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LA LOGICA DEI TOPOS

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Academic year: 2021

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Il progetto di questa tesi nasce con l’intento di mettere in luce alcuni rapporti fra teoria dei topos e intuizionismo. I due ambiti, molto distanti per tradizioni e interessi, hanno trovato negli ultimi 40 anni, da quando cio`e esiste una presentazione assiomatica della teoria dei topos elementari, diversi punti di contatto.

Al fine di chiarire in che termini possano essere sanciti rapporti fra queste due teorie, pu`o essere utile premettere alcune considerazioni di carattere epi-stemologico: entrambe le teorie, sebbene in termini molto diversi, presentano aspetti sia filosofici che matematici che difficilmente permettono di collocarle in un’unico ambito. Da un lato l’intuizionismo, pensato come teoria matema-tica, nasce e si sviluppa con profonde istanze filosofiche; dall’altro, la teoria dei topos, per quanto inquadrabile in termini puramente matematici, sembra oggi presentarsi come candidata per una teoria unificante della matematica1,

riportando cos`ı in luce alcuni motivi ricorrenti di tutta la tradizione filosofica. Non `e nostra ambizione tentare una presentazione dell’intuizionismo: limiti di spazio e tempo ci porterebbero al di l`a delle nostre iniziali intenzioni; nello sviluppo della tesi daremo, invece, una sintesi di quelli che sono i prodromi della teoria matematica dei topos.

E’ tuttavia naturale domandarsi se i legami fra teoria dei topos e intuizioni-smo siano da collocarsi in ambito logico-matematico o se vi siano piuttosto aspetti filosofici che sanciscono rapporti fra le due teorie.

1I profondi aspetti filosofici che la teoria dei topos assume oggi sono stati ben riassunti

dal seminario Introduction to Topos Theory and its unifying role in Mathematics tenuto a Pisa dal 22 al 26 febbraio 2010 dalla Dott.ssa Caramello.

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In questa tesi gettiamo le basi per un’analisi logica di questi rapporti, tra-lasciando sostanzialmente quelli che possono essere considerati gli aspetti filosofici della questione: a livello metodologico `e sempre necessario —ad av-viso dell’autore— chiarire in primo luogo gli aspetti ‘certi’ di un determinato problema, prima di offrirlo ad una discussione di pi`u ampio respiro come pu`o essere un’analisi filosofica dello stesso.

I rapporti che metteremo in luce non hanno alcuna pretesa di esaustivit`a e rappresentano solo un abbozzo di una riflessione non ancora matura: nel se-lezionare gli argomenti che avvicinano le due teorie sono stati omessi capitoli rilevanti della letteratura che corroborano in maniera ancor pi`u profonda le ambizioni del presente lavoro.

Dopo aver introdotto nel capitolo 1 la teoria assiomatica degli insiemi ZF, motivati dalla richiesta di un fondamento chiaro e non ambiguo per la discus-sione che si vuole affrontare, nel capitolo 2 si danno le definizioni categoriali fondamentali per la comprensione della nozione di topos; una volta definiti i topos elementari si passa quindi ad un’analisi di esempi fondamentali che mostrano come alcune categorie note ricadano effettivamente nella definizio-ne (paragrafo 2.3). Nel paragrafo 2.4 vengono sintetizzate le prime propriet`a topos-teoretiche, con particolare attenzione agli aspetti insiemistici e logici (paragrafi 2.4.2 e 2.4.3).

Nel paragrafo 2.5 si introducono le algebre di Heyting, strutture fondamentali per la semantica algebrica del calcolo proposizionale intuizionista; successi-vamente si mostra il primo e pi`u semplice aspetto che lega teoria dei topos e intuizionismo: ogni algebra dei sottoggetti di un dato oggetto in un topos `e, in generale, un’algebra di Heyting.

Nel capitolo 3 si definisce un opportuno sistema deduttivo, il calcolo di Joyal, che permette l’interpretazione della logica (intuizionista) di ordine superiore in un topos; il calcolo logico usato `e un calcolo dei sequenti del secondo or-dine, tipato; in letteratura sono stati proposti sistemi simili con il nome di local set theory e higher order intuitionistic type theory.

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dedi-cato per intero il capitolo 4— `e un teorema di completezza per l’interpreta-zione del calcolo di Joyal in un topos. La possibilit`a di avere a disposizione un teorema di completezza per un tale sistema corrobora l’affermazione, spesso non giustificata o data per assunta in letteratura, secondo la quale la logica propria di un topos `e, in generale, intuizionista.

Nel capitolo 5 si esamina la costruzione del linguaggio interno associato ad un toposE ; a partire da questo `e possibile definire un topos sintattico, T op(Γ), equivalente ad E , giustificando la prospettiva secondo cui `e possibile consi-derare un topos come una teoria oltre che come una struttura. Si introduce quindi una semantica ‘locale’, la semantica di Kripke-Joyal, che sancisce un ulteriore punto di contatto con l’intuizionismo: le regole di forcing date pos-sono essere opportunamente riadattate per un topos di prefasci su un insieme parzialmente ordinato in modo da ritrovare la semantica a mondi possibili, descritta da Kripke, per la logica intuizionista.

Infine nel paragrafo 5.3 mostriamo che esiste un topos in cui ogni funzione reale a valori reali `e continua, ritrovando cos`ı un celebre teorema di matema-tica intuizionista dimostrato da Brouwer.

Nella presentazione dei risultati abbiamo privilegiato un’esposizione attenta ai contenuti: per non appesantire la lettura si `e preferito rimandare il lettore alla bibliografia (puntualmente segnalata) per le dimostrazioni, a parte per i teoremi fondamentali discussi nella tesi.

Vorrei ringraziare il prof. Berarducci per aver posto la mia attenzione sulle stimolanti domande da cui la tesi ha preso le mosse, la Prof.ssa Corsi, per la costante disponibilit`a dimostratami, la Dott.ssa Caramello per le splendide lezioni tenute presso il centro De Giorgi e i chiarimenti illuminanti che ha saputo darmi.

La mia pi`u sincera gratitudine va al prof. Rosolini senza il quale questa tesi non esisterebbe: i suoi stimoli e le sue correzioni sono stati il motore di questo lavoro; con magistrale tecnica ha saputo dipingere nella mia testa quel poco di verit`a che qui presento.

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Introduzione 1

1 Teoria assiomatica degli insiemi: ZF 7

1.1 Linguaggio e assiomi . . . 8

1.2 Modelli e teoria degli insiemi . . . 13

2 Teoria dei topos elementari 17 2.1 Cenni di teoria delle categorie . . . 17

2.1.1 Lemma di Yoneda . . . 29

2.2 Topos elementari . . . 30

2.3 Esempi . . . 33

2.3.1 Il topos degli insiemi Set . . . 33

2.3.2 SetCop: il topos dei prefasci su una categoria . . . 35

2.3.3 Sh(X): il topos dei fasci su uno spazio topologico . . . 38

2.3.4 Topos di Grothendieck . . . 41

2.4 Alcune propriet`a dei topos elementari . . . 46

2.4.1 Morfismi fra topos . . . 48

2.4.2 Propriet`a insiemistiche . . . 49

2.4.3 Operatori logici . . . 52

2.5 Algebre di Heyting . . . 53

2.5.1 Algebra di Heyting dei sottoggetti . . . 57

2.6 Una nota fondazionale . . . 59 5

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3 Calcolo di Joyal per la logica su un topos 61

3.1 Linguaggio, regole ed assiomi . . . 62

3.2 Interpretazione del linguaggio . . . 66

3.3 Semantica insiemistica . . . 69

4 Completezza del calcolo di Joyal 73 4.1 Correttezza . . . 75

4.2 Completezza . . . 82

5 Aspetti intuizionisti della teoria dei topos 91 5.1 Il linguaggio associato ad un topos . . . 92

5.2 Modelli di Krikpe e semantica dei prefasci . . . 93

5.2.1 Tertium datur . . . 98

5.3 ll teorema di Brouwer sulla continuit`a . . . 100

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Teoria assiomatica degli

insiemi: ZF

[. . . ] assiomatizzare la teoria degli insiemi porta alla relativit`a dei concetti insiemistici, e questa relativit`a `e inseparabilmente legata a qualsiasi, per quanto esauriente, assiomatizzazione1.

Axiomatized set theory. T. Skolem

Scopo di questo capitolo `e introdurre la teoria assiomatica degli insiemi cos`ı come formalizzata da Zermelo in [26] ed in seguito rifinita dal lavoro di Fraenkel2.

Nel nostro contesto tale teoria rappresenta lo sfondo su cui lavoreremo per avere una corretta formulazione del teorema di completezza. A tal fine risul-ta centrale la definizione di modello che, come risulter`a evidente, non potr`a prescindere dalle nozioni di funzione (interpretazione) e insieme (dominio). La teoria assiomatica di Zermelo-Fraenkel, in breve ZF, come `e noto presenta diversi aspetti che la privilegiano nella possibile scelta come teoria ‘fondazio-nale’.

