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Ruolo delle funzioni cognitive nel freezing della marcia: evidenze da studi clinici in una ampia coorte di pazienti con Malattia di Parkinson e Demenza a Corpi di Lewy

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea

Ruolo delle funzioni cognitive nel freezing della marcia: evidenze

da studi clinici in una ampia coorte di pazienti con Malattia di

Parkinson e Demenza a Corpi di Lewy

RELATORE

Prof. Roberto Ceravolo

CANDIDATO

Andrea Corsi

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INDICE

RIASSUNTO………5

CAPITOLO I. LA MALATTIA DI PARKINSON………..7

1.1 Definizione………..……….7 1.2 Epidemiologia……….………..7 1.3 Eziologia………...………8 1.4 Neuropatologia……….………9 1.5 Quadro clinico………..……….……….12 1.5.1 Sintomi motori……….……….…..12

1.5.2 Sintomi non motori……….15

1.6 Diagnosi……….……….17

1.7 Terapia……….………...20

1.7.1 Terapia farmacologica………20

1.7.2 Terapia chirurgica………...24

CAPITOLO II. DISTURBI ASSIALI E FREEZING………25

2.1 Freezing della marcia……….……….26

2.1.1 Epidemiologia……….………26

2.1.2 Eziopatogenesi e fattori di rischio………..27

2.1.3 Fenomenologia………30

2.1.4 Risposta alla terapia………...……….32

2.2 Festinazione………...……….33

2.3 Il FOG nei parkinsonismi atipici…………...……….33

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2.4.1 Definizione………..34 2.4.2 Epidemiologia………...………..34 2.4.3 Eziopatogenesi………...……….35 2.4.4 Quadro clinico……….35 2.4.5 Terapia………...……….36 2.5 Il Freezing nella DLB……….………36

CAPITOLO III. IL DECLINO COGNITIVO NELLA MP……….38

3.1 Definizione………...………..38 3.2 Epidemiologia………...………..39 3.3 Fattori di rischio………..………40 3.4 Eziologia……….………44 3.5 Quadro clinico………48 3.6 Terapia………...……….51

CAPITOLO IV. OBIETTIVI DELLO STUDIO……..………..53

CAPITOLO V. MATERIALI E METODI……….………54

CAPITOLO VI. ANALISI STATISTICA………..64

CAPITOLO VII. RISULTATI………65

CAPITOLO VIII. DISCUSSIONE………..79

CAPITOLO IX. CONCLUSIONI………...……….99

RINGRAZIAMENTI……….…...……….……….101

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RIASSUNTO

La MP è una patologia neurodegenerativa ad andamento progressivo, che si manifesta con sintomi motori (bradicinesia, rigidità, instabilità posturale, tremore) e sintomi non motori (ansia, depressione, compromissione cognitiva, disturbi disautonomici).

Tra i sintomi motori si riconoscono i disturbi assiali (instabilità posturale, disturbi della marcia), dei quali fa parte il freezing della marcia (FOG). Esso viene definito come l’impossibilità di iniziare o proseguire la marcia, nonostante l’intenzione di farlo. Si manifesta in situazioni e contesti diversi e può riguardare l’inizio (hesitation start), la prosecuzione o la fine della marcia (destination hesitation). Si riscontra sia nella MP idiopatica che nei parkinsonismi atipici e vascolari.

Tra i sintomi non motori la compromissione cognitiva in corso di malattia di Parkinson assume i contorni di mild-cognitive impairment (PD-MCI) o franca demenza (PD-D). La demenza rappresenta una comune complicanza delle fasi avanzate di malattia; cio-nonostante alterazioni cognitive isolate possono essere rinvenute fin dall’esordio.

Questo studio si propone di studiare l’associazione tra FOG e compromissione cogniti-va indagando indirettamente il contributo corticale nella genesi del FOG: nella prima fase sono stati posti a confronto, in un approccio retrospettivo caso-controllo, un grup-po di pazienti DLB e un grupgrup-po di pazienti MP al fine di valutare la differente prevalen-za del FOG all’esordio e nei primi anni di malattia ; nella seconda parte, un campione di pazienti MP de novo con 3 anni di follow-up sono stati distinti a posteriori in due

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gruppi sulla base del sintomo freezing; la valutazione neuropsicologica eseguita da tutti i pazienti all’esordio ci ha permesso di esaminare e caratterizzare il profilo cognitivo dei freezers rispetto ai non freezers, ricercando nell’alterata performance ai test un fatto-re pfatto-redittivo lo sviluppo pfatto-recoce del FOG.

Nelle due popolazioni di pazienti MP è stata, inoltre indagata, l’eventuale associazione del FOG con altre variabili cliniche: allucinazioni visive (AV)/ dispercezioni, disturbo del controllo degli impulsi (ICD), disturbi del sonno REM (RBD), incontinenza urinaria a tipo urge incontinence.

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CAPITOLO I

LA MALATTIA DI PARKINSON

1.1 Definizione

La malattia di Parkinson (MP) è una patologia neurodegenerativa cronica ad andamento progressivo, dovuta alla perdita di neuroni dopaminergici della substantia nigra e alla presenza di inclusioni eosinofile intracitoplasmatiche denominate corpi di Lewy. Deve il suo nome al medico inglese James Parkinson, che la caratterizzò nel celebre trattato “An essay on the shaking palsy” del 1817 come “paralisi agitante”1. Clinicamente si manifesta con bradicinesia globale, rigidità e tremore di riposo, cui si associano fre-quentemente sintomi non motori.

1.2 Epidemiologia

La malattia di Parkinson rappresenta la seconda più comune patologia degenerativa del SNC dopo la malattia di Alzheimer. La sua prevalenza oscilla tra i 57 e i 360 casi su 100000 abitanti a seconda degli studi epidemiologici e delle aree di riferimento2. Inci-denza e prevalenza aumentano con l’età, arrivando a raggiungere un tasso di prevalenza dell’1.5% nella fascia over 65.

L’età d’esordio di malattia si situa tra i 40 e i 70 anni. L’incidenza stimata è di 1.5/22 casi su 100000 persone all’anno. Rara sotto i 40 anni, vede un netto aumento di inciden-za sopra i 50 anni con un vero e proprio picco nella sesta decade. L’esordio precoce di malattia è indicativo, sebbene non esclusivo, di forme genetiche di malattia.

L’esposizione professionale ad inquinanti e l’esposizione a pesticidi sembrano correlare con un aumento dell’incidenza. Non si rilevano grosse differenze di distribuzione nei

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due sessi, nonostante sia lievemente più rappresentata nella popolazione maschile con un rapporto M/F di 1.5. È ipotizzabile che ciò sia dovuto ad un effetto protettivo costi-tuito dagli estrogeni o alla minore esposizione a fattori di rischio occupazionali nella popolazione femminile3.

1.3 Eziologia

L’esatto meccanismo patogenetico della malattia di Parkinson idiopatica è ad oggi non noto. Le ultime evidenze scientifiche suffragano l’ipotesi di un’eziologia multifattoriale, la quale prevede l’interazione di fattori genetici di suscettibilità e di fattori ambientali. Tra i fattori genetici di suscettibilità si annoverano geni codificanti proteine implicate nei processi di sintesi e trasporto della dopamina, nel metabolismo mitocondriale e nella risposta allo stress ossidativo e alla detossificazione di agenti esotossici4.

Tra i fattori ambientali statisticamente significativi si riconoscono l’erbicida paraquat e il pesticida rotenone, entrambi inibitori del complesso I della catena mitocondriale, che spiegherebbero peraltro la maggiore incidenza della patologia in aree rurali.

L’esposizione professionale a metalli pesanti come ferro, manganese, piombo, zinco, rame e alluminio correla anch’essa con maggiori tassi di incidenza di MP.

L’importanza dell’apporto ambientale alla patogenesi della malattia di Parkinson è sug-gerito dall’esperienza statunitense dell’MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina), agente esotossico e sostanza d’abuso sintetica in grado di determinare una sindrome ri-gido-acinetica non dissimile dal quadro motorio della MP idiopatica (Langston and Bal-lard, 1983)5. Ipotesi peraltro confermata da studi successivi su popolazione murina, nei quali previa somministrazione di MPTP si è assistito allo sviluppo di substrati neuropa-tologici sovrapponibili a quelli riscontrati nella MP (Burns et al., 1983)67.

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Esistono inoltre forme monogeniche di malattia, che rappresentano circa il 10-15% dei casi. Sono stati attualmente identificati 13 geni, responsabili di forme di MP principal-mente ad esordio giovanile, a trasmissione dominante (PARK8 (dardarina) 12p11.2, PARK1 (α-sinucleina) 4q21) o recessiva (PARK2 (parkina) 6q25).

