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Colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (ERCP): studio osservazionale monocentrico di una casistica decennale (2009-2019). Stratificazione delle complicanze per fasce di eta e fattori di rischio.

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CAPITOLO I

ERCP: METODICA E INDICAZIONI

La colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (ERCP, endoscopic retrograde cholangiopancreatography) è una procedura endoscopica nel corso della quale, dopo aver visualizzato la papilla di Vater e dopo aver cateterizzato ed opacizzato i dotti biliari e/o pancreatici con del mezzo di contrasto specifico, vengono eseguite, sotto controllo endoscopico e radiologico, manovre diagnostiche e/o terapeutiche efficaci nella gestione della maggior parte delle patologie bilio-pancreatiche [Di Giulio E, 2008]. Tale procedura è stata introdotta nel 1968 e utilizzata da subito come una valida e sicura metodica diagnostica per la valutazione dei disordini bilio-pancreatici [McCune WS, 1968], ma è con l’avvento della sfinterotomia endoscopica nel 1974 che si è sviluppato il suo ruolo terapeutico [Kawai K, 1974] [Classen M, 1974]. Da allora il ruolo dell’ERCP si è evoluto da strumento prettamente diagnostico a strumento prevalentemente terapeutico, anche grazie anche al concomitante sviluppo di diverse metodiche diagnostiche altrettanto accurate ma meno invasive e rischiose quali la Tc con mdc, la colangio-risonanza magnetica e l’ecoendoscopia [Anderson MA,2012]. Trattandosi di una procedura endoscopica avanzata l’apprendimento richiede un training di almeno 180 esami per acquisire la sufficiente competenza diagnostica e terapeutica (incannulazione profonda del coledoco nel 70-80%) [Jowell PS, 2006]; inoltre, per mantenere un’adeguata performance, l’endoscopista dovrebbe effettuare almeno 40 sfinterotomie l’anno [Freeman ML, 1996].

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1. METODICA

L’ ERCP è una metodica combinata endoscopica e radiologica. Si esegue con paziente a digiuno da almeno 6-8 ore in regime di sedo analgesia o in sedazione profonda con assistenza anestesiologica e monitoraggio dei principali parametri vitali (frequenza cardiaca, saturazione O2, pressione arteriosa, ECG) [Chutkan RK, 2006]. Al pari delle altre procedure endoscopiche è necessario acquisire il consenso informato dal paziente dopo una corretta spiegazione degli intenti e i rischi della metodica [Cotton PB, 2006] [Frakes JT, 2006]. L’ERCP procedura viene effettuata con paziente in decubito laterale sinistro, prono o supino; inoltre durante l’esame è possibile adottate differenti posizioni del paziente nonché proiezioni dell’apparecchio radiologico per ottimizzare la visualizzazione dei dotti biliari e/o pancreatici. La strumentazione base prevede l’utilizzo di un endoscopio a visione laterale (duodenoscopio), una fonte luce e una colonna endoscopica per il processamento e l’acquisizione delle immagini [Leung J, 2005]. La fase di intubazione dell’esofago, a differenza della gastroscopia, avviene “alla cieca” in quanto il duodenoscopio prevede una visione laterale che non permette una intubazione sotto visione diretta. Una volta visualizzata la papilla il primo passo consiste nell’accedere con un catetere al sistema duttale - biliare o pancreatico - richiesto dalla problematica clinica del paziente. Per ottenere una incannulazione efficace è necessario ricordare che generalmente, prendendo come riferimento la papilla, la direzione del coledoco si trova tra le ore 11 e le 1 di un orologio, mentre il dotto pancreatico corrisponde è posizionato tra le 2 e le 3. L’incannulazione dovrebbe essere selettiva e profonda e in caso di insuccesso è possibile utilizzare un filo guida e/o eseguire un’incisione della papilla stessa (pre-cut) con un particolare sfinterotomo (needle-knife). Una volta cateterizzato il dotto richiesto, viene iniettato il mezzo di contrasto, generalmente non ionico, sotto guida radioscopica per permettere di accertare la

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corretta posizione della strumentazione, di acquisire una completa iconografia dei dotti e valutare la patologia del paziente. La fase successiva prevede l’esecuzione della sfinterotomia che si effettua inserendo prima profondamente nel dotto l’accessorio, successivamente estraendolo lasciando circa 2/3 della lunghezza del filo di sezione all’esterno e mettendolo in trazione moderata in quanto l’incisione deve avvenire gradualmente e per effetto della corrente diatermica e non dell’eccessiva pressione del filo. Anche la direzione dell’incisione deve essere tra le ore 11 e le ore 1, la sua lunghezza dipende dall’anatomia della papilla e dalla necessità clinica del momento, l’incisione non dovrebbe superare il polo prossimale della struttura anatomica costituita dalla compressione del coledoco sul duodeno (aumento rischio sanguinamento e perforazione). Eseguita la sfinterotomia si passa alla fase più direttamente rivolta alla soluzione del problema clinico del paziente: estrazione di calcoli mediante cateteri a palloncino e/o cestelli, posizionamento di protesi plastiche o stent metallici in caso di stenosi benigne e/o maligne, esecuzione di drenaggi biliari, effettuazione di biopsie o brush citology [Di Giulio E, 2008]. Recentemente l’introduzione di un nuovo accessorio chiamato Spyglass® (Boston Scientific, Natick, MA, USA) ha permesso la visione diretta delle vie biliari. Questo è infatti un coledocoscopio a fibre ottiche che viene introdotto all’interno dell’albero biliare dal canale operativo del duodenoscopio in modo del tutto analogo agli altri accessori. Lo Spyglass® fornisce la possibilità di effettuare una diagnostica più raffinata, effettuare litotrissie dirette di grossi calcoli e campionamento di tessuto all’interno delle vie biliari [Chen YK,2007]. Al termine della procedura il paziente deve essere messo in osservazione e monitorizzato per almeno 12 ore che è la finestra temporale nella quale si manifestano la maggior parte delle complicanze. Se il paziente è asintomatico si può introdurre una dieta liquida dopo alcune ore dal termine dell’ERCP quindi, in assenza di dolore, è possibile passare ad una dieta solida il giorno successivo alla procedura.

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Per quanto riguarda l’ERCP sono stati proposti alcuni indicatori di qualità che dovrebbero essere registrati dal centro dove viene effettuata la procedura (ASGE 2015) [Adler, 2015]:

- Frequenza con cui si effettua una ERCP con una corretta indicazione e con relativa documentazione di quest’ultima (clinica, laboratoristica, radiologica) - Percentuale di incannulazione del dotto di interesse in pazienti con papille vergini

in assenza di alterazioni anatomiche o chirurgiche

- Percentuale di bonifica del coledoco per calcoli <1 cm in pazienti con normale anatomia dei dotti biliari

- Percentuale di successo di posizionamento di stent per ostruzione biliare a valle del dotto epatico comune

- Percentuale di pancreatite post ERCP

Le alternative alla procedura cambiano a seconda che si tratti di una indagine diagnostica o della necessità di un approccio terapeutico/interventistico. Per la diagnostica l’ecografia rimane lo strumento di primo livello per lo studio delle vie biliari e del pancreas, questa metodica ha però una bassa sensibilità, specificità ed elevata dipendenza dall’operatore rispetto ad altri esami radiologici di secondo livello quali la TC con mdc e la colangio RM. In particolare quest’ultima ha un’ottima sensibilità (81-100%), specificità (94-98%) e accuratezza diagnostica (94-97%) [Czako L, 2004] [Ueno E, 1998]. Stando a questi dati l’utilizzo della Colangio-RM nella pratica clinica è ampiamente giustificato per evidenziare la presenza di quelle condizioni suscettibili di trattamento endoscopico che possono quindi beneficiare dall’esecuzione dell’ERCP. L’ecoendoscopia (EUS) è un esame endoscopico e radiologico di terzo livello che può essere utilizzato in vari momenti del percorso diagnostico/terapeutico e che presenta un’elevata sensibilità (91-99%) e specificità (83-94%) [Meeralam Y, 2017]. La

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colangiografia percutanea (PTC) rappresenta l’alternativa diagnostica più invasiva e non permette la visualizzazione del dotto pancreatico. La PTC può agire anche in senso terapeutico, infatti la metodica permette il posizionamento di stents, il trattamento di stenosi mediante dilatazione e il posizionamento di drenaggi biliari [Trerotola SO, 1992]. Pertanto la PTC può essere indicata nelle situazioni cliniche in cui la papilla non sia raggiungibile o quando ci sia stato un fallimento in un precedente approccio endoscopico.