Una possibile alternativa, altrettanto legittima, pu`o essere quella di scegliere come fondazionale la teoria delle categorie: qui la nozione primitiva risulta

1La traduzione `e tratta da [20].

2Fra i grandi matematici che hanno contribuito all’assiomatizzazione della teoria degli

insiemi nella prima met`a del XXosecolo ricordiamo, oltre agli autori citati, anche G¨odel, Bernays, Skolem e Von Neumann.

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essere quella di freccia o morfismo di cui la funzione non `e che un caso parti-colare; un insieme, a sua volta, `e costruito come caso particolare di funzione. Nello sviluppo di questa tesi non intraprenderemo questa strada3: tentare

una fondazione categoriale del presente lavoro, per quanto pi`u coerente con i temi discussi, avrebbe comportato un’eccessivo lavoro di traduzione, in ter-mini di frecce e diagrammi, di concetti gi`a fruibili e ben assimilati nella teoria degli insiemi.

Diamo qui di seguito una presentazione assiomatica di ZF che ci permetta di costruire un ‘Universo’ in cui lavorare.

1.1

Linguaggio e assiomi

La teoria di Zermelo Fraenkel, pi`u brevemente ZF, `e una teoria del primo ordine formulata in un linguaggio il cui unico simbolo non-logico `e quello di ‘appartenenza’, ∈. La segnatura di ZF consiste in:

• variabili individuali x, y, z, t, u . . . , A, B, C . . . possibilmente indiciate da numeri naturali;

• gli usuali simboli logici (fra cui comprendiamo anche l’uguaglianza): ∧, ∨, →, ¬, ), (, ∀, ∃, =;

• un unico simbolo di relazione: ∈4.

Nel seguito daremo solo gli assiomi di ZF, supponendo note le nozioni di logica formale (formule, termini, enunciati, sostituzioni. . . ) necessarie per definire cosa intendiamo con deduzione formale di una formula. Assumiamo come calcolo logico in cui lavorare il calcolo di deduzione naturale rimandando a [7] per i dettagli.

3La tesi difesa da Lawvere nel 1963, An elementary theory of the category of sets, si

muove proprio in questa direzione.

4Assumendo che ‘=’ sia un simbolo logico e non un simbolo di relazione intendiamo che

il suo uso sia normato dal calcolo logico con il quale lavoriamo, piuttosto che dagli assiomi della teoria.

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Gli assiomi che daremo saranno formulati nel linguaggio elementare costituito dalle variabili, dai simboli logici e da ∈; tuttavia `e utile poter introdurre abbreviazioni ed espandere il linguaggio con simboli che stanno per relazioni definite e operazioni definite (Si cfr. il cap. 1 par. 13 di [16] sulle estensioni conservative del linguaggio)5. Diamo quindi gli assiomi:

A.1 Assioma di Estensionalit`a

Un insieme `e univocamente caratterizzato dai suoi elementi: ∀x ∀y (∀z (z ∈ x ↔ z ∈ y) → x = y)

A.2 Assioma della coppia

Dati due insiemi esiste sempre la loro coppia: ∀x ∀y ∃z (t ∈ z ↔ t ∈ x ∨ t ∈ y)

A.3 Assioma dell’unione

Possiamo fare l’unione di insiemi: ∀x ∃y ∀z (z ∈ y ↔ ∃t (z ∈ t ∧ t ∈ x)) A.4 Assioma dell’insieme potenza

Dato un insieme esiste l’insieme di tutti i suoi sottoinsiemi (la potenza): ∀x ∃ y∀z (z ∈ y ↔ z ⊆ x)

A.5 Assioma dell’infinito Esiste un insieme induttivo:

∃A ∃x (x ∈ A ∧ ∀ξ(¬(ξ ∈ x)) ∧ ∀y (y ∈ A → ∃z (z ∈ A ∧ ∀t (t ∈ z ↔ t = y ∨ t ∈ y)))6

A6 Schema di assiomi di collezione

∀x ∈ A (∃yΦ(x, y) ↔ ∃B (∀x ∈ A∃y ∈ BΦ(x, y))

5Ad esempio useremo come utili abbreviazioni delle formule ∃x (x ∈ A ∧ φ(x)) e ∀x (x ∈

A → φ(x)) rispettivamente: ∃x ∈ A φ(x) e ∀x ∈ A φ(x). Inoltre con la scrittura ‘x ⊆ y’ intenderemo la formula ∀ z (z ∈ x → z ∈ y), mentre scrivendo φ ↔ ψ abbrevieremo la formula (φ → ψ) ∧ (ψ → φ).

6Se conveniamo che ∅

Arappresenti l’insieme x definito da x ∈ A ∧ ∀u (¬(u ∈ x)) e con

y ∪ {y} indichiamo l’insieme z del nostro assioma l’assioma prende la forma: ∃A (∅A∈ A ∧ ∀y (y ∈ A → y ∪ {y} ∈ x)).

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A.7 Assioma di fondazione Ogni insieme `e ben fondato:

∀x (∃y (y ∈ x) → ∃y(y ∈ x ∧ ¬∃z(z ∈ x ∧ z ∈ y)))

Osservazione 1. L’assioma A6 `e equivalente (sotto i restanti assiomi) al pi`u noto assioma:

A.6’ Schema di assiomi di rimpiazzamento

L’ ‘immagine’ di un insieme attraverso una relazione ‘funzionale’ Φ `e ancora un insieme.

Se Φ(x, y) `e una formula di ZF in cui per ogni x esiste un solo y tale che Φ(x, y) vale7, si ha il seguente assioma:

∀A ∃B ∀y (y ∈ B ↔ ∃x ∈ A Φ(x, y)).

Se indichiamo con F (x) quell’unico y tale che Φ(x, y) vale, allora B `e l’insieme {F (x) | x ∈ A} e la propriet`a che lo caratterizza si esprime come z ∈ {F (x) | x ∈ A} ↔ ∃a ∈ A (z = F (a))

Solitamente in letteratura, accanto agli assiomi dati, si trovano anche i due seguenti

A.6” Schema di Assiomi di separazione8

Data una formula possiamo ‘separare’, da un insieme dato, l’insieme degli elementi che verificano la data formula:

Per ogni formula φ(t) di ZF abbiamo il seguente assioma9 ∀x ∃y ∀z (z ∈ y ↔ z ∈ x ∧ φ(z))

A.0 Assioma dell’insieme vuoto Esiste un insieme vuoto:

∃x ∀y¬(y ∈ x)

7Formalmente: ∀x ∀y ∀t (Φ(x, y) ∧ Φ(x, t) → y = t). 8In letteratura anche Schema di assiomi di comprensione.

9Se la formula φ contiene altre variabili libere oltre a t esse devono essere considerate

come parametri e devono figurare universalmente quantificate nel corrispondente assioma di separazione.

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L’assioma dell’insieme vuoto pu`o essere dedotto dall’assioma di separazione prendendo come formula φ la formula ∀y ¬(y ∈ x) e ‘separandola’ dall’insieme A che sappiamo esistere per l’assioma A.5. Inoltre si pu`o dedurre lo schema di assiomi di separazione dall’assioma di rimpiazzamento avendo l’accorgimento di prendere, per ogni formula φ una relazione funzionale Φ(x, y) in cui y = x se φ(x) vale, y = ∅ altrimenti. L’equivalenza di A.6 e A.6’ pu`o essere stabilita a partire dai rimanenti assiomi, A.1-A.7

Per giustificare l’introduzione dell’assioma A.7 prendiamo in esame alcune definizioni: quanto detto di seguito pu`o essere formalizzato nella teoria che comprende i soli assiomi A1-A6 (in letteratura ZF−; si veda a proposito [16], cap III).

Definizione 1.1 (relazione ben fondata). dato un insieme A ed una relazione R su di esso diciamo che R `e ben fondata su A se ogni sottoinsieme non vuoto X di A ammette elementi minimali rispetto ad R, ossia per ogni X ⊆ A, X 6= ∅ esiste x ∈ X tale che, per ogni y ∈ X si ha ¬(y R x).

Definizione 1.2 (Insieme transitivo). Un insieme X si dice transitivo se ogni elemento di X `e un suo sottoinsieme, equivalentemente: ∀x ∀y (x ∈ y ∈ X → x ∈ X).

Lemma 1.1.1. Per ogni insieme X esiste il pi`u piccolo insieme transitivo che contiene X. Tale insieme sar`a detto la chiusura transitiva di X e lo indicheremo con T C(X).