Non è ancora chiaro il ruolo dei virus nello sviluppo della MP, tuttavia un loro ruolo nella patogenesi della malattia non può essere escluso, dal momento che in numerose casistiche si evince forte prevalenza all’interno dello stesso nucleo familiare.

Tra i fattori protettivi nei confronti dello sviluppo della patologia emergono caffè e fu-mo di tabacco per meccanismi tuttora ignoti, ma potenzialmente ascrivibili all’azione di nicotina e caffeina, rispettivamente sul rilascio di dopamina e sulla stimolazione di re-cettori adenosinici dei nuclei della base8-9.

1.4 Neuropatologia

Il substrato anatomopatologico della malattia di Parkinson è rappresentato dalla degene-razione della pars compacta della substantia nigra mesencefalica e della via dopaminer-gica nigrostriatale che da essa origina.

I neuroni dopaminergici della substantia nigra pars compacta (SNpc) innervano i nuclei della base, formazioni sottocorticali che svolgono un ruolo cruciale nella pianificazione e nell’esecuzione del movimento volontario. Sono composti da caudato e putamen, che assieme formano il neostriato, e da globo pallido interno e esterno e nucleo subtalamico di Luys.

I nuclei della base, situati nella regione ventro-mediale degli emisferi cerebrali, sono strutture deputate all’integrazione e alla modulazione del movimento, che si estrinseca

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attraverso l’attività di due loop, funzionalmente e anatomicamente ben caratterizzati: la via diretta e la via indiretta.

Entrambe le vie vedono partenza dalla corteccia motoria, la quale invia afferenze glu-tammatergiche allo striato.

La via diretta si continua dallo striato al globo pallido interno attraverso una via gabaer-gica, fino a raggiungere con un altro neurone gabaergico il nucleo ventrale anteriore e laterale del talamo, che invia afferenze alla corteccia motoria mediante un neurone ta-lamocorticale.

La via indiretta si porta con una via gabaergica da striato a globo pallido esterno e al nucleo subtalamico di Luys con una via gabaergica e da qui al globo pallido interno at-traverso una via glutammatergica per poi proseguire a talamo e corteccia.

Tra le altre aree interessate dal processo neurodegenerativo si rinvengono il nucleo ba-sale di Meynert, il bulbo olfattorio, i nuclei motori dorsali del vago e del glossofaringeo. Nelle fasi più avanzate di malattia le lesioni si estendono alla corteccia cerebrale, prima nelle regioni temporali, successivamente nelle aree prefrontali.

Macroscopicamente le strutture appaiono pallide; alla microscopia ottica dominano il quadro una marcata deplezione neuronale, con presenza di reazione gliotica reattiva e perdita di granuli di melanina.

L’elemento caratteristico è costituito dalla comparsa dei corpi di Lewy, descritti per la prima volta da Lewy nel 1912 e successivamente confermati da studi indipendenti con-dotti da Nikolaevich. I corpi di Lewy sono inclusioni intracitoplasmatiche eosinofile, costituite da un core centrale di materiale ialino amorfo e un alone periferico composto da filamenti fosforilati costituiti da lipofuscina, neuromelanina e ammassi proteici di

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α-sinucleina. Essi si rinvengono laddove il processo neurodegenerativo non sia ancora completato e i neuroni risultino ancora vitali.

Dibattuta è la loro responsabilità nella patogenesi del danno neuronale. Profondamente ridimensionata nel corso del tempo, recentemente si è addirittura ipotizzato che essi possano avere un ruolo neuroprotettivo10.

Figura 1. Corpi di Lewy a vario ingrandimento. In alto 60x, in basso 20x. Foto di: Suraj Rajan, licenza CC BY-SA 3.0.

La loro peculiarità è tale da consentire diagnosi autoptica di certezza di malattia di Par-kinson; tuttavia non sono specifici della MP, venendo riscontrati anche in altre patologie neurodegenerative come la demenza a corpi di Lewy (DLB), l’Atrofia Multisistemica

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La sequenza temporale di progressione del danno neuronale è stata indagata da Braak e colleghi che in un celebre lavoro sono arrivati a codificare 6 stadi di malattia11. Da que-sto studio è emerso l’interessamento precoce del bulbo olfattorio e del nucleo motore dorsale del vago, responsabili di segni preclinici di malattia come iposmia e stipsi. Un ulteriore lavoro proveniente dai medesimi autori rivede parzialmente la sequenza, iden-tificando nei neuroni del sistema nervoso enterico i primi neuroni ad andare incontro al processo neurodegenerativo12.

1.5 Quadro clinico

La malattia di Parkinson riconosce un decorso progressivo, all’interno del quale la pato-logia si struttura in diverse fasi. Il quadro clinico evolve in funzione di esse e in rappor-to alle caratteristiche individuali del paziente. Il corteo sinrappor-tomarappor-tologico che ne deriva risulta pertanto essere estremamente complesso e variabile. Classicamente si individua-no sintomi motori e individua-non motori.

1.5.1 Sintomi motori

I sintomi motori rappresentano la parte predominante del quadro clinico della malattia di Parkinson ed esordiscono solo quando il 50-60% dei neuroni dopaminergici è andato incontro a necrosi. Ciò avviene grazie all’intervento di meccanismi di compenso quali la riduzione del trasportatore della dopamina, finalizzati ad aumentarne la concentrazione a livello del vallo sinaptico. I sintomi motori sono costituiti da tremore, bradicinesia, rigidità e instabilità posturale.

Sulla base della loro associazione e combinazione si riconoscono prevalentemente due fenotipi clinici di malattia (Jankovic): una forma rigido-acinetica, caratterizzata dalla

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contemporanea presenza di rigidità muscolare, bradicinesia e instabilità posturale e una forma tremorigena, che generalmente assume caratteristiche di maggior benignità del quadro clinico e minor tendenza alla progressione.

Bradicinesia

La bradicinesia è uno dei sintomi cardine della MP, nonché il più invalidante, e viene definita come “rallentamento globale dei movimenti”. Si estrinseca in maniera diversa a seconda dei segmenti corporei interessati e delle fasi di malattia, potendosi configurare come lentezza della marcia, eseguita a passi con riduzione delle sincinesie pendolari degli arti superiori, ipomimia, fissità dello sguardo con riduzione dell’ammiccamento (facies parkinsoniana), micrografia, scialorrea. Clinicamente può essere slatentizzata attraverso l’esecuzione di movimenti fini delle mani come il finger tapping e l’handgrip, che evidenziano una maggior lentezza, minor escursione e più facile esauri-bilità dei movimenti, che col progredire di malattia tendono a divenire sempre più insi-curi e limitati. Altri movimenti interessati sono quelli che prevedono la rapida alternan-za di pronazione e supinazione e caratteristica della vita quotidiana dei pazienti l’incapacità di abbottonarsi una camicia o tagliare la carne. Nelle fasi più avanzate di malattia può comparire disfagia, determinata dall’interessamento della catena deglutito-ria.

Frequentemente si associano acinesia (incapacità di iniziare il movimento) e il freezing, definita dai pazienti stessi come “sensazione di avere i piedi incollati per terra”.

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Tremore

Il tremore è il sintomo più frequentemente presente all’esordio: viene rilevato in circa il 70% dei casi. Tipicamente è un tremore di riposo, localizzato a livello dei segmenti di-stali degli arti superiori, in particolare a carico di pollice e indice, a bassa frequenza (4-7Hz) di tipo “a contare moneta”, che scompare o si attenua con l’attivazione dei movi-menti volontari e può ricomparire durante la marcia. Più raramente può essere presente tremore mandibolare, labiale, linguale o a carico dell’arto inferiore omolaterale. Non si conosce l’esatto substrato neuropatologico, sebbene si ritenga che il nucleo ventrale in-termedio del talamo possa giocare il ruolo di pacemaker centrale dei movimenti ritmici. Generalmente unilaterale all’esordio, tende a diventare bilaterale con la progressione di malattia. Si associa talvolta ad una componente di tremore posturale, che genericamente interessa gli arti superiori.

Rigidità

La rigidità nella MP è diretta espressione dell’aumentato tono muscolare, che si ha pre-valentemente a carico della muscolatura flessoria degli arti e della muscolatura assiale di corpo e collo. Quest’ultima è responsabile dell’atteggiamento camptocormico, tipico dei pazienti affetti da malattia di Parkinson, nel quale si ha flessione variabile del tron-co, del collo e degli arti, che si sintetizza in una marcata protensione verso l’avanti. Clinicamente si manifesta come aumentata resistenza alla mobilizzazione passiva, che si può declinare a scatti sotto forma di piccoli cedimenti dell’ipertono muscolare (fenome-no della troclea o della ruota dentata).