2. INDICAZIONI

L’ERCP trova indicazione nella diagnosi e soprattutto nel trattamento di numerosi quadri patologici bilio-pancreatici. Negli ultimi anni Il suo utilizzo nella diagnostica ha subito una importante diminuzione, infatti altre metodiche strumentali come la TC, la colangio-RM e l’EUS sono capaci di fornire le stesse informazioni con minor invasività ed incidenza di possibili complicanze [Mallery JS, 2003] [Masci E, 2001] [Tanner AR, 2000]. Sono controindicazioni assolute all’ERCP le stenosi faringee o esofagee, una grave coagulopatia e l’anamnesi positiva per pregressa reazione anafilattica al mezzo di contrasto. Sono invece controindicazioni relative l’ipertensione portale con varici esofagee e/o gastriche, la pancreatite acuta (con eccezione dell’eziologia biliare), un recente infarto miocardico e patologie cardiopolmonari severe [Silvieira ML, 2009]. I pazienti gastro-resecati potrebbero presentare relativa controindicazione all’esecuzione dell’esame in virtù dell’alterata anatomia gastro-duodenale che potrebbe rendere particolarmente difficoltoso, talora impossibile, il raggiungimento della papilla. In particolare pazienti sottoposti a chirurgia con confezionamento di ansa alla Roux non possono essere trattati con ERCP tradizionale; pazienti con gastroresezione e

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confezionamento di anastomosi secondo Billroth II presentano una più alta incidenza di complicanze procedurali e post procedurali correlate all’ERCP [Baron UC, 2009].

Indicazione all’ERCP secondo line guida ASGE [Chathaldi KV, 2015]:

A) Paziente itterico con ostruzione delle vie biliari (Raccomandato approccio terapeutico)

B) Paziente non itterico con segni clinici e biochimici o radiologici di patologia biliare o pancreatica

C) Paziente con clinica suggestiva di neoplasia e con imaging (US, TC, colangio-RM, EUS) non chiaro o negativo

D) Paziente con pancreatite acuta recidivante ad eziologia non chiara

E) Valutazione preoperatoria in paziente con pancreatite cronica/pseudocisti

F) Valutazione manometrica dello sfintere di Oddi (Sfinterotomia empirica senza manometria non è indicata nel sospetto di disfunzione di Oddi di tipo III)

G) Sfinterotomia nelle seguenti situazioni : - Coledocolitiasi

- Scleroddite, disfunzione sfintere di Oddi

- Sfinterotomia di servizio per stent o dilatazione di stenosi - “Sump Syndrome”

- Coledococele della papilla Maior

- Carcinoma della papilla in paziente non candidabile a chirurgia - Di servizio per accedere al dotto pancreatico

H) Posizionamento di Stent per stenosi benigne o maligne, fistole, leak biliari, pazienti ad alto rischio con calcoli coledocici grossolani non rimuovibili in un tempo

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J) Dilatazione pneumatica della papilla K) Posizionamento di drenaggio naso-biliare L) Drenaggio di Pseudocisti

M) Prelievo di tessuto dall’albero biliare o dotti pancreatici N) Trattamento endoscopico dell’ampulloma

O) Colangioscopia, pancreascopia

Le stesse linee guida elencano anche una serie di situazioni cliniche nelle quali l’ERCP non è generalmente indicata:

A) Dolore addominale di ndd in assenza di dati che possano suggerire una eziologia biliare o pancreatica. In questi casi possono essere usati strumenti diagnostici meno invasivi quali la colangio-RM o l’EUS

B) Prima di una colecistectomia laparoscopica in assenza di segni di ostruzione biliare

C) Per valutare una patologia colecistica in assenza di patologie dei dotti biliari D) Come ulteriore valutazione nella diagnosi di cancro pancreatico senza che questa

possa modificare la successiva gestione clinica

2.1. Patologie biliari

L’ERCP è particolarmente utile nella gestione dell’ittero ostruttivo legato alla litiasi biliare o alla presenza di stenosi delle vie biliari e in questi quadri il successo tecnico, cioè la risoluzione dell’ostruzione, si ottiene in oltre il 90% dei casi [NIH,2002]. La causa più frequente di ostruzione biliare è la coledocolitiasi che dal punto di vista clinico si può manifestare con colica biliare, ittero, colangite o pancreatite acuta biliare [Adler

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DG, 2005]. La sensibilità e la specificità dell’ERCP nel diagnosticare la litiasi biliare è di oltre il 95% e solo occasionalmente vengono misconosciuti calcoli di piccole dimensioni. L’ERCP può essere effettuata dopo (o durante) l’intervento di colecistectomia quando viene posta diagnosi intraoperatoria di calcoli della via biliare che non sarebbero rimossi con l’intervento, oppure nella fase pre-operatoria in caso di ittero persistente, iper transaminasemia, nella mancata risoluzione della pancreatite acuta biliare o in caso di colangite [NIH, 2002]. In particolare, nelle forme di colangite e pancreatite acuta con documentata persistente ostruzione delle vie biliari, è indicato effettuare l’ERCP nell’arco delle prime 24 ore per ridurre la mortalità e il rischio di sviluppare complicanze [Tenner S, 2013]. La rimozione dei calcoli si ottiene solitamente con l’utilizzo di palloni tipo Fogarty o Dormia baskets, talora calcoli di grandi dimensioni o impattati possono essere difficili da rimuovere nel qual caso può rendersi necessaria una litotrissia meccanica [Leung JW, 2004], l’utilizzo di una dilatazione pneumatica della papilla (DASE), la litotrissia extracorporea (ESWL) o lo Spyglass. Se il tentativo di rimozione risulta infruttuoso è comunque necessario e indicato decomprimere la via biliare posizionando uno stent o un sondino naso-biliare (SNB) [Adler DG, 2005]. La terapia endoscopica da sola, senza successiva colecistectomia, potrebbe essere la terapia di scelta in un gruppo selezionato di pazienti con importanti comorbilità che ne aumenterebbero eccessivamente il rischio operatorio, anche se è noto che in questi casi sintomi biliari ricorrono più spesso - circa il doppio - rispetto ai pazienti colecistectomizzati [Pereira-Lima JC, 1998]. Il tasso medio di complicanze nel trattamento endoscopico della coledocolitiasi è del 5% con un tasso di mortalità inferiore all’1% in mani esperte, risultati nettamente migliori di quelli riportati in molte serie chirurgiche [Adler DG, 2005]. L’ERCP trova indicazione nella diagnosi e nel trattamento delle stenosi biliari benigne e maligne. In quest’ultimo caso, oltre al tentativo di risoluzione del quadro ostruttivo, possono essere effettuati biopsie e

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brushing con lo scopo di ottenere una diagnosi istologica/citologica anche se in questo la sensibilità della metodica raggiunge appena il 60% [Hawes RH, 2002]. Il trattamento delle stenosi biliari prevede la dilatazione pneumatica e il posizionamento di uno stent. Le stenosi benigne, quali le stenosi post-chirurgiche, le stenosi dominanti nella colangite sclerosante primitiva (CSP) e le stenosi biliari e pancreatiche nella pancreatite cronica sono trattate mediante dilatazione pneumatica, con successivo posizionamento di stents al fine di mantenere la pervietà dopo la dilatazione [Adler DG, 2005]. Le stenosi maligne vengono spesso gestite con il posizionamento di uno stent - temporaneo o permanente - a scopo palliativo. In alcune situazioni il posizionamento di uno stent per una stenosi maligna può costituire un “bridge” per l’intervento chirurgico [Rodarte M, 2015].

La disfunzione dello sfintere di Oddi (SOD) è una condizione che può provocare segni e sintomi biliari e/o pancreatici. Se ne conoscono tre varianti: il tipo 1 caratterizzato da episodi di dolore tipico da colica biliare con dilatazione delle vie biliari e alterazione degli indici di colestasi e necrosi epatocellulare, il tipo 2 caratterizzato da episodi di dolore tipico da colica biliare con dilatazione delle vie biliari o l’alterazione degli indici di colestasi/necrosi epatocellulare e il tipo 3 in cui il dolore tipico biliare non si accompagna ad alterazioni radiologiche né ematochimiche. Talora è necessaria la conferma diagnostica mediante manometria dello sfintere [Petersen BT, 2004]. Nella SOD di tipo 1 e 2 è indicata la sfinterotomia biliare che si è dimostrata in grado di alleviare il dolore in oltre il 90% dei casi, dati contrastanti esistono invece per il tipo 3 [Adler DG, 2005]. Tra le altre possibili indicazioni ricordiamo le fistole coledociche (bile-leaks), tipicamente post-chirurgiche, nelle quali vi è indicazione al posizionamento di stent per via endoscopia - ed eventuale SNB - al fine di ripristinare la continuità del dotto. Lo stent va mantenuto in sede per almeno 4-6 settimane [Adler DG, 2005], successivamente si può procedere alla rimozione sempre mediante ERCP.