Dimostrazione. Poniamo X0 = X, Xn+1 = S Xn = {y | y ∈ x per qualche

x ∈ Xn} e T C(X) =S {Xn| n ∈ N}. Chiaramente X ⊆ T C(X) e T C(X) `e

un insieme transitivo.

Se T `e un insieme transitivo tale che X ⊆ T si verifica per induzione che Xn ⊆ T per ogni n ∈ N e quindi T C(X) ⊆ T .

Definizione 1.3 (insieme ben fondato). Diremo che un insieme X `e ben fon-dato se la relazione di appartenenza ristretta ai membri di T C(X), ‘∈T C(X)’,

`e ben fondata su T C(X), ossia per ogni Y ⊆ T C(X), Y 6= ∅, esiste a ∈ Y tale che a ∩ Y = ∅.

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L’importanza dell’assioma di fondazione riposa soprattutto nell’elimina-zione di certe situazioni ‘patologiche’: amettendo l’assioma di fondanell’elimina-zione evitiamo la costruzione di insiemi che appartengono a se stessi (x = {x}) o di insiemi con catene discendenti infinite di appartenenza (X0 3 X1. . . 3

Xn 3 . . .)10.

Secondo tale assioma, ogni insieme si trova a un qualche livello della gerarchia di Von Neumann, che andiamo a definire:

Definizione 1.4 (Gerarchia cumulativa degli insiemi ben fondati). V0 = ∅

Vα+1 =P(Vα) per ogni ordinale successore α

Vα =Sβ<αVβ per ogni ordinale limite α 6= 0.

Siamo ora condotti a precisare la definizione di classe.

Definizione 1.5. Con il termine classe intendiamo collezioni della forma {x | φ(x)} dove φ `e una qualsiasi formula del nostro linguaggio, avente come unica variabile libera x. Chiaramente ogni insieme `e anche una classe, tut-tavia, come `e noto, per il paradosso di Russell, non vale il viceversa: diremo quindi classe propria una classe che non `e un insieme.

Formalmente le classi proprie non esistono in quanto al di fuori del domi-nio del discorso descritto dagli assiomi; le espressioni che coinvolgono classi possono essere pensate come abbreviazioni di espressioni che non ne fanno uso. Fra le classi proprie ricordiamo, ad esempio, la classe degli ordinali ORD = {x | x `e un ordinale}; inoltre, se Vα `e un elemento della gerarchia di

Von Neumann, definiamo la classe propria V =S Vα.

Si dimostra che un insieme X `e ben fondato se e solo se X ∈ Vα per qualche

ordinale α. La classe V `e quindi la classe di tutti gli insiemi ben fondati. Aggiungendo l’assioma di fondazione, in realt`a, non abbiamo fatto altro che circoscrivere il nostro universo del discorso agli insiemi ben fondati: se defi-niamo U come la classe propria {x | x = x}, l’assioma di fondazione equivale

10L’aggettivo ‘patologici’ usato per appellare questi non-insiemi `e in realt`a piuttosto

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ad affermare che U = V (Teorema 4.1 di [16], pag 101).

Il corpo di assiomi sopra esposto rappresenta la formulazione classica di ZF. Tale teoria risulta essere molto potente a livello espressivo: dentro di essa `e possibile mimare praticamente ogni costruzione matematica11. Per questo motivo, nonch`e per ragioni storiche (cfr. [19]), ZF `e la pi`u nota fra le teorie fondazionali (per avere il parere dissenziente di un protagonista del periodo pi`u fecondo del dibattito fondazionale si veda [25]).

Di qui in avanti assumeremo, oltre agli assiomi dati, l’esistenza dell’universo U.

Diamo infine alcune definizioni che ricorreranno frequentemente nel seguito Definizione 1.6. Definiamo coppia ordinata hx, yi l’insieme {x, {x, y}}. Dati due insiemi A e B definiamo il loro prodotto cartesiano, e lo indichiamo con A × B, l’ insieme {ha, bi | a ∈ A ∧ b ∈ B}; una relazione tra due insiemi sar`a sempre un sottoinsieme del loro prodotto cartesiano. Una funzione `e una relazione funzionale totale (cfr. A6’ e relativa nota).

Completiamo la presentazione di ZF enunciando l’assioma di scelta che, come `e noto, `e indipendente dagli assiomi dati. Non comprenderemo tale assioma fra quelli della nostra teoria: nel seguito, ogni occorrenza di tale assioma in definizioni e teoremi verr`a puntualmente segnalata.

AC Assioma di scelta

Se F `e un insieme di insiemi, tale che ∀A ∈ F (A 6= ∅), allora esiste un insieme C tale che ∀A ∈F ∃ x ∈ C (C ∩ A = {x}).

1.2

Modelli e teoria degli insiemi

Diamo ora le definizioni necessarie a precisare la nozione di modello di ZF : per semplicit`a seguiremo una trattazione esterna (a ZF), sebbene esistano metodi standard per ‘internalizzare’ tali definizioni.

11Numeri naturali, razionali, reali, ordinali, cardinali. . . solo per citarne alcune; fra i

potenti strumenti di dimostrazione di cui ZF dispone ricordiamo inoltre la ricorsione e l’induzione transfinita.

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Definizione 1.7 (L -struttura). Dato un linguaggio L del primo ordine una L -struttura `e una coppia hA, k ki il cui primo elemento, A, `e un insieme, detto universo (o dominio), ed il secondo, k k, una funzione, detta funzione di interpretazione che, appunto, ‘interpreta’ in A i simboli di L . Pi`u precisamente k k associa:

1. ad ogni simbolo di relazione R di ariet`a n un sottoinsieme kRk ⊆ An;

2. ad ogni simbolo di funzione F di ariet`a m una funzione kF k : Am → A;

3. ad ogni simbolo di costante c un elemento di A.

Definizione 1.8. Data una teoria T , formulata nel linguaggio del primo ordine L , un modello U di T `e una L -struttura in cui risultano veri tutti gli assiomi di T ; per indicare questo fatto scriviamo U |= T .

Indichiamo con M odL(T ) la classe di tutti i modelli di T . Una teoria sar`a detta soddisfacibile se ha almeno un modello.

Dal momento che ZF `e formulata in un linguaggio con unico simbolo di relazione e nessun simbolo di funzione o simbolo di costante, nel seguito, per i modelli della teoria degli insiemi useremo indistintamente le scritture hM, k ki e hM, i dove  `e il sottoinsieme di M2 che interpreta ‘∈’. Diamo

ora la definizione classica di conseguenza logica.

Definizione 1.9 (conseguenza logica). Data unaL -formula chiusa φ ed una L -teoria T diremo che φ segue logicamente da T , e scriviamo T |= φ12,

se φ `e vera in ogni modello di T , ovvero non esiste alcuna L -struttura che rende veri tutti gli assiomi di T e non rende vera φ.

Come si evince dalla definizione di modello che abbiamo dato, la nozione di insieme risulta centrale. E’ immediato osservare che la costruzione di un

12Usiamo lo stesso simbolo per indicare sia la nozione di modello che quella di

con-seguenza logica. Di volta in volta sar`a chiaro dal contesto a quale nozione ci stiamo riferendo.

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modello della teoria degli insiemi non possa eludere una forma di circolarit`a. Come osserva Skolem in [25]13:

If we adopt Zermelo’s axiomatizations14, we must, stricktly

speaking, have a general notion of domains in order to be able to provide a foundation for set theory. The entire content of this theory is, after all, as follow: for every domain in which the axioms hold, the further theorems of set theory also hold. But clearly it is somehow circular to reduce the notion of set to a general notion of domain.

Nell’articolo appena citato, Skolem mostra come ogni teoria degli insiemi formalizzata debba avere un modello numerabile (conseguenza del teorema di L¨owenheim-Skolem) discutendo per la prima volta il paradosso apparente divenuto noto come paradosso di Skolem.

Come `e noto, l’esistenza di un modello di una teoria del primo ordine, e quindi in particolare di ZF, equivale, sotto l’assioma di scelta, ad assumere la coerenza di tale teoria: di qui in avanti supporremo quindi che ZF sia coerente. Dovrebbe ora risultare sufficentemente chiara la nozione di insieme che stiamo assumendo: per noi un insieme sar`a sempre un elemento di un modello di ZF.

13L’articolo `e una perla di discussione filosofica e matematica: Skolem ridimostra il

teorema di L¨owenheim, introduce l’assioma di rimpiazzamento e discute diverse questioni di carattere fondazionale. Nelle conclusioni non manca di sottolineare la sua reticenza a considerare la teoria degli insiemi una teoria fondazionale.