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L’ipertono tende in genere ad acuirsi qualora venga richiesto al paziente di eseguire movimenti attivi di tipo mirror con l’arto controlaterale, con netto aumento della resi-stenza alla mobilizzazione passiva.

Instabilità posturale

L’instabilità posturale è un sintomo descritto nelle fasi avanzate di malattia e consiste nella perdita dei normali meccanismi di aggiustamento posturale nelle variazioni posi-zionali. Clinicamente viene saggiato mediante Romberg (normale e sensibilizzato)13 e pull-test, durante il quale l’operatore, posizionandosi dietro al paziente esegue una tra-zione all’indietro dello stesso mediante spinta, valutandone l’integrità delle risposte di aggiustamento posizionale14. Qualora insorgano precocemente debbono far riconsidera-re la diagnosi di Parkinson, in quanto risulta più saldamente corriconsidera-relato a forme di parkin-sonismi atipici.

L’instabilità posturale, assieme all’acinesia e al freezing risulta frequentemente causa di cadute, importante fattore di comorbidità e mortalità nel paziente anziano15.

1.5.2 Sintomi non motori

Tra i sintomi non motori si riscontrano disturbi del sonno REM (RBD), disturbi del SNA (incontinenza urinaria, ecc.), disturbi dell’umore, tra cui depressione e attacchi di panico, e disturbi cognitivi.

RBD

I disordini del sonno REM (RBD), dall’inglese REM Behaviour Disorders rappresenta-no un ferappresenta-nomerappresenta-no che può precedere anche di molti anni l’esordio clinico di malattia16. Si

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manifestano comunemente con eloquio durante il sonno e disinibizione motoria. Carat-teristicamente il partner riferisce di ricevere calci durante la notte. L’eziopatogenesi non è ancora nota, sebbene si riscontri una certa associazione familiare, anche in soggetti che non sviluppano malattia, tale da far ipotizzare l’esistenza di un substrato genetico.

SNA

I disturbi del SNA sono altri sintomi non motori frequentemente riscontrati nella MP e nei parkinsonismi in genere. Si possono manifestare sotto forma di incontinenza urina-ria, deficit erettile o ipotensione ortostatica, definita come variazione di più di 30mm Hg della pressione arteriosa sistolica nel passaggio dal clino all’ortostatismo. Altamente caratteristici risultano essere la seborrea e l’iperidrosi.

Disturbi dell’umore

Per quanto riguarda i disturbi afferenti alla sfera dell’umore, si possono associare alla MP depressione e ansia in una percentuale che può arrivare al 40% dei pazienti17.

Disturbi cognitivi

I disturbi cognitivi vedono un’alta prevalenza nei pazienti affetti da MP. Non di rado presente già all’esordio, vede l’interessamento preferenziale di alcuni domini legati alle funzioni visuospaziali18, esecutive e alla memoria episodica a lungo termine19.

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1.6 Diagnosi

La diagnosi della malattia di Parkinson è essenzialmente clinica. Nonostante i progressi nella comprensione della sua eziopatogenesi, non disponiamo ancora né di test diagno-stici né di marker biologici altamente specifici per MP.

La diagnosi differenziale prevede l’esclusione di parkinsonismi secondari, parkinsoni-smi atipici e di tremore essenziale (TE), indistinguibile nelle fasi precoci di malattia dal-le forme tremorigene di MP, neldal-le quali il tremore rappresenta spesso l’unico sintomo.

Criteri diagnostici United Kingdom Parkinson’s Disease Society Brain Bank

Secondo i criteri proposti dalla United Kingdom Parkinson’s Disease Society Brain Bank (Gibb e Lees,1989) il processo diagnostico della MP idiopatica prevede 3 momen-ti successivi: il riconoscimento di segni motori extrapiramidali compamomen-tibili con sindro-me parkinsoniana, l’assenza di criteri di esclusione e la presenza di criteri minori di supporto.

Tra i criteri di inclusione si ritrovano bradicinesia e almeno uno tra rigidità muscolare, tremore a riposo e instabilità posturale; tra i criteri di esclusione riscontriamo documen-tazione di lesioni organiche del SNC (ictus ripetuti, traumi cranici, storia di encefalite, idrocefalo o tumori cerebrali primitivi o secondari) o la presenza di sintomi atipici (pa-ralisi sopranucleare dello sguardo, segni cerebellari, precoce coinvolgimento autonomi-co, segno di Babinski e cadute precoci20); tra i criteri di supporto vediamo infine insor-genza unilaterale e presenza di tremore di riposo all’esordio, buona risposta alla L-Dopa (criterio ex-adiuvantibus) e sviluppo progressivo della patologia.

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Criteri diagnostici 1999

I criteri diagnostici del 1999 proposti da Gelb et al. prevedono la stratificazione in 3 di-versi livelli di accuratezza diagnostica, sulla base della associazione dei criteri suddetti in diagnosi possibile, probabile e definita21.

Per far diagnosi di MP possibile è necessario che coesistano almeno 2 segni tra: tremore di riposo, bradicinesia, rigidità muscolare e esordio asimmetrico; l’assenza di segni ati-pici (con durata di malattia inferiore a 3 anni) e la presenza di una buona risposta alla L-Dopa o ai dopamino-agonisti.

Per far diagnosi di MP probabile è necessario che si riscontri la presenza di almeno 3 segni tra: tremore di riposo, bradicinesia, rigidità muscolare e esordio asimmetrico; l’assenza di segni atipici (con durata di malattia inferiore a 3 anni) e la documentata e persistente risposta terapeutica alla L-Dopa o ai dopamino-agonisti.

Per far diagnosi di MP definita debbono essere soddisfatti tutti i criteri della MP proba-bile, in aggiunta alla conferma istopatologica.

Malattia possibile Presenza di almeno 2 dei 4 segni cardinali, uno dei quali deve essere necessariamente tremore o bradici-nesia

Assenza di sintomi atipici

Documentata risposta a L-Dopa o dopamino-agonisti Malattia probabile Presenza di almeno 3 dei 4 segni cardinali

Assenza di sintomi atipici per almeno 3 anni

Documentata risposta a L-Dopa o dopamino agonisti Malattia definita Presenza di tutti i criteri per la diagnosi di probabilità

Conferma autoptica Tabella 1. Criteri diagnostici MP (Gelb et. al., 1999)

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PET/SPECT

La diffusione su larga scala del neuroimaging ha permesso un netto miglioramento nell’accuratezza diagnostica. Di comune uso nella pratica clinica, la Scintigrafia cere-brale con FP-CIT utilizza il tracciante radioattivo γ-emittente (123I)-Ioflupano (com-mercialmente noto col nome di DaTSCAN), che va a legarsi al recettore transmembra-nario presinaptico deputato al reuptake della dopamina nel vallo sinaptico.

Figura 2. SPECT DaTSCAN. In alto soggetto normale; in mezzo soggetto affetto da MP; in basso soggetto affetto da MP dopo somministrazione di L-Dopa. Foto: www.parkinson.org

La carenza di segnale a livello della via nigrostriatale è indice della sua degenerazione ed è presente nella malattia di Parkinson e nei parkinsonismi atipici come Paralisi So-pranucleare Progressiva e Atrofia Multisistemica, ma non nei parkinsonismi vascolari e

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iatrogeni, né nel Tremore Essenziale (TE), risultando utile nella diagnostica differenzia-le con tadifferenzia-le affezione22.

1.7 Terapia

1.7.1 Terapia farmacologica

La terapia della malattia di Parkinson è una terapia di tipo sintomatico, i cui cardini so-no rappresentati da L-Dopa e dopamiso-noagonisti, cui possoso-no essere associati inibitori delle MAO-B, inibitori delle COMT.

L’obiettivo terapeutico mira a conseguire un controllo quanto più possibile efficace di malattia, prevenendo l’insorgenza dei più comuni effetti collaterali, ottenibili grazie alla modulazione e alla personalizzazione della terapia in rapporto alla fase clinica.

Notevole interesse è rivolto alla neuroprotezione nella MP, nei confronti della quale è molto attiva la ricerca farmacologica, senza pur tuttora aver raggiunto risultati degni di nota.

L-Dopa

La L-Dopa è la forma levogira dell’aminoacido aromatico neutro che costituisce un in-termedio naturale nella via di sintesi delle catecolamine a partire dalla L-tirosina di ori-gine alimentare. Nella MP non viene infatti somministrata direttamente la dopamina, in quanto incapace di superare la BEE. Assunta per via orale, la L-Dopa viene assorbita a livello intestinale, attraversa la BEE e viene veicolata a livello delle terminazioni nigro-striatali dove i neuroni nigronigro-striatali residui e altri interneuroni non dopaminergici la captano e la convertono a dopamina attraverso l’enzima DOPA-decarbossilasi.

