i
Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
Tesi di laurea
Coltura d’organo di cute di cane: valutazione morfometrica degli effetti
della palmitoiletanolamide ultramicronizzata
Candidato
Giulia Lazzarini
Relatori
Dott. Vincenzo Miragliotta
Prof.ssa Francesca Abramo
iii
Indice
Riassunto ... 1 Summary ... 2 1 Introduzione ... 3 1.1 Palmitoiletanolamide (PEA) ... 3 1.2 La cute ... 141.3 Modelli utilizzati nella ricerca dermatologica ... 18
1.4 Scopo della tesi... 30
2 Materiali e metodi ... 31
2.1 Prelievo della cute e preparazione delle biopsie ... 31
2.2 Valutazione della degranulazione dei mastociti ... 33
2.3 Valutazione della vasodilatazione ... 35
2.4 Effetti di PEA-um sullo spessore epidermico, sui marker di differenziazione sulla proliferazione dei cheratinociti ... 37
2.5 Analisi statistiche ... 40
3 Risultati ... 41
3.1 PEA-um riduce la degranulazione indotta dal composto 48/80 ... 41
3.2 PEA-um controlla la vasodilatazione capillare indotta dal composto48/80 ... 46
3.3 Effetti di PEA-um sullo spessore epidermico, sui marker di differenziazione e sulla proliferazione dei cheratinociti ... 48
4 Discussione e conclusioni ... 49
1
Riassunto
Introduzione – In uno studio clinico multicentrico, la Palmitoiletanolamide ultramicronizzata (PEA-um), si è recentemente dimostrata efficace nel ridurre il prurito e le lesioni cutanee in cani che presentavano una forma leggera o moderata di dermatite atopica. Il meccanismo attraverso cui questa molecola agisce sui sintomi della dermatite atopica potrebbe coinvolgere la sua efficacia nell’inibire la degranulazione dei mastociti. Il composto 48/80 è noto per la sua capacità di indurre la degranulazione dei mastociti.
Scopo della tesi – Verificare l’effetto della PEA-um sulla degranulazione dei mastociti nel cane tramite un modello ex vivo.
Materiali e metodi – La cute è stata ottenuta da tre cani che non mostravano problemi dermatologici, sottoposti ad intervento chirurgico di mastectomia. Le biopsie cutanee sono state coltivate in triplicato, trattate con due concentrazioni diverse del composto 48/80 (10 e 100 μg/ml), da solo o con contemporaneo trattamento con PEA-um (30 μM). Sono stati valutati: la degranulazione dei mastociti, la concentrazione di istamina nel mezzo di coltura, la vasodilatazione, lo spessore epidermico, la proliferazione e i markers di differenziazione dei cheratinociti.
Risultati – Le colture sottoposte a trattamento con PEA-um insieme al composto 48/80 hanno mostrato una diminuzione significativa del numero di mastociti degranulati rispetto a quelli trattati con composto 48/80 da solo. Inoltre, PEA-um ha ridotto il contenuto di istamina nel mezzo di coltura, sebbene i valori non abbiano raggiunto una significatività statistica. PEA-um si è dimostrata efficace anche nel ridurre la vasodilatazione dei capillari subepidermici indotta dal composto 48/80. Infine, il solo trattamento con PEA-um non ha indotto alcun cambiamento nello spessore epidermico, markers di differenziazione, proliferazione dei cheratinociti e densità dei mastociti totali e degranulati.
Conclusioni – I risultati ottenuti confermano il ruolo protettivo effettuato dalla PEA-um sulla cute di cani che presentano patologie allergiche. Il modello utilizzato in questo studio si è dimostrato farmacologicamente modulabile e può quindi essere utilizzato per studiare la risposta delle varie popolazioni cellulari della cute a stimoli esogeni di diversa natura.
2
Summary
Background – Ultramicronized palmitoylethanolamide (PEA-um) was recently shown to be effective in reducing pruritus and skin lesions in dogs with moderate atopic dermatitis. PEA is known since the last century to have an effect in down-modulating mast cell degranulation and this effect was recently demonstrated in dogs in vitro. Compound 48/80 is a well-known mast cell secretagogue.
Hypothesis/Objectives – To verify the effect of PEA in down-modulating mast cell degranulation in dogs, by mean of an ex vivo model.
Methods – Normal skin was obtained from three donor dogs that did not show dermatological lesions, subjected to surgery for reasons unrelated to the present study (mastectomy). Cultured biopsy samples in triplicate were treated with 10 and 100 μg/ml compound 48/80 without or with 30 μM PEA-um. Mast cell degranulation, histamine release into the culture medium, local microvascular dilatation, epidermal thickness, keratinocyte proliferation and epidermal differentiation markers were evaluated.
Results – Exposure of the skin organ culture to PEA-um 24h before and 72h concomitantly to compound 48/80 resulted in a significant decrease of degranulating mast cells. PEA-um also reduced by one-half the histamine content in culture medium, although the effect did not reach statistical significance. PEA-um significantly counteracted vasodilation induced by 100 μg/ml compound 48/80. Finally, PEA-um alone did not induce changes in epidermal thickness, differentiation markers, keratinocyte proliferation, mast cell density and/or degranulation.
Conclusions and clinical importance – Collectively, these results support the protective action PEA-um in the skin of dogs undergoing allergic changes. The
ex vivo model that was used in this study was reliable and responsive to
pharmacological treatments thus demonstrating its usefulness in basic studies aimed to understand morphophysiological aspects of the skin.
3
1 Introduzione
1.1 Palmitoiletanolamide (PEA)
La PEA è un biomodulatore lipidico endogeno, un’ amide dell’acido palmitico
la cui scoperta risale al 1957, anno in cui Kuehl e i suoi collaboratori isolarono
una sostanza antinfiammatoria dalla lecitina di soia (Kuehl et al., 1957). Già
dagli anni precedenti era noto che anche all’interno del tuorlo d’uovo fosse
presente una sostanza con proprietà antinfiammatorie e antiallergiche. Infatti,
nel 1939, i batteriologi Coburn e Moore notarono che conseguentemente a somministrazione di tuorlo d’uovo, si osservava una riduzione nell’incidenza della febbre reumatica in una popolazione pediatrica. Sempre Coburn, nel 1954, provò l’esistenza di alcuni fosfolipidi nel tuorlo d’uovo con attività antiallergica nella cavia; questa sostanza antiallergica presente all’interno dell’uovo è stata
purificata nel 1956 (Coburn, 1960; Coburn et al., 1954; Long and Martin, 1956)
e risultò molto simile dal punto di vista chimico ad un’altra sostanza trovata negli anni precedenti all’interno delle arachidi (lecitine vegetali). Kuehl, insieme ai suoi collaboratori, isolò la PEA, che corrispondeva alla sostanza presente all’interno delle lecitine vegetali e del tuorlo d’uovo, e la identificò come N-(2-idroxietil)-palmitamide, analizzando la sua composizione, e attribuendo l’attività antinfiammatoria principalmente alla parte basica della molecola (Kuehl et al., 1957). La denominazione si deve al fatto che dall’idrolisi
4
A questi studi ne fecero seguito altri, tra cui uno che fu in grado di identificare la PEA all’interno di diversi tessuti nel topo e nella cavia, in quantità variabili nel fegato, e in quantità costanti nel tessuto muscolare e nervoso (Bachur et al.,
1965). Sempre in quegli anni, veniva dimostrata l’attività antinfiammatoria di
questa sostanza in un modello di edema indotto da carragenina (Benvenuti et
al., 1968); in un altro esperimento fu dimostrata la modulazione della risposta
infiammatoria ed immunitaria esercitata dalla PEA, nella cavia (Perlik et al.,
1973).