14Skolem fa riferimento all’articolo di Zermelo del 1908: Untersuchungen ¨uber die

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Teoria dei topos elementari

2.1

Cenni di teoria delle categorie

La teoria delle categorie `e stata introdotta da Samuel Eilenberg e Saun-ders Mac Lane durante gli anni 1942-45: nata come linguaggio astratto per esprimere concetti della topologia algebrica si `e rivelata, in seguito, una fecon-da branca della matematica, capace di intessere profondi legami con diversi settori. L’idea fondamentale da cui tale teoria prende le mosse `e quella di esprimere propriet`a delle strutture matematiche in termini di frecce e dia-grammi, rimpiazzando le nozioni primitive di insieme e appartenenza, proprie della teoria degli insiemi, con astrazioni delle nozioni di insieme e funzione, precisamente i concetti di oggetto e freccia.

Prima di presentarne i concetti fondamentali diamo alcune precisazioni, det-tate dalla scelta di aver assunto come medet-tateoria ZF: nella letteratura con-cernente la teoria delle categorie si `e soliti distinguere fra metacategorie, ca-tegorie grandi e caca-tegorie piccole (Si veda [21], capitolo 1); dal momento che l’Universo del discorso in cui abbiamo scelto di lavorare `e U (si veda quanto detto a pag. 12), non potremo permetterci una tale tassonomia categoriale: per noi una categoria indicher`a sempre l’interpretazione degli assiomi che definiscono una categoria (definizione 2.2) nella teoria ZF. Distingueremo, come di consueto, categorie piccole o grandi, a seconda che gli oggetti di tale

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categoria siano rispettivamente, elementi di U (insiemi) o classi proprie1.

Definizione 2.1. Un grafo G `e una quadrupla (V, F, δ0, δ1) tale che

1. V `e un insieme i cui elementi vengono detti vertici diG ; 2. F `e un insieme i cui elementi vengono detti frecce di G ;

3. δ0`e una funzione da F a V che associa ad ogni freccia f  F un elemento

δ0(f ) di f , detto dominio;

4. δ1`e una funzione da F a V che associa ad ogni freccia f  F un elemento

δ1(f ) detto codominio di f

Una freccia f `e solitamente rappresentata insieme alle due operazioni che la coinvolgono mediante la scrittura funzionale f : a → b o a→ b dove δf 0(f ) = a

e δ1(f ) = b.

Definizione 2.2. Una categoria C `e un grafo con due operazioni aggiuntive, id e ◦2:

5. id `e una funzione da V ad F che ad ogni vertice a associa una freccia id(a): a → a;

6. ◦ `e una funzione da F × F a F che ad ogni coppia di frecce hg, f i, con δ1(f ) = δ0(g), associa una freccia, ◦(hg, f i), detta la composizione di g

ed f .

Conveniamo di indicare, per ogni categoria C, con ObC l’insieme dei vertici

V (comunemente detti oggetti di C), con HomC l’insieme delle frecce (dette

anche morfismi ), con dom la funzione δ0, con cod la funzione δ1. Inoltre

useremo indistintamente le scritture 1a e ida per indicare il risultato della

funzione id sull’oggetto a e abbandoneremo la notazione funzionale per l’o-perazione ◦: per indicare il risultato della composizione delle frecce g e f

1Nel nostro contesto la nozione di metacategoria ([21], cap. 1, pag. 19) perde quindi

senso.

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scriveremo g ◦ f o direttamente gf . Indichiamo con HomC(a, b) l’insieme

delle frecce in C con dominio a e codominio b

Le operazioni id e ◦ rispettano i due seguenti assiomi: CAT1. Associativit`a della composizione

Per ogni f, g, k  HomC tali che cod(f ) = dom(g) e cod(g) = dom(k) si

ha sempre l’uguaglianza

k ◦ (g ◦ f ) = (k ◦ g) ◦ f

CAT2. Legge dell’unit`a

Per ogni freccia f : a → b e g: b → c si ha

idb◦ f = f e g ◦ idb = g

La richiesta che la collezione degli oggetti e delle frecce siano insiemi esclude dalla nostra definizione alcune strutture. Diamo quindi alcune preci-sazioni: definiamo una categoria grande se le collezioni degli oggetti e quelle delle frecce sono classi proprie e non insiemi; definiamo una categoria local-mente piccola una categoria grande nella quale, dati due oggetti, la classe dei morfismi dall’uno all’altro `e un insieme (ossia ammettiamo che le due condizioni appena date sostituiscano 1. e 2. nella definizione 2.1 mentre rimangono invariati i rimanenti assiomi che definiscono una categoria). E’ importante notare che la definizione che abbiamo dato pu`o essere assio-matizzata al primo ordine attraverso una teoria definita in un linguaggio con identit`a avente un simbolo predicativo di ariet`a 3 per la composizione e due simboli predicativi di ariet`a 1 per dominio e codominio; in una tale presenta-zione si pu`o omettere la distinzione fra oggetti e frecce identificando i primi con i morfismi identici (si veda [9], cap. 8, par. 46).

Diamo solo alcuni semplici esempi di categorie, che mostrano quanto questa nozione si sia rivelata pervasiva in tutta la matematica; rimandiamo a [21] o [1] per ulteriori esempi:

(20)

Esempio 2.1. (a) Sia U l’universo come definito a pag. 12. Chiamiamo Set la categoria grande i cui oggetti sono gli insiemi di U e le cui frecce sono funzioni f : X → Y fra tali insiemi.

(a’) Sia hM, i un modello di ZF. Chiamiamo SM la categoria localmente

piccola i cui oggetti sono gli insiemi del modello M e le cui frecce sono le interpretazioni in M della formula che definisce una funzione in ZF. (b) Un preordine P = (P, ≤) `e una categoria in cui dati due oggetti p e q

esiste al pi`u una freccia p → q, precisamente quando p ≤ q.

(c) Un sistema deduttivo in cui ogni dimostrazione formale ha un solo an-tedecedente e un solo conseguente e in cui vale una regola di cesura del tipo (a ` b e b ` c allora a ` c), pu`o essere pensato come una categoria i cui oggetti sono le proposizioni e le cui frecce f : a → b corrispondono alle dimostrazioni a ` b. In maniera naturale definiamo ida come a ` a

e sfruttiamo la propriet`a di cesura delle dimostrazioni per ottenere la composizione:

f : a → b g: b → c g ◦ f : a → c

Una delle caratteristiche distintive della teoria delle categorie `e quella di trattare le propriet`a degli enti matematici in termini di morfismi piuttosto che in termini di elementi (di un insieme). Riportiamo sinteticamente alcune costruzioni fondamentali dentro una categoria C che sfruttano direttamente questa caratteristica:

• una freccia f : a → b `e detta invertibile se esiste una freccia f0: b → a

tale che f0f = ida e f f0 = idb;

• due oggetti a e b sono isomorfi, e scriveremo a ∼= b se esiste una freccia invertibile (ovvero un isomorfismo) f : a → b;

• una freccia m: a → b `e un monomorfismo (brevemente `e mono) se per ogni coppia di frecce f1, f2: c → a si ha:

(21)

due monomorfismi f : a  d e g: b  d con stesso codominio d sono detti equivalenti se esiste un isomorfismo h: a → b tale che gh = f ; • Un sottoggetto di un oggetto d `e una classe di equivalenza (secondo la

relazione definita al punto sopra) di monomorfismi con codominio d; la collezione dei sottoggetti di d, SubC(d) `e un insieme parzialmente

ordinato secondo la relazione d’ordine [f ] ≤ [g] che vale nel caso esista h: a → b tale che f = gh, dove f : a  d e g: b  d;

• una freccia e: a → b `e un epimorfismo (brevemente `e epi) se per ogni coppia di frecce g1, g2: b → c si ha:

g1◦ e = g2◦ e implica g1 = g2;

• data una funzione h: a → b una sezione di h `e una freccia s: b → a tale che hs = idb; una retrazione di h `e una freccia r: b → a tale che

rh = ida;

Oltre a queste definizioni richiamiamo alcune costruzioni universali che giocheranno un ruolo centrale nella definizione di un topos.

Definizione 2.3. Diremo che un oggetto t `e terminale se per ogni oggetto a di C esiste una ed una sola freccia f : a → t; se C ha un oggetto terminale allora esso `e unico a meno di isomorfismo; sceltone uno e, fissatolo, lo indi-cheremo con 1C (o pi`u semplicemente con 1).

Dati due oggetti a e b di C diremo che un oggetto x, insieme con due morfi-smi π1: x → a, π2: x → b `e un prodotto di a e b se per ogni oggetto y di C e

morfismi f : y → a, g: y → b esiste un’unica mappa h: y → x tale che π1h = f

e π2h = g.

Dati due morfismi f : b → a e g: c → a un prodotto fibrato (od anche pullback ) di f e g `e un diagramma commutativo del tipo

p c b a f0 g0 f g

(22)

con la propriet`a universale che per ogni oggetto x ed ogni coppia di frecce h: x → b e k: x → c tali che f h = gk esiste uno ed un solo morfismo t: x → p tale che f0t = k e g0t = h.