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Succes-sivamente viene internalizzata in vescicole sinaptiche e metabolizzata dalle monoami-noossidasi (MAO) e dalle catelcol-ossi-metiltransferasi (COMT).

L’azione della Levodopa è definita da una duplice modalità di risposta: una risposta di breve durata, determinata e strettamente associata alla concentrazione della sostanza a livello sinaptico, che recede dopo poche ore dalla somministrazione, e una risposta di lunga durata, caratterizzata dalla persistenza dell’effetto terapeutico nel controllo della sintomatologia che permane per giorni/settimane, dovuto all’accumulo di dopamina da parte dei neuroni nigrostriatali residui.

Dopo una fase iniziale di “luna di miele” di alcuni anni l’effetto sul controllo della sin-tomatologia tende a venir meno, venendo richieste dosi sempre maggiori di L-Dopa e ad intervalli sempre più ravvicinati, dal momento che si manifestano fluttuazioni nella concentrazione di dopamina, che si declinano nei fenomeni del delayed-on e del wea-ring-off23.

Il delayed-on consiste nel ritardato assorbimento del farmaco, il quale determina tempi più lunghi dal momento della somministrazione all’instaurarsi del beneficio clinico; il wearing-off consiste nel più rapido esaurimento dell’effetto e nella comparsa di fasi off, in cui il paziente risulta bloccato.

La strategia terapeutica prevede il continuo aggiustamento della posologia e degli orari di somministrazione al fine di rendere quanto più omogenea possibile la concentrazione di dopamina nel corso della giornata, evitando di instaurare periodi off. L’impiego di formulazioni a rilascio modificato è in grado di determinare un assorbimento di L-Dopa più lento e costante nel corso della giornata.

Tra gli effetti collaterali più frequentemente riscontrati in corso di terapia dopaminergi-ca si hanno le LID, Levodopa Induced Dyskinesia, discinesie di tipo coreiforme che

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possono interessare il capo, il collo, il tronco e gli arti e variano per intensità e modalità di presentazione.

Dopaminoagonisti

I dopamino-agonisti si suddividono in ergot derivati (Cabergolina e Pergolide), aventi alta affinità per i recettori D2 e minore per i recettori D1 e i non ergot derivati (Rotigo-tina (NeuproÒ), Ropirinolo (RequipÒ) e Pramipexolo (MirapexinÒ)24, selettivi per i recettori D2 e D3 postsinaptici. Inizialmente introdotti per il controllo delle fasi avanza-te di malattia, si sono dimostrati efficaci anche nelle fasi iniziali in monoavanza-terapia o in as-sociazione a basse dosi di L-Dopa nel ridurre gli effetti collaterali a lungo termine di quest’ultima come discinesie e fluttuazioni motorie25.

Tra gli effetti collaterali di questa classe di farmaci si ha il disturbo del controllo degli impulsi (ICD), che si può manifestare come maggior tendenza al gioco d’azzardo (gam-bling), focalizzazione su interessi ristretti, iperfagia, ipersessualità e shopping compul-sivo, per i quali i pazienti devono essere attentamente seguiti e indagati.

Inibitori MAO-B

Un’altra classe farmacologica comunemente impiegata in clinica nelle fasi precoci di MP è quella degli inibitori delle monoaminoossidasi B (MAO-B). Ad essa appartengo-no farmaci come Rasagilina (AzilectÒ)26, Selegilina (JumexÒ) e Safinamide (Xada-goÒ), recentemente introdotto. La loro azione farmacologica si concretizza nell’aumento della concentrazione di dopamina a livello sinaptico e viene ottenuta me-diante l’inibizione di uno degli enzimi deputati alla sua degradazione.

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Inibitori COMT

Gli inibitori delle COMT vengono generalmente utilizzati nelle fasi avanzate di malattia ed esercitano la loro azione, andando a bloccare la degradazione della dopamina a livel-lo periferico (Entecapone) e centrale (Tolcapone).

Amantadina

L’Amantadina (MantadanÒ) è un farmaco antinfluenzale che ha dimostrato una certa efficacia nel controllo delle discinesie indotte da Levodopa (LID), caratteristiche delle fasi avanzate di malattia. Tra gli effetti collaterali si riscontrano confusione e impatto sulla sfera cognitiva.

Associazioni farmacologiche

La strategia terapeutica della MP prevede l’utilizzo di associazioni farmacologiche al fine di ridurre le dosi complessive di Levodopa assunte e massimizzarne gli effettivi benefici senza andare incontro agli effetti collaterali. Nella pratica clinica vengono co-munemente utilizzati Levodopa/Carbidopa (SinemetÒ), associazione di Levodopa e ini-bitore delle DOPA-decarbossilasi, Levidopa/Carbidopa/Entecapone (StalevoÒ)27, asso-ciazione di Levodopa, inibitore delle DOPA-decarbossilasi e inibitore periferico delle COMT, Levodopa/Benserazide (MadoparÒ), associazione di Levodopa e inibitore peri-ferico delle DOPA-decarbossilasi e Melevodopa/Carbidopa (SirioÒ), Levodopa e inibi-tore delle DOPA-decarbossilasi, caratterizzata da un più rapido assorbimento ed effica-ce nel contrasto del delayed-on.

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1.7.2 Terapia chirurgica

Oltre alla terapia farmacologica la MP si può avvalere di terapie non farmacologiche come la Deep Brain Stimulation (DBS), riservata a forme complicate di MP e divenute scarsamente responsive alla L-Dopa con insorgenza di fluttuazioni motorie e comparsa di discinesie28.

La DBS prevede l’impianto di elettrodi all’interno del nucleo subtalamico di Luys (DBS-STN) o nel globo pallido interno (DBS-GPi), meno frequente della prima varian-te e appannaggio delle forme tremorigene, verso le quali è documentata un’ottima rispo-sta.

In associazione alla terapia farmacologica la DBS è in grado di garantire un migliora-mento del controllo della sintomatologia nel 70-80% dei casi, con benefici variabili da paziente a paziente. Nel 60% dei casi è possibile ridurre i dosaggi di L-Dopa.

Nei pazienti in fase avanzata di malattia in cui è controindicata la DBS può essere tenta-ta una seconda linea terapeutica con instenta-tallazione di pompa ad infusione continua di DuodopaÒ mediante PEG/PEJ. La procedura chirurgica prevede il posizionamento di una PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) all’interno della quale viene posiziona-to un sondino che bypassa lo sposiziona-tomaco e raggiunge il duodeno (PEJ), in modo da evitare eventuali ritardi nell’assorbimento dovuti a ritardi nello svuotamento gastrico. L’infusione viene gestita da un apparecchio che regola il rilascio di DuodopaÒ in modo da garantire concentrazioni plasmatiche costanti del farmaco.

In ragione delle potenziali complicanze chirurgiche cui un paziente anziano può andare incontro, le procedure chirurgiche vengono riservate a un gruppo selezionato di indivi-dui.

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CAPITOLO II

DISTURBI ASSIALI E FREEZING

Nel contesto della malattia di Parkinson idiopatica si riconoscono diverse forme fenoti-piche, discriminate sulla base di associazione di manifestazioni cliniche differenti29. Un lavoro in letteratura (Jankovic et al. 1990) ha definito in tal senso le sue forme prin-cipali, distinguendo un fenotipo tremorigeno (TD), un fenotipo rigido-acinetico (R-A) e un fenotipo a tipo PIGD (Postural Instability Gait Disturbance), caratterizzato dalla più frequente compromissione di stabilità posturale e disturbi della marcia30.

Il fenotipo tremorigeno (TD) è il fenotipo motorio più frequente: presente nel 70% dei casi alla diagnosi, presenta una discreta risposta alla terapia farmacologica e si caratte-rizza per una sintomatologia più modesta e per un decorso più lentamente progressivo, che concorrono ad identificarlo come fenotipo “più benigno”.

Il fenotipo rigido-acinetico è invece gravato da un maggior rallentamento generalizzato (bradicinesia globale), ipertono plastico e impaccio motorio e un maggior interessamen-to assiale. Clinicamente si presenta come una forma “più aggressiva”, in quaninteressamen-to tende a rispondere meno alla terapia farmacologica dopaminergica e presenta in genere un de-corso più rapidamente evolutivo.

Nel fenotipo PIGD instabilità posturale e disturbi della marcia appaiono molto più rap-presentati, tanto da assumere centralità nel quadro clinico. L’associazione con disordini cognitivi e la più marcata tendenza allo sviluppo di freezing e cadute accidentali risulta-no elementi progrisulta-nosticamente sfavorevoli.

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Oltre a questi si riconosce una forma indeterminata (ND), dal momento che non sempre risulta agevole all’esordio distinguere nettamente un fenotipo dall’altro.