Sebbene fossero già conosciute da anni le proprietà antinfiammatorie di PEA,
nessuno aveva ancora dimostrato in che modo esplicasse questa sua azione; la svolta si ebbe con i primi anni ’90, quando Rita Levi Montalcini e i suoi collaboratori portarono alla luce il meccanismo d’azione alla base dell’effetto antinfiammatorio e analgesico della PEA (Aloe et al., 1993), denominato ALIA (“autacoid local infiammation antagonism”). PEA esplica quindi un'azione antagonista locale, sia a nel sistema immunitario che nel sistema nervoso, nei
confronti dei danni tissutali causati dall'infiammazione e non solo; per questo motivo, successivamente gli stessi autori decisero di cambiare l’acronimo in “autacoid local injury antagonist” (Levi-Montalcini et al., 1996). La concentrazione di PEA endogena aumenta in base alla gravità del processo
infiammatorio in atto, aumento dimostrato recentemente anche nella dermatite
atopica del cane (Abramo et al., 2014). Dagli studi di Rita Levi Montalcini divenne chiaro l’effetto modulatore della PEA su diversi processi biologici, come infiammazione, neurotossicità e dolore cronico. Venne inoltre messa in
5
luce l’importanza del ruolo dei mastociti nella cascata dell’infiammazione: l’attivazione di queste cellule in seguito a danno tissutale risulta dannoso in
corso di infiammazione cronica; la produzione e l’accumulo di PEA in queste
situazioni riesce a modulare la risposta infiammatoria per ristabilire l'omeostasi
tissutale, tramite appunto una modulazione dell’attivazione, migrazione e
degranulazione dei mastociti; inoltre, divenne chiaro l’effetto di inibizione
anche sul rilascio di altri enzimi pro-infiammatori, tra cui le ciclossigenasi
(Costa et al., 2002; Esposito et al., 2014).Ulteriori studi dimostrano come la
produzione di PEA da parte di cellule neuronali, infiammatorie, adipose e cutanee avvenga “on demand”, ovvero al bisogno, in risposta a danni infiammatori e degenerativi, sia acuti che cronici, per esplicare la propria azione
a livello locale (Hansen et al., 2000).
Nel 1995, venne studiata l’azione modulatoria della PEA tramite attivazione del recettore CB2, espresso dai mastociti di topo (Facci et al., 1995). In studi
successivi venne anche dimostrato che i mastociti sono in grado di sintetizzare
la PEA, in particolare in seguito a stimolazione con ionomicina (Bisogno et al.,
1997).
Nel 1996, Mazzarri e collaboratori dimostrarono che PEA era capace di inibire
l'infiammazione in uno studio in vivo: dimostrarono infatti che PEA riduce la
fuoriuscita di sangue dai vasi nella anafilassi passiva cutanea, con meccanismo
dose-dipendente, nel topo. Gli stessi autori dimostrarono anche che PEA
riusciva a inibire l'infiammazione neurogena indotta da inoculazione di sostanza
6
modulazione dell’attivazione dei mastociti era sempre attribuita all’azione agonista di PEA sui recettori cannabinoidi periferici CB2, presenti appunto sui
mastociti (Mazzari et al., 1996). Questa ipotesi venne poi successivamente
smentita, dimostrando che la PEA agisce su questi recettori solo con un
meccanismo indiretto (Sugiura et al., 2000).
Successivamente, venne dimostrato che PEA è anche in grado di ridurre nel
topo l’infiammazione cronica e la formazione di granuloma indotta da
carragenina, attraverso l'inibizione del numero e della degranulazione dei
mastociti nei tessuti granulomatosi; come conseguenza veniva inibita anche
l'angiogenesi e l'iperalgesia. Infatti, nei tessuti granulomatosi, i mastociti si
localizzano vicino ai vasi sanguigni e nelle fibre nervose, dove rilasciano fattori
pro-infiammatori e angiogenetici come il nerve growth factor (NGF) e il tumor
necrosis factor (TNF). Il controllo del dolore si aveva quindi grazie
all'inibizione del rilascio, da parte dei mastociti, di mediatori algogeni quali il
NGF (De Filippis et al., 2013).
Biosintesi e degradazione - Ad oggi è noto che la PEA, l’etanolamide
dell’acido palmitico, che si ritrova sia nei tessuti dei mammiferi (fegato, tessuto muscolare, cute, apparato gastroenterico, cuore e circolo sanguigno) che in
prodotti caseari e vegetali, e possiede note proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche, viene prodotta “on demand” a partire dalle membrane fosfolipidiche cellulari. La PEA è definita oggi come molecola
endocannabinoid-like, o endocannabinoide indiretto, a causa della somiglianza nell’azione antinfiammatoria e antinocicettiva con gli endocannabinoidi,
7
sebbene non ne condivida completamente il meccanismo d’ azione (Hansen et
al., 2015).
Gli endocannabinoidi sono sostanze endogene sintetizzate a partire da acidi grassi (arachidonico, oleico, palmitico, stearico), in grado di legarsi ai recettori cannabinoidi CB1 e CB2 ed attivarli. Il sistema endocannabinoide (ECS) è costituito quindi da endocannabinoidi, recettori ed enzimi implicati nella loro sintesi e degradazione (Di Marzo et al., 2004).
Gli endocannabinoidi sono in grado di interagire con un ampio range di
recettori, tra cui GPR55, GPR18, GPR119, TRPA1, TRPV1, PPAR, canali
ionici ed altri target non recettoriali (Pertwee et al., 2010). Diversi fattori
influiscono sulla loro sintesi e degradazione, regolando quindi la loro
concentrazione a livello dei diversi tessuti (Hansen and Artmann, 2008; Hansen
and Diep, 2009; Maccarrone et al., 2010).
La biosintesi della PEA si realizza principalmente attraverso due reazioni
chimiche: la prima porta alla formazione di NAPE
(N-palmitoil-fosfatidil-etanolamina) a partire da fosfatidiletanolamide, tramite acetilazione, mentre la seconda prevede l’idrolisi del NAPE in N-aceteletanolamide e acido fosfatidico. La prima reazione viene catalizzata da un acetiltransferasi, mentre la seconda è catalizzata dall’enzima N-acil-fosfatidil-etanolamine fosfolipasi D (NAPE-PLD,una fosfodiesterasi) (Okamoto et al., 2004). Il NAPE si trova all’interno
delle cellule eucariote, e costituisce meno dello 0,05% dei fosfolipidi cellulari
(Wellner et al., 2013). Ovviamente si pensa che la biodisponibilità del precursore nell’organismo influenzi la sintesi della PEA, sebbene non risulti
8
ancora chiaro in che modo venga regolata la biodisponibilità di queste sostanze
(Diep et al., 2011; Hansen and Diep, 2009); in ogni caso è stato dimostrato che
i livelli della PEA risultano aumentati negli stati infiammatori (Balvers et al.,
2013; Esposito et al., 2014).
La degradazione della PEA avviene per idrolisi, mediata da due enzimi: FAAH
e NAAA (Ueda et al., 2010). FAAH (Fatty Acid Amide Hydrolase) è una
proteina di membrana, presente in diversi tessuti, ed esercita la sua azione catalitica principalmente sull’anandamide (AEA), mentre l’enzima NAAA (N-acylethanolamine-hydrolyzing acid amidase) che si trova all’interno dei
lisosomi, presenta una certa selettività per le N-aciletanolamidi (NAEs) sature,
come la PEA (Hansen et al., 2015).
Questi enzimi sono stati studiati per la loro importanza nella regolazione della
concentrazione di queste sostanze, e sappiamo che inibitori dell’enzima NAAA
determinano un aumento della concentrazione della PEA (Sasso et al., 2013),
svolgendo quindi un effetto indiretto antinfiammatorio e antinocicettivo,
studiato nei roditori (Ponzano et al., 2013; Sasso et al., 2013; Solorzano et al.,
2009).
Meccanismo d’azione – PEA agisce attraverso diversi meccanismi d’azione,
sinergici tra loro; il primo scoperto fu il cosiddetto meccanismo ALIA, attraverso regolazione dell’attivazione dei mastociti (Aloe et al., 1993; Levi-Montalcini et al., 1996). Successivamente, venne presa in considerazione l’ipotesi che la PEA agisse attraverso un meccanismo diretto, mediato da un recettore specifico. Con studi successivi si scoprì quindi che i recettori tramite i
9
quali PEA esercitava la sua azione antinfiammatoria erano due: il recettore
PPAR-α (Lo Verme et al., 2005) e il recettore GPR55 (Ryberg et al., 2007).
Inizialmente era stata ipotizzata anche l’affinità della PEA nei confronti del
recettore CB2 (Facci et al., 1995), ma studi successivi hanno smentito tale
ipotesi dimostrando che antagonisti selettivi del recettore CB2 non
determinavano una riduzione degli effetti antinfiammatori della PEA (Sugiura
et al., 2000).
