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L'ASSISTENTE SOCIALE COME LIBERO PROFESSIONISTA, NUOVA FRONTIERA DEL LAVORO SOCIALE

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

SOCIOLOGIA E POLITICHE SOCIALI

TESI DI LAUREA

L’ASSISTENTE SOCIALE COME LIBERO

PROFESSIONISTA NUOVA FRONTIERA

DEL LAVORO SOCIALE

Candidato Relatore

Arcidiacono Eleonora Prof. Gabriele Tomei

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INDICE

Introduzione 3

CAP.1 Competenze dell’assistente sociale come libero

professionista; 6

1.1 Storia del servizio sociale, ruolo dell’assistente sociale e chi è; 7 1.2 Principi e valori della professione; 15 1.3 Caratteristiche della professione; 16 1.4 Bisogni della professione, distinzione fra professione e

semi-professione. 18

CAP.2 Sviluppi della libera professione dell’Assistente sociale nel

welfare che cambia; 20

2.1 Evoluzione della libera professione; 20 2.2 Definizione tra lavoratore autonomo e imprenditore; 24 2.3 Riferimenti normativi e deontologici e Welfare mix; 27 2.4 Riferimenti legislativi: legge quadro 8 novembre del 2000 n°

328; legge 23 marzo n° 84/93 sull’ordinamento della professione e istituzione dell’albo professionale. 29

CAP.3 Modelli teorici utilizzati in campo professionale

dall’Assistente sociale; 34

3.1 Modello sistemico relazionale; il colloquio con visione sistemica; il modello di rete e la prospettiva relazionale di P. Donati; 35

3.2 Area consulenziale; 40

3.2.1 Mediazione familiare 40

(3)

3.2.3 La supervisione professionale 43 3.2.4 La progettazione dei servizi 43

3.3 Area comunicativa; 44

3.3.1 La consulenza comunicativa 44

3.4 Area formativa; 45

3.4.1 La docenza universitaria 45 3.4.2 La docenza nelle Scuole medie Superiori 46

3.5 Area giuridica. 47

3.5.1 Il giudice onorario 47

CAP.4 Autoimprenditorialità: apertura della partita IVA e regime

fiscale forfettario “start-up”; 48

4.1 Autoimprenditorialità a livello pragmatico, deontologico e

teorico/critico; 48

4.2 Bilancio delle competenze; 50 4.3 Comunicare la professione. 52

CAP.5 Attività condotte in uno studio professionale di servizio

sociale; 54

5.1 La progettazione; 55

5.2 La mediazione familiare; 57 5.3 Punti di forza della libera professione; 59 5.4 Sondaggi ad Assistenti sociali liberi professionisti. 62

CAP.6 Conclusione 65

(4)

INTRODUZIONE

Nel mio elaborato ho voluto affrontare il tema della libera professione dell’Assistente Sociale, vista ormai come una nuova frontiera del lavoro sociale, che è in fase di sviluppo negli ultimi anni. La crisi economica in Italia, la trasformazione del sistema di Welfare, hanno portato ai cittadini sempre più spesso verso i servizi a pagamento;1 questo, infatti, ha dato modo agli assistenti sociali di ricostruire la loro identità professionale, in quanto oggi non è più legata solo alla pubblica amministrazione ma si crea lo spazio nell’ambiente della libera professione. Questo settore negli anni precedenti oltre a essere poco sviluppato era anche poco conosciuto, e al giorno d’oggi, inizia e continua ad espandersi in contrapposizione alla crisi e al blocco di assunzioni degli ultimi anni. Per evidenziare il cambiamento della professione, bisogna capire come vedere questa “nuova professione”, cioè come vedere e sentire l’Assistente sociale sia da parte dell’utente che delle istituzioni, che collaborano nella rete per rispondere ai nuovi bisogni sia collettivi che individuali. L’Assistente sociale professionista deve ripensare al suo ruolo facendosi imprenditore del sociale, infatti deve saper porsi come tramite tra l’utente e la comunità, e fra le risorse e le istituzioni presenti nel territorio. Inoltre deve avere la capacità di incentivare la partecipazione della comunità per l’attivazione di

risposte ai bisogni emergenti degli utenti che richiedono un servizio. Nel primo capitolo ho fatto riferimento alla storia del servizio sociale e il

ruolo nello specifico dell’Assistente sociale, collegandomi ai modelli teorici

(5)

che sono utilizzati nel lavoro condotto dal professionista nella libera

professione. Nella seconda parte ho voluto sottolineare il cambiamento di questa libera

professione, facendo riferimento alla nascita e al cambiamento che ha riscontrato nei confronti del Welfare. In ambito giuridico ho fatto riferimento al Codice civile, in quanto questo lavoro viene denominato come professione intellettuale, cioè un lavoro svolto da committenti attraverso una propria organizzazione di mezzi. In seguito ho citato la legge 23 marzo del 1993 n° 84 art.1, che riguarda l’ordinamento della professione dell’assistente sociale e l’istituzione dell’albo professionale; infatti questa professione è esercitata da un professionista iscritto regolarmente all’albo, che la svolge in maniera autonoma, e quindi è un’attività che richiede competenze tecnico-scientifiche e crea un rapporto diretto con l’utente, il quale paga la prestazione in base a un compenso già concordato in precedenza; poi mi sono collegata al codice deontologico allìart.52, in particolare alla legge quadro 328/2000, che si

basa sulla realizzazione del sistema di interventi e servizi sociali. In seguito ho sottolineato i campi di intervento, come il modello sistemico

relazionale, il colloquio sistemico e il modello di rete; inoltre ho approfondito i servizi che un assistente sociale può offrire non esercitando un lavoro dipendente e gli utenti interessati da tali prestazioni. Ho raggruppato le attività in varie aree diverse, come l’area a tema consulenziale, dove viene spiegata la supervisione, la creazione dei servizi, la consulenza sociale e la selezione del personale. L’area comunicativa si divide in giornalismo sociale e consulenza comunicativa. Un’altra area è quella formativa in cui si analizzerà la formazione professionale. La quarta

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e il consulente tecnico giuridico. L’ultima area è quella che fa riferimento all’esperienza di assistenti sociali senza frontiere, una ONLUS che cerca di accrescere la cooperazione internazionale nel campo dell’assistenza sociale, cercando di ampliare il campo di operatività dell’assistente sociale, portandoli in certi casi ad intervenire in quei paesi non ancora tanto sviluppati. Nel quarto capitolo ho ritenuto opportuno parlare di un tema tecnico, ma molto importante per il libero professionista, cioè quello del progetto di autoimprenditoria, facendo anche riferimento a livello pragmatico, deontologico e teorico-critico.

Verso la fine del mio elaborato ho analizzato le attività di uno studio professionale di un servizio sociale, come la progettazione, mediazione familiare e della formazione e docenza in quest’area di sviluppo della nuova professione. Per concludere la mia tesi ho fatto delle considerazioni personali in base a ciò che ho esposto e analizzato, con l’obiettivo di far comprendere le competenze che il professionista può utilizzare per rispondere ai bisogni e servizi richiesti dall’utente, ma anche a far capire come la libera professione può essere un potenziamento o correzione di alcuni aspetti poco funzionanti nel settore sociale.

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CAPITOLO 1

COMPETENZE DELL’ASSISTENTE SOCIALE COME

LIBERO PROFESSIONISTA

Il consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti sociali si è sempre interessato della libera professione. L’Assistente sociale viene considerato un professionista che mostra attenzione alla lettura del bisogno, ma anche alla costruzione di un progetto; quindi occorre dare visibilità alle competenze gestionali e di programmazione, cercando di erogare un servizio commisurato alle aspettative del cittadino. L’Assistente sociale infatti copre il ruolo di manager dei servizi integrati, e deve possedere la capacità di promuovere la partecipazione della comunità per l’attivazione di risposte funzionali ai nuovi bisogni, e farsi da portavoce delle richieste degli utenti. Proprio per questo tale professione dovrebbe svolgersi quasi totalmente come lavoro dipendente; negli ultimi anni sta trovando il suo percorso in una nuova forma lavorativa che interessa questa figura, quella della libera professione.

