove e considera tecnicamente ed eticamente la visione del disabile. Nello spettacolo del 2016 “Resistenti”, gli attori urlano con tecnica del coro la frase:

“L’importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile può diventare possibile!” . 8

Motto di Franco Basaglia, psichiatra e neurologo italiano 8

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Questa scelta è stata provata nel copione già dal primo giorno di prove come una risposta aggressiva al loro modo di far teatro. Emergeva anche un senso di protezione perché nei Mayor il teatro è un grande contenitore, dove nessuno viene giudicato o fermato. Abbiamo tutti una vaga idea almeno degli aspetti esteriori del teatro; purtroppo, solamente di un certo tipo di teatro: quello dei palchi e delle platee, dei sipari, dei costumi, dei copioni, delle grandi scenografie realistiche. Siamo permeati da un “comune senso del teatro”, da una vaghezza concettuale che fa credere a molti di noi di conoscere e di poter agire. Ma agire senza conoscere non è agire. L’agire del pubblico purtroppo avviene con un giudizio a priori. Da quello che ho imparato dello spirito dei Mayor è che non si deve per forza capire ogni singola scena o le tematiche di ogni spettacolo. La loro sfida è proprio questa; riuscire a lavorare con attori

incomprensibili, ma quando avviene una relazione, anche tra pubblico e attori, è una vera magia. Come in ogni percorso però ci sono anche aspetti negativi.

E l’aspetto più brutto avviene con lo stereotipo del disabile. Proprio per quello

urlarono la frase di Basaglia, tutti insieme, sempre per la concezione di gruppo che ho spiegato precedentemente.

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2.4 interviste

Intervista a S.T, coreografa della Compagnia. M: Come inizi il tuo lavoro da coreografa?

S.T: Di solito chiedo a Lamberto il testo che accompagna la coreografia e il tema generale dello spettacolo, per provare ad entrare un po’ più dentro “la parte”. Di solito al primo incontro parlo con i ragazzi, ascoltiamo alcune canzoni e li faccio

improvvisare. E’ un modo per mandare via un po’ di tensione. M: Qual è l’emozione più bella?

S.T: Sicuramente l’emozione più bella e stimolante è vedere cambiare durante l’anno questi ragazzi. Riuscire a mettere in scena un balletto è un’esperienza meravigliosa sia per loro che per me.

Intervista a D. S. ragazzo down.

M: Perché ti piace così tanto fare teatro? D.S: Non lo so, è una passione.

M: Qual è l’esercizio che senti più tuo?

D.S: I balletti e le parti in cui io devo imitare un re. M: Ti vedi in questo ruolo?

D.S: Sì, ma solo a teatro. M: Sei un bravo attore?

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Capitolo 3: Il teatro e i suoi aspetti terapeutici. 3.1 La teatroterapia nella storia

Gli aspetti terapeutici del teatro sono stati dimostrati lungo la storia.

Il concetto di catarsi fu introdotto da Aristotele per esprimere il peculiare effetto che il dramma greco aveva sui suoi spettatori.

Il termine catarsi deriva dal greco kátharsis, deriva da katháirein, "purificare": la liberazione dell'individuo da una contaminazione che danneggia o corrompe la natura dell'uomo.

Egli afferma: "Tragedia dunque e' mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa,

con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno, a suo luogo, nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pieta' e terrore, ha per effetto quello di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni".

Nella sua poetica egli sostiene che lo scopo del dramma e' di purificare gli spettatori attraverso l'eccitazione artistica di alcune emozioni che funzionavano come un tipo di sollievo dalle loro passioni personali.

L'evento scenico "traumatico" e' la messa in atto di un conflitto e delle sue conseguenze fino all'estrema lacerazione.

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Assistervi consentirebbe tanto un coinvolgimento quanto una presa di distanza che renderebbero possibile un'osservazione piu' consapevole.

Un precorritore importante della teatroterapia e' il marchese De Sade (1740-1814) il quale, rinchiuso nel manicomio di Charenton allestiva lavori teatrali, alcuni scritti da lui stesso, nei quali recitavano i pazienti.