PEA presenta comunque un meccanismo d’azione mediato dal recettore CB2, non direttamente, ma attraverso il cosiddetto effetto “entourage” (di contorno)
(Bisogno et al., 2001): vale a dire, la capacità della PEA di potenziare l’attività
antinfiammatoria e antidolorifica di altri composti endogeni, attraverso l’inibizione delle loro vie di degradazione e/o l’aumento della loro affinità per il recettore specifico (Ho et al., 2008). Un esempio è l’inibizione dell’enzima
FAAH, (responsabile della degradazione dell’anandamide, agonista dei
recettori cannabinoidi), attivando così indirettamente, tramite incremento
dell’anandamide, CB1 e CB2 (De Petrocellis et al., 2001). L’effetto entourage
è stato confermato nel cane, dove la somministrazione orale di una dose singola
di PEA ha determinato un notevole e rapido incremento dei livelli plasmatici di
altri endocannabinoidi, tra cui il 2-arachidonoil-glicerolo (2-AG), noti per i loro
effetti antinfiammatori, in particolare nella cute (Cerrato et al., 2012a).
Allo stesso modo, la PEA attiva un altro recettore target degli endocannabinoidi,
il recettore vanilloide TRPV1 (Movahed et al., 2005) e può indurne l’attivazione
10
anche dimostrato che la PEA può attivare i canali del recettore TRPV1, causarne
la desensibilizzazione e aumentare l’espressione dei recettori CB2 tramite il
recettore PPAR-α (Ambrosino et al., 2013; Petrosino et al., 2010b).
Possiamo quindi suddividere i target della PEA in due classi: diretti ed indiretti.
Nel primo gruppo troveremo quindi il recettore nucleare PPAR -α e il recettore
GPR55. I target stimolati indirettamente sono invece i recettori cannabinoidi
CB1 e CB2, e il TRPV1.
Partendo dal primo, PPAR-α (recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi di tipo α) è un recettore nucleare proteico; è un fattore di trascrizione che è stato ritrovato in diversi tessuti tra cui intestino, cuore, fegato, tessuto muscolare e
adiposo, rene ed anche in alcune cellule del sistema immunitario, in cui è
implicato nella risposta infiammatoria (Daynes and Jones, 2002). È stato
dimostrato che PEA si comporta nei confronti di questo recettore allo stesso
modo di un suo agonista sintetico (Wy-14,643), con un potente effetto
antinfiammatorio. PEA, come gli altri agonisti del recettore, porterebbe alla formazione di un complesso recettoriale attivo che condurrebbe all’inibizione della trascrizione dei geni pro-infiammatori (Lo Verme et al., 2005).
Il recettore GPR55 è presente soprattutto a livello cerebrale, sebbene si ritrovi
anche a livello periferico nell’apparato gastroenterico e in cellule come
mastociti, monociti, e cellule natural killer (NK); recentemente è emerso il suo
ruolo nella modulazione dell’infiammazione a livello intestinale, ed è stato
indicato come possibile target per il trattamento di patologie su base
11
attivato dall’anandamide, dal 2-arachidonoil-glicerolo (2-AG) e
Δ9-tetraidrocannabinolo, una molecola con azione psicotropa presente nella
Cannabis sativa (Alexander, 2015; Pertwee et al., 2010; Sharir et al., 2012).
I recettori CB1 e CB2 sono i recettori cannabinoidi, presenti in diverse cellule dell’organismo. In particolare, CB1 viene espresso nelle terminazioni presinaptiche, dove determina inibizione del rilascio di neurotrasmettitori; si
trova anche a livello del sistema nervoso periferico, nel tessuto mammario, nel
tessuto adiposo, muscolare striato, cardiaco, oltre che a livello osseo, cutaneo,
nel fegato e nel tubo digerente; CB2 invece si trova solo in quantità ridotte all’interno del tessuto cerebrale (espresso solo in alcune cellule della microglia), ma viene espresso da cellule del sistema immunitario: monociti, macrofagi,
linfociti B e T, mastociti e cheratinociti; si trova anche a livello di: milza,
tonsille, timo, cute, tutti organi in qualche modo coinvolti nella risposta
immunitaria (Campora et al., 2012; Iannotti et al., 2016). La funzione del
recettore CB2 sembra essere legata alla modulazione della risposta
infiammatoria e la nocicezione (Basu and Dittel, 2011; Whiteside et al., 2007).
Sebbene, come abbiamo già detto precedentemente, CB1 e CB2 non
rappresentano un target diretto della PEA, questa sostanza esercita un’azione
indiretta nei confronti dei recettori cannabinoidi tramite l’effetto ‘entourage’
(Petrosino and Di Marzo, 2016; Petrosino et al., 2010b; Sugiura et al., 2000).
Il recettore TRPV1, altro target di PEA, si trova nelle radici dorsali e nelle fibre
nervose sensitive, nei neuroni cerebrali e nei cheratinociti (Cristino et al., 2006;
12
cannabinoidi, la capsaicina e l’anandamide) che da stimoli fisici come
variazioni di pH o di temperatura (Iannotti et al., 2016; Pertwee and Ross, 2002). La PEA agisce su questo recettori in due modi: il primo è l’effetto ‘entourage’: aumento delle concentrazioni di anandamide e del 2-AG, che determina l’attivazione e la desensibilizzazione del recettore (De Petrocellis et al., 2001; Iannotti et al., 2016); il secondo meccanismo prevede un’attivazione sempre
indiretta del recettore TRPV1 attraverso il recettore nucleare PPAR-α
(Ambrosino et al., 2013).
La PEA in dermatologia veterinaria - Diversi test clinici sono stati effettuati,
soprattutto negli ultimi anni, per determinare il ruolo di PEA nell’infiammazione cutanea e in patologie su base allergica. L'effetto ALIA è importante soprattutto a livello cutaneo, a causa della presenza e dell'attività dei
mastociti, ma non si limita a queste cellule; infatti, si esprime anche su altre
cellule del sistema immunitario. In particolare PEA riduce significativamente il
rilascio di MCP-2 (monocyte-chemotactic protein, una sostanza
pro-infiammatoria), da parte di cheratinociti attivati (Petrosino et al., 2010a). Un
altro studio ha dimostrato anche la riduzione del rilascio di ossido nitrico (NO)
da parte dei macrofagi (Ross et al., 2000).
Nel 2001, un analogo della palmitoiletanolamide, il PLR 120 (Palmidrol INN
comicronizzato), fu somministrato per via orale a gatti con granuloma e placca
eosinofilica e altri disordini cutanei di origine immunitaria (ipersensibilità), con
buoni risultati ottenuti: già dopo i primi 15 giorni di trattamento è stata osservata una riduzione della gravità e dell’estensione delle lesioni; a fine trattamento è
13
stata dimostrata una diminuzione di prurito, alopecia e eritema in più del 60%
degli animali trattati. Sebbene non fosse diminuito il numero dei mastociti
cutanei, veniva inibita la loro degranulazione, con la conseguente riduzione dei
mediatori pro-infiammatori e neurosentitizzanti (Scarampella et al., 2001). Uno studio condotto su cani con ipersensibilità all’acaro della polvere ha dimostrato come 7 giorni di trattamento con PEA fossero sufficienti a ritardare
la comparsa delle lesioni: nei cani trattati erano infatti necessarie tre esposizioni all’allergene per far sviluppare le lesioni, contro le due esposizioni sufficienti per il gruppo di controllo (Marsella et al., 2005).
Un ulteriore studio su cani di razza Beagle con ipersensibilità ad Ascaris suum
ha dimostrato inoltre l’efficacia della PEA (dopo una singola somministrazione
orale) nel ridurre la reazione cutanea indotta da un’iniezione intradermica dell’antigene (Cerrato et al., 2012a). L’aspetto importante di questo studio è la dimostrazione della biodisponibilità di questa sostanza nel cane in seguito a
somministrazione orale, e, come accennato nel capitolo precedente, la prova dell’effetto “entourage”: l’azione antinfiammatoria della PEA infatti si manteneva per lungo tempo, anche in seguito alla riduzione della sua
concentrazione plasmatica.
Uno studio recente ha evidenziato l'effetto della PEA-ultra-micronizzata
(PEA-um) su un totale di 160 cani con dermatite atopica in forma lieve o moderata,
con trattamento della durata di 8 settimane. Nei cani trattati, PEA-um ha portato
ad una riduzione dei sintomi, riducendo il prurito e migliorando la qualità della
14
non è stato registrato nessun effetto collaterale. La formulazione della PEA-um
inoltre permette di aumentarne la biodisponibilità, aumentandone l’efficacia
clinica (Impellizzeri et al., 2014). Questo studio propone quindi PEA-um come
possibile trattamento per la dermatite atopica canina in un approccio terapeutico
integrato per il suo effetto sull’infiammazione, sull’allergia cutanea, sul prurito
e la mancanza di effetti collaterali (Noli et al., 2015).