Fino agli anni ’90 i termini Assistente sociali e libero mercato non potevano essere associati in quanto la maggior parte degli operatori che terminava il percorso di studi, trovava lavoro quasi immediatamente come dipendente pubblico. Chi invece sceglieva di intraprendere la libera professione, era l’Assistente Sociale in pensione che voleva continuare la sua attività, dedicandosi più che altro alla formazione. Oggi, però, il

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blocco delle assunzioni, le nuove forme lavorative e di comunicazione, hanno contribuito ad un cambiamento di prospettiva, che ha portato il professionista a modificare il modo stesso di operare, senza però mettere da parte i principi e i dati storici del lavoro sociale.

1.1 STORIA DEL SERVIZIO SOCIALE, RUOLO DELL’ASSISTENTE

SOCIALE E CHI E’;

Ripercorrendo la storia del servizio sociale si può affermare che lo Stato nel primo periodo non interviene nell’assistenza, infatti l’unica istituzione che intervenne per i bisogni dei poveri, malati ed emarginati era la Chiesa, che era appoggiata da alcune istituzioni private, le cosiddette Opere Pie. L’esordio dello Stato si ha nel 1862 con la legge Rattazzi, che istituisce in ogni comune italiano le Congregazioni di Carità, e in seguito trasforma le Opere Pie in Istituzioni di Pubblica Assistenza e Beneficienza (IPAB). La

storia del servizio sociale italiano si può sezionare in tre fasi. Dal primo dopoguerra al 1928, questa fase è caratterizzata per le iniziative

di volontariato che erano rivolte solo ad alcune categorie di persone e per

la fondazione dei primi istituiti per la formazione degli operatori. Dal 1928 al secondo dopoguerra, questa fase è caratterizzata da varie

iniziative che cercano di ristabilire le condizioni di vita delle persone che vivono in stato di bisogno. Infatti vi è la nascita della prima Scuola Superiore per Assistenti sociali a Roma nel 1928 e vi sono anche i primi tentativi di strutturazione dei servizi sociali. Nel periodo fascista vi è una categorizzazione degli utenti grazie alla nascita di enti assistenziali, enti comunali di assistenza (ECA), l’istituto Nazionale di Previdenza Sociale

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(INPS), L’Istituto Nazionale di Assistenza per gli Infortuni sul Lavoro (INAIL). Dal secondo dopoguerra, questo periodo sottolinea l’avvio del servizio sociale professionale, in quanto vengono riconosciute le teorie, i metodi e le tecniche di lavoro. Si sviluppano le prime sedi di formazione a carattere universitario. L’articolo 38 della costituzione, fa riferimento al servizio sociale e afferma che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Per questo sono stati introdotti degli istituti predisposti dallo Stato. Il diritto all’assistenza sociale può essere riportato all’esigenza della tutela dei diritti inviolabili, sanciti dall’articolo 2, che assicura una vita dignitosa e tutela situazioni di bisogno dei cittadini. Nel periodo degli anni ’40 e ’50, vi era la ricostruzione post-bellica, che rendeva molto difficile l’erogazione di interventi. Verso gli anni ’60 fino alla fine degli anni’70 si ha un cambiamento, infatti si inizia a parlare di decentramento amministrativo, vengono istituiti gli uffici di servizio sociale e ufficializzate le funzioni degli Assistenti sociali, alcune sedi formative diventano universitarie, e si iniziano ad utilizzare metodologie nuove come il lavoro di gruppo e di comunità. Nel 1970 con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, vi furono varie trasformazioni in ambito normativo e culturale, cominciando proprio dal diritto di famiglia, che ebbe la sua trasformazione con la legge n.151 del 1975. Nello stesso anno il parlamento delega al governo a terminare il decentramento amministrativo, grazie al DPR 616 del 1977, che trasforma l’assistenza in sicurezza sociale, cercando di dare le adeguate prestazioni agli utenti. Il DPR stabiliva che tutte le funzioni amministrative riguardanti l’organizzazione ed erogazione dei servizi fossero attribuite ai Comuni; si avviava cosi un processo di ripristino del

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ente, il Comune. Si pensava inoltre, ad una legge nazionale per il riordino del sistema socio-assistenziale, e venne realizzata con la legge 833 nel 1978. Tra gli anni ’80 e ’90 vi è la crisi del welfare state, la nascita delle Aziende Ospedaliere, l’avvio di nuovi servizi come il Sert, e l’emanazione di leggi importanti riguardanti il sociale.

Il metodo di lavoro utilizzato ha delle tecniche diverse e si basa sia sul singolo individuo che sulla famiglia. Dagli anni 2000, ha inizio la quarta fase della storia del servizio sociale; infatti le scuole di servizio sociale divennero lauree triennali e con la legge 328/2000 vi è la riforma dell’assistenza, che ha delle novità in campo di programmazione e gestione dei servizi. Prima della 328, solo la legge Crispi del 1890 aveva

costituito la norma organica di riferimento per l’assistenza sociale. Con la legge del 2000, si ha il passaggio caratterizzato dalla concezione di

utente, portatore di bisogno, a quella di persona nella sua totalità,

costituita dalle sue risorse e dal suo contesto familiare e territoriale.2 Il sistema dei servizi assistenziali tra i diversi livelli di governo si

caratterizza per un vario decentramento di funzioni. La 328, infatti rispetta i decreti Bassanini, con la legge 59 del 1997, affermando la programmazione a cascata:

- I comuni sono titolari delle funzioni di programmazione e progettazione di interventi a livello locale, attuati attraverso piani di zona, dove viene definito il sistema dei servizi sociali di rete attraverso forme di consultazione. Questo determina l’aggregazione dei diversi Comuni in un unico ambito territoriale così da permettere la predisposizione di servizi idonei ai bisogni della

2

Ferioli A., diritti e servizi sociali nel passaggio dal welfare statale al welfare municipale, Giappichelli, Torino 2003.

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popolazione. L’ente locale esercita funzioni di controllo su tutti i partecipanti al sistema.

- Alle regioni spettano i compiti riguardanti programmazione, coordinamento ed indirizzo degli interventi, quindi anche di controllo.

- Allo Stato, invece spetta il compito di dividere le risorse finanziarie del Fondo Nazionale Politiche Sociali, indirizzare le politiche locali, stabilire i principi e obiettivi attraverso i piani Nazionali degli interventi e dei servizi sociali ogni tre anni e determinare livelli essenziali di prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali da garantire in tutto il paese.

A livello nazionale la 328/2000, ha favorito il potenziamento della rete dei servizi affidata ai Comuni e ha dato forza all’attività normativa di quasi tutte le Regioni italiane.3

Le moderne politiche sociali si stanno orientando verso quella che viene definita Community Care, cioè sistema di interventi e servizi sociali in vista della realizzazione di politiche della comunità. Proprio per questo bisogna promuovere la partecipazione del privato sociale. Nuove competenze vengono richieste all’operatore che deve concentrare in un dato territorio provvedendo alle necessità della comunità attraverso risorse locali. Quindi l’Assistente sociale deve essere in grado di lavorare in rete con altri servizi e saper realizzare dei

servizi che coinvolgano le reti formali e informali. Fin dagli inizi alcune professioni hanno avuto la caratteristica