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2.2. Patologie pancreatiche

Numerosi disordini pancreatici possono essere diagnosticati e trattati endoscopicamente. L’ERCP gioca ancora un ruolo diagnostico nello studio dell’anatomia dei dotti biliari e pancreatici in pazienti con episodi di pancreatite acuta recidivante nei quali non sia stata trovata un’eziologia con metodiche diagnostiche meno invasive (colangio-RM con o senza secretina, ecoendoscopia). Il pancreas divisum è una malformazione congenita presente in circa il 7% della popolazione causata e caratterizzata dalla mancata fusione embrionale dei dotti pancreatici dorsale e ventrale [Adler DG, 2005]. Tale alterazione anatomica può manifestarsi clinicamente con episodi di pancreatite acuta recidivante, e trova indicazione al trattamento endoscopico con papillotomia della papilla minor [NIH,2002]. Nei pazienti affetti da pancreatite cronica l’ERCP permette l’accesso diretto al dotto pancreatico per la valutazione e il trattamento di calcoli, stenosi e pseudo-cisti [Adler DG, 2005]. Le stenosi del dotto pancreatico possono essere trattate con successo mediante dilatazione pneumatica e posizionamento di stent, in questi casi il successo nel controllo della sintomatologia algica varia molto nei differenti studi [Lehman GA, 2002]; pur risultando inferiore in termini di successo rispetto al trattamento chirurgico, la terapia endoscopica è comunque da preferire alla chirurgia per la sua minore invasività e il trattamento chirurgico va riservato in caso di fallimento o di recidiva dei sintomi [Dite P, 2003]. Per quanto riguarda la litiasi pancreatica questa può contribuire al dolore addominale e agli episodi di riacutizzazione. In questi pazienti la sfinterotomia pancreatica e la rimozione dei calcoli possono risultare manovre difficoltose per la presenza delle stenosi, rendendo talora necessaria una litotrissia extra-corporea (ESWL) per la frammentazione dei calcoli prima della loro rimozione [Adler DG, 2005]. Le complicanze locali della pancreatite acuta sono le raccolte fluide peripancreatiche, le pseudo-cisti, le necrosi pancreatiche e peri-pancreatiche sterili o

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infette e le walled-off necrosis (WON) sterili o infette. Spesso queste complicanze possono essere gestite in maniera conservativa ma talvolta, ad esempio in caso di ostacolo all’outlet gastrico o di compressione sulle vie biliari o ancora in caso di infezione batterica delle aree necrotiche non gestibile con la terapia antibiotica, potrebbe essere indicato un approccio per via endoscopica (drenaggio transgastrico o trans-papillare di pseudo-cisti o di raccolte necrotiche, necrosectemia per via endoscopica). Secondo dati recenti la gestione mini-invasiva di queste complicanze presenterebbe un’ottima percentuale di successo e minori morbilità e costi rispetto alla gestione chirurgica [Tenner S, 2013]. Le lesioni del dotto pancreatico possono essere secondarie a processi flogistici acuti e cronici, traumi o iatrogene in corso di interventi chirurgici; possono determinare la formazioni di pseudo-cisti, di ascite pancreatica o entrambe [Adler DG, 2005]. Il trattamento delle lesioni del dotto pancreatico prevede generalmente il posizionamento temporaneo di uno o più (“bridging”) stents per via trans-papillare [Telford JJ, 2002]. Il ruolo dell’ERCP nelle neoplasie pancreatiche è limitato al posizionamento di stent in caso di ittero ostruttivo e alla conferma diagnostica, quando non ottenuta con metodiche meno invasive, mediante biopsie o citologia brushing.

2.3. Patologie dell’ampolla

In questo contesto l’indicazione principe all’ERCP è la diagnosi e il trattamento degli

adenomi dell’ampolla. L’ampullectomia con eventuale sfinterotomia biliare e/o

pancreatica, e “protezione” della via biliare e pancreatica con stents in plastica, permette la completa rimozione dell’adenoma nell’80-90% dei casi [Catalano MF, 2004]. Successivamente è necessario uno stretto monitoraggio endoscopico per valutare la completa eradicazione e la possibile recidiva il cui rischio è particolarmente significativo

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nei pazienti affetti da poliposi adenomatosa familiare (FAP) [Norton ID, 2001]. Il paziente con adenocarcinoma della papilla che non sia candidabile a chirurgia può essere candidato a un trattamento di sfinterotomia con o senza il posizionamento di stent.

CAPITOLO II

COMPLICANZE POST-ERCP

Negli ultimi venti anni la tecnica e gli accessori per l’esecuzione dell’ERCP sono molto migliorati facilitando l’incannulazione del dotto desiderato e riducendo il trauma sulla papilla, ma nonostante questo l’incidenza delle complicanze correlate all’ERCP è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi anni [Freeman ML, 2012]. Trattandosi di una delle procedure endoscopiche più complesse il rischio di complicanze riportato in letteratura si assesta in media tra il 5% e l’8% [Wang P, 2009]. Tuttavia esiste un’ampia variazione nelle differenti casistiche in base alla complessità della procedura e alle caratteristiche individuali del paziente, ma anche al disegno dello studio e alla definizione delle complicanze stesse [Szary NM, 2013] [Anderson MA, 2012]. Le principali complicanze correlate all’ERCP riportate in letteratura sono la pancreatite acuta, il sanguinamento, la perforazione e le infezioni (colangite/colecistite/sepsi/shock settico) [Anderson MA, 2012]. La mortalità correlata all’ERCP diagnostica è di circa lo 0.2% mentre sale allo 0.4-0.5% in caso di manovra terapeutica [Freeman ML, 1996] [Loperfido S, 1998] [Andriulli A, 2007]. La mortalità è sempre correlata a una delle complicanze e tale rischio deve essere sempre preso in considerazione, anche alla luce delle comorbilità del paziente, quando si pone indicazione all’ERCP.

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1. PANCREATITE

La pancreatite post-ERCP (PEP, post-ERCP pancreatitis) rappresenta la più frequente delle complicanze correlate all’ERCP. Sebbene un transitorio e asintomatico aumento degli enzimi pancreatici si verifichi in quasi il 75% dei pazienti [Freeman ML, 2004] tale incremento non definisce un quadro di pancreatite. La definizione più largamente accettata di PEP è la seguente: (1) peggioramento o comparsa di dolore addominale con (2) incremento di almeno 3 volte rispetto al valore normale di amilasi o lipasi seriche ad almeno 24 ore di distanza dalla procedura, tali da richiedere il (3) prolungamento dei tempi di ricovero di almeno due notti o una nuova ospedalizzazione [Cotton PB, 1991]. La PEP può essere definita lieve, moderata o severa a seconda dei tempi di ospedalizzazione richiesti (rispettivamente 48h, 2-10 giorni, oltre i 10 giorni). La PEP severa è anche caratterizzata da una evoluzione necrotico emorragica con sviluppo di versamenti e pseudocisti che richiedano un drenaggio percutaneo/endoscopico o chirurgia. Pur attenendosi a questa definizione, o ad altre molto similari, una meta-analisi condotta su 21 studi prospettici e quasi 16.000 procedure ha riportato una percentuale media di PEP del 3.5% ma con un’ampia variabilità nei diversi studi, tra l’1.6% e il 15.7% [Cotton PB, 2009] [Barthet M, 2002] [Andriulli A, 2007]. All’interno di questo studio le pancreatiti sono anche state anche divise per severità in lievi (45%), moderate (44%) e severe (11%); la mortalità legata a questa complicanza è stata del 3%. In linea generale il meccanismo patogenetico alla base della PEP sarebbe legato al trauma generato sulla papilla - ad esempio dai ripetuti tentativi di incannulazione – con conseguente edema, ipertono sfinteriale e peggiore drenaggio dai dotti pancreatici con conseguente ipertensione duttale, possibile spandimento dei succhi pancreatici con innesco della cascata flogistica e autodigestione dell’organo [Cennamo V, 2010] [Szary NM, 2013]; un altro possibile meccanismo potrebbe essere un danno idrostatico derivante dall’iniezione di mezzo di contrasto nel dotto pancreatico ad esempio in corso

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di incannulazione involontaria del Wirsung [Sherman S. 1994]. La gestione clinica della PEP non differisce, per quanto riguarda le misure di carattere generale, dalla gestione delle altre forme di pancreatite acuta per la quale si rimanda alle linee guida correnti [Crockett D, 2018].