Oltre ai precedenti viene descritto in letteratura anche un fenotipo misto, in cui si può avere la compresenza di tremore, bradicinesia e sintomi assiali, tra loro variamente as-sociati.

2.1 Freezing della marcia

Il freezing della marcia (Freezing of gait, FOG) è una forma di acinesia che viene defi-nita come “breve, episodica assenza o marcata riduzione della progressione verso l’avanti del piede, nonostante la volontà del soggetto di camminare”. (Bloem et al., 2004; Giladi, 200831).

Può manifestarsi come ritardo della fase di inizio della marcia (hesitation start), provviso blocco della stessa o estrema riduzione dell’escursione del passo, tale da im-pedire un’effettiva progressione del soggetto verso l’avanti.

La peculiarità del quadro clinico ad esso associato, unitamente alle conseguenze negati-ve che esso determina nella qualità di vita del paziente in termini di activity of daily li-ving32, ha spinto alcuni autori a suggerirlo come quinto sintomo cardine della MP,

as-sieme a bradicinesia, tremore di riposo, rigidità muscolare e instabilità posturale33.

2.1.1 Epidemiologia

Il FOG è una delle manifestazioni cliniche della malattia di Parkinson idiopatica, ma non è esclusiva di essa: si ritrova infatti anche nei parkinsonismi atipici e cioè nella de-menza a corpi di Lewy (DLB), nella paralisi sopranucleare progressiva (PSP), nell’atrofia multisitemica (MSA)34 e nella degenerazione corticobasale (DCB)35, nei

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parkinsonismi vascolari36 e nell’idrocefalo normoteso (NPH). La sua presenza è descrit-ta inoltre in una condizione clinica denominadescrit-ta PPFG, Progressive Primary Freezing of Gait, entità nella quale il freezing della marcia rimane per tutta la vita l’unica manife-stazione di malattia, in assenza di altri sintomi extrapiramidali37.

In uno studio di Giladi et al. del 1997 viene indicata una prevalenza del 57% di FOG nei parkinsonismi vascolari e del 56% nell’NPH38. Tale dato è seguito da quello relativo ai parkinsonismi atipici, dove si raggiunge una prevalenza del 45-57%. All’interno degli atipici PSP e MSA correlano più frequentemente con freezing dove si raggiungono pre-valenze del 54%. Si ritiene attualmente che nel sottogruppo di pazienti con MP in fase avanzata possa arrivare ad una prevalenza del 50%.

2.1.2 Eziopatogenesi e fattori di rischio del Freezing

Il substrato alla base del fenomeno del Freezing of gait (FOG) sembra non essere uni-voco. In tal senso si preferisce interpretarlo come la manifestazione finale comune di più alterazioni morfologiche e/o funzionali.

Una prima possibile classificazione è quella che vede la distinzione in forme responsive alla L-Dopa e non responsive alla L-Dopa. Le prime sono di più frequente riscontro nel-la manel-lattia di Parkinson, le seconde nei parkinsonismi vasconel-lari e atipici. Già da questa prima osservazione è possibile ipotizzare che nel primo caso il primum movens possa essere una carenza di dopamina a livello della circuiteria nigrostriatale39, non dissimile da quella responsabile delle altre componenti di malattia e pertanto inquadrabile in un diverso grado di manifestazione del deficit neurotrasmettitoriale.

Nel secondo caso il sospetto che possano esser presenti substrati organici alla base del fenomeno si fa più consistente. Assume particolare rilevanza il fatto che quest’ultima

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sia più frequentemente associata al danno ipossico-ischemico dei parkinsonismi vasco-lari e a quello correlato alla degenerazione organica più marcata dei parkinsonismi ati-pici. Questi ultimi infatti sono caratterizzati da una più marcata progressione di malattia e di degenerazione e compromissione della stabilità posturale, fin dalle prime fasi di malattia.

La stessa analisi e scomposizione del FOG nelle sue due componenti principali, vale a dire quella legata alla componente motoria e quella legata alla instabilità posturale, fan-no ipotizzare una contemporanea alterazione del network locomotorio e del network della stabilità posturale.

La marcia è infatti la risultante di 2 componenti distinte: il ritmo del passo e l’aggiustamento posturale derivante dalle modifiche posizionali del corpo all’interno dello spazio.

Il ritmo viene generato a livello sottocorticale, in particolare a livello dei nuclei ritmo-genici del midollo spinale e in centri sovraspinali.

La stabilità posturale è invece garantita dal network posturale, formato dai recettori ten-dini periferici, dagli otoliti, dai nuclei vestibolari e peduncolopontino (PPN)40, dai gan-gli della base41, dai talami e dalla corteccia frontale e parietale.

Tra queste strutture notevole importanza sembra ricoprire la parte anteriore del nucleo caudato, responsabile della processazione dei dati sensitivi afferenti dalla periferia42. In questa ottica è possibile spiegare come effettivamente il FOG sia di più comune riscon-tro nelle fasi avanzate di malattia, quando cioè la progressione di malattia determina una maggior denervazione e riduzione dei neuroni dopaminergici striatali.

Un possibile coinvolgimento della processazione dell’informazione sensitiva sembra essere confermata dal maggior riscontro di FOG in caso di presenza di oggetti che

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fun-gono da ostacolo o dalla necessità di processare ed integrare una notevole quantità di dati nel momento del cambio di direzione nella marcia43.

Ciò fa ipotizzare il coinvolgimento contemporaneo del network locomotorio e del net-work posturale. Degno di nota risulta essere inoltre l’interessamento rilevato sia nella MP idiopatica che nella PSP44 del nucleo peduncolopontino (PPN)45, nucleo noradre-nergico potenzialmente implicato della instabilità posturale collegata al FOG46-47. Anche la suddivisione del freezing in forme on e off sembra indicare un diverso substra-to eziopasubstra-togenetico nelle varie forme di freezing riscontrate nelle diverse tipologie di pazienti. Se il freezing in fase off appare come un’entità di comune riscontro nelle for-me avanzate e complicate di malattia, nelle quali la riduzione dei neuroni dopaminergici residui, con conseguente riduzione degli effetti di lunga durata della terapia dopaminer-gica, espone il paziente ad un maggior tasso di fluttuazione della concentrazione di do-pamina, il freezing in fase on risulta tuttora inspiegato48. La ricerca di alterazioni ele-mentari in grado di determinarlo è oggi un campo di grande interesse.

Il freezing risulta inoltre essere associato ad un precoce deterioramento cognitivo sotto forma di PD-MCI o di PD-D, a incontinenza urinaria di tipo urge incontinence e a di-sturbi della parola come tachifemia, palilalia e tip-of-the-tongue phenomenon (fenome-no della parola sulla punta della lingua)49.

Tra le aree cognitive più frequentemente associate al FOG si annoverano i domini fron-tali (domini esecutivi e della fluenza fonemica) e quelli pariefron-tali (dominio visuospazia-le)50.

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2.1.3 Fenomenologia

Clinicamente il FOG viene descritto come la “sensazione di avere i piedi incollati per terra” o “attratti da una calamita”. Esso rappresenta un dato per lo più anamnestico, difficilmente valutabile a livello ambulatoriale, che viene riferito dal paziente o dai fa-miliari51-52.

Tipicamente si manifesta nei cambi di direzione, nel dietro-front, nei passaggi stretti, sulle scale mobili o dove siano presenti ostacoli e più in generale in tutte le situazioni in cui sia prevista una riduzione dell’escursione del passo in previsione di una modifica delle caratteristiche della marcia53.

Il FOG è un fenomeno dotato di notevole variabilità e può comparire in relazione a di-versi momenti della marcia: inizio, prosecuzione o fine della stessa54. Generalmente è dotato di breve durata e si articola nel tempo di pochi secondi (di solito meno di 10, in alcuni casi fino a 30).

È caratterizzato dalla tendenza alla protensione del corpo verso l’avanti e dal puntamen-to dell’avanpiede. I talloni possono essere o meno sollevati. Più il paziente si impegna nel tentativo di proseguire la marcia, più si protende verso l’avanti, maggiore è la babilità che al fenomeno di associ una caduta. Le cadute nel FOG sono frequenti e pro-gnosticamente sfavorevoli55: esse sono difatti in grado di incidere pesantemente in ter-mini di morbidità e mortalità nella popolazione anziana.

Il FOG è difficilmente indagabile nel corso della visita clinica, dal momento che tende a presentarsi prevalentemente in ambiente domestico, rappresentando una causa impor-tante di cadute ripetute. Quello che è possibile valutare è la stabilità posturale del sog-getto. Essa viene saggiata mediante somministrazione del test di Romberg, eseguito

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fa-cendo unire i piedi al paziente ed estendere gli arti superiori verso l’avanti, prima con gli occhi aperti, poi con gli occhi chiusi.