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pensare all’attività di avvocato, notaio, e altre professioni simili. Nonostante l’attività di libero professionista riguardante l’Assistente sociale sia molto recente, si può affermare che il cambiamento nasce dall’esigenza di rimediare alle mancanze date dallo Stato, in quanto non può fornire le risposte a tutte le esigenze e bisogni dei cittadini. Per questo il professionista decide di svolgere la propria attività in un sistema di “quasi concorrenza” nei confronti dello stato. Andando nello specifico, nel settore dei servizi sociali, la crisi fiscale dello Stato ha effettuato molti tagli in questo ambito, ciò ha favorito la legittimazione di nuovi attori e nuove forme di fruizione dei servizi in una logica di welfare mix, in cui pubblico e privato coesistono. Inoltre, il sistema della legge 328 del 2000 “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”4 si affianca a quello universalistico statale, chiedendo risposte personalizzate alle esigenze del cittadino, estendendo il concetto stesso di bisogno e approcciandosi in modo diverso alla risoluzione del problema escludendo il problema economico. Nel linguaggio comune, il lavoro autonomo è definito come libera professione, questa denominazione è impropria in quanto il Codice Civile disciplina la questione nel libro V, riguardante il lavoro, e nello specifico al titolo III, riferendosi al lavoro autonomo, qualificando questa tipologia di lavoro come professione intellettuale. Partendo dalla legge n. 84 del 1993 “Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale”5, che definisce la figura dell’Assistente sociale

4

Codice deontologico (2009) http://www.assistentisociali.org/servizio-sociale/codice-deontologico-degli-assistenti-sociali-IIhtm;

5

Codice deontologico (2009) http://www.assistentisociali.org/servizio-sociale/codice-deontologico-degli-assistenti-sociali- IIhtm;

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e il suo profilo professionale, ne istituisce l’ordine e ne disciplina l’iscrizione all’albo, appare importante per il tema trattato, riportare il comma 3 dell’articolo 1 che afferma: “ la professione di Assistente sociale può essere esercitata in forma autonoma o di rapporto di lavoro subordinato”6.

Anche la legge 119 del 2001 “Disposizioni concernenti l’obbligo del segreto professionale per gli assistenti sociali”7, riconosce la possibilità per questa figura di esercitare la libera professione. L’articolo 1 afferma che gli assistenti sociali iscritti all’albo professionale istituito con la legge 23 marzo 1993, n. 84, hanno l’obbligo di mantenere il segreto professionale su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione esercitata, sia per quanto riguarda il lavoro dipendente,

pubblico o privato, sia per il lavoro autonomo libero-professionale.8 Inoltre, con il Decreto del Presidente della Repubblica 137 del 2012

“Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali”9 viene definito professionista colui che svolge un’attività che può essere esercitata solo dopo la qualifica necessaria e la successiva iscrizione all’Ordine professionale. In tale categoria, rientra la figura dell’Assistente sociale, che potrà compire l’esercizio della professione in modo libero e fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico.

6

Codice deontologico (2009) http://www.assistentisociali.org/servizio-sociale/codice-deontologico-degli-assistenti-sociali- IIhtm;

7

Codice deontologico (2009) http://www.assistentisociali.org/servizio-sociale/codice-deontologico-degli-assistenti-sociali- IIhtm;

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Nel Codice deontologico sono contenute delle disposizioni favorevoli la libera professione, in cui l’articolo 52 afferma che “ l’Assistente sociale può esercitare l’attività professionale in rapporto di dipendenza

con enti pubblici e privati in forma autonoma o libero-professionale”.10 Questo passaggio è avvenuto soprattutto per cause da associare a

motivazioni economico-fiscali, come la crisi del nostro Stato che ha portato all’esigenza di modificare il sistema di welfare fin adesso utilizzato, in quanto ritenuto troppo dispendioso e poco adeguato per rispondere ai bisogni richiesti. Il nuovo sistema di welfare prevede un sistema integrato di interventi e servizi sociali, introdotto dalla legge quadro 328/2000, che afferma vari livelli essenziali da garantire su tutto il territorio nazionale, basandosi su criteri di partecipazione fra tutti gli attori coinvolti e sulla libera scelta da parte degli utenti dei servizi, garantita da nuovi strumenti e certificazioni di qualità dei servizi

offerti. Infine si può definire la figura dell’Assistente sociale come

quell’operatore che opera al fine di prevenire e risolvere situazioni di disagio e di emarginazione di singole persone, di nuclei familiari e di particolari categorie in difficoltà. I compiti principali di questa professione riguardano: individuazione di bisogni dei soggetti che si trovano in situazioni di disagio, svolgimento di un’indagine su strumenti di intervento disponibili nel territorio e adatti al singolo caso da trattare, attività delle strutture e dei servizi socio-sanitari competenti e interventi di sostegno e di recupero, percorsi da seguire con i soggetti bisognosi; quindi si può definire come una figura molto complessa in quanto svolge non solo attività socio-assistenziali ma

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anche attività socio-organizzativa per programmazione di interventi. Le competenze degli Assistenti sociali possono essere raggruppate in

almeno sette funzioni svolte:

- Funzioni di studio, indagine, ricerca finalizzati al lavoro di progettazione, organizzazione, gestione e verifica degli interventi sociali;

- Funzioni di consulenza, sostegno e intervento psicosociale, basati sul trattamento dei casi, a favore dei singoli utenti e servizi, delle famiglie, dei gruppi, ma anche in termini di attivazione delle reti sociali e dell’intera comunità locale;

- Funzioni di programmazione, progettazione, organizzazione, coordinamento e gestione dei servizi sociali, riportate in attività sia per l’elaborazione e la conduzione di progetti sia per l’amministrazione e la gestione di singoli servizi e strutture socioassistenziali e sociosanitarie;

- Funzioni di carattere giuridico-amministrativo, in attività di consulenza e informazione giuridico-amministrativa nel campo sociale e sociosanitario;

- Funzioni di attivazione e gestione del sistema informativo in campo sociale al fine di facilitare la conoscenza dei cittadini della loro autodeterminazione;

- Funzione didattica e di supervisione, basata sulla formazione professionale degli assistenti sociali mediante vari tirocini di formazione;

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- Funzione di partecipazione dei singoli cittadini, delle reti di sostegno e protezione sociale, nelle esperienze di mutuo soccorso e mutuo aiuto e delle associazioni no profit.11

1.2 PRINCIPI E VALORI DELLA PROFESSIONE

Uno degli attributi principali di ogni professione riguarda il bisogno di un apparato valoriale, che si può tradurre in codici di deontologia professionale. Gli orientamenti prescelti dal servizio sociale, che sono i pilastri del lavoro del professionista sociale in qualsiasi forma si svolga, stanno intorno ad un concetto base, cioè quello dove l’umanità di ogni

uomo è considerazione della persona come valore a sé.12 Da qui si deduce una serie di altri valori che si traducono in atteggiamenti

e comportamenti:

- Dignità dell’essere umano, non tenendo conto della provenienza, dello status sociale e delle convinzioni ideologiche che si rifanno al principio del rispetto alla persona;

- Unicità di ogni persona, in quanto l’umanità è fatta di differenze, e quindi nasce la necessità di interventi individualizzati e personalizzati;

11 cfr Gui la figura dell’assistente sociale in la rassegna bibliografica infanzia e adolescenza n.3/2005. 12

Salombrino M. ( a cura di), l’Assistente sociale. Manuale completo per la preparazione, edizioni Simone, Napoli 2013;

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- Potenzialità, vista come estensione dell’umanità, in quanto l’Assistente sociale si impegna nel promuovere l’autodeterminazione;

- Fiducia nell’essere umano come titolare di diritti, che si concentrano in un lavoro che si basa sull’estensione dei diritti di libertà, eguaglianza, socialità, solidarietà e partecipazione per tutti gli esseri umani.