1.1. Fattori di rischio

Fattori di rischio per PEP [Badalov N, 2009 ] [Mariani A,2012]

A) Operatore dipendenti

- Training inadeguato - Mancanza di esperienza

- Basso numero di procedure del centro

B) Caratteristiche paziente

- Giovane età - Sesso femminile

- Normali valori di bilirubina - Pregressa pancretite/PEP - Disfunzione sfintere di Oddi - Vie biliari non dilatate

C) Caratteristiche della procedura

- Incannulazione difficoltosa

- Incannulazione accidentale e iniezione di mdc nel dotto pancreatico (2x) - Manometria sfintere di Oddi

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- Sfinterotomia

- Sfinterotomia papilla minor - Sfinteroplastica penumatica - Ampullectomia

- Uso di precut

Dai numerosi studi presenti in letteratura è stato possibile evidenziare i principali fattori di rischio per la PEP. Si tratta di condizioni relative al paziente (giovane età, sesso femminile, sospetto clinico di SOD, anamnesi positiva per PEP, anamnesi negativa per pancreatite cronica, vie biliari non dilatate, normali valori di bilirubina pre-procedura), relative alla procedura (dilatazione pneumatica dello sfintere biliare, sfinterotomia con pre-cut, sfinterotomia pancreatica, bonifica biliare incompleta, opacizzazione dei dotti pancreatici >2, brushing Wirsung, incannulazione difficile) [Lee TH, 2014] o legate all’esperienza dell’operatore o al basso volume di esami del centro [Freeman ML, 2002]. E’ stato inoltre dimostrato che tali fattori, quando coesistono, agiscono in maniera sinergica nell’aumentare in rischio di PEP [Freeman ML, 2001]. E’ noto che le donne, in particolare in giovane età, presentano un rischio di PEP aumentato rispetto agli uomini [Freeman ML, 1996 e 2001] [Trap R, 1999] [Vandervoort J, 2002] anche se studi più recenti sembrerebbero non confermare questo dato [Testoni PA, 2003] [Andriulli A, 2007] [Katsinelos P, 2014]. In letteratura è riportato che la SOD è una condizione che può incrementare il rischio di PEP fino al 20-25%, in particolare per quanto riguarda la SOD di tipo III nella quale la discinesia sarebbe sostenuta da episodi transitori di spasmo dello sfintere [Freeman ML, 2001] in cui l’ipertono sarebbe aggravato dall’edema secondario al trauma generato sulla papilla dai ripetuti tentativi di incannulazione [Cennamo V, 2010]. Anche l'anamnesi positiva per pregressa pancreatite acuta, sia post-ERCP che non, costituirebbe un fattore di rischio per lo sviluppo di PEP [Katsinelos P, 2014]. Nonostante

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una selezione accurata dei pazienti e l’esecuzione dell’esame da parte di un operatore esperto in ERCP riduca il rischio di PEP, esistono delle variabili correlate alla procedura stessa che incrementano tale rischio [Szary NM, 2013]. Un’incannulazione difficile con necessità di pre-cut e/o con accidentale opacizzazione dei dotti pancreatici aumentano il rischio di PEP. In letteratura non esiste una definizione unanime di “incannulazione difficile”, secondo l’opinione degli esperti si può parlare di incannulazione difficile quando si assiste al mancato accesso alla via biliare con filo-guida dopo 10 minuti di tentativi o con più di 5 contatti con l’orifizio papillare o con più di 3 incannulazioni non volute del dotto pancreatico o in presenza di una papilla cosiddetta “hook-noseshaped” [Lee TH, 2014]. In questi casi i dati riportano una incidenza di PEP dal 3.3% al 14% [Vandervoort J, 2002]. Anche la ripetuta opacizzazione accidentale dei dotti pancreatici costituisce un importante fattore di rischio per la PEP [Wang P, 2009], in particolare se questa avviene >2 volte nella stessa procedura. L’aumento dell’incidenza della PEP correla, con il numero delle opacizzazioni, con la “profondità” delle stesse e con l’eccessiva pressione di iniezione del mezzo di contrasto nei dotti. In particolare da una recente analisi di oltre 2.700 procedure eseguite da un singolo operatore è emerso che l’opacizzazione dei dotti di prima e seconda classe e l’acinarizzazione erano correlati ad un significativo incremento del rischio di PEP [Katsinelos P,2014]. Questo dato conferma quanto precedentemente riportato da altri gruppi [Cheong YK, 2007]. Non sembra invece sussistere una correlazione con il tipo di mezzo di contrasto utilizzato. Sebbene fosse stato ipotizzato che mezzi di contrasto a minore osmolarità potessero essere più sicuri in virtù di un minore richiamo di liquidi e di conseguenza un minore incremento della pressione intraduttale, da una meta-analisi che ha esaminato questo aspetto non sono emerse differenze significative nell’incidenza della PEP tra l’utilizzo di mezzi di contrasto ad alta o bassa osmolarità [George S, 2004]. La necessità di pre-cut, in particolare la sfinterotomia con Needle-Knife e la sfinterotomia pancreatica,

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costituiscono fattori di rischio per la PEP, aumentando comunque in generale l’incidenza di tutte le complicanze correlate all’ERCP [Katsinelos P, 2014]. Tale dato è riportato in numerosi studi presenti in letteratura [Wang P, 2009] [Da Vee T,2012]. La dilatazione pneumatica dello sfintere di Oddi era stata proposta come tecnica alternativa alla sfinterotomia ma dati presenti in letteratura hanno documentato un incremento statisticamente significativo del rischio di sviluppare PEP dopo la sfinteroplastica rispetto alla sfinterotomia tradizionale [Weinberg BM, 2006].

1.2.Prevenzione

La conoscenza di quelli che sono i fattori di rischio per PEP ha permesso lo sviluppo di misure preventive da adottare per ridurre tale rischio, gli ambiti della prevenzione sono: 1) selezione del paziente 2) profilassi farmacologica 3) tecnica endoscopica adeguata.

1) In primo luogo è fondamentale l’accurata selezione del paziente, infatti il primo accorgimento da adottare al fine di ridurre le complicanze dell’ERCP è quello di evitare di avviare alla procedura i pazienti privi di una vera indicazione. Tecniche diagnostiche di imaging di secondo e terzo livello si sono rese sempre più largamente disponibili e andrebbero utilizzate a fini diagnostici per evidenziare la presenza di quelle condizioni suscettibili di trattamento endoscopico che possono quindi beneficiare dall’esecuzione dell’ERCP. Inoltre molti dei fattori di rischio descritti precedentemente possono essere valutati prima della procedura ad un’attenta anamnesi e i pazienti che presentano più fattori di rischio, soprattutto se con una bassa probabilità di poter beneficiare di una terapia endoscopica, andrebbero indirizzati verso altre opzioni terapeutiche [Anderson MA, 2012]. Per escludere una PEP alcuni centri utilizzano il dosaggio precoce degli enzimi pancreatici a 2-4 dalla procedura e dove in particolare la lipasi ha dimostrato

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avere una sensibilità più alta dell’amilasi (100% vs 79%). In questo senso valori di amilasi e lipasi inferiori a 276 e a 1000 hanno dimostrato un valore predittivo negativo di 97-98% [Gottlieb K, 1996] [Papachristos A, 2016]

2) Nonostante una base biochimica potenzialmente corretta, la farmacoterapia per la prevenzione della PEP si è dimostrata insoddisfacente per la maggior parte delle molecole sperimentate [Szary MD, 2013]. Le molecole proposte erano rivolte all’interruzione o all’attenuazione dei meccanismi e della cascata infiammatoria che accompagna e potenzia il meccanismo pancreatitico, con l’intento di ridurre il rischio di PEP. Delle molecole prese in esame e risultate inefficaci ricordiamo i glucocorticoidi, il gabesato-mesilato, la somatostatina, l’octreotide e i FANS per via orale [Dumonceau JM, 2010] [Zheng M, 2007 e 2008]. Altre quali la nitroglicerina sono state abbandonate a causa degli effetti collaterali [Bang UC, 2009]. Al contrario molti studi hanno dimostrato una significativa riduzione del rischio di PEP con la somministrazione di indometacina o diclofenac per via rettale poco prima della procedura [Elmunzer BJ, 2008] [Dai HF, 2009] [Serano JP, 2019]. Un’altra recente metanalisi ha valutato 4700 pazienti confermando una riduzione significativa delll’incidenza di PEP (RR 0,6) legata alla somministrazione profilattica di questi farmaci [Patai A,2017]. Alla luce delle conoscenze attuali è diventata pratica diffusa la somministrazione di 100 mg di indometacina o diclofenac per via rettale 30 minuti prima della procedura [Szary MD, 2013, Serrano JP; 2019]. L’ASGE e l’ESGE raccomandano pertanto la somministrazione per via rettale di FANS per ridurre l’incidenza di PEP [Chandrasekhara V, 2017; Dumonceau JM, 2014]. Analogamente alla terapia della pancreatite acuta secondo le più recenti linee guida [Crockett SD, 2018], alcuni studi hanno dimostrato un possibile ruolo dell’idratazione aggressiva ev. nel ridurre anche l’incidenza di PEP. In un recente studio dove sono stati arruolati 510 pazienti è stata messa a confronto la fluidoterapia aggressiva (ringer lattato durante la

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procedura 3 mL/kg/h durante la procedura, 20 mL/Kg in bolo immediatamente dopo procedura e 3 mL/kg/h per le successive 8 ore) vs idratazione standard (1,5 mL/kg/h durante e per le 8 ore successive alla procedura). [ Jun-Ho C, 2017 ]. La PEP è risulatata essere ridotta significativamente nel gruppo con idratazione aggressiva (4,3% vs 9,8%). In questo senso sono necessari ulteriori studi per validare questo tipo di profilassi.