Il Romberg è considerato positivo in caso di forti oscillazioni o perdita di equilibrio. Lievi oscillazioni possono essere considerate normali e caratteristiche di pazienti parti-colarmente ansiosi. Un diversivo spesso utilizzato per evidenziarne le caratteristiche ed escludere falsi positivi è quello di mettere in atto strategie di distrazione come il disegno di numeri, lettere o figure sulla fronte dell’esaminato.

Altra indagine volta alla caratterizzazione del compenso e dei riflessi posturali è il pull-test, per eseguire il quale il neurologo si porta alle spalle del paziente e ne effettua una veloce trazione a sé, prima in modo leggero, poi in modo più energico e deciso, dando la possibilità al paziente di effettuare qualche passo verso l’indietro per non cadere. La perdita di equilibrio o l’esecuzione di più di 2 passi verso l’indietro definiscono un quadro di cattivo compenso posturale, molto spesso associato al FOG nei pazienti par-kinsoniani.

Al fine di evitare il FOG sono utili accorgimenti comportamentali e spesso sono i pa-zienti stessi ad adoperarli più o meno consciamente56-57-58: tra di essi sono in grado di migliorare la sintomatologia e accorciare il tempo di congelamento il portare l’attenzione ai contorni delle mattonelle o immaginare di salire uno scalino, camminare sui talloni anziché sulle punte o contare il numero di mattonelle59. Una volta reinnescata la marcia, di solito prosegue in modo abbastanza fluido e regolare.

Il FOG viene indagato mediante il subitem 14 dell’MDS-UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale)60, che ne attribuisce un punteggio via via crescente a seconda dell’intensità e frequenza e del numero di cadute ad esso correlate.

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2.1.4 Risposta alla terapia

In relazione alla risposta alla terapia si distinguono due sottotipi di freezing della mar-cia: un FOG responsivo alla terapia dopaminergica e un FOG non responsivo alla tera-pia dopaminergica61.

Il FOG responsivo alla terapia dopaminergica può essere inquadrato nei FOG da deficit dopaminergico, assimilabile a complicanza della terapia dopaminergica stessa62. A fron-te di concentrazioni pulsatili di dopamina, tipiche delle fasi avanzafron-te di malattia, si assi-ste alla forte variabilità delle concentrazioni nigrostriatali di dopamina. Ciò avviene perché l’effetto a lungo termine della L-Dopa viene meno, dal momento che si riduce drasticamente la popolazione di neuroni dopaminergici residui. Questo determina l’insorgenza di fluttuazioni motorie e discinesie indotte da Levodopa (LID) e di altri sintomi come il FOG, tipico delle fasi off.

La sintomatologia viene in questo caso attenuata dalla somministrazione di L-Dopa, che ne riporta i valori in range di efficacia.

Ulteriore approccio terapeutico è stato tentato con metilfenidato, farmaco utilizzato dell’ADHD e appartenente alla classe degli inibitori della ricaptazione della dopamina e della noradrenalina. I risultati dello studio hanno restituito esiti incoraggianti con ridu-zione dell’ipocinesia e del freezing63.

Altra opzione terapeutica cui possono andare incontro i pazienti che sviluppano FOG responsivo alla L-Dopa è quella chirurgica, mediante stimolazione elettrica profonda (DBS).

La DBS con impianto di elettrodi profondi a livello del nucleo subtalamico di Luys (STN) e del nucleo peduncolopontino (PPN) ha mostrato efficacia nella riduzione di FOG in questa popolazione, oltre che nel controllo di malattia64-65-66.

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Per i FOG non responsivi alla terapia dopaminergica al contrario non disponiamo ad oggi di efficaci strategie terapeutiche, dal momento che il beneficio apportato dalla L-Dopa risulta essere modesto e non risolutivo nella maggioranza dei casi. Una miglior definizione dei substrati neuropatologici che lo determinano potrebbe rivelarsi utile nel-la definizione di nuovi target terapeutici.

2.2 Festinazione

Un altro sintomo motorio assiale, spesso misconosciuto, è la festinazione. Essa viene definita come incremento della velocità della marcia in associazione ad una riduzione dell’escursione del passo, eseguita tipicamente sulle punte dei piedi. Come il freezing della marcia anche la festinazione è causa frequente di cadute nel paziente parkinsonia-no.

Si pensa che possa trattarsi di una sorta di meccanismo di compenso messo in atto dal paziente al fine di mantenere il baricentro sui piedi ed evitare di cadere.

La stessa sua manifestazione suggerisce, come per il FOG, l’interessamento contempo-raneo dei network locomotori e della stabilità posturale, arrivando qualcuno a ritenere che possano essere due facce della stessa medaglia e cioè appartenere allo spettro del freezing della marcia.

2.3 Il freezing nei parkinsonismi atipici

Il freezing della marcia è un sintomo assiale di comune riscontro nei parkinsonismi ati-pici (APD)67. Tende ad insorgere più precocemente rispetto a quello della MP idiopatica e si presenta nei vari fenotipi, in associazione o meno ad altri sintomi extrapiramidali. Lo si riscontra nella paralisi sopranucleare progressiva (PSP), atrofia multisistemica

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(MSA), degenerazione corticobasale (DCB)68 e nella demenza a corpi di Lewy (DLB), parkinsonismo più frequentemente associato a declino cognitivo.

2.4 DLB

2.4.1 Definizione

La demenza a corpi di Lewy diffusi (DLB) è una patologia neurodegenerativa che inte-ressa la neocorteccia e il sistema limbico. Appartiene alle α-sinucleinopatie ed è caratte-rizzata dalla deposizione di corpi di Lewy a livello corticale. Clinicamente si manifesta con parkinsonismo, demenza e presenza di allucinazioni visive. La DLB entra in dia-gnosi differenziale con la demenza associata alla malattia di Parkinson (PDD), dal mo-mento che anch’essa si riscontra frequentemente nella MP, in particolare come compli-cazione delle fasi avanzate di malattia69.

2.4.2 Epidemiologia

La demenza a corpi di Lewy è la seconda forma dementigena più frequente dopo la ma-lattia di Alzheimer e rappresenta il 22% delle forme totali di demenza nella popolazione anziana. Non si distinguono differenze di distribuzione per sesso e razza e l’esordio si situa tra la settima e la decima decade. Si presenta usualmente in forma sporadica, ma rari casi di aggregazione familiare sono descritti in letteratura.

Si associa a mutazioni geniche e moltiplicazioni del gene SNCA, responsabile della sin-tesi di α-sinucleina, e dei geni GBA e PARK8, responsabili rispettivamente della sinsin-tesi di glucocerebrosidasi e LRRK2 (Leucine-Rich Repeat Kynase 2), proteina conosciuta anche col nome di dardarina.

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2.4.3 Eziopatogenesi

Come nella malattia di Parkinson, il substrato neurobiologico della DLB è costituito dai corpi di Lewy e dai neuriti di Lewy, aggregati di α-sinucleina inclusi rispettivamente all’interno dei pirenofori o dei dendriti e negli assoni70.

Se ne riconoscono 3 sottotipi sulla base del pattern di distribuzione dei corpi di Lewy: neocorticale diffuso, tronco encefalico e limbico. Come nella malattia di Alzheimer si può riscontrare la presenza di placche senili e di grovigli neurofibrillari, che spesso rap-presentano il core attorno al quale si depositano i corpi di Lewy.

2.4.4 Quadro Clinico

La DLB appartiene alla categoria dei parkinsonismi atipici e come tale si caratterizza per la presenza di sintomatologia extrapiramidale, di cui fanno parte bradicinesia, rigidi-tà, instabilità posturale e tremore, che tuttavia risulta essere più frequentemente simme-trico e posturale/intenzionale e meno frequentemente di riposo.

Oltre ai sintomi motori sono precocemente presenti allucinazioni visive, RBD, com-promissione cognitiva e FOG.

Le allucinazioni visive sono descritte come vivide, colorate e animate ed in particolare si manifestano nell’orario serale. Possono rappresentare animali o persone. Nei casi più lievi assumono la forma di dispercezioni, distribuite prevalentemente alla periferia del campo visivo in condizioni di scarsità di luce o in presenza di oggetti scintillanti, spesso scambiati con acqua.

La compromissione cognitiva esordisce con episodi ripetuti di confusione e fluttuazione cognitiva nel corso della stessa giornata. Tipicamente i deficit neuropsicologici

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riguar-dano le funzioni esecutive e visuo-spaziali, l’attentività e la memoria di richiamo (retri-val).