1.3 CARATTERISTICHE DELLA PROFESSIONE

L’Assistente sociale deve possedere alcune capacità necessarie, come l’ascolto, la mediazione, la disponibilità, ed essere in grado di effettuare il lavoro, e quindi collaborare con altri professionisti e avere molte conoscenze. Deve conoscere gli strumenti adatti alla sua professione in una società di continuo cambiamento, ed essere informato sulle norme e leggi, avere una buona capacità interpretativa e lettura del bisogno, in modo da formulare programmi e organizzare nuove attività. Il ruolo dell’Assistente sociale privato può essere specificato e sintetizzato in cinque punti:

- Esame dei bisogni, delle risorse familiari, sociali e comunitarie, che la persona attivava nel passato e potrebbe riattivare nel futuro; - Analisi delle potenzialità delle persone e del loro contesto sociale; - Presentazione alla persona di tutti gli sfondi di scelte possibili e delle

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- Presentazione di un intervento o di un trattamento appropriato per quel singolo caso e in quel dato momento, seguito da un accompagnamento, monitoraggio e supporto per il percorso individuale;

- Orientamento della persona in stato di bisogno o quando vuole migliorare il proprio stato di benessere rispetto alle risorse territoriali.13

Quindi lavorare come libero professionista ha i suoi pro e i suoi contro, in quanto significa: rinunciare alle sicurezze economiche e di rete che vengono fornite dal settore pubblico, distacco da un ambiente protetto e approcciarsi a un contesto non sicuro dove il soggetto gestisce in autonomia il proprio lavoro, attenzionando i cambiamenti legati al sistema esterno e adeguando ogni esigenza a uno spazio lavorativo conforme, gestendo i tempi e il carico di lavoro, il proprio operato e le proprie competenze professionali. Infatti un Assistente sociale professionista per esercitare la propria professione, deve avere e saper sviluppare competenze e conoscenze sia dell’organizzazione dei servizi, del contesto istituzionale e socioeconomico, sia del mercato in cui si propone; deve possedere anche capacità di gestione relazionale e capacità manageriali, gestionali e abilità di marketing.

Sebbene le ulteriori capacità che un libero professionista deve acquisire per svolgere la propria attività lavorativa nel migliore dei modi, egli non può fare a meno dei valori e principi della professione, né tantomeno

andare contro le disposizioni date dal codice deontologico. L’Assistente sociale, quindi, deve saper porsi come coordinatore fra le

13

Lavorare come assistente sociale privato, intervista a Elena Giudice, in

(19)

istanze del singolo utente e il gruppo di appartenenza e la comunità, facendo da intermediario fra gli attori, le istituzioni e le risorse presenti nel territorio. Un aspetto molto importante è quello di dar voce ai propri utenti, dandogli la possibilità di poter esprimere le proprie esigenze, paure e bisogni.

1.4 BISOGNI

DELLA

PROFESSIONE,

DISTINZIONE

FRA

PROFESSIONE E SEMI-PROFESSIONE

Il passaggio dalla dipendenza all’autoimprenditoria obbliga un’attenta analisi dei bisogni che riguardano l’Assistente sociale, che sono sia di ordine materiale che immateriale, cioè il professionista deve sentirsi stimolato ed essere pronto a migliorarsi e imparare, se vuole evitare una perdita di rendimento nel proprio lavoro causata da demotivazione e scarsa dedizione al lavoro. Diverse sono le tipologie di bisogni che si possono riscontrare, come l’esigenza di guadagni proporzionati al lavoro svolto, crescita lavorativa e acquisizione di competenze, approccio etico e la mission dell’organizzazione, bisogni di sviluppo del sé e di riconoscimento professionale, confronto con i colleghi, bisogno di creatività nell’affrontare un progetto.

Posso affermare, che è inutile dire, che un lavoro che punta al soddisfacimento dei soli bisogni primari, senza interessarsi a nuove aree di crescita è qualcosa di inopportuno, che non coincide con una logica libero-professionale.

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Si tratterebbe di mettere in pratica una semi-professione che si basa su un’attività di tipo prestazionale, svolta in modo monotono. Questo modo di lavorare può essere riscontrato nei contesti di pubblica dipendenza che è contrapposta all’esercizio pieno della professione, che ha bisogno di continui aggiornamenti e si basa su una cultura scientifica di orientamento al lavoro per obiettivi.

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CAPITOLO 2

SVILUPPI DELLA LIBERA PROFESSIONE DELL’ASSISTENTE SOCIALE

NEL WELFARE CHE CAMBIA

2.1 EVOLUZIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE

Durante gli anni ’80 e ’90 si è iniziato a parlare di libera professione dell’Assistenza sociale. La presenza degli Assistenti sociali liberi professionisti risulta essere al giorno d’oggi irrilevante, anche se qualcosa sta cambiando nel nostro paese, in quanto negli ultimi anni l’ordine ha organizzato corsi accreditati sulla libera professione, si sono costituiti dei gruppi di studio e sono stati organizzati dei seminari riguardanti la libera professione. La scelta di intraprendere la libera professione risale nel 1986, grazie ad alcuni Assistenti sociali che avendo già una buona conoscenza delle tecniche professionali ed esperienza sul campo, hanno voluto intraprendere questa nuova via del lavoro sociale in forma autonoma, lasciando così il posto fisso presso amministrazioni pubbliche. Si trattava di una scelta alquanto coraggiosa, perché in quel periodo il lavoro sociale veniva visto in forma di dipendenza ed appartenenza ai

servizi di pubblico impiego che delimitavano gli interventi e le risorse. In questo contesto la progettazione di un’attività libera professionale mai

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rappresentava una novità che usciva fuori dagli schemi base che erano parte di un impriming teorico ed operativo.

Oggi il contesto è cambiato dal punto di vista radicale, infatti ci troviamo di fronte a una nuova dimensione del servizio sociale che pian piano si sta sviluppando a causa della crisi economica-fiscale e ai cambiamenti del welfare; in pratica lo Stato non riesce più a rispondere ai bisogni dei

cittadini, infatti utilizza interventi privati in una logica di welfare mix.14 Il lavoro sociale ha una forma differente rispetto al passato, infatti, i modi

e le forme del lavoro, così come l’inserimento dei nuovi Assistenti sociali, sono compresi in uno spazio tra lavoro dipendente, autonomo e flessibile con contratti a progetto, a tempo determinato tramite cooperativa o associazione, come libero professionista con ore spezzettate tra diversi enti. Le esperienze professionali di oggi sono legate alle tradizioni e offrono spazi diversi con diversi gradi di dipendenza e autonomia connessi al contesto, al territorio e alle opportunità legate alle competenze della persona. Il lavoro dipendente e libero professionale si basa sull’area della comunicazione e dell’organizzazione, gestione delle reti, coordinamento operativo, progettazione e gestione dei servizi.

La difficoltà del lavoro consiste nella fatica di immaginare, prevedere la propria organizzazione del lavoro, nel definire gli interlocutori della propria offerta di beni e servizi, nell’affrontare tutti i rischi connessi ai concetti di reddittività e profitto, di libero mercato e di offerta in area professionale.15 Oggi si assiste ad un cambiamento in cui il lavoro si rafforza in enti e strutture che si trasformano, quindi il lavoro va ricercato,

14 Albano, U. Bucci, L& Esposito, D.C (2008) servizio sociale e libera professione dal lavoro dipendente

alle opportunità di mercato. Roma, Carocci.

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costruito con esperienze che possono confondere a volte con il precariato con la semi-dipendenza. Le grandi difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro professionale da parte di molti soggetti fanno spesso pensare che la libera professione sia un modo di deviare queste problematiche, perché questa facilita la ricerca di lavoro.

