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Parafrasando Raymond Williams, “di fatto non esiste alcuna audience; esistono solo modi di considerare le persone come audience.” Mariagrazia Fanchi L’audience, Editori Laterza, Roma, 2014

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CINERGIE

il cinema e le altre arti

Cinergie, il cinema e le altre arti Cinergie uscita n°6 novembre 2014 | ISSN 2280-9481

RECENSIONI

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Parafrasando Raymond Williams, “di fatto non esiste alcuna

audience; esistono solo modi di considerare le persone come

audience.”

Mariagrazia Fanchi L’audience, Editori Laterza, Roma, 2014

“Here where eye am” ha scritto Vivian Sobchack per signifi care la soggettività dello spettatore davanti al fi lm. Una soggettività che sostanzialmente sta nella posizione del suo corpo, che è più questione oculare e oculistica che visione: una percezione esperienziale incarnata, fi sica, corporale, dunque, prima ancora che cognitiva o psicologica, piuttosto causandone e mettendone in moto la coscienza. Da qui, da queste premesse, l’indirizzo dell’occhio, comincia la fenomenologia dell’esperienza fi lmica della Sobchack. Un testo importante e appassionante, con tanti paradossi, voli pindarici, salti in lungo metaforici, ricostruzioni di concatenamenti logici. Un testo del 1992.

Fenomenologia dell’esperienza fi lmica che ha, pertanto, nella persona dello spettatore e della spettatrice, l’oggetto della propria ricerca. Di chi si stava parlando e di cosa e chi si è scritto e detto prima e dopo, lo spiega il libro

L’audience. Non solo in una prospettiva storica: Fanchi

infatti riesce ad intrecciare la dimensione storica del susseguirsi delle teorie e dei discorsi sulla spettatorialità alla presentazione delle varie tipologie di pubblici e spettatori. Il risultato è un manuale davvero prezioso che è allo stesso tempo tanto una storia, quanto un catalogo, sia dei comportamenti dello spettatore, sia dei discorsi sullo spettatore. Con questo libro Mariagrazia Fanchi dimostra la natura sostanzialmente culturologica della spettatorialità, narrandone la storia e (di)mostrandone la storia dei discorsi analitici, l’una attraverso l’altra e, di conseguenza, verifi candone i vincoli logici vicendevoli.

La diffi coltà di tenere insieme i due fenomeni e le eterogenee pratiche che ne sono necessariamente effetti, ovvero il fenomeno sociologico, culturale e storico della spettatorialità e quello accademico e critico, necessariamente interdisciplinare, degli audience studies, è prevista fi n dalle primissime pagine e risolta già nell’Introduzione. Il primo ostacolo è naturalmente terminologico, tra pubblico, spettatore, fruitore, consumatore, utente, audience, eppoi, nel tempo, prosumer, producer, Pro-Am etc. e Fanchi, non solo lo risolve, ma lo ribalta a suo vantaggio, a vantaggio cioè dell’impianto complessivo, tutto teso a ragionare su audience e studi sull’audience in termini sostanzialmente culturali e fenomenologici. Infatti, spiega che, malgrado il passare del tempo, il mutare delle tecnologie e gli stravolgimenti del panorama mediale abbiano moltiplicato le varietà di punti di vista, “la categoria di audience mantiene intatto il suo portato euristico: la capacità di contenere la complessa fenomenologia della comunicazione mediale e di cogliere le implicazioni e le criticità del rapporto con i dispositivi della comunicazione e con la loro proposta culturale.”

All’Introduzione seguono sei capitoli dedicati ad altrettanti tipi di spettatori. I titoli dei capitoli e dei paragrafi alimentano ulteriormente l’ambivalenza: si tratta di quelle persone/spettatori, o di come sono considerati dalle teorie che li riguardano? Entrambe le cose. Viene in mente Raymond Williams: “di fatto non esiste

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alcuna massa; esistono solo modi di considerare le persone come massa” (Raymond Williams, Culture

and Society, Anchor-Doubleday, 1959). L’audience è una massa di individui che è (stata) considerata,

letta e studiata tanto come massa, quanto come individui, tanto come causa, quanto come effetto dei media, e come qualcosa di implicito al testo, immobile e passivo al cospetto di esso e del suo autore (“le

audience in cattività”); come qualcuno di resistente e maldisposto (“le audience ostili”); come qualcosa

di alleato al testo, cioè necessario al processo di signifi cazione (“le audience attive”); come qualcuno di talmente operativo e dinamico da rendersi (pro)motore di senso, anche oltre il testo stesso e il suo autore, come ad esempio le pratiche di fandom (“le audience performative”); come attenti e accorti critici collaborativi (“le audience responsabili”); come autori a loro volta, spettatori delle loro stesse operazioni (“le audience creative”). Pirandellianamente, dunque, ma non paradossalmente, l’audience è “colei che

la si crede”: che la fanno i media, gli individui che la compongono e le teorie che la analizzano.

L’ultimo capito, dedicato al futuro degli studi sull’audience e ai loro possibili futuri sviluppi, si dispone proprio carico di queste considerazioni. Fanchi accosta le realtà dei media convergenti, espansi, rilocati, ricordati con nostalgia, manipolati e manipolabili, a quelle dei nuovi e futuri pubblici e dello studio da rivolgere loro: nuove responsabilità e nuove accortezze per sfuggire a (vecchi e nuovi) eventuali errori. “In moto attraverso piattaforme e contesti di consumo; immerse in un ambiente denso e transeunte; in una relazione ambigua con gli apparati e gli strumenti della comunicazione, che si gioca al di fuori dei modelli canonici dell’adesione quiescente o della resistenza; portatrici di una memoria e impegnate in un processo di adattamento alla situazione presente, le audience dei media si trovano oggi senz’altro di fronte a una realtà complessa: ricca di opportunità, ma anche gravida di responsabilità.” (…) Lo stesso non può che valere anche per gli audience studies.

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