1.2 La cute
Generalità - La cute, insieme ai suoi annessi cutanei, costituisce il sistema
tegumentario, deputato alla protezione dagli agenti chimici e fisici esterni; è
costituita da derma (lo strato più profondo) ed epidermide (lo strato più
superficiale). Nella cute si trovano diverse popolazioni cellulari, di origine diversa: l’epidermide origina dall’ectoderma, ma nell’epidermide troviamo, oltre alla popolazione maggiormente rappresentata dei cheratinociti (più
dell’80% dell’epidermide), anche i melanociti (cellule che originano dalla cresta
neurale), cellule di Langerhans (derivano dal midollo osseo) e cellule di Merkel
(cellule specializzate alla meccanocezione, anch’esse derivanti dalla cresta
neurale e localizzate principalmente nello strato basale dell’epidermide). Il
derma invece prende origine dal mesoderma parassiale. La cute riveste l’intera
15
Le sue funzioni sono numerose:
- Barriera protettiva. La cute costituisce un ostacolo agli insulti derivanti dall’esterno, che siano chimici, fisici e microbiologici; protegge inoltre dai raggi UV; questa rappresenta la funzione principale.
- Termoregolazione. La termoregolazione si attua attraverso la regolazione dell’afflusso di sangue, dalle ghiandole sudoripare (presenti a livello dei cuscinetti) e dalla pelliccia.
- Immunoregolazione. A livello cutaneo troviamo numerose cellule immunitarie,
che svolgono sorveglianza immunitaria.
- Pigmentazione. I melanociti albergano nello strato basale e possono rilasciare i loro granuli ai cheratinociti dell’unità follicolare melanocitaria.
- Percezione sensoriale. La cute infatti è un organo sensoriale, in cui troviamo le
terminazioni nervose.
- Produzione di Vitamina D da precursore endogeno sotto l’azione dei raggi solari
- Secrezione, attraverso le ghiandole apocrine, eccrine e sebacee presenti.
- Deposito, riserva per nutrienti, elettroliti e acqua.
Epidermide - È lo strato più superficiale della cute, ed è costituito da
cheratinociti disposti in diversi strati: partendo da quello più profondo, troviamo
lo strato basale, lo strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido e lo strato
corneo. Iniziando quindi a descrivere lo strato basale o germinativo, esso è
costituito da cheratinociti di forma tendenzialmente cubica, che poggiano sulla membrana basale, la quale divide l’epidermide dal derma; i cheratinociti dello strato basale sono in grado di proliferare (proprietà che non hanno i cheratinociti
16
presenti negli altri strati dell’epidermide), e andranno a sostituire,
differenziandosi, le cellule degli strati sovrastanti. Subito sopra troviamo lo
strato spinoso, in cui le cellule assumono una forma poliedrica e sempre più
appiattita mano a mano che ci spostiamo verso la superficie, è detto spinoso per le giunzioni cellulari che a Malpighi apparvero come delle “spine” all’osservazione microscopica. Lo strato successivo è lo strato granuloso, così chiamato perché qui le cellule contengono i cosiddetti granuli cheratoialini e
granuli più piccoli di loricrina, entrambi importanti nel processo di
corneificazione e formazione della barriera cutanea. Lo strato lucido è composto
da cheratinociti anucleati contenenti eleidina, una sostanza traslucida, e nel cane
si trova solo nelle zone in cui l’epidermide è più spessa, quindi a livello del
tartufo e dei cuscinetti plantari, mentre è assente nelle restanti parti del corpo.
Lo strato corneo è quello più superficiale ed è costituito da corneociti, appiattiti
e privi di nucleo, disposti in diversi strati (nel cane variano da 3 a un massimo
di 50); lo spessore dello strato corneo non è uniforme in tutte le aree del corpo:
è infatti inversamente proporzionale alla quantità di peli presenti; nelle zone di
cute glabra o con una modesta quantità di peli, lo spessore aumenta, e a livello
dei cuscinetti plantari e del tartufo si raggiunge lo spessore massimo (di circa
50 strati). I corneociti sono imbrigliati in una matrice extracellulare lipidica.
Attraverso il processo fisiologico di desquamazione, vengono sostituiti
periodicamente, ma lo strato corneo è mantenuto costante dalla proliferazione
17
Derma - È lo strato sottostante l’epidermide, svolge funzione di sostegno, e
viene anch’esso suddiviso in strati diversi: possiamo infatti distinguere uno strato più superficiale e uno più profondo. Entrambi sono costituiti da fibre
collagene e fibre elastiche, ma presentano alcune differenze qualitative: nello
strato superficiale infatti, che è anche detto reticolare, le fibre collagene sono
abbastanza sottili, e le fibre elastiche numerose; presenta inoltre una rete
capillare subepidermica e fibre nervose. Nello strato profondo del derma invece,
che è detto denso, le fibre collagene presentano un notevole spessore e le fibre
elastiche non sono così numerose come nello strato più superficiale.
Vascolarizzazione cutanea - La microcircolazione a livello cutaneo si trova
nel derma (l’epidermide, come tutti gli epiteli, non è vascolarizzata) ed è costituita da un complesso sistema di vasi che forniscono nutrimento, aiutano a
mantenere la temperatura corporea e fanno parte del sistema immunitario e
quindi della difesa della cute dagli agenti esterni.
Per quanto riguarda la struttura, il sistema di vascolarizzazione è costituito da
tre plessi principali: il plesso orizzontale superficiale, il plesso orizzontale
medio ed il plesso orizzontale profondo; il primo si trova a livello del derma
papillare, e da esso emergono le anse capillari che portano il nutrimento verso
la superficie e alle parti più superficiali del follicolo pilifero. Il plesso medio si
trova a metà tra gli altri due e va a vascolarizzare le parti intermedie degli
annessi cutanei. Il plesso profondo invece si trova nell’interfaccia tra il derma e
il sottocute, ed è connesso al plesso superficiale tramite venule e arteriole. Dal
18
portare nutrimento alle porzioni terminali del follicolo pilifero. Quasi tutti i vasi
della microcircolazione cutanea sono contenuti in uno spessore di 1-2 mm al di sotto dell’epidermide.
Braverman, insieme ai suoi collaboratori (2000), ha studiato in modo
approfondito la vascolarizzazione della cute dell’uomo ed è giunto alla
conclusione che le diverse tipologie di vasi (venule-arteriole-capillari) sono ben
distinguibili in sezioni incluse in resina dello spessore di 1 µm; in particolare, i
capillari si riconoscono per parete sottile, costituita da un'unica cellula endoteliale che circonda il lume, e per la presenza di un pericita all’esterno del lume; esistono inoltre delle caratteristiche strutturali visibili al microscopio elettronico, che permettono di distinguere anche tra l’ansa capillare discendente e quella ascendente: infatti l’ansa ascendente, oltre ad avere un diametro leggermente minore, presenta una membrana basale omogenea, mentre l’ansa discendente presenta una membrana basale multilaminata, ed un diametro di
1-1.5 µm maggiore. La parete del capillare raggiunge il minimo spessore, ovvero
15-30 nm, a livello dell’apice dell’ansa (Braverman, 2000).
1.3 Modelli utilizzati nella ricerca dermatologica
Oltre ai modelli in vivo che sicuramente sono più predittivi nei vari ambiti della
ricerca medica, ma ovviamente più complessi per quanto riguarda l’interpretazione dei dati ed eticamente poco conformi ai principi delle 3R
19
(Flecknell, 2002), in ricerca dermatologica è possibile utilizzare modelli in vitro
ed ex vivo (Shamir and Ewald, 2014).
Per quanto riguarda i modelli in vitro, troviamo diversi tipi di colture
cellulari:
- Bidimensionali (monostrato): sono colture cellulari costituite da un singolo
strato di cellule di un singolo tipo che crescono su una superficie piana. Questa
struttura permette una diffusione dei nutrienti più omogenea, ed anche i fattori
di crescita risultano diffusi equamente nel mezzo (Huang et al., 2013), ma uno
svantaggio presente in questo tipo di coltura consiste nel fatto che le cellule
mature risultano essere più appiattite di come sarebbero in condizioni in vivo, e
questo fatto può andare ad influenzare negativamente la proliferazione e la differenziazione delle cellule, l’apoptosi e l’espressione genetica.
