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Riflessioni su un progetto di “Codice Deontologico del Perito Libero Professionista”

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Academic year: 2022

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Dr. Generoso Avolio

Medico Centrale della Reale Mutua, Torino

Riflessioni su un progetto di

“Codice Deontologico del Perito Libero Professionista”

La necessità a livello medico di una cultura che identifichi etica con deontologia

L’attività medica non si esaurisce nel campo della tecnica

L’importanza del rispetto per il periziato, la coerenza nel metro valutativo e l’indipendenza

L’idea di un Codice Deontologico del Perito trova piena rispondenza nella condizione disastrata in cui versa l’attività peritale del medico legale: sia in campo civilistico che in campo penalistico.

Mi limiterò a ricordare la non sempre completa preparazione clinica e laboristica che le Scuole di Specializzazione forniscono agli specializzandi (l’affollamento della professione medica spinge verso la nostra specialità un sempre crescente numero di aspiranti, che vedono ingiustamente in questa branca della medicina un “rifugio” economico) e la potestà, giustamente insindacabile, dei Magistrati di scegliere i propri collaboratori medico legali, molto di frequente, senza tenere conto né della loro effettiva competenza né della complessività del problema di cui essi cercano la soluzione. Chi, in fondo, pratica una selezione fra i collaboratori medico legali sono Imprese di Assicurazione, ma anche loro tenendo ben conto nella scelta del più accettabile basso costo della collaborazione.

Un’iniziativa per cambiare lo status quo

Sono anni che la S.I.M.L.A. segnala questo stato di carenza organizzativa, inutilmente fino ad oggi e ritengo anche per il futuro.

La lodevole iniziativa dell’Associazione “M. Gioia” di proporre un Codice Deontologico del Consulente Medico Legale potrà servire almeno a fornire alla folta schiera di “periti” (bisognerebbe usare sempre il sostantivo “consulente” perché quello di perito implica una qualità di struttura non sempre esistente) un indirizzo di base sullo svolgimento ed importanza delle mansioni al C.T.

affidate e sulla responsabilità che per l’adeguatezza di adempimenti le stesse implicano.

Cinque articoli per definire il comportamento tecnico ed umano del consulente

All’inizio dell’anno in corso compariva sulla Rivista Italiana di Medicina Legale il Nuovo Codice di Deontologia Medica1 (approvato dalla F.N. il 24-25.VI.95) che contiene il testo sostitutivo del giuramento di Ippocrate con cinque articoli che a me sembrano sufficienti ad inquadrare la deontologia professionale del C.T. medico legale, sì da far comprendere forse anche ai non addetti ai lavori, quale dovrebbe essere il comportamento tecnico ed umano di un buon consulente medico legale. Giuro:

a) di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo, della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

1”Codice di Deontologia Medica”, in Riv. Ital. Med. Leg., 1995, XVII, 4, pag. 1237

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b) di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;

c) di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza e osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

d) di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

e) di astenermi dall’accanimento” diagnostico e terapeutico.

Questi 5 punti di impegno “giurato” dovrebbero bastare per fornire, a quelli che accettano di svolgere queste delicatissime mansioni, i confini indispensabili per assolvere adeguatamente le stesse, non dimenticando che:

• anche le perizie tutelano la salute e l’omeostasi dei malcapitati che vi ricorrono, e comportano necessità di impegno responsabile scientifico, umano e sociale;

• il perito non deve trascurare, mantenendosi cioè super partes, principi etici della solidarietà umana;

• il perito deve svolgere il suo mandato con diligenza, perizia e prudenza rifiutando, quando occorre, un compito che esula dalla sua capacità;

• il perito deve rispettare nella dialettica peritale i propri contraddittori, senza accanirsi su preconcetti principi di autorevolezza e superiorità che sfociano non infrequentemente nell’accanimento diagnostico. Qualche volta, e forse non solo qualche volta, i periti che si ritengono di “alto livello”, fanno dell’accanimento diagnostico (uso questo termine nel senso medico legale che è più ampio di quello clinico) la loro costante divisa.