Date due frecce parallele f, g: a → b un equalizzatore di f e g `e un oggetto c assieme ad un morfismo e: c → a tale che f e = ge, con la propriet`a universale che per ogni altro morfismo u: x → a in C con f u = gu esiste una ed una sola freccia v: x → c tale che ev = u.

Le costruzioni date rientrano nella definizione pi`u generale di limite: si veda pi`u avanti la definizione 2.10.

Vediamo ora in che senso la nozione di categoria `e autoduale: gli assiomi che definiscono una categoria continuano a valere nel caso in cui si mantegano fissi gli oggetti e si invertano le direzioni di tutte le frecce.

Definizione 2.4. data una categoria C, la categoria duale Cop `e definita ponendo

Ob(Cop) = Ob(C) HomCop(a, b) = HomC(b, a);

la composizione g ◦ f di f  HomCop(a, b) e g  HomCop(b, c) `e definita come

g ◦Copf = f ◦Cg.

Osserviamo che si ha (Cop)op = C per ogni categoria C.

La costruzione della categoria duale ben riassume alcune delle straordina-rie capacit`a offerte dal linguaggio categoriale: ad ogni enunciato, formulato in questo linguaggio, corrisponde un enunciato duale, ottenuto formalmen-te rovesciando le frecce e l’ordine di composizione fra esse. Come esempi menzioniamo le costruzione dei colimiti, ottenuti dalle definizioni dei limiti precisamente in questo modo: si hanno allora, come ulteriori costruzioni uni-versali, anche quelle di oggetto iniziale, coprodotto, pushout e coequalizzatore; rimandiamo a [21] per i dettagli.

Descriviamo ora lo strumento pi`u utile per confrontare fra loro due categorie: gli omomorfismi di categorie.

(23)

Definizione 2.5. Date due categorie C e D, un funtore F fra C e D `e una coppia di funzioni F0: ObC → ObD, F1: HomC → HomD, dette

rispettiva-mente funzione sugli oggetti e funzione sui morfismi, tali che: • F0 associa ad ogni oggetto c di C un oggetto F0(c) di D ;

• F1 associa ad ogni freccia f : c → c0 di D una freccia F1(f ): F0(c) →

F0(c0) di D in modo tale che per ogni oggetto c di C ed ogni coppia di

morfismi f e g di C risulti:

F1(idc) = idF0(c) F1(g ◦ f ) = F1(g) ◦ F1(f )

Useremo la convenzione di indicare un funtore (F0, F1) con unico simbolo

F : di volta in volta sar`a chiaro dal contesto se con F indicheremo la funzione sugli oggetti o quella sulle frecce.

Esempio 2.2. Data una categoria C ed un oggetto a  ObCpossiamo

costrui-re il funtocostrui-re (covariante) HomC(a, −): C → Set; ad ogni oggetto c di C,

que-sto funtore associa l’insieme HomC(a, c), mentre ad ogni freccia f : c → d,

ap-partenente a HomC, associa la funzione HomC(a, c) → HomC(a, d) ottenuta

per composizione a sinistra con f

(g: a → c) 7→ (f ◦ g: a → d).

In maniera analoga si costruisce il funtore HomC(−, a): Cop→ Set che agisce

sulla categoria duale; si usa l’aggettivo controvariante per questo funtore, quando `e definito sulla categoria C, per indicare l’azione di ‘inversione’ sulle frecce.

Definizione 2.6. Un funtore F : C → D `e detto pieno (rispettivamente fedele) se per ogni coppia di oggetti c e c0 in C l’ operazione

HomC(c0, c) → HomD(F (c0), F (c))

(24)

Dati due funtori F, G: C → D chiamiamo trasformazione naturale tra F e G una funzione τ : F → G che assegna ad ogni oggetto c di C una freccia· τc: F (c) → G(c) in modo tale che per ogni freccia f : c → c0si abbia il seguente

diagramma commutativo: F (c) G(c) F (c0) G(c0) τc F (f ) τc0 G(f )

Si suole chiamare una trasformazione naturale anche ‘omomorfismo di funto-ri’ e le frecce τccomponenti di τ . L’insieme di tutte le trasformazioni naturali

fra due funtori F e G viene indicato con N at(F, G).

Due funtori F, G: C → D si dicono naturalmente isomorfi se esiste una tra-sformazione naturale invertibile α: F → G. La definizione che diamo ora· precisa in quali casi due categorie possono essere considerate equivalenti dal punto di vista delle propriet`a categoriali che soddisfano:

Definizione 2.7 (equivalenza di categorie). Due categorie C e D sono dette equivalenti se esistono due funtori F : C → D e G: D → C e isomorfismi naturali

F ◦ G ∼= idD G ◦ F ∼= idC

Sotto l’assioma di scelta si dimostra che un funtore F : C → D `e parte di un’equivalenza di categorie se e solo se F `e pieno, fedele ed ogni oggetto di D `e isomorfo ad un oggetto nell’immagine di F .

In generale, a partire da una data categoria, `e possibile costruire diversi tipi di categorie: abbiamo gi`a accennato alla costruzione della categoria dua-le, Cop; oltre a questa, fissati la categoria C ed un suo oggetto a, possiamo ad esempio costruire la categoria comma degli oggetti sotto a:

Definizione 2.8. Sia C una categoria e a un suo oggetto. La categoria degli oggetti sotto a, C/a, ha come oggetti le frecce in C con codominio a e,

(25)

come morfismi, triangoli commuttativi fra essi (con composizione e identit`a definite in modo ovvio).

Dualmente possiamo costruire la categoria comma degli oggetti sopra un oggetto a di C. Osserviamo che la definizione di sottoggetto data a pagina 21, pu`o essere ugualmente formulata in termini della categoria comma: due mono, con comune codominio a sono equivalenti in C se sono isomorfi come oggetti di C/a; quindi un sottoggetto di a `e una classe di mono isomorfi, come oggetti, in C/a.

Date due categorie, C e D, `e sempre possibile costruire la categoria prodotto, C × D (avente, come oggetti, coppie il cui primo elemento `e un oggetto di C e il secondo un oggetto di D, e, come morfismi, coppie di frecce la prima delle quali `e in C e la seconda in D), nonch`e la categoria dei funtori fra C e D; dato che quest’ultima ritorner`a sovente nel seguito ne diamo una breve descrizione; per altri tipi di costruzioni rimandiamo al capitolo 2 di [21]. Definizione 2.9. Date due categorie C e D la categoria dei funtori DC`e la categoria i cui oggetti sono tutti i funtori F : C → D e i cui morfismi sono trasformazioni naturali tra tali funtori.

Se σ: R → S e τ : S· → T sono due trasformazioni naturali, per ogni ogget-· to c di C, si possono infatti comporre le rispettive componenti per ottenere una nuova trasformazione τ • σ: R → T , con componenti τ • σ(c) = τ· c◦ σc,

che si dimostra essere naturale per ogni oggetto c. La composizione di tra-sformazioni `e associativa e l’identita id `e rappresentata dalla trasformazione naturale 1F: F

·

→ F .

Esempio 2.3. Un esempio di categoria di funtori che riveste un ruolo fonda-mentale nella nostra analisi `e la categoria dei prefasci su una data categoria C. Un prefascio su C `e un funtore Cop → Set a valori nella categoria Set dell’e-sempio 2.1 (a). Indichiamo con SetCop la categoria in cui ObSetCop `e l’insieme

dei prefasci su C e HomSetCop l’insieme di trasformazioni naturali fra essi.

Un prefascio F : Cop → Set sar`a detto rappresentabile se esiste una coppia hc, τ i con c  ObC e τ : HomC(−, c) ∼= F isomorfismo naturale (cfr. esempio

(26)

2.2); in tal caso l’oggetto c `e detto oggetto rappresentante. Data una cate-goria C, avente pullbacks, possiamo costruire il funtore SubC: Cop → Set,

definito in questo modo: ad ogni oggetto c associamo l’insieme delle classi di equivalenza delle frecce moniche con codominio c (come a pag 21), mentre l’azione sulle frecce `e definita per pullback; precisamente, data una freccia f : b → c in C, il pullback di una freccia monica m: a  c lungo f definisce una freccia monica m0: a0  b cos`ı che SubC(f ): SubC(c) → SubC(b). Come

vedremo nel prossimo paragrafo, se C ha la struttura di un topos, SubC `e

sempre un prefascio rappresentabile.