- Tridimensionali: queste colture sono costituite da diversi tipi di cellule che non
crescono in modo bidimensionale, ma vanno a disporsi in aggregati/sferoidi, e
possono trovarsi completamente inclusi nel mezzo di coltura, oppure sospese
nel mezzo di coltura. Le cellule in questo tipo di struttura presentano delle
interazioni tra loro e con la matrice extracellulare che risulta molto più simile
alle condizioni in vivo, e anche il loro sviluppo e la morfologia che raggiungono
una volta diventate adulte, rispecchiano maggiormente quelle riscontrate nelle
condizioni naturali. Gli sferoidi, in base alla forma assunta, si possono
distinguere in quattro categorie differenti: rotondi, a grappolo, a mucchio,
20
Dalla coltura in vitro di mastociti di cane è stato ad esempio possibile evidenziare l’efficacia della PEA nel ridurre il rilascio di citochine pro-infiammatorie (Cerrato et al., 2010).
Colture organotipiche - Le colture organotipiche permettono la crescita di
cellule in vitro tridimensionalmente in modo da potersi avvicinare il più
possibile alle condizioni cellulari presenti fisiologicamente in natura. A livello
cutaneo, in particolare, consentono la disposizione delle cellule in diversi strati;
la cute è fisiologicamente costituita da una matrice di collagene in cui
prevalgono i fibroblasti, su cui si dispongono gli strati dell’epidermide. Le
colture organotipiche di cute quindi sono formate da una matrice artificiale che
viene popolata con fibroblasti, sopra la quale vengono seminati i cheratinociti:
la proliferazione e la differenziazione dei cheratinociti viene stimolata dalla semplice esposizione di quest’ultimi all’aria (Oh et al., 2013). Il vantaggio delle colture organotipiche risiede nel poter studiare in vitro i comportamenti
cellulari, in un modello molto simile alle condizioni presenti in vivo, indurre
cambiamenti nella cute per studiare il comportamento delle cellule, o le loro
risposte a farmaci. Si può considerare uno svantaggio, invece, il fatto che le
cellule in coltura presentano solo parzialmente il loro comportamento naturale e l’organizzazione che hanno in vivo, e non risulta possibile studiare risposte complesse, come ad esempio la guarigione delle ferite (Oh et al., 2013).
Recentemente in medicina veterinaria sono stati riprodotti dei modelli di coltura
organotipica utilizzando cute canina; in particolare, sono stati combinati
21
dermica acellulare suina (ricavata da cute di maiale, tramite processo di
decellularizzazione), in alcuni casi con aggiunta di fibroblasti dermici di cane
alla matrice. I risultati mostrano la formazione degli strati epidermici alla
seconda settimana, anche dove non erano stati aggiunti fibroblasti; nei campioni
con aggiunta di fibroblasti è stata osservata la formazione di una membrana
basale, e questo aveva dimostrato che la matrice dermica di suino poteva
favorire la proliferazione e differenziazione dei cheratinociti (Cerrato et al.,
2012b).
In altro studio è stato riprodotto un modello di coltura organotipica di cute
equina, con cheratinociti e fibroblasti ottenuti tramite digestione enzimatica.
Anche qui, alla seconda settimana è stata osservata la formazione di uno strato
basale e della stratigrafia dell’epidermide dovuta alla differenziazione dei
cheratinociti. Inoltre, attraverso analisi immunoistochimica mediante MIB-1
(Ki67) sono stati evidenziati dei cheratinociti proliferanti a livello dello strato basale dell’epidermide, come avviene fisiologicamente.
Colture d’organo - Lo studio di colture d’organo a partire da biopsie è stato
effettuato a partire dagli anni ’60. Il primo studio nel 1965 prevedeva il prelievo
di campioni da uomini e donne tra i 40 e i 60 anni deceduti da non più di 8 ore;
la cute, una volta prelevata e ripulita dal grasso sottocutaneo, veniva posta in
una soluzione salina con penicillina e streptomicina per 15-60 minuti.
Successivamente veniva distesa su carta filtro, fissata ad un tavolo di sughero,
a questa poi veniva applicato e tolto del nastro adesivo, operazione ripetuta per
22
solution), ed in seguito si procedeva al prelievo delle aree superficiali dallo
spessore di 0,5 mm, per poi suddividerla in pezzi ancora più piccoli; a questo
punto i campioni venivano posti su una spugna imbevuta di mezzo di coltura, e poi su una piastra Petri con mezzo di coltura “Eagle Minimum Essential Medium” (MEM), a cui era stato addizionato siero umano, L-glutamina,
penicillina-G, streptomicina. Le piastre così composte venivano lasciate in
incubatore, a temperatura controllata tra 36°C e 38°C, pH tra 7,2 e 7,4. Il mezzo
di coltura veniva cambiato ogni 2-3 giorni e i campioni erano prelevati o
giornalmente o ai giorni 4 e 7. I campioni venivano valutati alla microscopia
ottica: l’epidermide presentava già caratteristiche di attiva proliferazione e
aumento dello spessore. Purtroppo però non era facile stabilire quali
cambiamenti fossero stati determinati dalle manipolazioni (come l’applicazione
dello scotch), ed inoltre sono state anche riscontrate delle anomalie nella
maturazione e direzione delle cellule in alcuni campioni. Dopo questo primo
esperimento, sono seguiti altri studi, ma solo riguardanti la crescita in vitro della
cute umana (Caron, 1968; Sarkany et al., 1965).
Una svolta si è avuta nel 2007, quando è stato studiato un modello di coltura d’organo a partire da cuoio capelluto umano; sebbene non fosse la prima volta in cui veniva studiato un modello a partire dal cuoio capelluto umano, la vera
novità di questo studio consiste nel fatto che le colture si sono mantenute vitali
per più di due settimane, in un mezzo di coltura senza l’aggiunta di siero (Lu et
al., 2007). Il siero, infatti, è considerato sì un vantaggio, in quanto prolunga la
23
limite, visto che non tutte le sue componenti possono essere individuate e
considerate da un punto di vista analitico, rimanendo indefinite e variabili, e
potrebbero quindi andare ad interferire in qualche modo con l’analisi dei dati
(Oh et al., 2013).
Nello studio appena menzionato, i campioni provenivano da cinque donne
adulte, e venivano prelevati in seguito ad interventi di chirurgia plastica
facciale; la cute, una volta prelevata, è stata lavata per 5 minuti nel mezzo William’s E a cui era stata aggiunta una soluzione antibiotica e antimicotica (penicillina, streptomicina e amfotericina-B). Una volta sciacquati, sono state
preparate delle biopsie, con punch da 2 mm, quindi i campioni sono stati posti a galleggiare nel mezzo di coltura (William’s E, con penicillina, streptomicina, insulina, idrocostisone e L-glutamina), con l’epidermide rivolta verso l’interfaccia aria-liquido. I campioni sono stati mantenuti in incubatore a 37°C, con il 5% di CO2, ed il mezzo di coltura veniva cambiato a giorni alterni; questo
metodo è stato confrontato con una coltura con MEM arricchito di 10% di siero
fetale bovino, penicillina e streptomicina (Lu et al., 2007); sono stati analizzati
diversi parametri, tra cui la proliferazione dei cheratinociti, la crescita del
capello, analisi istologiche e immunoistochimiche, e i risultati ottenuti hanno
dimostrato che il cuoio capelluto, con i follicoli piliferi, possono essere coltivati
in mezzo serum-free per più di due settimane, conservando non solo vitalità, ma mantenendo anche la struttura e l’organizzazione tissutale. In particolare, i risultati hanno evidenziato una crescita del fusto dei capelli fino oltre al giorno
24
quello osservato nella coltura contenente il siero, in cui la crescita del capello si
è fermata ai giorni precedenti (Lu et al., 2007). Questo effetto di inibizione della
crescita del follicolo pilifero esercitato dal siero era già stato evidenziato in studi
precedenti (Philpott et al., 1990).