3) Molti studi prospettici hanno mostrato un beneficio dello stenting temporaneo del dotto pancreatico nel ridurre il rischio e la gravità della PEP [Anderson MA, 2012]. Il posizionamento di una protesi temporanea mantiene pervio il dotto pancreatico garantendo un buon deflusso della secrezione esocrina andando così a prevenire il rischio di ipertensione duttale che è alla base della PEP [Szary MD, 2013]. Una recente meta-analisi di 8 studi randomizzati e controllati (RCT) e 10 studi non randomizzati ha concluso che il posizionamento profilattico dello stent pancreatico riduce il rischio di PEP dal 19% al 6% sia nei pazienti ad alto che a basso rischio (OR 0.22, CI 95% 0.12-0.38, p<0.1). Nella stessa analisi è stato concluso che il numero di pazienti da trattare con stent pancreatici per evitare un episodio di PEP è di 8 (NNT=8) [Choudary A, 2011]. Lo stent ideale da utilizzare dovrebbe essere facile da posizionare e in grado di migrare spontaneamente nell’arco di 3-7 giorni, il tempo necessario perché si risolva l’edema della papilla. Nella maggioranza degli studi presi in analisi sono stati utilizzati stent in teflon da 5 French (Fr) o da 4 Fr [Szary MD, 2013]. Un’analisi costo-efficacia suggerirebbe che il posizionamento profilattico dello stent pancreatico potrebbe essere costo-efficace in particolare nei pazienti ad alto rischio [Das A, 2007]. D’altra parte è da prendere in considerazione che la manovra stessa del posizionamento dello stent non è scevra da possibili complicanze. In primo luogo il posizionamento di uno stent pancreatico non è una manovra agevole e la percentuale di fallimento si aggira intorno al 4-10% [Fazel A, 2003]. In questi casi il trauma generato sulla papilla durante i

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tentativi di posizionamento dello stent provocherebbe un aumento del rischio di pancreatite fino a oltre il 65% [Freeman ML, 2007]. Inoltre in caso di mancata migrazione spontanea dello stent, la permanenza dello stent stesso nonché l’ulteriore procedura con le manovre endoscopiche necessarie alla sua rimozione comportano un aumento del rischio di pancreatite di quasi 5 volte rispetto ai pazienti nei quali si ha la migrazione spontanea [Dumonceau JM, 2010]. Altre possibili complicanze della procedura sono la rottura del dotto pancreatico con la guida o lo stent stesso, il sanguinamento e il dolore [Smits ME, 1995]; tra le complicanze tardive ricordiamo l’occlusione e la migrazione precoce dello stent, lo sviluppo di alterazioni del dotto pancreatico quali stenosi e dilatazioni che possono mimare quadri di pancreatite cronica [Bakman YG, 2009]. La metodica di incannulazione su filo guida è correlata ad un aumento del successo di incannulazione e alla diminuzione del rischio di PEP in quanto riduce la possibilità di iniettare mezzo di contrasto nel dotto pancreatico [Shao LM, 2009]. Anche se un recente studio non avrebbe documentato tale vantaggio [Mariani A, 2012], l’incannulazione su filo guida della via biliare è comunque indicata prima della somministrazione del mezzo di contrasto quale metodo per evitare un eccessivo trauma sull’ampolla dai ripetuti tentativi di cateterizzazione [Szary MD, 2013]. Da segnalare che esistono dati discordanti sull’aumento del rischio di PEP correlato all’incannulazione accidentale del dotto pancreatico con il filo guida stesso [Wang P, 2009] [Artifon EL, 2007].

Altra tecnica di incannulazione che ha mostrato risultati in termine di riduzione di incidenza di PEP è il rendez-vous intraoperatorio in corso di colecistectomia laparosopica. In questa tecnica il chirurgo introduce il filo guida dal cistico attraverso il coledoco fino alla sua uscita attraverso la papilla all’interno del duodeno. L’endoscopista recupera il filo guida con un’ansa facendolo successivamente passare dal canale del duodenoscopio; a questo punto è possibile introdurre lo sfinterotomo attraverso il canale operativo su filo guida precedentemente recuperato. Due grandi

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studi hanno dimostrato una minor incidenza di PEP rispetto all’incannulazione standard (0,4% vs 2,2% e 3,8% vs 14%) [Noel R, 2013; Swahn F, 2013] . Pertanto i pazienti con litiasi coledocica da sottoporre anche a colecistectomia potrebbero beneficiare di questa tecnica terapeutica combinata chirurgica/endoscopica. Per quanto riguarda il tipo di corrente utilizzata durante la sfinterotomia, una meta-analisi ha dimostrato che non esistono differenze statisticamente significative nel rischio di PEP se viene utilizzata una corrente di tipo “pure-cut” rispetto alla corrente di tipo “blended” [Verma D, 2007].

2. SANGUINAMENTO

Il rischio di sanguinamento nell’ERCP si aggira intorno al 1-2% ed è legato più all’esecuzione della sfinterotomia che all’ERCP in sé per sé [Loperfido S, 1998] [Masci E, 2001] e solo 0.1-0.5% di questi è severo [Freeman ML, 2003]. Il sanguinamento può avvenire durante la procedura ma in circa la metà dei casi si può manifestare a distanza, fino a 2 settimane dalla procedura stessa [Ferreira LE, 2007]. Anche se la maggioranza dei sanguinamenti post-ERCP è intra-luminale, sono stati riportati casi di sanguinamento intra-duttale e di formazione di ematomi epatici, splenici e intra-addominali [McArthur KS, 2008] [Costa Macedo T, 2003]. Una possibile classificazione dell’entità del sanguinamento è la seguente: (1) sanguinamento lieve - calo dei valori di emoglobina (Hb) < 3 g/ dL; (2) sanguinamento moderato - necessità emotrasfusione < 4 sacche di globuli rossi concentrati (GRC) senza intervento endoscopico; (3) sanguinamento grave necessità di trasfondere > 4 sacche di GRC o di intervento endoscopico, angiografico o chirurgico [Ferreira LE, 2007]. Dati meno recenti riportavano come grave e necessitante un intervento endoscopico un sanguinamento clinicamente manifesto (melena, ematochezia, ematemesi) con calo dei valori di Hb > 2 g/dL e/o la necessità di emotrasfusioni [Freeman ML, 1996]. Dai dati presenti in letteratura emerge che la

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maggioranza dei sanguinamenti - oltre il 70% - sarebbe di lieve entità [Andriulli A, 2007] mentre casi di sanguinamento grave si verificano in circa 1/1000 sfinterotomie (0.1-0.5%) [Freeman ML, 2003]. Spesso l’arresto del sanguinamento avviene spontaneamente, ma talvolta può essere necessario procedere ad emostasi endoscopica mediante tecnica iniettiva (soluzioni diluite di adrenalina), meccanica (tamponamento e/o posizionamento di clips) e/o termica [Ferreira LE, 2007]. Tra queste la metodica più utilizzata, in grado di arrestare oltre il 96% dei sanguinamenti, è l’iniezione di adrenalina sul sito di sanguinamento o all’apice della sfinterotomia [Verma D, 2007]. Un recente studio prospettico ha mostrato che in tutti i casi in cui la terapia iniettiva non sia stata efficace, l’emostasi termica con corrente monopolare ha avuto successo [Katsinelos, 2010]. Anche il posizionamento di endoclips può essere efficace nel garantire l’emostasi, ma ad oggi mancano ancora dati provenienti da RCTs [Katsinelos, 2010]. Recentemente è stato anche proposto il posizionamento di stents metallici ricoperti auto-espandibili rimovibili (SEMS) come metodica emostatica. Questa procedura si è dimostrata efficace nell’arrestare i sanguinamenti non responsivi alle terapie più convenzionali anche se a fronte di costi molto elevati [Shah JN, 2010] [Di Pisa, 2010]. In caso di fallimento della terapia endoscopica potrebbe essere necessario sottoporre il paziente ad angiografia con embolizzazione selettiva di rami dell’arteria mesenterica o in casi estremi ad intervento chirurgico; tuttavia tale rischio è minimo (0.1-0.5%) [FerreiraLE, 2007].

2.1. Fattori di rischio

Anche se la sfinterotomia costituisce di per sé un fattore di rischio per il sanguinamento, sono stati identificati altri fattori e tra questi i più significativi sono: la presenza di coagulopatia (tempo di protrombina > 1.5 - 2 volte il normale), l’uso di farmaci anticoagulanti nell’arco delle 72h prima della sfinterotomia, la colangite acuta, la

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stenosi papillare, il sanguinamento intra-procedurale, cancro ampollare, l’effettuazione della metodica da parte di un operatore con “basso volume” di procedure (< 1 ERCP/settimana, <40 sfinterotomie/anno) e una sfinterotomia troppo ampia [Anderson MA, 2012] [Silviera ML, 2009]. Ulteriori fattori di rischio sarebbero la cirrosi epatica, la dilatazione della via biliare principale, la presenza di un diverticolo peri-ampollare e la sfinterotomia pre-cut [Freeman ML 2002].