Anche nell'Ospedale di Aversa, nello stesso periodo, l'abate Giovanni Maria Linguiti all'interno della sua "cura morale" da' grande rilievo alle rappresentazioni teatrali. Secondo lui il recitare un personaggio la cui "passione" o "idea fissa" sia opposta a quella che affligge il malato consente a quest'ultimo di liberarsi dalla sua "idea fissa" originaria e quindi diventa un vero e proprio strumento terapeutico.

Il vero incontro tra teatro e psicologia e' avvenuto intorno agli anni '60 favorito da alcune nuove risonanze: la nascita dei laboratori teatrali e un nuovo training dell'attore; l'antropologia teatrale; un rinnovato modo di lavorare nel setting psicoterapeutico e la nascita di nuove teorie psicologiche e psicoterapeutiche.

Il teatro di ricerca, basandosi sulle riflessioni dei maggiori maestri del novecento, propone una visione antropologica della pratica artistica (Grotowski, Brook, Barba). A partire dalle avanguardie storiche che avevano provocato un rinnovamento radicale del teatro (nella drammaturgia, nella scena, nella recitazione, nella preparazione

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dell'attore, nel ruolo sociale del teatro) si e' delineato nella seconda parte del secolo uno spostamento dell'interesse non piu' focalizzato sul prodotto, ma sul processo. Il "laboratorio", in cui attori e regista lavorano insieme sul training e sulla preparazione dello spettacolo si propone come setting di ricerca e di

sperimentazione.

Jerzy Grotowski nel 1959 ha dato vita al Teatro Laboratorio che in seguito ha ricevuto lo status di "Istituto di ricerche sulla recitazione".

Egli propone la poverta' in teatro, lo sfrondamento di tutti gli elementi parassitari per arrivare a svelare le ricchezze inesplorate di questa forma artistica.

"Il teatro, grazie alla tecnica dell'attore, quest'arte in cui un organismo vivo lotta per

motivi superiori, presenta una occasione di quel che potremmo definire integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza: una totalita' di reazioni fisico-mentali.

Questa possibilita' deve essere utilizzata in maniera disciplinata, con una piena consapevolezza delle responsabilita' che essa implica.

E' in questo che possiamo scorgere la funzione terapeutica del teatro per l'umanita' nella civilta' attuale" (Grotowski,1968).

Nello stesso periodo della pubblicazione del libro di Grotowski "Per un teatro

povero", fu pubblicata anche un'altra opera fondamentale per la cultura teatrale

contemporanea: "The Empty Space" di Peter Brook che contribuisce a proporre una idea di teatro viva e realmente necessaria per l'uomo d'oggi.

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Per lui l'atto teatrale e' un lasciare andare, un rinnovarsi, un purificarsi sia per l'attore, sia per il pubblico.

E' una esperienza liberatoria "... la risata e le emozioni intense liberano l'organismo

di parte delle scorie..." (Brook,1968).

In questi nuovi setting si cerca di ricostruire l'unita' dell'esperienza attraverso una nuova estetica e nuove metodologie capaci di integrare il soggettivo e

l'oggettivo, mente e corpo, reale e immaginario, disciplina e spontaneita', arte e vita, individualita' e collettivita', tradizione e ricerca del nuovo.

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3.2 La teatroterapia, il benessere in scena

Molte attività create e artistiche consentono di sperimentare aspetti di sé stessi altrimenti difficilmente conoscibili e vivibili. Una di queste è la teatroterapia, che utilizza le potenzialità del “gioco delle parti” per sostenere interventi di prevenzione del benessere, di educazione, di integrazione e di cambiamento.

Le possibilità offerte dalla creazione e dall’interpretazione di ruoli, competentemente combinate alle conoscenze e competenze delle scienze psicologiche, consentono di creare percorsi di riabilitazione e programmi in grado di consentire di sostenere la cura della mente. In tal modo, attraverso la messa in scena di parti profonde

dell’identità individuale, la teatroterapia consente di superare periodi di disagio, di sviluppare le proprie risorse interiori e di accedere a risorse fondamentali per la propria salute e per il proprio equilibrio interiore, aprendo nuove vie ad esperienze di trasformazione e di guarigione.