È stata misurata, a giorni alterni, l’attività della LDH (lattato deidrogenasi) nel mezzo di coltura, come indicatore di citotossicità. I risultati mostrano due picchi
di questo enzima nel mezzo di coltura: per entrambe le colture, il primo picco
si è verificato all’inizio (dovuto probabilmente alle manualità effettuate durante
la preparazione delle biopsie e la messa in coltura della cute), mentre il secondo
picco si è verificato in due momenti diversi nelle due colture: al giorno 12 in
quella contenente siero e al giorno 16 per la coltura serum-free. Dai risultati si
può vedere come LDH è già presente a livelli elevati nella coltura con William’s
E medium già al giorno 2, mentre nella coltura con siero si rileva la massima
attività dell’enzima solo al giorno 12, e questo evidenzia che il siero esplica un’azione citoprotettiva già dai primi giorni della messa in coltura, mentre William’s E medium presenterebbe una citoprotezione solo dal giorno 4, e comunque fino al giorno 12. L’effetto citoprotettivo del siero è dimostrato anche dal fatto che i livelli di LDH sono sempre più alti nel gruppo William’s E rispetto al gruppo MEM. Per quanto riguarda le analisi istologiche, sono stati
analizzati campioni prelevati ai giorni 5, 17, 27; lo spessore dell’epidermide mostra un assottigliamento progressivo all’aumentare della durata della coltura. In particolare, al giorno 5 l’epitelio e i follicoli hanno un aspetto intatto, ma sono già presenti cellule apoptotiche. L’epidermide e l’epitelio dei follicoli si
25
riducono drasticamente al giorno 17, con assottigliamento ancora più marcato
al giorno 27, in cui i cheratinociti sono disposti in un unico strato, con marcata ipercheratosi. Questo suggerisce un’atrofia progressiva, ma sebbene siano presenti anomalie di differenziazione e dei cheratinociti, rimangono presenti cellule proliferanti dello strato basale per l’intera durata dello studio. Sono stati anche colorati dei campioni con Giemsa per la valutazione della numerosità dei
mastociti perifollicolari, che risultano in numero più o meno stabili fino alla
seconda settimana, per poi decrescere nei giorni consecutivi. I mastociti
perifollicolari sono stati osservati in questo studio perché era stato
precedentemente riportata la loro azione sulla crescita del pelo (Paus et al.,
1994). La diminuzione nel numero dei mastociti perifollicolari osservata
durante le prime due settimane era accompagnata dall’aumento dei mastociti
degranulati.
Ulteriori analisi sono state effettuate, per avere altri risultati sullo spessore dell’epitelio del follicolo pilifero, tramite doppia immunofluorescenza Ki67/TUNEL, per marcare contemporaneamente le cellule in attiva
proliferazione e quelle apoptotiche. I dati hanno confermato quello che era già
stato visto tramite indagine istologica: il numero delle cellule apoptotiche
subisce un rapido aumento, raggiungendo il 20% al giorno 27 per quanto riguarda l’epitelio del follicolo, e il 37% per l’epidermide, mentre le cellule proliferanti diminuiscono (dal 6% all’1% in 37 giorni).
In ogni caso in un campione sono sopravvissute delle isole epiteliali fino al
26
rappresentano i residui dell’epitelio follicolare. Questo dimostra che dei gruppi di cellule isolate potrebbero trarre benefici da segnali promotori di
sopravvivenza, che con questo tipo di modello di coltura potrebbero essere
individuati.
In questo studio inoltre è stata analizzata la pigmentazione dell’epidermide e del follicolo pilifero, e i risultati hanno mostrato una riduzione della pigmentazione;
per quanto riguarda il follicolo pilifero, la diminuzione della pigmentazione è
correlata alla diminuzione della percentuale dei follicoli in fase anagen. Nell’epidermide, nei primi 5 giorni si osservano i granuli di melanina solo a livello dello strato basale e soprabasale, mentre nei giorni successivi si
riscontrano anche a livello dello strato corneo. È stato anche possibile osservare interamente il ciclo del follicolo pilifero; durante l’esperimento, il numero di follicoli in fase anagen è diminuito nelle prime due settimane, per poi
scomparire definitivamente al giorno 22. È però aumentato il numero dei
follicoli in fase catagen, arrivando ad una percentuale del 60% al giorno 17. Al
giorno 37, il 36% dei follicoli presenti era in fase catagen, e il restante 64% si
trovava in fase telogen. Quindi con il passare dei giorni, le colture mostravano
segni di degenerazione, apoptosi e distrofia follicolare, con spostamento del
ciclo in fase catagen-telogen (Lu et al., 2007).
Per quanto riguarda la medicina veterinaria, tre studi sono stati effettuati su modelli di coltura d’organo ex vivo (Abramo et al., 2016; Dame et al., 2008; Kondo et al., 1990).
27
Il primo esperimento ha avuto una durata di 12 settimane, ed ha utilizzato cute
prelevata da orecchie di coniglio, in seguito ad iniezione anestetizzante con
xilocaina. I campioni sono stati prelevati con un cheratotomo di Castroviejo, ed avevano uno spessore di 0,1 mm; sono stati posti all’interno di camere di diffusione, che a loro volta sono state inserite in provette contenenti il mezzo di
coltura (culture tube). Le camere erano composte da due quadrati di plastica di 15 mm per lato, posti l’uno sopra l’altro, ciascuno con al centro un pozzetto dal lato di 8 mm, in cui sono state inserite delle membrane di collagene bovino o
dei filtri con micropori delle dimensioni di 0,22 µm. Il mezzo di coltura era
composto da DMEM addizionato con idrocortisone, siero fetale bovino, penicillina e streptomicina. Lo scopo dell’esperimento era quello di osservare l’effetto dell’Epidermal Growth Factor (EGF) sulla struttura e sulla proliferazione dell’epidermide. L’effetto dell’EGF è stato inibito mediate trattamento con Desametasone (DMS). Per l’intera durata dell’esperimento, la struttura dell’epidermide e la cheratinizzazione non hanno mostrato particolari modifiche. L’EGF ha determinato un aumento del tasso di proliferazione cellulare, con acantosi dell’epidermide, e ipercheratosi ortocheratosica. Alla dose più elevata di EGF e all’aumentare dei giorni trascorsi, si notava anche alterazione nella struttura dei cheratinociti, rigonfiamento delle stesse cellule,
aumento degli spazi intercellulari, scomparsa dello strato granuloso dell’epidermide e paracheratosi, con la progressiva scomparsa di acantosi. È stato osservato inoltre l’effetto del DMS, che ha portato ad un’inibizione della
28
proliferazione cellulare, dimostrando quindi che il DMS annulla gli effetti dell’EGF (Kondo et al., 1990).
Per il secondo studio, condotto nel 2008, sono stati prelevati campioni di cute
da quattro Gottingen minipig, una razza suina utilizzata nella ricerca
farmaceutica. Lo scopo era quello di proporre un modello per lo studio della
cute umana. Gli animali utilizzati facevano parte di gruppi di controllo di altri
studi; sono state prelevate delle strisce di cute dalla schiena e dal fianco, di
dimensioni 1x4 cm; le strisce sono state ripulite dal tessuto sottocutaneo, sono
state suddivise in piccole biopsie di dimensioni 3X3, e sono poi state poste in
coltura. Sono stati preparati diversi tipi di colture: monostrato cellulare e coltura d’organo dell’intera cute; i campioni venivano mantenuti a 37°C al 5% di CO2
ed il mezzo di coltura veniva cambiato ogni 2 giorni. I campioni sono stati
coltivati in mezzi differenti, che differivano per la presenza o meno di FBS,
EGF, insulina e idrocortisone. I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti per lo
scopo dello studio, mostrando una corrispondenza con i risultati degli studi
umani: il mezzo di coltura migliore è risultato essere quello serum-free, e senza
EGF (Dame et al., 2008).
Nel 2016, per la prima volta sono state utilizzate biopsie cutanee di cane, in un
modello di coltura serum-free della durata di 2 settimane (Abramo et al., 2016).
Lo scopo dello studio è quello di proporre un valido modello per capire meglio
la fisiologia della cute, e valutare risposte a trattamenti farmacologici in condizioni molto simili a quelle normali, senza l’utilizzo di animali vivi. La cute è stata prelevata da 5 cani sottoposti ad interventi chirurgici non riguardanti
29
patologie dermatologiche, e subito messa in un mezzo (Williams’ E Medium,
addizionato con soluzione antibiotica-antimicotica contenente penicillina,
streptomicina e amfotericina B), mantenuta a 4°C fino alla messa in coltura. La
cute è stata poi ripulita del grasso sottocutaneo, tagliata in biopsie con un punch, posta nel mezzo di coltura (composta da Williams’ E medium con penicillina, streptomicina, insulina, idrocortisone e L-glutamina), e mantenuta a 37°C con
5% di CO2 per 14 giorni. Il mezzo veniva cambiato a giorni alterni, e le biopsie
di tre cani su cinque sono state trattate con EGF e Desametazone.