2.2 Prevenzione

L’identificazione dei potenziali fattori di rischio e la loro correzione (coagulopatia, bassa conta piastrinica, terapie farmacologiche) permette di ridurre il rischio di sanguinamento post-sfinterotomia [Szary MD, 2013]. In particolare la conta piastrinica prima della procedura deve essere sopra 50000 U/µl e l’INR < 1.5. Per ridurre l’incidenza di emorragia post procedura occorre sospendere i NAO 24-48h prima della procedura, mentre il Warfarin e clopidogrel devono essere sospesi 5 giorni prima. Anche il corretto posizionamento, un’appropriata tecnica di elettro-cauterizzazione e la prevenzione di tagli lunghi e irregolari (“zippers”) sono fattori che riducono il rischio di sanguinamento [Ratani RS, 1999]. Per ridurre il rischio di sanguinamento quando si esegue una sfinterotomia bisogna conoscere l’anatomia della vascolarizzazione della regione papillare. L’arco compreso tra le ore 11 e le ore 1 sopra la papilla ha la minore concentrazione di vascolarizzazione arteriosa, questo dato costituisce la base anatomica per la quale è diventata pratica comune incidere la papilla per effettuare la sfinterotomiabiliare proprio lungo questo asse, al fine di minimizzare il rischio di sanguinamento [Mirjalili SA, 2011].

Una meta-analisi avrebbe dimostrato che l’utilizzo di corrente “pure” durante la sfinterotomia è associata con un maggior numero di modesti, transitori, episodi di

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sanguinamento rispetto alla corrente “blended” [Verma D, 2007]. Infine, la sfinterotomia controllata da microprocessori (ad. es. ENDO CUT mode su un generatore ERBE) riduce il rischio di sanguinamento intra-procedurale anche se non incide sulla percentuale dei sanguinamenti clinicamente significativi [Perini RF,2005]. L’utilizzo di sfinteroplastica endoscopica pneumatica con tecnica DASE (Dilation Assisted Stone Extraction) permette di ridurre la lunghezza del taglio della sfinterotomia diminuendo l’incidenza di sanguinamento, questo tipo di procedura potrebbe avere un ruolo soprattutto in pazienti con storia di coagulopatia [Zulli C,2018].

3. PERFORAZIONE

Il rischio di perforazione durante l’ERCP è inferiore all’1% (0.1-0.6%) [Mallery JS, 2003]. Classicamente sono stati descritti tre principali tipologie di perforazione in corso di ERCP: (1) perforazioni da manipolazione del filo guida, (2) perforazioni peri-ampollari durante la sfinterotomia e (3) perforazioni a distanza dalla papilla [Howard TJ, 1999]. I principali fattori di rischio per la perforazione sono l’esecuzione della sfinterotomia, la gastroresezione sec. Billroth II, l’iniezione intramurale di mezzo di contrasto, la lunga durata della procedura, la dilatazione di stenosi biliari e la SOD [Loperfido S, 1998]. Secondo dati più recenti solo le neoplasie e la sfinterotomia pre-cut sarebbero associate ad un aumento del rischio di perforazione [Williams EJ, 2007]. In una review retrospettiva di 12.427 pazienti sottoposti ad ERCP, in 75 casi (0.6%) si è verificata una perforazione e le più frequenti presunte cause della perforazione sono state la manipolazione del filo guida (32%), la sfinterotomia (15%), la manipolazione dell’endoscopio (11%), l’incannulazione (11%), il posizionamento di uno stent (9%) e la dilatazione di stenosi (7%) mentre nel 15% dei pazienti non è stato possibile ipotizzare la causa della perforazione [Fatima J, 2007]. In generale le perforazioni in corso di ERCP

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possono essere localizzate a livello di tutto il tratto digerente esplorato (esofago, stomaco, duodeno) o delle vie biliari. L’identificazione di questa complicanza deve essere effettata precocemente, le perforazione delle vie biliari si mettono in evidenza durante l’esame per la comparsa di leak in seguito alla somministrazione di mezzo di contrasto; le perforazioni intestinali invece vengono identificate per visione diretta della soluzione di continuità della parete del viscere. I principali segni clinici legati a questa complicanza sono dolore e distensione addominale, chiusura dell’alvo, scomparsa dell’ottusità epatica alla percussione e silenzio peristaltico. Nel sospetto di una perforazione il gold standard diagnostico è la TC con mdc che permette anche di distinguere la perforazione in retroperitoneale e libera intra-peritoneale. Il trattamento della perforazione post-ERCP dipende da molti fattori quali la sede, le dimensioni, le condizioni cliniche del paziente e l’aspetto radiologico; in ogni caso si tratta di una situazione clinica che richiede sempre una valutazione chirurgica [Anderson MA, 2012]. La perforazione delle vie biliari può richiedere il posizionamento di una protesi all’interno del coledoco che vada ad escludere l’area dove è avvenuto il danno. Nel sospetto di una perforazione luminale individuata durante la procedura il primo approccio consiste nel posizionamento di endoclips per chiudere la breccia meccanicamente e successivo controllo radiologico con contrasto per via orale per valutare la presenza di spandimenti [Szary MD, 2013]. Nel caso di una perforazione retro-peritoneale, più spesso legata all’utilizzo di filo guida e/o all’esecuzione della sfinterotomia (tipi 1 e 2), raramente si rende necessario un approccio di tipo chirurgico e il trattamento iniziale si basa sull’utilizzo di nutrizione parenterale, antibiotici ad ampio spettro e sulla decompressione duodenale mediante posizionamento di sondino naso-biliare (SNB) e naso-gastrico (SNG); accorgimenti che risultano efficaci in oltre l’85% dei casi [Silviera ML, 2009]. Nei casi in cui si sviluppa una raccolta saccata di bile (bilioma) può essere necessario un drenaggio per via percutanea [Szary MD, 2013]. Al

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contrario, le perforazioni libere intra-peritoneali, sia duodenali che a distanza dalla papilla (esofagee o gastriche) tendono ad essere più estese e clinicamente significative richiedendo nella maggior parte dei casi una terapia di tipo chirurgica [Enns R, 2002]. In generale un approccio chirurgico è richiesto nelle seguenti condizioni: mancata risposta alla terapia conservativa, perforazioni libere intraperitoneali, raccolte addominali e in caso di perforazione associata a bonifica incompleta.

4. INFEZIONI

I batteri enterici possono penetrare nell’albero biliare per via ematogena o in seguito alla manipolazione endoscopica o radiologica. Inoltre lo strumento endoscopico e gli accessori possono diventare veicoli di ingresso dei batteri nell’albero biliare se sottoposti ad una disinfezione impropria. I più comuni microorganismi responsabili di infezioni post-ERCP sono gli Enterobacteriacei (E.Coli e Klebsiella), lo Streptococco alfa-emolitico, lo P.aeruginosa, l’Enterococcus e lo S.epidermidis [Kullman E, 1992]. Nella maggioranza dei casi un unico microorganismo viene isolato alle emocolture [Subhani JM, 1999]. Una batteriemia transitoria post-ERCP è stata riscontrata in quasi il 30% dei pazienti [Szary MD,2013]. Il rischio di colangite post-ERCP è di circa l’1% [Freeman ML, 1996] [Deviere J,2008]. Nonostante il rischio sia basso, quando si verifica la colangite questa è gravata da un’elevata mortalità che può raggiungere quasi l’8% [Andriulli A, 2007]. Il rischio di colangite è aumentato nel caso di manovre combinate endoscopiche e per via percutanea, di posizionamento di stents nelle stenosi maligne, di incompleta o mancata bonifica della via biliare, di ittero, di colangite sclerosante primitiva (CSP) e nei centri a basso volume [Freeman ML, 1996] [Anderson MA, 2012]. In particolare un adeguato drenaggio biliare è fondamentale per evitare l’insorgenza di colangiti nel sistema che è rimasto ostruito, e in quest’ottica il posizionamento di stent o di SNB sono

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egualmente efficaci [Szary MD, 2013]. Queste manovre vanno messe in atto sia in caso di incompleta o mancata estrazione dei calcoli biliari sia in caso di stenosi delle via biliare. Particolare attenzione va posta nei confronti delle stenosi ilari maligne, in questi casi infatti rimane oggetto di discussione la necessità di effettuare un drenaggio biliare unilaterale o bilaterale. In uno studio è stata documentata una minore incidenza di colangite con uguale risposta in termini di riduzione dell’ittero nei drenaggi unilaterali [De Palma GD, 2001], anche se altri lavori riportano migliori tassi di sopravvivenza nei pazienti sottoposti a drenaggio bilaterale [Chang WH, 1998]. Come dato fondamentale rimane quello di evitare di opacizzare tutti i dotti con il mezzo di contrasto e comunque di drenare tutti quelli nei quali è stato iniettato il mezzo [Sherman S, 2001]. Uno studio recente condotto su 188 pazienti con stenosi ilari maligne non operabili, avrebbe mostrato una minore incidenza di colangite nei pazienti sottoposti a colangiografia ad aria rispetto all’utilizzo del tradizionale mezzo di contrasto (3% vs 24%) [Pisello F, 2009]. La prevenzione o comunque la riduzione del rischio di tale complicanza infettiva si ottiene con un uso adeguato della terapia antibiotica profilattica e con accorgimenti durante la procedura. Dai dati presenti in letteratura non è emerso alcun beneficio dalla terapia antibiotica profilattica di routine, che dovrebbe essere riservata solo a pazienti con particolari fattori di rischio quali i pazienti immunodepressi, quelli itterici, con sospetta stenosi neoplastica, con stenosi post-trapianto epatico, con CSP [Banerjee S, 2008]. Nel caso in cui sia necessario utilizzarlo, l’antibiotico va mantenuto per almeno 3-5 giorni dopo la procedura e deve essere una molecola con attività rivolta verso i Gram negativi enterici, quali le cefalosporine, i fluorchinolonici o gli aminoglicosidici [Szary MD, 2013]. Dal punto di vista tecnico è importante minimizzare la somministrazione di mezzo di contrasto nei pazienti con stenosi biliari o con colangite, effettuare un’adeguata decompressione endoscopica eventualmente posizionando stents o SNB quando non è possibile ottenere un drenaggio completo, indicare il drenaggio

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percutaneo se non è possibile ottenere una bonifica per via endoscopica [Szary MD, 2013].