Ad oggi sono stati sperimentati molti approcci che possono guidare i percorsi di teatroterapia, ognuno dei quali tende ad attivare uno o più processi di crescita personale e di guarigione attraverso l’uso terapeutico della recitazione.

Innanzitutto, l’interpretazione di un ruolo in scena può consentire di esperire delle parti di sé non quotidiane che ci si rifiuta di conoscere in prima persona, ma che possono essere vissute attraverso la dimensione sicura del “personaggio” che consente di sospendere temporaneamente le conseguenze delle proprie azioni pur consentendo di ascoltare i vissuti che il “rappresentare” può generare. Il teatro

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diviene, in tal modo, un gioco di ruoli e di sensazioni che, attraverso l’interpretazione di storie reali o fittizie, consente di esplorarsi.

In questo senso il teatro assolve alla funzione terapeutica che nasce dal consentire la piena espressione e realizzazione di se stessi, superando pregiudizi e stereotipi, accogliendo dolcemente parti rifiutate della propria storia o di se stessi che possono essere rimesse in scena nella finzione e reincastrate nel proprio mondo interno. Dopo aver creato un luogo protetto di rappresentazione delle parti più intime di sé una persona può scoprire e ristrutturare la propria personalità attraverso il personaggio, lasciando cadere le maschere e accedendo alla propria vera identità, a ciò che può sentire di essere, trovandosi nei panni di ciò che nella quotidianità non è e non riesce ad essere.

La teatroterapia, in questo senso, è un aiuto per comprendere meglio “chi si è” e “cosa si desidera essere una volta liberi da vincoli sociali”.

L’approccio teatroterapeutico consente altresì di agire ciò che non si può esprimere a parole o che non sarebbe ugualmente liberatorio raccontare, consentendo

un’“abreazione scenica" che può coinvolgere eventi vissuti nel passato che possono essere simbolicamente ripercorsi e trasformati attraverso l’improvvisazione che rende possibile riscrivere e trasformare una sceneggiatura, cambiando dettagli

comportamentali e sfumature emozionali anche più volte.

Inoltre, il contesto protetto del palco permette di imparare nuove reazioni cognitive e comportamentali sperimentando un altro “sé” in situazioni temute che possono essere affrontate, attraverso la drammatizzazione, seguendo percorsi graduali di desensibilizzazione in grado di insegnare a comprendere le proprie reazioni

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disfunzionali e di allenare, nella finzione scenica, nuove risposte psicofisiche adattive e efficienti.

Gli obiettivi che è possibile raggiungere dipendono dalle tecniche adottate che possono essere scelte e utilizzate secondo accorgimenti professionali specifici connessi alla formazione del conduttore e alle tappe attraverso cui, in relazione al proprio approccio, egli decide di programmare il percorso per la realizzazione degli obiettivi a cui aspira.

La condizione fondamentale perché qualsiasi obiettivo della teatroterapia possa essere raggiunto è che venga creato un clima di gruppo in cui si favorisce la libertà di espressione di sé, la rinuncia al giudizio verbale e non verbale, in modo che possa essere intrecciata un’autentica comunicazione interiore e una possibilità di

relazionarsi con gli altri partecipanti.

La partecipazione ad un gruppo di teatroterapia può essere efficacemente

sperimentata anche da parte di chi non ha mai fatto esperienze teatrali di alcun tipo, dal momento che l’accento non è centrato sulla tecnica ma sulla possibilità di

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3.3 Tre processi per rendere il teatro una via per il benessere

Nella teatroterapia si possono tradizionalmente isolare tre momenti fondamentali, ognuno dei quali ha degli obiettivi generali che in realtà vengono ulteriormente definiti anche in base all’approccio specifico adottato.

Nella tradizionale denominazione si distinguono:

1) Processo primario pre-espressivo che mira a sciogliere paure e resistenze e si basa sul coinvolgimento in esperienze pre-espressive che permettono all’attore-paziente di prendere coscienza di sé a partire dalla comunicazione globale che

comprende in modo profondo anche il corpo e la voce. In questa fase si sperimentano spesso esercizi di movimento, di contatto, di vocalizzazione o di narrazione centrati sull’esplorazione senza forma. In alcuni approcci questa è la fase in cui vengono apprese delle tecniche di ascolto delle proprie emozioni, di consapevolezza dei propri pensieri e dei propri movimenti nello spazio scenico.