Aggiungerei a questi articoli di giuramento la indispensabile premessa che mai il perito deve scostarsi dal rispetto per il periziato, il quale ha diritto come tutti i sofferenti, soggettivamente o oggettivamente, nella “salute” al rispetto della propria dignità.

Mi piace qui ricordare l’invocazione di Frà Marco Fabello2 sulla necessità a livello medico di una cultura che identifichi etica con deontologia.

Dopo queste brevi parole vorrei ricordare quanto scrissi al Dr. Cannavò del Gruppo di Studio quando mi sottopose la prima bozza del Codice Deontologico del Consulente Medico Legale: “...

sarebbe opportuno mettere in rilievo ancora tre aspetti:

• Uno che riguarda la coerenza: il Perito dovrà sempre usare la stessa metodologia, la stessa criteriologia, lo stesso metro valutativo, indipendentemente dalla posizione che riveste sia come medico di Impresa di Assicurazione, sia come medico di parte, sia come medico nominato dal Tribunale in qualità di C.T.U.

• Un secondo aspetto che mi sta particolarmente a cuore è quello dei diritti del leso: il Perito non dovrà mai dimenticare gli inalienabili diritti della persona che si accinge a visitare, adattandosi alle caratteristiche comportamentali, caratteriali e culturali del soggetto, dimostrando un atteggiamento sereno e disinteressato, comprensione dei suoi disturbi ed il desiderio di essere sempre pronto e disposto ad ascoltarlo.

Il Perito deve essere sempre riconoscere il sinistrato come persona, non come individuo, senza approfittare della propria autorità del momento, in campo tecnico, per sopraffare il sistema di valori di chi si trova davanti.

• Metterei in risalto poi un terzo punto e cioè l’indipendenza: il Perito deve essere indipendente, capace di astenersi quando occorra, imparziale ed inaffidabile, metodologicamente corretto nel raccogliere i dati e nel vagliarli, tenendo nel massimo conto la dignità e l’indipendenza della professione.

2 Il Medico d’Italia, 1996, 51, 5 aprile 1996, pag. 9

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Rileggendo questa mia prima nota, ho osservato che ancora una volta mi trovavo a parlare della persona individuo oggetto della perizia, della correttezza sostanziale della figura del perito medico- legale, ma quasi nulla veniva dedicato alla persona del perito, in quanto continua ad essere detto soltanto e sempre sulla sua condotta professionale.

L’attività del medico non si esaurisce nel campo della tecnica.

Infatti egli interviene nelle vicende del rapporto professionale con tutti i valori della sua personalità, per cui il mero possesso di cognizioni tecniche non è sufficiente per attuare una medicina a misura d’uomo. Con il periziato il medico deve impegnare se stesso integralmente, per instaurare nei confronti dello stesso un rapporto di pieno rispetto della persona umana, adeguando la propria personalità a quella dell’assistito. Pertanto è necessario possedere qualità soggettive di comprensione, di umanità, di prudenza, di tatto e altre di ordine spirituale, da esplicare di volta in volta, tenendo conto delle reazioni del periziato, del suo carattere, del suo ambiente sociale e familiare, della sua cultura e levatura mentale. Nella dinamica del rapporto professionale l’attività del medico si manifesta da un punto di vista tecnico e da uno comportamentale nei contatti umani con il periziato.

Sotto entrambi i profili il medico come acutamente osserva C. Lega3 è tenuto ad osservare i principi generali dell’etica, della bioetica e della deontologia che nella subbietta materia sostanzialmente coincidono. Etimologicamente deontologia sta a significare la scienza di ciò che si ha il dovere di fare per raggiungere un determinato scopo il quale ovviamente deve essere lecito. La deontologia disciplina specialmente i comportamenti del medico nei contatti umani, ma riguarda anche, sotto altro profilo, i rapporti con i colleghi, con le pubbliche autorità, con le imprese di assicurazioni e mira a mantenere intatto il decoro, il prestigio e l’indipendenza della professione medica, pur avendo carattere di interdisciplinarietà la deontologia medica aspira ad essere sistemata con criteri di unitarietà. In parte vi contrasta la frantumazione dell’esercizio professionale in numerose specializzazioni, per cui qualcuno ha preteso di configurare una serie di deontologie in relazione ad esse. Sennonché l’esercizio professionale, dal punto di vista dei comportamenti rientra sempre nell’alveo della deontologia medica codificata.