La colecistite complica circa lo 0.5% delle ERCP [Masci E, 2001]. Il rischio è correlato al riempimento con mezzo di contrasto della colecisti con calcoli [MalleryJS, 2003]. Attualmente non esistono misure preventive da poter adottare e l’unica

terapia è la colecistectomia [Silviera ML, 2009].

5. MISCELLANEA

Tutte le altre possibili complicanze sono più rare di quelle già elencate. Tra le varie ricordiamo le seguenti. Le stenosi post-sfinterotomia rappresentano ormai una complicanza rara [Bourke MJ, 2000]. Ne sono state riconosciute due varianti, il tipo 1 che è limitata alla porzione intra-duodenale del complesso sfinteriale e il tipo 2 che si estende in profondità lungo la via biliare; nel primo caso è sufficiente allargare la precedente sfinterotomia mentre nel secondo è necessaria la dilatazione con pallone o il posizionamento di stent con un successo a lungo termine rispettivamente del 83% e 65% [Veldkamp MC, 2007]. Altre complicanze che si possono verificare sono legate al posizionamento degli stent basti pensare che circa 1/5 delle ERCP eseguite sono effettuate per occlusione o rimozione di stent precedentemente posizionati. [Lal D, 2003]. Tra le più frequenti ricordiamo: l’ostruzione, la migrazione, la re-stenosi dopo la rimozione dello stent, la pancreatite, il sanguinamento, il danneggiamento del dotto biliare o pancreatico, la colangite/colecistite, gli ascessi epatici, la compressione su organi adiacenti [Anderson MA, 2012]. Le complicanze cardiopolmonari sono rare e si verificano in circa l’1% dei pazienti con un tasso di mortalità dello 0.07%. Includono le aritmie, l’ipossiemia e l’inalazione e talora sono legate ai farmaci utilizzati per la sedazione [Andriulli A, 2007]. Infine sono state riportate svariate altre complicanze quali

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l’ileo paralitico, diarrea post-antibiotico, pneumotorace e pneumomediastino, rottura della milza, perforazione di diverticoli del colon, ematoma duodenale, embolia gassosa, incastro di devices quali i cestelli [Anderson MA, 2012].

6. SITUAZIONI SPECIALI

Il Pancreas divisum (PD) ha una più alta incidenza di complicanze in particolare di PEP. In uno studio con 1500 pazienti l’incidenza delle complicanze totali è risultato aumentato nel gruppo con PD (8.8% vs 7.8%), inoltre l’incannulazione del dotto dorsale e la sfinterotomia della papilla minor hanno dimostrato un’aumentata incidenza di PEP nel gruppo PD (10.6.% e 8.2%) [Moffatt DC, 2011].

L’ampullectomia è una procedura ad alto rischio di complicanze 3-25% pancreatite, 2-30 % sanguinamento, 0-8% perforazione, 0-5% infezione, 0-8% stenosi papilla [Ito K, 2011]. In caso di ampullectomia è pertanto sempre consigliato lo stenting profilattico del dotto pancreatico [Harewood GC, 2005]

Il paziente affetto da cirrosi epatica ha una più alta incidenza di complicanze globali soprattutto in fase di scompenso ascitico. Uno studio ha valutato l’incidenza di complicanze legate all’ERCP in un gruppo di pazienti con cirrosi compensata vs un gruppo con cirrosi scompensata dimostrando una incidenza più alta in quest’ultimo per PEP, sanguinamento (5.5% vs 9,7% e 1% vs 4,3%) e peritonite (2,2% vs 1,1%) [Inamdar S, 2016].

Nei paziente con alterata anatomia legata a pregressa chirurgia digestiva (gastrectomia con confezionamento di ansa alla Roux, Billroth I/II, DCP) l’aumentata incidenza delle complicanze è correlata alla difficoltà nel raggiungere la papilla e alla rigidità del viscere legate all’intervento [Chonlada K, 2019].

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Infine alcuni studi hanno individuato dei fattori di rischio in pazienti precedentemente sottoposti a trapianto epatico, in particolare aumentano l’utilizzo di mTOR inibitori (es. Rapamicina), creatinina maggiore di 2 mg/dL, sfinterotomia ampia, >2 iniezioni di contrasto nel dotto pancreatico aumentano in modo significativo l’incidenza di complicanze globali. Lo stesso studio ha anche dimostrato un ruolo protettivo della terapia con corticosteroidi, dato discordante rispetto al paziente non trapiantato [Balderramo D, 2011]

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COLANGIO-PANCREATOGRFIA RETROGRADA ENDOSCOPICA (ERCP):

STUDIO OSSERVAZIONALE MONOCENTRICO DI UNA CASISTICA DECENNALE

(2009-2019). STRATIFICAZIONE DELLE COMPLICANZE PER FASCE DI ETA’

E FATTORI DI RISCHIO

1. SCOPO DELLO STUDIO

Scopo del presente studio è quello di valutare il rischio di complicanze globali, procedurali e post-procedurali, legate all’ERCP in una popolazione di pazienti di età avanzata rispetto ai pazienti più giovani al fine di evidenziare eventuali differenze nell’incidenza delle complicanze stesse in relazione all’età del paziente. Gli altri obiettivi dello studio sono di individuare tecniche o caratteristiche della procedura endoscopica che possano rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza di complicanze. Infine valutare se la somministrazione profilattica di un FANS per via rettale prima dell’esame possa ridurre l’incidenza di pancreatite post ERCP.

2. MATERIALI E METODI

2.1 Selezione dei pazienti

Lo studio è stato condotto in modo retrospettivo e prospettico su pazienti consecutivamente sottoposti a ERCP c/o la Struttura Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Ospedale San Giovanni di Dio dell’AUSL Toscana Centro Firenze dal settembre 2009 al giugno 2019. Tutti i pazienti arruolati erano ricoverati presso l’omonima struttura ospedaliera o più raramente c/o altre strutture ospedaliere

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comunque appartenenti alla AUSL TC Firenze. Tutti i pazienti sottoposti a ERCP avevano corretta indicazione alla procedura secondo le ultime linee guida ESGE e ASGE. I pazienti arruolati sono stati suddivisi in tre fasce di età secondo quelle che sono le definizioni della World Healt Organisation (WHO) di paziente anziano e molto anziano, classificando quindi come appartenenti alla fascia A i pazienti di età inferiore a 65 anni, alla fascia B i pazienti di età compresa tra i 65 anni e i 79 anni e alla fascia C i pazienti di età 80 anni di età o superiore. Successivamente, al fine dell’analisi dei dati, è stata ottenuta anche una fascia definita N+ che ha al suo interno pazienti con età uguale o superiore a 90 anni.

2.2 Procedura

La procedura è stata generalmente eseguita in sala endoscopica con assistenza anestesiologica, a paziente sedato e sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico, pressorio e pulsi-ossimetrico. Durante la procedura è stata somministrata ossigeno-terapia a bassi flussi per via trans-nasale e, quando le condizioni cliniche del paziente lo richiedevano, la procedura è stata eseguita con preventiva intubazione oro-tracheale (IOT) o in setting diversi (sala operatoria). Per la sedazione è stata generalmente somministrata per via endovenosa una combinazione di oppiodi, benzodiazepine e Propofol. Talora, su richiesta dell’endoscopista, è stato somministrato N-butilbromuro-ioscina (Buscopan® fl 20 mg/ml) quale miorilassante. Alcune procedure sono state effettuate in sala operatoria con tecnica di incannulazione rendez-vous in corso di intervento di colecistectomia laparoscopica, in questo caso tutti i pazienti sono stati sottoposti a IOT e ad anestesia generale. I pazienti ad alto rischio infettivo sono stati sottoposti a profilassi antibiotica e adeguata sospensione della terapia anticoagulante/antiaggregante in accordo con le correnti raccomandazioni/linee guida

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nazionali e internazionali. Tutti i pazienti sono stati mantenuti digiuni per almeno sei ore prima della procedura. Tutti i pazienti, o il tutore legale, hanno fornito consenso informato scritto all’esecuzione dell’ERCP. La maggior parte dei pazienti ha effettuato profilassi con FANS per via rettale 5-30 minuti prima della procedura come consigliano le attuali linee guida (ESGE 2014). Le procedure sono state effettuate da 3 operatori esperti in ERCP. Dopo la procedura i pazienti sono stati tenuti in osservazione e dimessi dopo un minimo di 24 in base alla clinica e al risultato di esami ematochimici di controllo.