2) Processo secondario espressivo che è finalizzato alla costruzione del personaggio che permette di comunicare parti dell’interprete. Si tratta di una fase di

improvvisazione e di scelta di aspetti di sé a cui dare attenzione e un “linguaggio”. In questa fase si sperimentano uno o più ruoli attraverso esercizi-guida che possono riguardare la costruzione di maschere, l’interpretazione di oggetti, di animali o lo sviluppo di temi suggeriti dal conduttore o dai partecipanti. In alcuni casi in questa fase vengono selezionati copioni tratti da opere esistenti (trame, poesie, ecc.), oppure

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si sperimentano alcuni ruoli modificando parti preesistenti e creando dialoghi e movimenti di scena personalizzati dagli attori-pazienti.

3) Processo terziario post-espressivo che mira ad integrare azioni e testi prodotti in un allestimento scenico, mettendo insieme, cucendo e dando un senso di gruppo alle improvvisazioni. In questa fase si analizzano i vissuti e si razionalizza sui processi avvenuti in precedenza, cambiando ciò che si desidera cambiare in vista

dell’obiettivo di una rielaborazione condivisa. In questa fase si analizza con distacco il personaggio, diventando osservatori esterni e registi di se stessi, un lavoro che permette di definire dettagli attraverso un percorso che risponde al bisogno e alla possibilità di mettere in relazione mondo interno e mondo esterno.

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3.4 La scelta del ruolo

Esistono diverse opzioni che riguardano la scelta di un ruolo che generalmente viene affidata alla spontaneità o, se utile, facilitata dal conduttore che può inserire dei temi, delle trame, degli stimoli o dei personaggi specifici.

La scelta di un personaggio che ha elementi di somiglianza con la storia o la personalità dell’attore che lo interpreta può essere un valido aiuto per avvicinarsi ad esperienze vissute e non risolte che possono essere riviste da prospettive emotive diverse, talvolta in forme paradossali come la commedia o come il mimo.

L’interpretazione di ruoli fantastici ideali, lontani dalla propria quotidianità, può essere un valido aiuto per la scoperta di parti di sé nuove, mai osate, talvolta ritenute impossibili da sperimentare nella semplicità delle proprie esperienze quotidiane.

Recitare i propri nemici, identificarsi temporaneamente con personaggi che rappresentano ruoli che nella realtà sono criticati e considerati lontani dal proprio modo di essere, rappresenta un metodo per aumentare le capacità di empatizzare, per dare l’occasione di “mettersi nei panni dell’altro” e di scoprire tutte le sfaccettature di un modo di vivere diverso dal proprio, vivendo allo specchio alcune dinamiche

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Sembra sia molto interessante e introspettivo interpretare una personalità di un’altra epoca o di cui non si approvano comportamenti e pensieri, o dell’altro sesso, o

comunque diversa da sé almeno in apparenza. Probabilmente la recitazione legittima e permette l’espressione di parti di sé più intime, meno visibili e spesso meno

accettate, con un effetto potenzialmente catartico e di crescita personale per l’attore stesso. Ecco quindi i ruoli del cattivo, del ladro, del bugiardo, dell’opportunista etc. i quali, seppur socialmente non accettati, rappresentano parti che probabilmente

ognuno di noi possiede che vengono esteriorizzate, esasperate e portate in scena.