Trattandosi di regole di comportamento personale, esse lasciano un largo margine di libertà al medico il quale potrà a suo giudizio adeguatamente comportarsi nelle singole circostanze, tuttavia mirando sempre ad “umanizzare” il rapporto professionale, punto sul quale deontologia e bioetica coincidono.

Il nostro vuol essere solo un tentativo di buona volontà, da cui dovrebbe scaturire una indicazione di linee di condotta univoca per tutti i medici-legali, valutatori del danno alla persona, un pratico decalogo sulle regole del come operare, nel pieno rispetto dei rapporti con gli altri Colleghi, pur trovandosi in posizioni con interessi diversi.

Vale a dire, una sorta di regole che indichino i comportamenti da tenere sempre presenti nel nostro operare quotidiano.

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Firenze4 ha ricordato che gli obblighi di deontologia che gravano sul medico sono ben più gravi ed impegnativi di quelli che gravano sul comune cittadino al quale le regole della buona condotta civile e penale impongono soltanto il rispetto dei codici e delle leggi dello Stato.

Il professionista ha obblighi ben più profondi: oltre a rispettare le leggi egli deve rispettare le regole che la professione si autoimpone, al duplice fine della salvaguardia delle esigenze della collettività e della salvaguardia al decoro della professione medesima.

Ed è proprio grazie alla deontologia che si vede esaltato nella sentenza della Corte d’Appello di Firenze il valore dei codici deontologici, che secondo l’espressa precisazione della Corte:

“vorrebbero il medico sempre sensibile, attento e impegnato nell’esercizio solidaristico, illuminato ed esigente della propria alta missione”.

3 C. Lega, Manuale di bioetica e deontologia medica, Giuffrè ed. Milano, 1991, pp. 77-79-80

4 Il Medico d’Italia, Legislazione, 1996, 42, 31 gennaio 1996, p. 17

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La responsabilità individuale

Questi obblighi ben più gravi ed impegnativi di quelli che gravano sul comune cittadino riguardano ovviamente anche il medico legale, valutatore del danno alla persona.

La visione dell’uomo che sempre più spesso ci viene fornita dai massmedia è quella di una persona passiva, completamente dominata da fattori biologici o ambientali che sfuggono al suo controllo.

Ci siamo così abituati a giustificare connesse con il mondo del lavoro ogni sorta di diversioni:

tutto può essere ormai “spiegato” senza mai chiamare in causa la nozione di responsabilità individuale.

Ne consegue che le azioni dell’uomo non diventano più il risultato di un scelta personale, poiché questo uomo sa riflettere su di sé e sul suo comportamento oppure sa distaccarsi con il pensiero dalla immediatezza di spinte contingenti, lasciando lo spazio ad un agire condizionato da costrizioni biologiche o ambientali. Questo vuol dire che la libertà decisionale viene declassata a strumento interpretativo manipolato da altri.

In mancanza del richiamo alla responsabilità individuale si assiste al fenomeno del cosiddetto disimpegno morale5. Esso consiste nel costruire un insieme di giustificazioni che consentono, per così dire, la quadratura del cerchio in campo morale. Permettono infatti di agire in contraddizione con il proprio codice morale senza vergognarsi o senza sentirsi in colpa e senza dovere chiaramente ancora abdicare ad esso: la responsabilità non è mia, ma del datore di lavoro, del gruppo, dell’intera società.

Pensando all’attività professionale del perito, il ruolo di fiduciario o di consulente di parte autorizza delle “concessioni” ad un comportamento contrastante, discontinuo, dissociato.