Possiamo ora dare la definizione di limite che generalizza le costruzioni universali di 2.3: osserviamo che, date le categorie C, D e CD, `e possibile definire, per ogni oggetto c  ObC, un funtore costante ∆(c): D → C che

manda ogni oggetto di D in c, ed ogni morfismo di D nel morfismo identico idc. Tale costruzione permette allora di definire un funtore diagonale ∆: C →

CD; una trasformazione naturale α: ∆(c) → F , dove F : D → C `e pensato· come un diagramma in C indicizzato dagli elementi di D, `e detta un cono da c ad F : infatti tale trasformazione consiste sostanzialmente in una collezione di frecce {αd: c → F (d) | d  ObD} tale che, per ogni morfismo h: d → d0, si

abbia un diagramma commutativo del tipo c

F (d) F (d0).

αd αd0

F (h)

Definizione 2.10. Sia F : D → C un funtore. Un limite per F in C `e un oggetto c, insieme ad un cono α: ∆(c) → F che `e universale fra i coni dagli oggetti di C ad F , cio`e tale che, per ogni cono β: ∆(c0) → F , esiste un’unica freccia g: c0 → c in C tale che βd= αd◦ g per ogni oggetto d di D.

Un colimite `e la nozione duale di limite.

Diamo infine la nozione fondamentale di coppia di funtori aggiunti. Esempi di tali coppie abbondano in tutta la matematica; noi richiameremo solo quelli

(27)

fondamentali nel nostro contesto. Per una lista di esempi si consulti [21] pag. 111-112.

Definizione 2.11. Date due categorie C e D un’aggiunzione da C a D `e una terna (F, G, θ) dove F e G sono due funtori fra tali categorie in direzioni opposte

F : D → C G: C → D,

mentre θ `e una funzione che associa ad ogni coppia di oggetti hc, di, con c  OBC e d  OBD una bigezione

θ: HomD(d, G(c)) '

→ HomC(F (d), c)

naturale in c e d. In questo caso diremo che G `e aggiunto destro ad F (e F `e aggiunto sinistro di G);

In altri termini, per ogni coppia di oggetti c  OBC e d  OBD, esiste una

bigezione fra i morfismi

d→ G(c)f

F (d)→ c;h (2.1)

ogni morfismo f , come sopra, determina in maniera unica un morfismo h e viceversa. La bigezione risulta essere naturale in questo senso: dati due morfismi g: c → c0 in C e k: d0 → d e frecce f e h come sopra, le seguenti composizioni si corrispondono bigettivamente:

d0 k→ d→ G(c)f G(g)→ G(c0)

F (d0)F (k)→ F (d)→ ch → cg 0. La condizione di naturalit`a pu`o essere messa nella forma

θ(G(g) ◦ f ◦ k) = g ◦ h ◦ F (k)

Ponendo c = F (d) in 2.1, otteniamo un morfismo ηd: d → GF (d) tale che

θ(ηd) = 1F (d). La mappa ηd `e detta l’unit`a dell’aggiunzione (in d). La

propriet`a universale che caratterizza questa mappa si esprime dicendo che ogni f : d → G(c) determina unicamente una freccia h: F (d) → c che fa commutare il seguente diagramma

(28)

d GF (d) F (d)

G(c) c.

η

f G(h) h

Dualmente, ponendo d = G(c), sempre in 2.1, otteniamo la counit`a dell’ag-giunzione, ζc: F G(c) → c3. La sua propriet`a universale `e questa: per ogni

h: F (d) → c esiste una ed una sola f : d → G(c) tale che il seguente diagramma commuti d F (d) G(c) F G(c) c. h ζ f F (f )

Osservazione 2. Si dimostra ([21], corollario 1 cap. IV, pag. 108) che ogni funtore determina in maniera univoca il proprio aggiunto destro (o sinistro): se tale aggiunto esiste allora `e unico a meno di isomorfismo.

Esempio 2.4. Data una categoria C con prodotti per ogni coppia di oggetti a e b, grazie all’assioma di scelta si ha un funtore ×: C × C → C che `e aggiunto destro al funtore diagonale C → C × C che manda un oggetto a nell’oggetto ha, ai di C × C.

Esempio 2.5. Sia data una categoria C con prodotti per ogni coppia di oggetti. Fissato a  ObC consideriamo il funtore

a × (−): C → C;

se tale funtore ha un aggiunto destro, questo (necessariamente unico a meno di isomorfismo) viene indicato con

(−)a: C → C.

3In letteratura la counit`a `e indicata con : ci siamo discostati da questa consuetudine

poich`e abbiamo gi`a usato questo simbolo per la relazione di appartenenza in un modello di ZF.

(29)

In questo caso a viene detto esponenziabile e, dato un oggetto b di C, l’oggetto ba `e detto un esponenziale di a e b. La bigezione 2.1 diventa

c → ba

a × c → b (2.2)

naturale in b e c. La counit`a di questa aggiunzione `e la mappa ζ: a × ba→ b

con la seguente propriet`a universale: per ogni mappa a × c → b esiste uno ed un solo morfismo h∼: c → ba tale che il diagramma

a × c

a × ba b

ida× h∼

ζ h

commuti. In questo caso speciale la counit`a `e detta valutazione ed `e indicata con ev: a × ba→ b.

Una categoria C `e detta cartesiana chiusa se ha un oggetto terminale e, per ogni coppia di oggetti a e b esiste un prodotto, a × b, cos`ı come un’esponenziale ba.

2.1.1

Lemma di Yoneda

Enunciamo ora uno strumento che si `e rivelato di fondamentale impor-tanza per tutta la teoria della categorie. Data una categoria C, definiamo l’immersione di Yoneda come il funtore

yC: Cop → Set,

dato da yC(a) = HomC(−, a) per ogni oggetto a di C; yC(f ): yC(a) → yC(b)

(30)

Teorema 2.1.1. Sia C una categoria e F : Cop→ Set un funtore (prefascio su C). Allora per ogni oggetto c  ObC si ha una bigezione

N atSetCop(yC(c), F ) ∼= F (c)

naturale in c.

La dimostrazione del teorema consiste sostanzialmente nella verifica che ogni trasformazione naturale α: HomC(−, c)

·

→ F (c) `e unicamente determi-nata dal suo valore αc(idc) sull’identit`a di c. Come corollario del teorema si

ha:

Corollario 2.1.2. L’immersione di Yoneda `e piena e fedele.

2.2

Topos elementari

La nozione di topos gioca oggi un ruolo unificante nel processo di con-fronto fra diverse teorie matematiche. Nel tentativo di rintracciarne le radici storiche si suole presentare questa nozione, a livello informale, come gene-ralizzazione di due nozioni appartenenti a tradizioni eterogenee: quella di spazio, e quella di universo di insiemi. L’idea di topos come spazio generaliz-zato proviene dalla tradizione della scuola di Grothendieck nell’ambito della riformulazione della teoria dei fasci per la geometria algebrica, mentre, l’idea di topos come universo generalizzato, fu proposta da Lawvere nelle ricerche per un’assiomatizzazione della teoria degli insiemi all’interno della teoria del-le categorie.

La prospettiva che assumeremo implicitamente in questa presentazione si richiama alla seconda tradizione (quella pi`u intimamente legata alla logica matematica), sebbene ne tradisca gli assunti di base: il nostro intento non `e infatti quello di dare una fondazione topos-teoretica alla matematica ma di dimostrare un teorema di completezza per il calcolo di Joyal che rappresenta il sistema logico proprio che `e possibile interpretare in un topos.

(31)

sotto altre due luci: a livello logico, pu`o essere presentata come teoria (cfr. l’introduzione di [5]) o come modello; infine, in un’ottica fondazionale che ve-de i topos come universi ve-della matematica, pu`o essere descritta da un punto di vista interno o da un punto di vista esterno (si vedano, ad esempio le due definizioni che daremo 2.12 e 2.13; per una discussione di tale dicotomia cfr. [22] cap. V, par. 5). Per il momento privilegeremo la prospettiva che vede un topos come un modello, e ne daremo una descrizione secondo una luce esterna, precisamente quella di ZF; questa posizione presenta il vantaggio di disporre sia delle costruzioni ‘interne’ (cio`e che non fanno riferimento ad alcuna assunzione insiemistica) che di quelle ‘esterne’, delle quali invece non si pu`o far uso in un’ottica fondazionale. Una volta che avremo dimostrato il teorema di completezza, introdurremo un linguaggio opportuno per ogni dato topos (paragrafo 5.1) e mostreremo come, a partire da questo, sia possibile costruire un topos linguistico: tale costruzione render`a chiaro in che senso un topos possa essere pensato come una teoria.

Definizione 2.12. Un toposE `e una categoria con tutti i limiti finiti, dotata di un oggetto Ω e di una funzioneP, che assegna ad ogni oggetto b di E un oggettoPb di E , in modo che, per ogni oggetto a di E , si abbiano i seguente isomorfismi:

HomE(b × a, Ω) ∼= HomE(a,Pb), (2.3)

SubE(a) ∼= HomE(a, Ω) (2.4)

entrambi naturali in a.