L’attore cerca il delicato equilibrio tra le due opposte concezioni principali relative alla tematica dell’identificazione. La prima (Stanislavskij) riguarda il “calarsi” totalmente nella parte. Il processo d'identificazione, che deve essere totale, è estremamente complesso e nel lavoro di formazione dell'attore è necessario intervenire sia a livello immaginativo che concreto. In altri termini, è necessario individuare e riprodurre gesti, atti, piccole azioni che insieme delineano le peculiarità del personaggio Il rischio di una idea di identificazione totale è che l’attore potrebbe essere sopraffatto dalle emozioni del ruolo attraverso una perdita di confini tra sé e il personaggio, restare privo della concentrazione necessaria e sperimentare eventuali disordini emotivi da gestire anche successivamente. L’attore distante in maniera equilibrata invece, è in grado di recitare il ruolo e di essere nel contempo osservatore del ruolo stesso, di vivere contemporaneamente la propria realtà e quella della

finzione teatrale. L’attore vive un’esperienza psicosensoriale intensa e la modula dall’esterno attraverso la distanza estetica: egli non diviene il personaggio che

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impersona, ma si avvicina con le proprie esperienze interiori alla parte,

sperimentando parallelamente la realtà soggettiva e quella oggettiva. (Valmori Bussi) “Eppure la distanza si presenta in modo paradossale, infatti l’operazione realizzata dal teatro consiste nell’ottenere il massimo dell’identificazione col massimo della differenziazione, la maggiore verità con un minimo di tendenziosità, la

partecipazione massima con un minimo di credenza” (Petrella) Restando sul tema della distanza, l’altra famosa concezione relativa

all’identificazione è quella di Diderot, che rimanda per l’appunto all’idea di un certo

distacco tra l’attore e il suo personaggio con il quale si deve evitare una totale identificazione.

L'attore non deve lasciarsi sopraffare da emozioni reali che potrebbero inficiare la padronanza della situazione andando contro le esigenze della rappresentazione. Secondo Diderot, solo se l’attore è in grado di restare sufficientemente distante dal personaggio potrà modulare gesti ed espressioni secondo ciò che la scena richiede. Dunque, l’espressione e la comunicazione delle emozioni sono aspetti centrali nel

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3.5 Contesti di applicazione

L’utilità della teatroterapia a scopo preventivo ed educativo si riferisce alla

possibilità di sostenere la crescita personale, la conoscenza e il potenziamento di parti di sé e della propria personalità. In questo senso questo metodo consente di

perfezionare la propria comunicazione a tutti i livelli, superando tensioni mimiche e blocchi emotivi, allenando anche il non verbale e il paraverbale, pertanto è

particolarmente consigliata a chi ha problemi di timidezza, difficoltà relazionali, disagio nell’esprimere il proprio parere, nell’affrontare esami o parlare in pubblico. Per la sua predisposizione a sostenere anche lo sviluppo della creatività, di abilità di memorizzazione, di possibilità di scaricare lo stress, il teatro con tale finalità è spesso adottato anche in attività rivolte a contesti aziendali e scolastici.

Le applicazioni teatroterapeutiche a scopo riabilitativo riguardano delle fasce sociali quali detenuti ed ex carcerati, tossicodipendenti, disabili e persone che hanno vissuto in modo prolungato problemi di carattere medico, quali tumori, o anche di tipo

psicologico, come ansia, traumi e depressione. In tali casi lavora per la ri-costruzione del proprio ruolo e della propria identità, per l’integrazione di nuove esperienze di vita o parti di sé inaccettate, anche dopo che la persona ha effettuato un concomitante percorso terapeutico di altro tipo. In questa area di azione si collocano anche le

esperienze teatrali rivolte ad anziani o a persone sole, che tendono ad aiutare a

ritrovare nuovi stimoli per l’apprendimento ma anche per progettare momenti abituali di confronto sociale. La teatroterapia nell’anziano infatti è un ottimo strumento di supporto per mantenere attiva la memoria verbale e motoria, ma anche per sostenere

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l’umore e la fiducia in se attraverso occasioni che consentono di percepirsi ancora capaci di integrarsi all’interno di un’attività condivisa in gruppo.

Infine, la teatroterapia in ambito terapeutico agisce cercando di offrire delle possibilità di integrazione tra parti sane e parti malate, sostenendo e rinforzando il nucleo intatto dell’Io, anche in situazioni di nevrosi, di disturbi borderline o anche in forme di autismo. Naturalmente ogni tipo di problematica richiede la

personalizzazione dell’intervento anche in relazione alle caratteristiche specifiche del gruppo di partecipanti.

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