Il lavoro libero professionale può essere realizzato con utenti che richiedono informazioni, consulenze o bisogni, e può offrire dei servizi di segretariato sociale, o un servizio orientato al sociale e dal sociale, proposto anche da altri enti, o ancora può essere orientato alla comunicazione sociale o ad aree specifiche di formazione in ambito sociale. La domanda di intervento può emergere in situazioni di disagio o difficoltà a cui altri non possono o non sanno rispondere. Si può costruire un’ipotesi di lavoro e un’offerta in relazione a ciò che in quel momento o luogo manca, o su aree e servizi che si individuano in base a un’analisi della domanda sociale e ad una ricerca sulle possibilità organizzative e

gestionali. L’area territoriale, le risorse, i vincoli e i servizi già esistenti sono delle

variabili a cui tener conto nel progetto d’impresa. Il lavoro dell’Assistente sociale libero professionista autonomo si basa sulle amministrazioni pubbliche, anche se si hanno varie responsabilità professionali diversa, nel momento di istituire un contratto con l’utente, l’Assistente sociale è in una relazione diretta faccia a faccia con il beneficiario, al contrario se questo fosse andato in un ente pubblico di servizio. Gli accordi e la fase del contatto vengono modificati quando l’organizzazione che istituisce l’incontro è professionale privata e si basa su dei riferimenti ed interventi di tipo fiduciario e personalizzato, infatti cambia il contesto, il set, la

(24)

motivazione iniziale alla tipologia di consulenza e azione professionale.16 In un welfare ormai sempre più aperto all’ambito privato, in cui il cittadino

con frequenza viene spinto a scegliere servizi a pagamento, parlare di libera professione diventa naturale per ogni Assistente sociale che vuole definirsi come professionista. Nonostante ciò ancora non si evidenzia un cambiamento radicale, in quanto il lavoro degli Assistenti sociali viene concepito come interno alle istituzioni pubbliche, e ciò fa definire la libera professione come un lavoro che ha mancanza di riferimenti metodologici. Nell’attuale welfare mix, si può notare l’aumento delle prestazioni a pagamento a carico dei cittadini; infatti le istituzioni pubbliche non riescono a rispondere ai bisogni degli utenti e neanche a quello degli operatori, in quanto sono sovraccaricati di lavoro, perché non vi è molta disponibilità per nuove assunzioni. Tutto ciò delinea un cambiamento culturale che è in evoluzione del servizio sociale che man mano si ritaglia degli spazi nella libera professione seguendo la logica del mercato. La libera professione è indicata per quei soggetti che hanno delle qualità e capacità di base, oltre a capacità manageriali e di marketing, determinazione e un buon budget economico di base. Tale professione non può essere esercitata senza l’acquisizione delle caratteristiche professionali che caratterizzano la professione dell’Assistente sociale come libero professionista autonomo, frequentando anche corsi di formazione e facendo sempre riferimento al codice deontologico. L’idea è quella di creare una rete di servizio sociale privato che possa collaborare con la rete di servizi formali ed informali, di mercato sul territorio, favorendo lo sviluppo e il sostegno di gruppi di mutuo aiuto, in modo da

16

Agosta S., “ La professione di Assistente sociale e l’esercizio libero professionale” in professione assistente sociale n.2/2010;

(25)

cercare di aiutare le istituzioni pubbliche che non riescono a dare le adeguate risposte ai bisogni sociali emergenti.

2.2

DEFINIZIONE

TRA

LAVORATORE

AUTONOMO

E

IMPRENDITORE

Non è sempre chiaro la differenza di significato tra le espressioni mettersi in proprio, avviare un’attività autonoma o diventare imprenditore. Mettersi in proprio delinea un’espressione che fa riferimento a tutte quelle attività di lavoro non dipendente, che chiunque avvia un’attività lavorativa in forma non subordinata. Più difficile è la differenza tra attività di lavoro autonomo e attività imprenditoriale, entrambe vengono attribuite al lavoro autonomo delle caratteristiche diverse da quelle dell’impresa. Tutte le attività di lavoro indipendente si possono classificare secondo norme fiscali in due categorie: attività d’impresa e attività di lavoro autonomo. Secondo il codice civile per quanto riguarda il lavoro autonomo, esso è seguito dall’art.2222, che comprende l’esercizio di professioni di prestatore d’opera intellettuale a seguito dell’art.2229 c.c.. Mentre l’attività d’impresa fa riferimento all’art 2082 c.c art 55 TUIR. Vi sono varie tipologie d’impresa il c.c. e non fornisce la definizione di impresa ma quella di imprenditore.17 L’imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine di produrre o scambiare dei beni o servizi. Affinché vi sia un’impresa devono esserci determinate condizioni:

(26)

- L’ esercizio di un’attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni e servizi;

- L’organizzazione dell’attività; - La professionalità.

Quindi l’impresa è l’esercizio di un’attività economica diretta alla creazione di una nuova ricchezza, non soltanto la produzione di nuovi beni ma anche aumentando il valore di quelli già esistenti. L’attività economica viene considerata organizzata e può avere delle caratteristiche d’impresa quando è svolta attraverso un’azienda. 18

Il c.c art. 2555 definisce l’azienda come quell’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore che siano efficaci per l’esercizio dell’impresa, come: macchinari, impianti, arredi o attrezzature.

Per professionalità si intende la sistematicità dell’attività esercitata, infatti il suo requisito, in forma generale, implica lo scopo di lucro, che viene inteso come l’intento di attenere dei ricavi superiori ai costi. Tuttavia le imprese pubbliche e alcuni tipi di imprese private, come le cooperative, non hanno scopo di lucro, infatti questo concetto viene inteso come scopo genericamente egoistico. Per far sì che vi sia un’impresa, vi devono essere determinate specifiche, come nessun fine economico, nessuna organizzazione tramite azienda, deve essere esercitata in forma

professionale, gli enti non devono avere nessun obiettivo economico. L’imprenditore, inoltre, al fine di riconoscere la propria attività utilizza

alcuni segni distintivi tutelati dalla legge, come la ditta, l’insegna o il marchio. Inoltre l’impresa ha la possibilità di chiedere il fallimento. Posso

18

Mettersi in proprio. Una guida per fare impresa(2012). Recuperato

(27)

distinguere varie tipologie d’impresa: impresa individuale, società con nome collettivo, società con responsabilità limitata, cooperativa e consorzio. Per il lavoro autonomo fa riferimento art. 2222 c.c. contratto d’opera e prevede che ogni attività lavorativa abbia: esecuzione contro corrispettivo, lavoro proprio, nessun vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Il lavoro autonomo infatti è diverso dall’impresa in quanto vi è l’assenza di una organizzazione, cioè di un’azienda. Secondo la normativa fiscale art. 4981 TUIR e secondo le disposizioni legislative in materia di lavoro d.l.g.s. 276/03, le attività autonome possono essere condotte grazie a: esercizio

di professioni, collaborazione a progetto e lavoro autonomo occasionale.19 Il professionista intellettuale ha diritto ad un compenso in quanto ha

prestato la propria opera, infatti a volte per esercitare una professione viene richiesta un’iscrizione in determinati albi o elenchi, questo per quanto riguarda le professioni protette; in caso contrario si parlerà di professioni libere.

(28)

2.3 RIFERIMENTI NORMATIVI E DEONTOLOGICI E WELFARE MIX

Per comprendere l’evoluzione che ha portato alla trasformazione della libera professione dell’Assistente sociale, bisogna cercare di capire il passaggio che vi è stato dal welfare state al welfare mix, e dalla sussidiarietà verticale a quella orizzontale. In ambito legislativo la prima legge che tentò di rispondere ai problemi sociali della povertà fu la legge sui poveri, detta Poor Law, diffusa in Inghilterra nel 1834. Essa segnò la nascita di uno stato assistenziale e anche il passaggio dell’assistenza da oggetto d’intervento di istituzioni private a compito dello stato per coloro che si trovavano in situazioni di indigenza. La povertà era considerata come una malattia vergognosa, e per evitarla venivano attuati interventi di tipo restrittivo, infatti lo scopo era quello di combattere il fenomeno del vagabondaggio che all’epoca era un periodo per l’ordine pubblico. In Italia l’assistenza era gestita da istituzioni religiose sia perché l’affermazione di uno stato nazionale era in tardo sviluppo rispetto agli altri Paesi ma anche perché la presenza della chiesa ha avuto un’influenza più forte. Infatti con la legge Crispi, alcune istituzioni come IPAB, vennero trasformati da soggetti a gestione privata a soggetti pubblici. Durante la fine degli anni 1960 e 1970 assistiamo ad una fase di trasformazione delle politiche sociali, si afferma, inoltre, una tendenza che va dalla categorialità verso l’universalità, dalla sussistenza verso il benessere, dell’emarginazione verso l’inclusione. Proprio per questo si assiste a un processo di forte critica agli interventi che si riferivano a quelle persone portatori di determinate difficoltà come ragazze madri, ciechi o con problemi psico-fisici, in quanto questi determinavano uno spreco di risorse e una