L’isomorfismo 2.4 fornisce una corrispondenza biunivoca fra l’insieme dei sottoggetti di a e l’insieme dei morfismi con dominio a e codominio Ω. Come avremo modo di osservare pi`u avanti tale isomorfismo rispetta la struttura interna di SubE(a).

Richiamando la nozione di prefascio rappresentabile (esempio 2.3), i due isomorfismi 2.4 e 2.3 esprimono precisamente la richiesta che i due funtori SubE(−) e HomE(b × −, Ω) da E a Set siano rappresentabili; l’oggetto

(32)

rap-presentante di 2.4, Ω, viene detto classificatore di sottoggetti, mentre, in 2.3, Pb viene detto oggetto potenza di b.

Osservazione 3. Gli isomorfismi 2.4 e 2.3 possono essere combinati in un unico isomorfismo

SubE(b × a) ∼= HomE(a,Pb)

naturale in a. Grazie all’isomorfismo 1 × a ∼= a, ponendo b = 1 e Ω =P1, ritroviamo 2.4; da questo segue immediatamente 2.3:

HomE(b × a, Ω) ∼= SubE(b × a) ∼= HomE(a,Pb)

La definizione di topos elementare pu`o essere data in maniera elementare (corroborando la prospettiva interna cui si accennava nell’introduzione del presente paragrafo), cos`ı da ottenere un’assiomatizzazione di tale nozione nel linguaggio del primo ordine delle categorie (si veda quanto detto a pag. 19 dopo la definizione 2.2):

Definizione 2.13. Una categoria E `e detta un topos elementare se: (i) E ha pullback per ogni coppia di frecce con codominio comune; (ii) E ha un oggetto terminale 1;

(iii) E ha un classificatore di sottoggetti, ossia un oggetto Ω insieme ad un morfismo true: 1 → Ω, tale che, per ogni monomorfismo f : a  b, esiste un unico morfismo χf: b → Ω, detto freccia caratteristica di f ,

che rende il diagramma seguente

a b 1 Ω f !a true χf un pullback.

(33)

(iv) per ogni oggetto b di E esiste un oggetto Pb ed una freccia ∈b: b ×

Pb → Ω (nel seguito useremo indistintamente le notazioni ∈b e evb per

indicare tale morfismo) tale che per ogni morfismo f : b × a → Ω esiste un’unica freccia f∼: a →Pb che fa commutare il diagramma

b × a

b ×Pb Ω

idb× f∼

∈b

f

f ed f∼ vengono dette l’una la trasposta dell’altra.

Osservazione 4. Nella definizione precedente, (i) e (ii) corrispondono nella definizione 2.12 alla richiesta che E abbia limiti finiti mentre per l’equiva-lenza di (iii) e 2.4 si veda [22] prop. 1, par. 3, cap I.; (iv) rappresenta la riformulazione dell’ aggiunzione 2.3 in termini della sua counit`a (si ponga a =Pb in 2.3). Si osservi che, prendendo b = 1 in (iv), si ha P(1) ∼= Ω.

2.3

Esempi

Diamo ora una serie di esempi di categorie che rispettano la definizione di topos; ci limiteremo ai casi pi`u rilevanti, rimandando a [22], cap. I e II, per una lista (quasi) esaustiva.

2.3.1

Il topos degli insiemi Set

Si consideri l’esempio 2.1 (a). Mostriamo che Set `e effettivamente un topos: a tal fine verifichiamo che le propriet`a (i)-(iv) di 2.13 valgono.

(i) In Set date due funzioni f : A → C e g: B → C `e sempre possibile costruire l’insieme

f ×C g = {ha, bi  A × B | f (a) = g(b)}.

(34)

f ×C g B A C π2 π1 f g

rispetta la propriet`a universale del pullback, dove abbiamo indicato con π1 e π2 le proiezioni sugli insiemi A e B.

(ii) In Set l’insieme 1 = {∅} `e terminale: per ogni altro insieme A esiste un’unica funzione !A: A → 1;

(iii) Il classificatore di sottoggetti di Set `e l’insieme Ω = {0, 1}: per ogni funzione iniettiva f : A  B esiste una ed una sola funzione χf: B →

{0, 1} tale che il diagramma

A B 1 {0, 1} f !a true χf

sia un pullback: χf `e precisamente la funzione caratteristica di f :

χf(x) = (

1 se xA 0 altrimenti

(iv) Dato un insieme B, l’insieme delle parti di B, come `e noto, `e in bi-gezione con l’insieme delle funzioni da B a {0, 1}, B{0,1}; conveniamo allora di definire P(b) come l’insieme B{0,1}. La freccia ∈B `e allora la

funzione B × B{0,1} → {0, 1} tale che

∈B (b, χf ) =

(

1 se χf(b) = 1,

(35)

in questo modo risulta verificata anche la propriet`a universale di (iv). Dal momento che non `e stata fatta alcuna assunzione particolare sul-la categoria Set, l’esempio precedente pu`o essere riadattato senza alcun cambiamento alla categoria SM dell’esempio 2.1 (a’); si ha allora:

Proposizione 2.3.1. ogni modello di ZF d`a luogo ad un topos.

2.3.2

Set

Cop

: il topos dei prefasci su una categoria

Mostriamo ora che la categoria dei prefasci, SetCop, descritta in 2.3 `e un topos: a tal fine anticipiamo alcune definizioni che motivano la scelta del classificatore di sottoggetti di SetCop.

Definizione 2.14. Data una categoria C, un sottofuntore di F : Cop→ Set `e un funtore G: Cop → Set tale che, per ogni oggetto c di C , si abbia G(c) ⊆ F (c), e, per ogni freccia f : c → d in C, G(f ): G(d) → G(c) sia la restrizione di F (f ): F (d) → F (c).

Ogni sottofuntore G di F `e anche un sottoggetto di F : l’inclusione G→ F· `e infatti un monomorfismo in SetCop. Vale anche il viceversa, cio`e ogni sottoggetto proviene da un sottofuntore: se τ : H → F `e una trasformazione· naturale mono in SetCop, allora ogni componente τc: H(c) → F (c) `e una

funzione iniettiva. Se indichiamo con I(c) l’immagine di H(c) → F (c) si ha che I `e un sottofuntore di F ed `e equivalente (come sottoggetto) ad H. Definizione 2.15. Dato un oggetto c di C, un crivello4 S su c `e un

insie-me di frecce con comune codominio c con la propriet`a di essere chiuso per composizione a destra: se f  S e la composizione f ◦ h `e definita, allora f ◦ h  S

Consideriamo ora un sottofuntore F di HomC(−, c). Per ogni a  ObC si

ha F (a) ⊆ HomC(a, c); l’insieme

S = {f  HomC| ∃ a  ObC, f : a → c ∧ f  F (a)}

(36)

risulta allora essere ben definito come crivello su c. Viceversa, dato un crivello S su c, se poniamo

F (a) = {f  HomC| f : a → c ∧ f  S} ⊆ HomC(a, c)

otteniamo un funtore F : Cop → Set che `e un sottofuntore di HomC(−, c).

La corrispondenza fra F e S `e una bigezione che ci permette di identificare sottofuntori di funtori rappresentabili, HomC(−, c), con crivelli su c. Di

pi`u: data una freccia g: b → c, ogni sottoggetto H di HomC(−, c) determina

un sottoggetto di HomC(−, b) attraverso l’operazione di pullback lungo g;

analogamente, ogni crivello S su c pu`o essere trasformato in un crivello Sg

su b ponendo Sg = {h  HomC| ∃ a  ObC, h: a → b ∧ g ◦ h  S}.

Fatte queste premesse, vediamo in che modo SetCop verifica le condizioni della definizione 2.13:

(i) il pullback di due prefasci F e G `e definito per componenti. Date due trasformazioni naturali σ: F → H e τ : G· → H si ha che F ×· H G `e il

prefascio che manda ogni c  C nel prodotto fibrato degli insiemi F (c) e G(c), ossia (F ×H G)(c) = F (c) ×H(c)G(c) ed ogni freccia f : c → c0

nella funzione F (c) ×H(c)G(c) → F (c0) ×H(c0)G(c0).

(ii) L’oggetto terminale di SetCop `e il funtore 1: Cop → Set che manda ogni oggetto c in {0} ed ogni freccia f : c → c0 in id{0}.

(iii) Definiamo il classificatore di sottoggetti di SetCop come quel funtore Ω: Cop→ Set tale che, per ogni c  Obc

Ω(c) = {S | S `e un crivello su c in C }

e per ogni freccia g: b → c manda crivelli su c in crivelli su b attraverso la mappa S 7→ Sg. Se indichiamo con m(c) l’insieme di tutte le frecce

con codominio c, abbiamo che m(c) `e chiaramente un crivello ed `e det-to il crivello massimale su c. Definiamo true: 1→ Ω la trasformazione· naturale con componenti truec: 0 7→ m(c).