Sono stati valutati diversi parametri: aspetto morfologico, spessore dell’epidermide e lunghezza delle lingue epidermiche alla periferia delle biopsie, proliferazione dei cheratinociti e differenziazione dell’epidermide. I risultati ottenuti mostrano l’assenza di cambiamenti dovuti a degenerazione o eventi necrotici. Tramite immunocolorazione con Ki67, sono state evidenziate
cellule proliferanti soprattutto alla periferia delle biospie (dove sono presenti le
lingue epiteliali); la proliferazione diminuisce significativamente dal giorno 7.
Durante la durata della coltura, comunque, non è stato osservato nessun cambiamento significativo dello spessore dell’epidermide, forse dovuto all’assenza della normale esfoliazione che abbiamo in condizioni fisiologiche
in vivo. Per quanto riguarda l’EGF, è stato notato un aumento dello spessore
dell’epidermide (iperplasia) nei casi trattati, insieme ad un aumento della proliferazione cellulare; questi effetti vengono contrastati dal DMS (Abramo et
30
Questo studio propone quindi un modello che potrà essere utilizzato in futuro
per lo studio delle diverse condizioni fisiopatologiche cutanee, e la valutazione
dell’assorbimento e della risposta a farmaci, della riepitelizzazione e
guarigione delle ferite, e di disordini proliferativi dell’epidermide.
1.4 Scopo della tesi
Lo scopo della tesi è stato quello di evidenziare gli effetti che la PEA-um
esercita sulla cute canina utilizzando il modello serum-free di coltura d’organo
appena menzionato (Abramo et al., 2016). Da precedenti studi, come accennato
sopra, la PEA è in grado di inibire la degranulazione dei mastociti. In coltura,
quindi, è stato utilizzato un composto noto per la sua attività di induttore della
degranulazione, il composto 48/80 (Schemann et al., 2012) e la PEA-um è stata utilizzata come inibitore. Poiché i mastociti rilasciano istamina, oltre all’effetto sulla degranulazione, è stato valutato il contenuto di istamina nel mezzo di
coltura e la dimensione dei lumi dei capillari superficiali per una stima del loro
31
2 Materiali e metodi
2.1 Prelievo della cute e preparazione delle biopsie
La cute è stata prelevata da tre cani adulti, femmine, sottoposti ad intervento di
mastectomia per rimozione di noduli neoplastici, non sottoposti a trattamenti
farmacologici, e senza anamnesi remota di patologie dermatologiche. Strisce di
tessuto cutaneo sono quindi state prelevate durante l’intervento chirurgico da
una zona di cute sana, alla periferia del sito chirurgico e, a seguito della
preparazione del campo operatorio, eseguito attraverso applicazione di etanolo
e betadine a passaggi alternati (tre passaggi ciascuno), i cani sono stati indotti
in anestesia con propofol (4 mg/kg) e mantenuti in anestesia gassosa con
isoflurano al 2% in ossigeno.
Dal momento del prelievo, le strisce di cute sono state poste in un mezzo di
isolamento per il trasporto, e mantenute a 4°C fino alla preparazione della coltura; il mezzo per il trasporto era così composto: 99% William’s E medium glutamine-free e 1% soluzione antibiotica-antimicotica (a sua volta costituita da
10000 IU di penicillina, 10 mg streptomicina e 25 μg di amfotericina B per mL).
Una volta arrivate al laboratorio, le strisce di cute sono state preparate per il
prelievo delle biopsie: con l’aiuto di bisturi e forbici, è stato innanzitutto
rimosso il grasso sottocutaneo, delicatamente; successivamente sono state
32
biopsie per ogni animale. Tre biopsie per ogni cane sono state immediatamente
messe in una soluzione di formalina tamponata al 10% (a pH 7,5) per andare a
costituire un triplicato di campioni di cute sana di controllo del giorno 0, indicate con “Day 0” (D0).
Le restanti 18 biopsie sono state coltivate, in triplicato, in piastre da 6 pozzetti
nel seguente mezzo di coltura: Williams’ E medium addizionato di 1% 10000 IU/ml penicillina/10 mg/ml streptomicina, 0.1% 10 μg/ml insulina, 0.02% 10 ng/ml idrocortisone and 1% 200 mM L-glutamina. I reagenti sono stati
acquistati da Sigma Aldrich S.R.L. Milano, Italia. Le piastre così composte sono
state messe in termostato controllato a 37°C, con 5% di CO2. Il mezzo di coltura
è stato preparato al D0, e successivamente sostituito al giorno 1, al giorno 2 e al
giorno 4. Al giorno 1, dopo 24h di stabilizzazione della coltura, tre triplicati
sono stati trattati overnight con una concentrazione di PEA-um (Innovet Italia) di 30 μM, sospesa in una soluzione acquosa di Pluronic F68 10% (v/w) (Sigma-Aldrich).
Al giorno 2 è stato aggiunto il composto 48/80 ad una concentrazione finale di 10 e 100 μg/ml, con e senza contemporaneo trattamento con PEA-um. I campioni sono stati prelevati al giorno 5, e le biopsie sono state fissate in
soluzione Karnowsky composta da 2.5% di glutaraldeide, 4% di formaldeide,
0.1 M tampone fosfato a pH 7.4. Le biopsie sono poi state divise a metà, usando
la lama da microtomo, sotto uno stereomicroscopio, avendo l’accortezza di
sezionare in direzione parallela alla crescita dei peli, e sono state poi incluse in
33
stata inclusa in metracrilato (JB-4 Embedding Kit, Polysciences, Inc.,
Warrington, PA, USA) ed è stata utilizzata per la valutazione dei mastociti e
della determinazione della vasodilatazione cutanea, mentre la seconda metà è
stata inclusa in paraffina. Dei frammenti delle biopsie sono stati inclusi in resina
epossidica (Epon-Araldite, Sigma-Aldrich) dopo fissazione in osmio, per la
microscopia elettronica a trasmissione, per la visualizzazione dei dettagli
ultrastrutturali dei mastociti.
2.2 Valutazione della degranulazione dei mastociti
Valutazione morfometrica - due sezioni da 1 μm di spessore ottenute dalle
biopsie incluse in resina sono state colorate con blu di toluidina per la
visualizzazione dei granuli metacromatici dei mastociti. Sono stati contati tutti
i mastociti presenti nella sezione, perivascolari ed interstiziali nucleati al
microscopio ottico ad ingrandimento 400X. È stata effettuata una valutazione
morfometrica dei mastociti, presenti nel derma sub-epidermico (sottostante la
membrana basale), attorno al plesso orizzontale superficiale, lungo gli annessi
cutanei (plesso medio), e nel derma interfollicolare.
I mastociti contati sono poi stati suddivisi in due gruppi a seconda dello stato
di degranulazione: degranulati e non degranulati, considerando come
degranulati quelli attorno ai quali era possibile vedere almeno 6-8 granuli, al
34
1994; Shimoda et al., 2010). È stata poi calcolata la densità dei mastociti totali
presenti nelle sezioni espressa come MC/mm2, la densità dei degranulati e
quella dei non degranulati.
Microscopia elettronica a trasmissione - - dalle biopsie incluse in resina
epossidica sono state ottenute sezioni ultrafini, poi montate in griglie
Formvar/Carbon 200 (Ted Pella, Inc. Redding, CA, USA), e visualizzate al
microscopio elettronico a trasmissione dopo doppio contrasto con acetato di
uranile al 2% e citrato di piombo. Per il riconoscimento dei mastociti alla
microscopia elettronica sono stati utilizzati dei criteri già analizzati in
precedenza (Dvorak, 2005) ovvero: il nucleo monolobato, la superficie
cellulare che presenta piccole e strette pieghe della membrana cellulare, e la
presenza dei tipici granuli elettrondensi citoplasmatici, che sono più numerosi
e più piccoli nelle cellule mature rispetto a quelle più giovani.
Rilascio di istamina - Al giorno 5 è stata valutata l’istamina all’interno del
mezzo di coltura rilasciata dai mastociti, tramite tecnica radioimmunologica
(histamine, 155 RIA kit, Beckman Coulter s.r.l., Milan, Italy). È stata eseguita l’acilazione dell’istamina nei campioni e negli standard di calibrazione, seguita da incubazione con concentrazioni conosciute di istamina marcata con 125-I, in
provette rivestite con anticorpi anti-istamina. Dopo l’incubazione, il contenuto
delle provette è stato aspirato e il legame di radioattività è stato misurato in un
gamma-counter (un contatore di raggi gamma). I valori di istamina (nM/L) sono
35
2.3 Valutazione della vasodilatazione
Due sezioni di spessore di 1 μm ottenute da ciascun campione fissato in
metacrilato e colorate con blu di toluidina sono stati usati per la valutazione
morfometrica della vasodilatazione cutanea locale. Per l’approccio
morfometrico seguito, sono state fatte alcune considerazioni preliminari per
poter stabilire delle misurazioni di base da applicare al microcircolo cutaneo del
cane in modo da valutarne lo stato o meno di vasodilatazione. Inoltre, poiché in
letteratura veterinaria sono scarsi gli studi sul microcircolo cutaneo e questi, per
la maggior parte, riguardano aree specializzate come il tartufo, i cuscinetti e il padiglione auricolare, per l’identificazione delle diverse tipologie di vasi presenti nel microcircolo cutaneo sono stati utilizzati i parametri definiti da
Braverman in medicina umana (Braverman, 2000).