2.3 Raccolta dei dati

Le fonti di raccolta dei dati sono state il referto endoscopico dell’ERCP per quanto riguarda le caratteristiche della procedura e la cartella clinica di ricovero del paziente (sistema informatizzato Argos). Informazioni su caratteristiche radiologiche pre-procedura sono state acquisite con l’utilizzo del sistema informatizzato Elefante.NET. Per quanto riguarda le informazioni relative alle caratteristiche generali del paziente, alle eventuali indagini preprocedurali e al decorso post-procedurale.

Riportiamo di seguito la tipologia dei dati raccolti:

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Caratteristiche individuali del paziente

Abbiamo valutato il sesso del paziente, l’età al momento della procedura, il peso, l’altezza e il BMI, le comorbilità, le pregresse colecistectomia e gastroresezione. Come comorbilità abbiamo considerato la presenza di patologie croniche concomitanti quali patologie cardiovascolari (cardiopatia ischemica o valvolare, scompenso cardiaco, aritmie cardiache), patologie neurologiche (pregresso evento cerebrovascolare,

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decadimento cognitivo avanzato, malattie demielinizzanti), patologie respiratorie (BPCO, asma bronchiale, pregressa resezione polmonare), diabete mellito, insufficienza renale cronica e cirrosi epatica.

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Dati pre-procedurali

Tra i dati pre-procedura abbiamo valutato il reparto di provenienza del paziente (DEA, turno medico, turno chirurgico, TI, Gastroenterologia), l’indicazione all’esame secondo la sintomatologia prevalente (ittero ostruttivo e ittero ostruttivo neoplastico, colangite-colecistite, pancreatite acuta biliare, altro), la presenza di dilatazione delle VB prima della procedura, l’esecuzione di esami radiologici diagnostici preprocedurali (ECO, TC, Colangio-RM, EUS) la premedicazione e dati relativi all’aspetto anestesiologico (IOT, dose e tipologia di farmaci usati).

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Dati procedurali

Tra i dati procedurali abbiamo valutato la modalità di esecuzione dell’esame (urgenza, sala operatoria, rendez-vous o rendez-vous percutaneo) e dati tecnici quali il raggiungimento della papilla, il reperto endoscopico, il successo dell’incannulazione (intention-to-treat), l’eventuale difficoltà nell’incannulazione secondo il giudizio dell’operatore, l’esecuzione di sfinterotomia, sfinterotomia con pre-cut (Needle Knife), l’eventuale incannulazione accidentale ripetuta del Wirsung, le procedure effettuate (utilizzo di pallone, basket, posizionamento di stent, posizionamento SNB, altro) e l’avvenuta bonifica delle vie biliari (indicato anche se parziale).

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Complicanze

Per quanto riguarda le complicanze insorte durante la procedura abbiamo valutato il sanguinamento immediato, la lacerazione della mucosa che abbia richiesto intervento endoscopico, la perforazione e la desaturazione. Come sanguinamento immediato abbiamo considerato un sanguinamento verificatosi durante la procedura con necessità di emostasi endoscopica. Come desaturazione abbiamo considerato un episodio respiratorio tale da rendere necessaria l’interruzione della procedura o l’intubazione del paziente. Per quanto riguarda le complicanze post-procedurali abbiamo valutato il sanguinamento tardivo, l’insorgenza di PEP, la sepsi, il decesso del paziente. Come sanguinamento tardivo abbiamo considerato un sanguinamento che si è manifestato dopo la procedura e che sia stato documentato endoscopicamente. Per i nostri pazienti abbiamo fatto riferimento alla classica definizione di Cotton del 1991 - ripresa dalle Linee Guida ASGE del 2012 sulle Complicanze in ERCP – che definisce la PEP come la comparsa di dolore addominale con incremento del valore di amilasi o lipasi seriche di almeno 3 volte rispetto al valore normale, ad almeno 24 ore di distanza dalla procedura, tali da richiedere una nuova ospedalizzazione o da prolungare la durata della degenza di almeno 2 giorni. Per i pazienti ricoverati presso altro reparto (es. Medicina Interna, Chirurgia) abbiamo dovuto registrare l’evento PEP ogni volta che questo sia stato segnalato nel decorso clinico o nella lettera di dimissione. Come decesso abbiamo considerato il decesso avvenuto durante lo stesso ricovero dell’ERCP. Abbiamo poi valutato come “altro” qualsiasi altra complicanza significativa insorta durante o dopo la procedura. In relazione alle complicanze abbiamo infine valutato i giorni di degenza ospedaliera pre e post-procedura e l’eventuale ricovero in reparto di terapia intensiva successivamente alla procedura.

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2.4 Analisi statistica

I dati raccolti sono stati analizzati con il software VassarStats. Per l’analisi delle differenze di incidenza delle complicanze nei tre gruppi di pazienti è stato eseguito il test del chi-quadro e il test di Fisher, quando appropriati. Abbiamo considerato come clinicamente significativo un valore di p < 0.05.

3.1 Caratteristiche della popolazione

Nel periodo compreso tra il primo settembre 2009 e il 15 giugno 2019 sono state eseguite 1242 ERCP. Sul totale delle procedure 610 (49,1%) sono state effettuate su pazienti di sesso maschile e 632 (50.9%) su pazienti di sesso femminile. L’età media dei pazienti arruolati è stata di 71.8 anni (range 22-99), più alta nelle donne (media 73 anni, range 26-99) e leggermente inferiore negli uomini (media 70 anni, range 24-98). Sul totale delle procedure 335 (27%; M 187, F 148) sono state eseguite su pazienti in fascia di età A con un’età media di 51 anni (range 22-64); 446 (35,9%; M 233, F 213) sono state eseguite su pazienti in fascia di età B con un’età media di 73 anni (range 65 - 79); infine 461 (37.1%; M 190, F 271) sono state eseguite su pazienti in fascia di età C con un’età media di 85 anni (range 80 - 99). Per quanto riguarda la distribuzione per sesso, il numero di pazienti di sesso femminile aumenta all’aumentare dell’età, con una differenza statisticamente significativa tra i tre gruppi di pazienti (A=44.2%; B=51.8%; C=58.8%; p=0.002). Delle 1242 procedure valutate non è stato possibile recuperare il dato sulla precedente esecuzione di ERCP in 6 pazienti. Dei rimanenti 1236, il paziente era già stato sottoposto ad ERCP in 333 casi (26,9 %) mentre si trattava del primo intervento per 903 pazienti (papille vergini: 73 %). La manovra oggetto di studio non era la prima procedura per 108 pazienti in fascia di età A, 118 pazienti in fascia di età B e 107 pazienti in fascia di età C con una differenza statisticamente significative per quanto riguarda l’esecuzione di una precedente ERCP tra il gruppo di pazienti A e C (A=32.7%;

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B=26,8%; C=23,4%; p=0.01). Sul totale delle 1242 procedure, in 29 casi (2,3%) non è stato possibile valutare la presenza di comorbilità per mancanza del dato. Tra i 1213 casi rimanenti una qualsiasi comorbilità era presente in 780 pazienti (64,3%), dei quali 378 (48,4%) erano donne e 402 (51.6%) uomini. Dei 780 pazienti con comorbilità 141 erano in fascia di età A, 284 in fascia di età B e 355 in fascia di età C, con un’incidenza di comorbilità che aumentava significativamente all’aumentare dell’età (A=43.1%; B=65,4%; C=88.9%; p < 0.0001).

In tabella 1 sono riportate le principali caratteristiche della popolazione

Per quanto riguarda l’indicazione all’esame secondo la sintomatologia prevalente del paziente, in 464 casi (37,5%) si trattava di ittero ostruttivo - sia non neoplastico che neoplastico (rispettivamente 326 e 138 casi) - con 103 casi nella fascia di età A, 170 casi nella fascia di età B e 191 casi per la fascia C presentando un incremento all’aumentare dell’età statisticamente significativo (A=30,7%; B=38.3%; C=41,6%; p= 0.006). Scorporando il dato tra gli itteri neoplastici noti e gli itteri non neoplastici appare come solo il primo valore sia statisticamente significativo (p=0.03) mentre non è significativo quello legato all’ittero non neoplastico (p=0.3 NS). In 154 casi (12,4%) l’indicazione

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