Sono presenti anche disturbi psichiatrici, con flessione del tono dell’umore in senso de-pressivo e disturbi comportamentali. Il sonno è generalmente inficiato dalla presenza di disturbi del sonno REM (RBD), in cui il soggetto non è in grado di sopprimere i moto-neuroni spinali e tende a mimare l’azione onirica.

2.4.5 Terapia

La terapia della DLB si articola nel trattamento delle singole manifestazioni cliniche, dal momento che - come per la MP - non esiste ancora una terapia causale. I sintomi cognitivi vengono trattati mediante l’utilizzo di rivastigmina e donepezil, inibitori delle colinesterasi, che si sono dimostrati efficaci nel miglioramento dell’attenzione e nella riduzione di allucinazioni visive e fluttuazioni cognitive. Altro farmaco comunemente impiegato nel trattamento della sintomatologia cognitiva è la memantina, sebbene mino-ri dati sembmino-rino confermare la sua efficacia.

La sintomatologia motoria è invece gestita tramite L-Dopa, a dosaggi generalmente maggiori rispetto a quelli impiegati nella MP. Tuttavia la risposta è scarsa e il beneficio clinico ridotto.

2.5 Freezing nella DLB

Il freezing nella DLB si manifesta clinicamente con caratteristiche non dissimili da quello presente nella MP idiopatica. A differenza di esso tende a comparire nelle fasi iniziali di malattia. Non sono rari i casi in cui insorge già all’esordio. In genere è dotato di intensità e frequenza maggiori.

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In letteratura viene descritto come associato a allucinazioni visive, incontinenza urinaria tipo urge e compromissione cognitiva frontale e parietale71.

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CAPITOLO III

DECLINO COGNITIVO NELLA MP

A lungo si è ritenuto che la malattia di Parkinson fosse esente da declino cognitivo. Lo stesso James Parkinson, autore che per primo ne diede una trattazione esaustiva nel 1817, affermò che “…i sensi e l’intelletto sono integri” nei pazienti affetti da MP. Ciononostante l’emergere di nuove evidenze scientifiche ha portato a rivedere questo assunto, conferendo al declino cognitivo la dignità di sintomo non motorio di malattia.

3.1 Definizione

Il declino cognitivo viene definito come deterioramento di una o più funzioni corticali superiori, relative ad uno o più domini. Tra quelli più frequentemente interessati nella MP si annoverano il dominio mnesico (in particolare quello relativo alla memoria a bre-ve termine), il dominio visuo-spaziale, le funzioni esecutibre-ve e quelle attentibre-ve.

Si hanno varie gradazioni di compromissione cognitiva ed in particolare due sono le en-tità cliniche ad oggi codificate: il Mild Cognitive Impairment associato alla MP (PD-MCI) e la demenza associata alla malattia di Parkinson (PDD)72.

Il Mild Cognitive Impairment (MCI) è stato identificato per la prima volta nell’ambito della malattia di Alzheimer, prima demenza di tipo degenerativo per frequenza nella popolazione generale. Si riconosce come grado lieve di alterazione della funzione co-gnitiva, che non pregiudica in maniera importante l’attività lavorativa e le relazioni in-terpersonali.

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Spesso evolve in quadri franchi di demenza, ma può mantenersi costante o andare in-contro a lieve peggioramento nel corso dell’intera durata di vita del soggetto. Per questo motivo non assume i connotati di una condizione prodromica di demenza in senso stret-to, quanto piuttosto di una condizione intermedia tra funzionamento cognitivo normale e severo deterioramento delle funzioni cognitive.

Nel 2012 una Task Force di esperti reclutati dalla Movement Disorder Society (MDS) ha definito i criteri diagnostici per PD-MCI73. La diagnosi si avvale di elementi clinici, neuropsicologici e funzionali e i seguenti punti devono essere rispettati:

Un graduale declino cognitivo deve essere riportato dal paziente o da un informatore, od essere rilevato dal clinico in un paziente con diagnosi di MP già stabilita.

I deficit cognitivi non devono interferire significativamente con il funzionamento del paziente, anche se possono essere presenti lievi difficoltà nell’esecuzione di compiti complessi.

Deve essere eseguita una valutazione comprensiva di almeno due test neuropsicologici per ognuno dei cinque domini cognitivi; le performance del paziente devono risultare ridotte in almeno due test, che possono essere relativi allo stesso dominio cognitivo o a domini cognitivi diversi74.

La demenza franca al contrario viene definita come severo deterioramento delle funzio-ni corticali superiori, che impatta fortemente le relaziofunzio-ni interpersonali e sociali e l’attività lavorativa dell’individuo al punto di renderla impossibile.

3.2 Epidemiologia

La prevalenza della demenza nella MP di Parkinson si attesta attorno al 30% (Aarsland e Kurz, 2010)75, espressa in termini di prevalenza puntiforme (point prevalence) e il

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ri-schio di sviluppare demenza in soggetti affetti da MP aumenta di 4-6 volte rispetto agli individui appartenenti alla popolazione generale. Per quanto riguarda il dato sul PD-MCI è stata riscontrata una point prevalence del 60%. L’incidenza stimata è di 100 su 100000 nuovi casi/anno.

L’insorgenza precoce è in genere correlata ad alterazioni strutturali.

3.3 Fattori di rischio

Dato il notevole interesse rivolto nella ricerca di fattori predittivi di sviluppo di PD-MCI e PD-D, sono stati eseguiti numerosi studi, volti a definire elementi clinici, genetici, bioumorali e di neuroimaging che correlano più frequentemente con lo sviluppo di compromissione cognitiva e franca demenza nella malattia di Parkinson. La valenza non è unicamente accademica e le ripercussioni si possono manifestare in un miglioramento della diagnosi precoce e dell’efficacia della terapia neuroprotettiva. Tali obiettivi posso-no essere conseguiti mediante arruolamento di portatori sani in studi osservazionali vs placebo.

Clinici

Tra i fattori di rischio non modificabili si ha l’età. Numerosi studi hanno infatti confer-mato un aumento dell’incidenza di PD-D in pazienti di età avanzata e in pazienti con età avanzata all’esordio di malattia. In un sottogruppo di pazienti è stata rilevata inoltre la coesistenza di PD-D e malattia di Alzheimer (AD)76. Ciò può essere spiegato con l’accumulo di substrati neuropatologici quali i corpi di Lewy77-78, proteine tau alterate, β-amiloide e grovigli neurofibrillari, in conseguenza della riduzione di efficacia dei meccanismi deputati alla loro clearance79.

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Anche il fenotipo motorio all’esordio sembra essere correlato ad un diverso grado di compromissione cognitiva. Per meccanismi ancora non noti, il fenotipo tremorigeno correla con un minor tasso di disfunzione cognitiva, mentre il fenotipo PIGD (Postural Instability Gait Disturbance), caratterizzato da instabilità posturale, disturbi della mar-cia e freezing, appare più strettamente assomar-ciato allo sviluppo di compromissione cogni-tiva.

In termini neuropsicologici i domini che più frequentemente si associano allo sviluppo di PDD in pazienti con diagnosi di MP sono quelli della fluenza semantica e visuo-spaziale (test della copia di pentagoni), associati rispettivamente alla presenza di un substrato neuropatologico a livello delle aree temporali e parietali.

I domini frontali, indagati mediante il test di fluenza fonemica, risultano invece più con-servati e non associati allo sviluppo di demenza. Si ritiene che l’alterazione dei domini frontali nella MP non sia espressione diretta di danno corticale, bensì che esse siano la risultante di riduzione di proiezioni dopaminergiche facenti parte del circuito fronto-striatale80.

L’analisi di tali associazioni suggerisce dunque un interessamento primario della neo-corteccia nella genesi della PDD ed apre la strada alla ricerca di specifiche alterazioni responsabili della PDD.

Genetici

Grazie a numerosi studi di associazione genome-wide eseguiti dopo la definizione clini-ca della PD-D e più recentemente della PD-MCI sono stati identificlini-cati alcuni geni che correlano con sviluppo di demenza in pazienti affetti da MP. Tra di essi ritroviamo: SNCA, LRRK2, GBA, PINK1 e DJ-1 e APOE4.

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SNCA

SNCA è il gene che codifica per la proteina α-sinucleina. Duplicazioni e triplicazioni di SNCA si associano a forme autosomiche dominanti di MP81 e a maggior compromis-sione cognitiva82. In particolare la triplicazione di SNCA e una sua specifica mutazione (E46K) correlano con aumentato rischio di sviluppo precoce di PD-D83.

LRRK2

Il gene che codifica per la chinasi Leucine-Rich Repeat Kinase 2 (o dardarina) presenta una frequenza di declino cognitivo simile a quello rilevato nelle forme sporadiche di MP84. Portatori asintomatici di una specifica mutazione di LRRK2 (G2019S) ottengono performance minori nei test delle funzioni esecutive85.