Abbiamo il severissimo medico della società assicuratrice che allarga il mandato professionale per scoprire la verità, invece che per valutare quella parte del mosaico a lui affidata nella determinazione di un problema.

Una netta rivalutazione della responsabilità individuale compare nella recente letteratura sociologica: si tratta di una rivalutazione spesso implicita, che non si avvale più di implicazioni filosofiche e neuropsicologiche del problema, ma discende molto pragmaticamente dalla constatazione che nello sviluppo in genere dei comportamenti della persona è indispensabile fare ricorso alla consapevolezza del singolo.

Oltre un anno fa ho tenuto una relazione congressuale in cui verificavo la figura del consulente medico centrale di assicurazione nell’ambito europeo ed extraeuropeo: mentre raccoglievo i dati tecnici, ho scoperto che in molti paesi si ritiene ammissibile la separazione fra la gestione di una società assicuratrice e la condotta di un singolo professionista: questo dimostra che in presenza di insufficienze ambientali e operative l’uomo da solo può rispondere in modo attivo e creativo offrendo fiducia grazie alla propria responsabilità individuale.

Intendo ribadire che la deresponsabilizzazione o una società di irresponsabili non può che danneggiare qualunque spinta deontologica e le codificazioni ad essa connesse6.

Nuovi aspetti della prestazione peritale professionale

Nel 1974 Freudenberger7 introduce in letteratura il termine burnout (dall’inglese “bruciato”) parlando di uomini e donne dinamici, carismatici e risoluti che, lasciandosi coinvolgere anche intimamente, si impegnano fino all’esaurimento in quello che fanno.

5 C.V. Carrara, “Disimpegno morale”, in Dizionario di Psicologia, Einaudi, Torino, 1994, p. 283

6 M.S. Gazzaniga, The Social Brain, Ed. Giunti, Firenze, 1989, p. 47

7 H.J. Freudenberger, Psicologia del lavoro, Haute ed., New York, 1974, p. 91

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Nel 1983 Fisher8 proponeva delle differenziazioni concettuali, di distinguere cioè burnout in senso stretto da wearout, che intende logoramento, e da rustout, che intende figurativamente la persona “arrostita”.

Con termini semplici si può spiegare il wearout con circostanze esterne, che appesantiscono e sovraccaricano i soggetti passivi o che non sanno negarsi agli altri; il termine rustout designa una volontà vittimistica che porta a giustificare con stress e con sconfitte la mancata intraprendenza o un raggiunto valore. Il burnout diventa il blocco di un professionista che segue una meta irraggiungibile senza riuscire a ridimensionarla o a rinunciarvi.

Con terminologia più nota ai medici legali basta ricordare il deprecato “criterio dell’autorevolezza” che in modo strisciante si aggiunge ai parametri classici della criteriologia codificata.

Parlando del professionista medico legale perito o fiduciario, troviamo nell’ultimo decennio una tecnologia esasperata, una metodica aggressiva, la volontà di raggiungere un risultato oppure “il risultato per eccellenza” che non coincide con il ritrovamento della verità oppure con il risultato professionalmente lodevole ma piuttosto con una vittoria personale “a qualunque costo”.

In tempi di recessione economica, quando anche le cosiddette professioni del futuro non paiono offrire più sblocchi, mentre persino i manager più qualificati si ritrovano in mezzo alla strada, una cultura del lavoro deve farsi avanti9 Questa cultura deve portare con sé una ridefinizione del concetto di prestazione, di condotta corretta, di successo ed un ripensamento obbligatorio e non più rinviabile in certi valori non materialistici dati prematuramente per spacciati dal tecnicismo galoppante dell’ultimo decennio.

Credo che questi piccoli suggerimenti debbano in qualche modo rientrare in un codice deontologico professionale con i caratteri della modernità e dalla aderenza a prospettive future.

8 H.J. Fisher, “La sindrome da affaticamento”, in Psychologie Heute, Berlin, 1994, p. 144

9 H.J. Fisher, op. cit., p. 87

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