(29)

sovrapposizione di interventi. 20 Grazie alla legge 22 luglio 1975 n. 382 si trasferiscono alle regioni varie competenze come quelle di assistenza e beneficienza pubblica. Infatti le regioni e gli enti locali vengono individuati come soggetti privilegiati nell’ambito dell’assistenza. Questi interventi normativi provocarono una trasformazione nel sistema assistenziale

facendo in modo di avvicinare il soggetto istituzionale al cittadino. La politica sociale in Italia si è sviluppata con la legge n. 328 del 2000; si è

cercato di creare un sistema integrato di interventi e servizi sociali che facesse in modo di coinvolgere vari soggetti pubblici e del privato, riconoscendo un’organizzazione di servizi rivolta a tutti i cittadini. Il sistema di welfare subisce in questo modo dei cambiamenti da un welfare state si passa a un sistema misto, chiamato welfare mix, grazie a una responsabilità maggiore degli enti locali e del terzo settore; in questo modo avremmo una sussidiarietà orizzontale invece che verticale. Con la riforma al Titolo V della costituzione, si attribuisce alle regioni l’autonomia legislativa in varie aree, come area sanitaria, sociale e scolastica, che cambia lo scenario statuario con altri attori di enti locali, soggetti pubblici, settore profit e privato sociale.

Si afferma il principio della concorrenza che può spiegare la concorrenza per il mercato e la concorrenza nel mercato; in questo modo il welfare si amplia ed è costituito da attori con caratteristiche e funzioni differenti. Si assiste a una diminuzione del sistema di welfare dove appare debole nell’affrontare i bisogni della comunità come debolezza delle reti familiari e territoriali, instabilità lavorativa ed incertezze sulle garanzie sociali. Il rapporto tra sistema assistenziale e persona continua a essere

(30)

caratterizzato da dipendenza e il cittadino rimane un fruitore passivo, questa situazione viene sottolineata dalle mancate indicazioni dello stato che devono fornire alle regioni un filo conduttore nelle politiche assistenziali.

Il servizio sociale è una disciplina che grazie al lavoro professionale dell’Assistente sociale rivolto ad individui, famiglie, gruppi in situazioni di disagio cerca di ridurre le cause del bisogno ritrovando soluzioni attraverso l’uso di risorse personali e sociali per incentivare l’autodeterminazione delle persone, e facilitando il rapporto del cittadino

con le istituzioni. 21

2.4 Riferimenti legislativi: legge quadro 8 novembre del 2000 n°

328; legge 23 marzo n° 84/93 sull’ordinamento della

professione e istituzione dell’albo professionale.

Secondo l’art. 1 della legge n.84/93, sull’ordinamento della professione e istituzione dell’albo professionale, la professione l’Assistente sociale opera con autonomia tecnico professionale in tutte le fasi d’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie e gruppi di comunità in situazioni di bisogno e svolge attività didattico-formative; svolge compiti di gestione; contribuisce all’organizzazione e programmazione, e inoltre può esercitare attività di coordinamento e direzione dei servizi sociali. L’aspetto più importante della legge si basa sul

21

Albano, U. Bucci, L. & Esposito, D.C. (2008). Servizio sociale e libera professione: dal lavoro dipendente alle opportunità di mercato. Roma, Carocci;

(31)

principio dell’ autonomia della professione, che può essere esercitato in forma autonoma ma anche in rapporto subordinato, sia privato che pubblico.

La legge afferma che, per esercitare la professione di Assistente sociale è necessario essere in possesso del diploma universitario, aver conseguito l’abilitazione tramite esame di Stato e aver effettuato l’iscrizione all’albo. A questo si rifà l’art. 2229 del codice civile, affermando che per l’esercizio delle professioni intellettuali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. Per gli aspetti penali dell’esercizio abusivo della professione l’art.348 del c.p. afferma che “chiunque abusivamente eserciti una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione, è punito con

la reclusione fino a sei mesi e con la multa da euro 103 a 516.”22 Si può definire che l’oggetto della tutela predisposta dalla norma è

costituito dall’interesse generale, riferito alla Pubblica Amministrazione, per cui determinate professioni richiedono alcuni requisiti di competenza tecnica e devono essere esercitate solo da chi ne ha le competenze richieste dalla legge. Dunque è lo Stato stesso che, tramite procedure, attesta la competenza professionale e si fa garante verso tutti coloro che adoperano tali prestazioni professionali. Per quanto riguarda l’attribuzione delle competenze proprie dell’Assistente sociale, per affidarle ad altri operatori come educatori, psicologi, sociologi, infermieri, è necessaria l’azione di tutela giuridica che deve essere esercitata dall’Ordine degli Assistenti sociali e dal Sindacato.23

22

Salombrino M. ( a cura di), l’Assistente sociale. Manuale completo per la preparazione, edizioni Simone, Napoli 2013;

(32)

In relazione a quanto indicato dalla legge della professione e dell’ordine degli Assistenti sociali, è opportuno mettere in evidenza che al concetto di responsabilità si associa quello della presa in carico, una volta accettata l’assunzione del caso, il professionista è tenuto a condurre l’incarico, definirlo, trattarlo e concluderlo con la collaborazione e soddisfazione dell’utente.24 A tal proposito è opportuno individuare le ricadute riguardanti lo svolgimento dell’attività libero-professionale, infatti è necessario evidenziare che la professione dell’Assistente sociale si connette al tema della sanità, in questo ambito sono stati definiti i LEA, livelli essenziali di assistenza, che operano nell’ambito dei distretti sanitari secondo determinati criteri, come il rapporto ottimale di un MNG, ambito sociale territoriale, ogni 1500 abitanti. Il professionista principale del distretto sociale è l’Assistente sociale, che ha le competenze di dare delle prestazioni di segretariato sociale e di servizio sociale, che dipende da parametri di riferimento, che deve essere individuato nel rapporto di un professionista Assistente sociale ogni 5000 abitanti. Questo parametro dipende dalla competenza dei Comuni di riferimento, singoli o associati nell’ambito sociale. Nel DPR 3 maggio 2001, vengono indicate le funzioni del servizio sociale professionale che sono finalizzate alla lettura e decodifica della domanda, alla presa in carico dell’utente, famiglia o gruppo sociale, all’attivazione ed integrazione dei servizi e delle risorse in rete, facendo sempre riferimento all’art. 22 della legge 328/2000. Un altro provvedimento normativo che ha definito la collocazione professionale e operativa dell’Assistente sociale, successivo alla legge n. 84/93, è stato il DPR n. 328/2001, affermando che “modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative

(33)

prove per l’esercizio di tali professioni, nonché della disciplina dei relativi

ordinamenti” che all’art. 21 ne ha descritto un quadro completo.25 Si possono individuare cinque aree di intervento per il riconoscimento

delle prestazioni professionali, come l’area relazionale, area gruppi e comunità, area didattico-formativa, area studio e ricerca, area

progettuale-programmatoria e di amministrazione dei servizi. Sul piano pubblico per quanto riguarda l’esercizio di funzioni riconosciute,

come la gestione e l’organizzazione del servizio sociale locale, previsto dalla 328/2000, si assiste ad un utilizzo da parte degli enti locali delle prestazioni libero-professionali degli Assistenti sociali, che pongono gli

stessi operatori nelle condizioni di precarietà lavorativa. La costruzione del sistema di intercettazione del bisogno mette in

evidenza la necessità di creare un sistema di rete che si basa sulla individuazione dei soggetti e delle istituzioni in grado di dare una risposta ai bisogni, e di creare rapporti sia pubblici che privati per raggiungere gli obiettivi di benessere fisico, psichico e sociale delle persone, comunità e gruppi, ma anche di inclusione sociale e di empowerment visto sul piano individuale, visto come processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e comunità acquisiscono competenze sulle proprie vite, in modo di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare la qualità di vita. Infatti, grazie all’empowerment si realizza la comunità competente, dove i cittadini hanno delle competenze, motivazioni e risorse per intraprendere attività che portino al miglioramento della vita.26