GBA

Il gene che codifica per glucocerebrosidasi (GBA), enzima lisosomiale deputato all’idrolisi dei legami β-glucosidici del glucocerebroside, è stato confrontato con i geni parkina e LRRK2 non riscontrando differenze significative nelle performance al MMSE. Tuttavia GBA si è dimostrato maggiormente correlato allo sviluppo di MCI86.

PINK1 e DJ-1

In forme autosomiche recessive di MP sono stati analizzati i geni PINK1, che codifica per parkina e il gene che PARK7 che codifica per la proteina DJ-187. Le mutazioni a carico di questi geni sono responsabili di esordio precoce di malattia con relativa lentez-za di progressione dei sintomi. Il gene PINK1 risulta inoltre maggiormente associato a MCI88.

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APOEε4

L’allele APOE𝛆4 del gene APOE è uno dei geni che più frequentemente si associa a malattia di Alzheimer. Studi svolti in una popolazione di pazienti MP documentano un aumento del rischio per MCI, mentre altri sottolineano che il suo effetto è modesto. Ciò che è interessante è il fatto che in uno studio condotto su pazienti con conferma autopti-ca di α-sinucleinopatia mutazioni di APOE𝛆4 correlino con un’insorgenza precoce di PD-D (Tsuang et al.)89.

MAPT

Il genotipo H1/H1 del gene MAPT, Microtubule Associated Protein Tau, gene che codi-fica per una proteina tau determina nella MP un maggior rischio di sviluppo di demen-za. La deposizione di proteine tau insolubili potrebbe rappresentate il nucleo attorno al quale si aggrega α-sinucleina a formare corpi di Lewy90.

Bioumorali

I fattori di rischio bioumorali che più frequentemente correlano con lo sviluppo di de-menza in corso di MP ad oggi conosciuti sono 2: la riduzione dei livelli di β-amiloide nel liquido cefalorachidiano e bassi livelli sierici di EGF.

Bassi livelli di β-amiloide nel LCR costituiscono un importante indizio di patologia amiloidogenetica cerebrale. La riduzione di concentrazione è infatti dovuta al sequestro della proteina all’interno del parenchima cerebrale, che si assembla in placche insolubi-li91. Alcuni studi hanno dimostrato che la concentrazione sia normale nei pazienti con MP senza demenza, moderatamente ridotta in pazienti con PD-D e gravemente ridotta in pazienti con demenza a corpi di Lewy (DLB), lasciando intendere che esista un vero

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e proprio gradiente di accumulo parenchimale di β-amiloide che si traduce in uno spet-tro di manifestazioni con severità di demenza crescente.

Bassi livelli sierici di Epidermal Growth Factor (EGF) sono stati rilevati recentemente in uno studio di coorte in pazienti che sviluppano demenza in corso di MP92. Il dato de-ve essere confermato da studi successivi, ma rappresenta un interessante novità nel pa-norama dei fattori di rischio per lo sviluppo di demenza. Essendo EGF un marker sieri-co, si candida infatti come ottimale marker laboratoristico di demenza, in funzione della rapidità e relativa economicità di determinazione.

Neuroimaging

Ritenendo la PDD un fenomeno essenzialmente corticale93, si è vagliata l’ipotesi di uti-lizzare metodiche di neuroimaging come la risonanza magnetica nucleare (RM) per pre-vedere la sua insorgenza94.

Sebbene esistano studi che sembrano evidenziare un assottigliamento della corteccia frontale e del giro cingolato anteriore come potenziali predittori di evoluzione a demen-za, il consensus non è univoco ed al momento l’utilizzo della RM non è validato per predire l’andamento cognitivo dei pazienti con MP.

3.4 Eziologia

In una review del 2014 Halliday e colleghi hanno apportato un notevole contributo nella definizione delle basi neurobiologiche della compromissione cognitiva nella malattia di Parkinson, prendendo in esame le potenziali vie patogenetiche associate alla PDD95. Nel corso della loro trattazione sono stati delineati i singoli pathway e i diversi sistemi neu-rotrasmettitoriali che contribuiscono alla sua insorgenza.

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Pathway dopaminergico

La maggior parte dei neuroni dopaminergici nel cervello sono situati in 3 regioni princi-pali, che proiettano ai nuclei della base (via nigrostriatale), al sistema limbico (via me-solimbica) e alla corteccia cerebrale (via mesocorticale).

Figura 3. Una rappresentazione del pathway dopaminergico. Tratto da: Glenda M. Hal-liday, PhD1, James B. Leverenz, MD2, Jay S. Schneider, PhD3, and Charles H. Adler, MD, PhD4, The Neurobiological Basis of Cognitive Impairment in Parkinson'S Disease, Mov Disord. 2014

Di queste la più rappresentata è la substantia nigra (area A9), coinvolta nei circuiti che regolano il movimento. La degenerazione dei neuroni ventrolaterali dell’area A9 che proiettano al nucleo caudato sono responsabili di una precoce formazione di corpi di Lewy nella MP e sono maggiormente correlate alla sintomatologia motoria della MP. I neuroni dopaminergici mesolimbici appartenenti alla regione mediale della sostanza nigra (area A9) e all’area segmentale ventrale (A10) proiettano invece al sistema

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limbi-co. Si ritiene che una marcata degenerazione delle cellule neuronali della parte mediale della Sn correli con una maggior incidenza di PD-D e con una maggior perdita di do-pamina presinaptica nel nucleo caudato e nella parte ventrale dello striato, anch’essi as-sociati con maggior compromissione cognitiva. Uno studio rileva che anche la riduzione dei recettori dopaminergici post-sinaptici D1, associata a compromissione cognitiva in corso di MP possa essere associata alla perdita cellulare della parte mediale della sub-stantia nigra. In generale la via mesolimbica e i neuroni mesolimbici mediali dell’area A9 appaiono implicati nell’impulsività e nella selezione comportamentale e una loro iperattivazione in corso di terapia con dopaminoagonisti risulterebbe nel disturbo del controllo degli impulsi (ICD).

I neuroni dopaminergici dell’area ventrale segmentale A10 risultano coinvolti sia nel circuito mesolimbico (gratificazione e ricompensa)96, che nel circuito mesocorticale. Una riduzione delle afferenze mesocorticali alla corteccia è correlata ad una maggior prevalenza di PD-D, indicando che la deplezione di dopamina corticale potrebbe essere un fenomeno più funzionale che organico e strettamente connesso alla deplezione di dopamina nel circuito mesolimbico.

Pathway noradrenergico

Oltre alla dopamina altre monoamine risultano implicate nella genesi della compromis-sione cognitiva in corso di MP.

Lesioni a livello della popolazione neuronale noradrenergica del locus coeruleus (area A6) risulta correlata a PD-D97. Altrettanto significativa risulta essere la correlazione con la perdita di neuroni colinergici a livello del nucleo basale (area Ch4), anch’essa corre-lata con PD-D.

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Pathway serotoninergico

La serotonina è un’altra monoamina associata alla PD-D. Se ne riconoscono due princi-pali gruppi: uno nel nucleo dorsale del rafe (area B6/7) e uno nel nucleo mediale del rafe (area B5/8). I neuroni serotoninergici del nucleo dorsale del rafe proiettano allo striato e alla corteccia, quelli del nucleo mediale del rafe proiettano alla corteccia e all’ippocampo. Gli studi sul pathway serotoninergico sono piuttosto limitati, ma le aree B6/7 sembrano non mostrare alterazioni in corso di MP, mentre le aree B5/8 mostrano perdita neuronale nelle fasi avanzate di MP. Gli effetti della deplezione serotoninergica nel PD-MCI non sono ancora stati studiati, mentre nella PD-D la riduzione di innerva-zione serotoninergica corticale ad opera delle aree B5/8 correla con un maggior turnover dei recettori serotoninergici A2 corticali.

Pathway colinergico

L’acetilcolina presente a livello cerebrale è raccolta all’interno di 3 aree principali: il nucleo basale (area Ch4), che proietta alla corteccia, il nucleo peduncolopontino (Ch5), che proietta al talamo, e gli interneuroni striatali. Gli interneuroni striatali non sono coinvolti nel processo degenerativo della MP, mentre c’è ampia evidenza che lo siano le circuiterie che coinvolgono l’area Ch4 e l’area Ch5. La degenerazione della popolazione dell’area Ch4 è stata riscontrata nelle fasi avanzate di MP, ma è più grave nella PD-D e correla con la riduzione corticale di acetiltransferasi98. Studi di neuroimaging conferma-no questo dato e mostraconferma-no una forte riduzione di acetilcolina corticale nella PD-D.

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