Una delle prime considerazioni riguarda le dimensioni dei capillari dell’ansa che si dipartono dal plesso vascolare superficiale, che hanno un lume
corrispondente più o meno alle dimensioni di un eritrocita; sappiamo che gli eritrociti nel cane hanno una dimensione di circa 6 μm, ed il processo di preparazione dei campioni istologici può portare ad una riduzione delle sue
dimensioni; altra considerazione riguarda le dimensioni dei diversi tratti dei capillari dell’ansa: il lume dei capillari discendenti è infatti maggiore (di circa 1.5 μm) rispetto a quello dei capillari ascendenti. È stato in questo modo possibile distinguere i capillari in base alle dimensioni del lume, e dividerli in
36
< di 6 μm, nel secondo quelli con un diametro compreso tra 6 e 7.5 μm, mentre infine, nell’ultimo, i capillari dal diametro > di 7.5 μm, dilatati. Il valore di 7.5 μm è stato preso come valore cut-off per discriminare e definire la percentuale di capillari dilatati.
Dal punto di vista metodologico quindi si è proceduto con la misurazione del
perimetro di tutti i piccoli vasi dello strato superficiale del derma (in sede
sub-epidermica) prendendo in considerazione, nell’intera sezione, una profondità di 100 μm, in modo che fossero valutati tutti i capillari emergenti dal plesso vascolare orizzontale superficiale; i capillari sono stati distinti dalle arteriole e
dalle venule (che venivano escluse dalla misurazione) in base alla morfologia
della parete vasale come riportato da Braverman (Braverman, 2000). Il
perimetro del lume vasale è stato misurato manualmente utilizzando un software
per analisi di immagini (NIS-Elements Br Microscope Imaging Software. Nikon
Instruments, Calenzano, Italy). Considerando la difficoltà di ottenere la
misurazione di un perimetro che risultasse perfettamente circolare all’interno
della sezione istologica, sono state calcolate misure diverse, in modo che fosse
possibile avvicinarsi il più possibile alla reale dimensione dei complessi
capillari cutanei; le misure calcolate hanno compreso: diametro equivalente (che
corrisponde al diametro ideale di figure non perfettamente circolari), area,
37
2.4 Effetti di PEA-um sullo spessore epidermico, sui marker di
differenziazione sulla proliferazione dei cheratinociti
Per questo tipo di valutazioni sono state utilizzate le sezioni ottenute dai
campioni inclusi in paraffina, delle quali alcune sono state colorate con
ematossilina/eosina, mentre altre sono state utilizzate per indagini di
immunoistochimica.
I cambiamenti indotti da trattamento con PEA-um sono stati valutati seguendo
diversi criteri morfologici:
Per prima cosa è stato valutato l’effetto di PEA-um sullo spessore dell’epidermide; lo spessore dell’epidermide è stato misurato tracciando dei segmenti perpendicolari alla membrana basale, dallo strato germinativo fino
all’inizio dello strato corneo, utilizzando il software NIS-Elements BR
Microscope Imaging (NIS-Elements Br Microscope Imaging Software. Nikon
Instruments). Sono stati tracciati 16 segmenti per ogni campo microscopio ad
ingrandimento 20X, e le misure ottenute sono state espresse in μm.
Per quanto riguarda i markers di differenziazione epidermica sono state
utilizzati i seguenti anticorpi: citocheratina10 (CK10- cheratinociti soprabasali),
citocheratina 14 (CK14-tutti i cheratinociti, esclusi quelli dello strato corneo) e
loricrina (strato granuloso). Di seguito viene descritta in dettaglio l’indagine di
immunofluorescenza indiretta eseguita. Le sezioni sono state montate su vetrini
superfrost-Plus, ed in seguito sparaffinate e reidratate; lo smascheramento degli
epitopi è stato ottenuto tramite trattamento con calore in pentola a pressione a
38
stati bloccati i legami aspecifici tramite incubazione con PBS addizionato con
2% albumina sierica bovina (Vector Labs, Burlingame, CA, USA), per 45
minuti a temperatura ambientale. In seguito, i vetrini sono stati mantenuti in
incubazione per tutta la notte a 4°C con un cocktail di anticorpi costituito da:
anticorpo anti-CK10 monoclonale di topo (Cat. N° ab9026, Abcam plc,
Cambridge, CB4 0FL, UK) e anticorpo anti-loricrina policlonale di coniglio
(Cat. N° ab24722, Abcam plc), o anticorpo anti-CK14 monoclonale di topo
(Cat. N° ab7800, Abcam plc), diluiti in PBS addizionato a 1% di albumina
sierica bovina. A questo punto, le sezioni incubate sono state sciacquate con
PBS (tre volte, per 10 minuti ciascuna); successivamente, le sezioni incubate
con il primo cockatil di antocorpi primari (anti-CK10 e anti-loricrina) sono state
incubate con un cocktail di anticorpi secondari costituito da anticorpo
secondario fluoresceinato anti-coniglio (Cat. N° FI-1000, Vector Labs) e
anticorpo secondario anti-topo (Dylight 649 antimouse cat N° DI-2649 vector
labs), mentre le sezioni incubate precedentemente con anticorpo anti-CK14
sono state poi incubate con anticorpo secondario anti-topo (Cat. N° FI-2000,
Vector Labs). Tutti i vetrini sono stati quindi montati con Vectaschield
mounting medium con DAPI (4',6-diamidino-2-phenylindole) (Vectashield
mounting medium with DAPI, Vector Labs) per controcolorazione nucleare.
Per la valutazione della proliferazione dei cheratinociti tramite indagine
immunoistochimica è stato utilizzato un anticorpo anti-ki67. Anche in questo
caso, le sezioni sono state montate su vetrini Superfrost-Plus, sparaffinate e
39
per lo smascheramento degli epitopi ma è stato utilizzato il metodo delle
perossidasi per la rivelazione del legame antigene anticorpo. L’inibizione delle
perossidasi endogene è stata ottenuta tramite incubazione con acqua ossigenata all’1% con tampone fosfato 0,1 M a pH7.4 (PBS), per 5 minuti a temperatura ambiente. I legami aspecifici sono stati evitati tramite incubazione per un’ora
con 5% siero di capra (Vector Labs), per un’ora a temperatura ambiente. A
questo punto i vetrini sono stati incubati con anticorpo primario monoclonale di
topo anti-Ki67 (Cat. N° sc-101861, Santa Cruz Biotechnology, TX, USA) in
diluizione 1:200 in PBS tutta la notte a 4°C. Successivamente sono stati
sciacquati in PBS (tre volte, per 10 minuti ciascuna), e subito dopo incubati con
anticorpo specifico secondario biotinilato di capra anti-IgG di topo (Cat. N°
BA-9200, Vector Labs), in diluizione di 1:300 in PBS. Le sezioni poi sono state di
nuovo sciacquate in PBS (come prima, 3 volte per 10 minuti). La colorazione è
stata determinata tramite incubazione delle sezioni in soluzione di
diaminobenzidine (Vector Labs); le sezioni sono state infine disidratate e
montate con un mezzo montante permanente. Sono stati fotografati cinque
campi per ogni animale, ad ingrandimento 250X, e sono state contate le cellule
risultate Ki67-positive. Il parametro è stato espresso come percentuale delle
cellule basali positive sul totale di cellule basali comprese nel campo
40
2.5 Analisi statistiche
I dati raccolti sono stati analizzati usando SAS v9.2 2 (SAS Institute, Cary, NC,
USA). La risposta ai trattamenti è stata analizzata utilizzando un modello lineare
generalizzato. Per analizzare e comparare dati multipli è stato utilizzato test
Tukey-Kramer. Per comparare la distribuzione del diametro dei vasi in base ai
trattamenti è stato utilizzato il test Chi-quadro, con livello di significatività