(34)

Si possono individuare vari campi d’azione dell’Assistente sociale che vengono distinti in vari settori operativi, come: counseling, mediazione familiare, mediazione penale, affidamento, amministrazione di sostegno, attività di formazione e aggiornamento del personale, attività di

supervisione e consulenza sociale degli Assistenti sociali. L’analisi normativa in ordine alle prospettive dell’esercizio della libera

professione degli Assistenti sociali, a distanza di oltre 20 anni dalla legge 23 marzo 1993 n. 84, mette in evidenza tale contesto, e ritiene che questa normativa può costituire un riferimento principale per lo svolgimento della professione. In questo contesto l’Ordine Nazionale degli Assistenti sociali svolge una funzione determinante a livello di assistenza, consulenza, sperimentazione e preparazione, ed aggiornamento del personale. Infine si può fare riferimento al codice deontologico al titolo VII “responsabilità dell’Assistente sociale nei confronti della professione al capo I, promozione e tutela della professione” art. 52 dove si afferma che l’Assistente sociale può esercitare l’attività professionale in rapporto di dipendenza con enti pubblici e privati o in forma autonoma o libero-professionale, legittima la professione come una delle forme operative in cui si svolge la professione, con obbligo però dell’iscrizione all’albo secondo quanto previsto dalla normativa.27

27

Codice deontologico (2009) recuperato da:http://www.assistentisociali.org/servizio-sociale/codice-deontologico-degli-assistenti-sociali-titolo-II.htm;

(35)

CAPITOLO 3

MODELLI TEORICI UTILIZZATI IN CAMPO PROFESSIONALE

DALL’ASSISTENTE SOCIALE;

La professione di Assistente sociale può essere svolta come attività di lavoro dipendente, assimilato al lavoro dipendente o autonomo. La professione è esercitata in modo autonomo quando l’attività è svolta nei confronti di diversi committenti, attraverso una propria organizzazione di mezzi e del lavoro ed in modo abituale quando gli atti attraverso cui si

estrinseca l’attività sono svolti con regolarità e sistematicità. I modelli teorico-operativi28 hanno lo scopo di aiutare l’operatore, tramite

l’utilizzo di una serie di conoscenze, a sviluppare ipotesi durante l’analisi di una situazione o problema per comprendere più a fondo la realtà che sta analizzando e che viene filtrata dalle rappresentazioni che essa vuol comunicare, come il racconto e la narrazione, fornito dall’utente, anche al fine di avanzare ipotesi su come poterla modificare.29 Nel servizio sociale l’obiettivo è quello di descrivere e comprendere, il significato, il senso da attribuire a specifici eventi o situazioni complesse dinamiche che si evolvono e si modificano nel tempo. La realtà individuale e sociale nel servizio sociale viene studiata controllando gli effetti del cambiamento,

verificando le ipotesi di intervento che si trovano su un processo circolare. Il servizio sociale si basa su una disciplina operativa che ha bisogno di una

(36)

base teorica che sostenga le ipotesi operative dell’operatore.30 L’analisi dei vari modelli permette di comprendere come l’elaborazione dei fondamenti teorici ai quali il servizio sociale fa riferimento venga influenzata dallo sviluppo teorico delle scienze sociali oltre le varie modifiche delle situazioni sociali dei soggetti dei quali si occupa e degli orientamenti politico-economici delle istituzioni nelle quali lavora.

3.1 MODELLO SISTEMICO RELAZIONALE; IL COLLOQUIO CON

VISIONE SISTEMICA; IL MODELLO DI RETE E LA PROSPETTIVA

RELAZIONALE DI P. DONATI;

La teoria generale dei sistemi possiede una matrice di tipo biologico; all’interno di questa si è sviluppata una corrente di tipo matematico chiamata cibernetica, che ha offerto degli spunti agli studiosi dei sistemi umani, soprattutto per quanto riguarda la riflessione sull’interazione tra gli individui.31 Si introdusse oltre al concetto di relazione quello di interazione, definendo il sistema come un insieme di elementi che interagiscono tra di loro, ammettendo l’esistenza di un’interdipendenza tra le parti e la possibilità di un cambiamento, attraverso la reversibilità della relazione.32

I sistemi possono essere di tipo diverso: si definisce sistema chiuso, quel sistema che non ha relazioni con l’ambiente né in entrata né in uscita;

30 Dal Pra Ponticelli, M. (2010), nuove prospettive per il servizio sociale, Roma, Carocci; 31

Campanini, A, (2002). L’intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale. Roma, Carocci;

32

Campanini, A, (2002). L’intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale. Roma, Carocci;

(37)

sistema aperto, quel sistema che scambia con l’ambiente materiale o informazioni e che si modifica sulla base di questi scambi. Il concetto di sistema aperto si adatta allo studio dei soggetti, per i quali l’interscambio con l’ambiente è un elemento essenziale che ne determina la vitalità, sia nella riproduzione che in quella di mutamento.33 Viene definito input un’informazione che entra nel sistema, mentre viene definito output un’informazione in uscita; per totalità di un sistema si intende che ogni sua parte è in rapporto continuo con le altre parti che lo costituiscono, che qualsiasi cambiamento di una, provoca il cambiamento in tutte le altre e anche nel sistema stesso. Infatti si può affermare che il sistema si comporta come un tutto coerente e indivisibile, quindi i fattori non possono variare singolarmente in quanto andrebbero ad intaccare o condizionare il sistema. Ogni informazione di ritorno può avere due effetti, o quello di far mantenere la stabilità del sistema ed è quindi negativa perché rinuncia al cambiamento, oppure è positiva e provoca una perdita di stabilità favorendo quindi il cambiamento.34

Per quanto riguarda il colloquio con visione sistemica, si può affermare che l’Assistente sociale dovrà assumere un atteggiamento che lo porti alla risposta o risoluzione del problema, ponendosi la domanda, a quale scopo; quindi non cercherà la causa del problema e la sua valutazione non si baserà solo sul singolo individuo ma sul sistema che lo circonda, come la famiglia o il luogo in cui vive. Affinché si realizzi un colloquio con questi

33

Campanini, A, (2002). L’intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale. Roma, Carocci;

(38)

parametri, bisogna fare riferimento a dei concetti: ipotizzazione, circolarità e neutralità.

Ipotizzazione: occorre una procedura che consente all’utente di guardare al suo problema e capire quali aspetti sono stati negativi; l’ipotesi consente all’operatore di condurre la sua ricerca durante il colloquio seguendo un filo logico. Inoltre l’ipotesi deve essere sistemica cioè deve includere tutti i componenti della famiglia per fornire una supposizione riguardante il funzionamento della famiglia. Successivamente si evidenziano i rapporti e le relazioni interne ed esterne al nucleo familiare, per comprendere il motivo di determinati atteggiamenti da parte della famiglia in quella determinata circostanza.35

Circolarità: in questa fase le domande che verranno poste devono essere espresse in maniera circolare, in modo da fare un quadro completo dei rapporti tra tutti gli individui; nel caso in cui ci fossero dei minori, bisogna interpellarli in quanto vivono la situazione e hanno una loro visione del problema e delle relazioni. È possibile inoltre, fare delle domande che proiettate nel futuro possano acquisire la capacità di immaginare soluzioni nuove ai problemi.

Neutralità: qui l’Assistente sociale deve prendere una posizione neutrale, ciò non vuol dire assumere un comportamento freddo, ma deve far capire agli utenti di non essersi schierato con nessuno.36

Il modello di rete si è diffuso in Italia intorno agli anni ’80, ed è nato da riflessioni antropologiche e ampliato attraverso riflessioni di tipo

35

Campanini, A, (2002). L’intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale. Roma, Carocci;

36

Campanini, A, (2002). L’intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale. Roma, Carocci;

(39)

psicologico con finalità terapeutiche. È stata messa a punto anche una metodologia del servizio sociale nell’ottica di rete, che rifacendosi alla sociologia relazione e partendo dal concetto di persona come unità bio-psico-sociale, mette la relazione in termini ecologici, relazionali e interattivi tra l’aspetto bio-psicologico e quello sociale-relazionale, nella genesi dei problemi dei quali si occupa il servizio sociale e sui quali con la stessa prospettiva deve intervenire puntando sullo sviluppo dell’empowerment, cioè sulla capacità di ogni utente della rete di risolvere i compiti relativi allo sviluppo, modifica e ampliamento delle relazioni esistenti tra loro all’interno della rete.37 Qui infatti l’operatore sociale deve assumere il ruolo di guida relazionale, evidenziando insieme all’utente e alle sue reti i possibili percorsi e compiti da seguire e le giuste

modalità per arrivare alla soluzione del problema. Il termine rete viene utilizzato per rappresentare il tessuto dei contatti e

rapporti che la persona costruisce intorno a sé nella sua quotidianità. Infatti quando la persona riscontra dei problemi, diventa fondamentale per l’Assistente sociale conoscere le reti per intervenire e cercherà di rinforzarle in modo che queste agiscano da supporto cercando di creare nuovi legami, reti e altre interazioni.

Analizzando il concetto di rete in se, si possono distinguere: le reti primarie, come la famiglia, parenti, amici, colleghi di lavoro; queste costituiscono l’ambito dove lo spirito del dono si istaura e si sviluppa in modo privilegiato, dando forma al mondo affettivo; le reti secondarie, sono quelle che nascono grazie alle reti primarie, cioè che si istaurano in presenza di un bisogno condiviso, in presenza di relazioni, di un aiuto o un servizio; le reti di terzo settore, si costituiscono come organizzazioni di

(40)

servizi no-profit. Sono queste le cooperative sociali, le associazioni di volontariato e le fondazioni; le reti di mercato, sono quelle che si interessano del denaro e del profitto, come le aziende, le imprese, le unità commerciali, i negozi, e le attività di libera professione; infine abbiamo le reti miste, che utilizzano un mix di mezzi di scambio come le cliniche

private che erogano le prestazioni sulla base di un corrispettivo in denaro. Gli operatori sociali utilizzano mappe di rete per comprendere la storia di

un utente a partire dalla sua rete e dalle interazioni che egli ha impostato con altre reti.38

Ho voluto soffermarmi anche sulle variabili strutturali che un’Assistente sociale utilizza nel suo operato; possiamo distinguere: la centralità, cioè la distanza di ciascun vertice dagli altri, e rappresenta un indicatore del grado di accessibilità di un vertice; densità, probabilità che tra due vertici esista un collegamento; connettività, il numero di connessioni che ogni vertice ha in media con altri e quindi la probabilità che sia connesso con un altro; incidenza, numero di collegamenti che congiungono un vertice ad altri; distanza, il percorso più breve tra due vertici, cioè tra il soggetto e un membro del gruppo; compattezza del reticolo, che si basa sia sul concetto di raggiungibilità, sia nel numero di intermediari necessari per collegare un altro punto del reticolo.

Queste variabili riguardano la forma della rete, mentre le variabili internazionali caratterizzano il processo dei comportamenti dei soggetti e si riferiscono alle relazioni.39 L’intervento di rete non è una costruzione delle relazioni sociali, ma un modo per saperle osservare, in modo da poter intervenire per una loro modificazione. Ogni oggetto sociale

38

Folgheraiter, F. (1998). Teoria e metodologia del S.S. Milano: Francoangeli.

(41)

dovrebbe essere definito in termini relazionali, infatti non è corretto affermare che la sociologia studia relazioni tra fatti sociali, ma si deve affermare che la sociologia studia i fatti sociali come relazioni in modo da ridefinire i suoi soggetti e i suoi concetti. All’inizio di una ricerca, il fenomeno oggetto d’indagine nasce da un concetto relazionale, ed è immerso in un contesto relazionale che dà origine ad un contesto o sistema relazionale.40 La sociologia relazionale afferma che la società è sia funzionale che non funzionale, e questo da vita all’approccio relazionale e dell’intervento di rete, in quanto si basa sull’includere e il non escludere attraverso operazioni di linking. Nell’approccio relazionale l’etichettamento o posizione disfunzionale non è legittima; infatti secondo questo approccio non si può e non si deve ricondurre tutto alla dicotomia funzionale o non funzionale, quello che importa è sia l’analisi sociologica, che l’intervento sociale.41

3.2 AREA CONSULENZIALE

3.2.1 MEDIAZIONE FAMILIARE

La mediazione familiare è un tipo di intervento che viene usato dagli operatori, per cercare di riorganizzare le relazioni familiari, portandoli alla risoluzione o all’attenuazione di conflitti. Il ciclo di incontri si inizia quando le parti non riescono ad attivare processi di mediazione, si pone l’obiettivo di far riapparire la capacità di dialogare nuovamente, arrivando a

(42)

comprendere i bisogni dell’altro. Questo percorso cerca di sviluppare la capacità di resilienza del soggetto, in modo da mettere da parte l’egocentrismo e sviluppare la comprensione dell’altro. Superando la rigidità di entrambe le parti, attraverso la trasformazione del conflitto, stipulano degli accordi soddisfacenti per entrambi. La mediazione familiare permette alle parti di vivere le loro conflittualità e di riorganizzare la loro vita ritrovando il benessere quotidiano. L’obiettivo principale della mediazione familiare è quello di incrementare la capacità di negoziazione tra le parti, stimolando la comunicazione nella coppia e proponendo itinerari diversi, rispetto ai propri bisogni, attraverso la costruzione di un dialogo costruttivo; i soggetti potranno in questo modo mettersi in discussione, cambiare prospettiva e comportamento. Il mediatore, ascoltando empaticamente le parti e favorendo l’ascolto reciproco, fa in modo di ascoltare le sofferenze di ciascuno aiutando a non essere giudicati, quindi permette alla coppia di aprirsi e manifestare ogni preoccupazione o malessere. Il mediatore familiare è una figura professionale che gestisce con le adeguate competenze il percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari. Egli infatti deve spiegare le sue funzioni e le sue caratteristiche, come l’imparzialità rispetto alle parti, e il dovere di segretezza rispetto ai contenuti degli incontri.42

42

Busellato, uno sguardo sulla mediazione familiare e dintorni, in professione Assistente sociale n.2/2010;

(43)

3.2.2 MEDIAZIONE PENALE

La mediazione in ambito penale è un processo che si basa alla risoluzione dei conflitti; i soggetti in esame sono la vittima e l’autore del reato, che devono partecipare alla mediazione per risolvere i contrasti nati a seguito della commissione del reato. La finalità della mediazione è quella di responsabilizzare il reo da un lato, e dare voce alla sofferenza della parte lesa dall’altro, chiarendo i motivi, le cause e le circostanze d’azione. L’iniziativa per intraprendere l’attività di mediazione spetta al giudice dell’udienza preliminare, al giudice del dibattimento, al pubblico ministero. La mediazione può essere affrontata in varie occasioni durante il procedimento: nell’ambito delle indagini preliminari, nell’attuazione della sospensione del processo e messa alla prova. Questo è ritenuto un ottimo strumento in situazioni di lieve entità per cercare di arrivare al ritiro della querela da parte della vittima. Uno degli obiettivi principali è quello di dare significato al reato come violazione dei valori umani, non solo del codice penale, infatti se il magistrato opta per l’applicazione della messa alla prova basata su attività riparatorie, come attività socialmente utili, esse dovranno avere relazioni con il reato commesso, ed essere di breve durata.

Nel 2014 è stata introdotta la mediazione vittima-reo; questa riforma prevede la possibilità degli imputati di poter chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova e fare ricorso alla mediazione mediante centri pubblici o privati.43

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