(37)

Per vedere come, effettivamente, la definizione data funzioni, si conside-ri un prefascio G: Cop→ Set ed un suo sottoprefascio F insieme ad un monomorfismo m: F  G; per ogni c  ObC si ha allora F (c) ⊆ G(c).

Si consideri ora la freccia caratteristica di m, χm: G → Ω: per ogni c la funzione χm(c): G(c) → Ω(c) mappa x  G(c) in χm(c)(x) = {f : d → c | G(f )(x)  F (c)}.

(iv) Mostriamo, pi`u in generale, che `e possibile definire un’operazione di esponenziazione in SetCop: da questo dedurremo immediatamente che vale (iv). Il problema che si pone in questo caso `e che, se da una parte `e sempre possibile definire i limiti delle categorie di funtori componente per componente, dall’altra non `e possibile fare lo stesso per definire l’esponenziale. Per ovviare a tale problema, se conveniamo di indicare con y(c) il funtore rappresentabile HomC(−, c), possiamo definire per

ogni c  ObC

FG(c) = HomSetCop(y(c) × G, F )

ossia FG(c) `e l’insieme di tutte le trasformazioni naturali (in realt`a la scelta di tale formula `e obbligata dal lemma di Yoneda)

τ : HomC(−, c) × G ·

→ F.

Definiamo quindi una mappa di valutazione e: G × FG → F associata·

a FG per componenti: ec(x, τ ) = τc(idc, x)  F (c) Dove c  C, τ : HomC(−, c) × G · → F e x  G(c) ([22], cap I, par. 6, proposizione 1, pag 46).

Vediamo come segue (iv): data una trasformazione naturale σ: H ×F →· Ω si ha che esiste una ed una sola trasformazione naturale σ∼: F → Ω· H

(38)

H × F

H × ΩH Ω.

idH× σ∼

∈F

σ

2.3.3

Sh(X): il topos dei fasci su uno spazio topologico

Consideriamo ora la categoria dei fasci su un dato spazio topologico X = (X, τ ).

L’idea che sta alla base della nozione di fascio `e quella di descrizione locale per restrizione-incollamento tipica di diverse strutture matematiche; al fine di chiarire questa importante propriet`a, premettiamo alle definizioni il semplice esempio del fascio delle funzioni continue su uno spazio topologico.

Data una funzione continua f : U → R con U aperto di uno spazio topologico X; possiamo caratterizzare la continuit`a di f localmente mediante le due seguenti condizioni:

(i) Se V ⊂ U `e aperto la funzione f ristretta a V , f |V: V → R, `e continua.

(ii) Dato un insieme I, se {Ui}i  I`e un ricoprimento aperto di U e le funzioni

fi: Ui → R sono continue per ogni i  I, allora esiste al pi`u una funzione

continua f : U → R tale che f |Ui = fi per ogni i; inoltre una tale f

esiste se e solo se le varie fi coincidono su ogni intersezione Ui ∩ Uj,

ossia fi(x) = fj(x) per ogni x  Ui∩ Uj.

Se indichiamo con F la mappa che assegna, ad ogni aperto U ⊂ X, l’insieme di tutte le funzioni continue a valori reali definite su U

F : U 7−→ F (U ) = {f | f : U → R, f continua}

e, ad ogni aperto V contenuto in U , l’insieme di tutte le restrizioni a V delle funzioni continue a valori reali definite su U

(39)

si ha che le condizione (i) definisce F come un funtore controvariante F :O(X)op→ Set,

dove O(X) `e la categoria che ha per oggetti gli aperti di X e per frecce V → U le inclusioni V ⊂ U .

La condizione (ii) stabilisce che, dato un elemento {fi}i  I dell’insieme

pro-dotto Q

i  IF (Ui), le due frecce {fi}i  I 7−→ {fi|Ui∩Uj}i,j  I e {fi}i  I 7−→

{fj|Ui∩Uj}i,j  I definiscono due mappe p e q in modo tale che

F (U )99Ke Y i F (Ui) p −−−→ q −−−→ Y i,j F (Ui∩ Uj)

la mappa e data da f 7−→ {f |Ui}i  I sia l’equalizzatore delle mappe p e q.

Un fascio su X, quindi, non `e altro che un prefascio sulla categoria O(X) con la propriet`a aggiuntiva di incollamento coerente dei ricoprimenti aperti (la condizione (ii) nel caso del fascio delle funzioni continue su X):

Definizione 2.16. Un fascio di insiemi F su di uno spazio topologico X `e un funtore F :O(X)op→ Set tale che, per ogni ricoprimento aperto U = S

iUi, i  I, di un aperto U di X, si abbia un diagramma con equalizzatore

F (U )99Ke Y i F (Ui) p −−−→ q −−−→ Y i,j F (Ui∩ Uj) (2.5) dove per t  F (U ) e(t) = {t|Ui}i  I

e, per una famiglia {ti

Q

iF (Ui) | ∀i  I ti F (Ui)},

p{ti} = {ti|(Ui∩Uj)} q{ti} = {tj|(Ui∩Uj)}.

Dati due fasci F e G su di uno stesso insieme X, un morfismo F → G `e· una trasformazione naturale di tali funtori.

Indichiamo con Sh(X) la categoria i cui oggetti sono i fasci sullo spazio topologico X e le cui frecce sono trasformazioni naturali fra questi.

(40)

categoria di funtori SetO(X)op; si pu`o mostrare che il funtore di inclusione Sh(X)  SetO(X)op ha un aggiunto sinistro che preserva i limiti finiti, il funtore di fascificazione

a: SetO(X)op → Sh(X)

che porta ogni prefascio P su X alla sua ‘migliore approssimazione’ come fascio.

E’ possibile caratterizzare Sh(X) in termini di spazi ´etale: data la categoria comma Top/X, che ha per oggetti le funzioni continue fra spazi topologici a valori in X (e come morfismi triangoli commutativi fra tali funzioni), si pu`o costruire la sua sottocategoria piena, Etale(X) consistente delle funzio-ni continue che sono ´etale (ossia omeomorfismi locali): si dimostra che le due categorie Sh(X) e Etale(X) sono equivalenti grazie alla restrizione dei fun-tori aggiunti Λ: SetO(X)op → Top/X e Γ: Top/X → SetO(X)op che mandano rispettivamente ogni prefascio F nella funzione continua dei germi su F , ed ogni funzione continua p: Y → X nel fascio delle sezioni trasversali di Y . Mostriamo ora esplicitamente come dare le costruzioni fondamentali della definizione 2.13 che fanno della categoria Sh(X) un topos.

• Per ogni spazio X la categoria Sh(X) ha tutti i limiti finiti ed inoltre l’inclusione dei fasci nei prefasci preserva tali limiti ([22] cap II, par 2, proposizione 2). Chiaramente allora Sh(X) ha pullbacks e oggetto terminale.

• Definiamo il classificatore di sottoggetti di Sh(X) come il prefascio Ω:O(X)op→ Set tale che

Ω(U ) = {W O(X) | W ⊂ U}

per ogni insieme aperto U di X, e per ogni freccia V ⊂ U si ha la mappa Ω(U ) → Ω(V ) definita per intersezione: W 7→ W ∩ V . Si dimostra che Ω cos`ı definito `e in realt`a un fascio (cfr. [22], cap. II, par. 8, teorema 2).

(41)

• L’esponenziale di due fasci `e definito allo stesso modo dell’esponenziale fra due prefasci. Di fatto si pu`o dimostrare che dato un fascio F ed un prefascio P il prefascio esponenziale FP `e un fascio ([22], cap II, par 8,

proposizione 1).

2.3.4

Topos di Grothendieck

Le nozioni di fascio su un sito e di topologia di Grothendieck possono essere viste come generalizzazioni delle nozioni di fascio e topologia su uno spazio topologico X; l’idea fondamentale `e quella di sostituire gli intorni aperti, pensati come funzioni iniettive nello spazio topologico X, con mappe pi`u generali, non necessariamente moniche; la ‘nuova’ nozione di ricoprimento che si ottiene `e precisamente quella di crivello (def. 2.15).

Definizione 2.17. Una topologia di Grothendieck su un categoria C `e una funzione J che assegna ad ogni oggetto c  ObCun insieme J (c) di crivelli

su c, in modo tale che:

(i) il crivello massimale mc= {f | cod(f ) = c} `e in J (c);

(ii) (assioma di stabilit`a) se S  J (c) e h: d → c `e una freccia in C, allora h∗(S) = {g | cod(g) = d, hg  S} `e in J (d);

(iii) (assioma di transitivit`a) se S  J (c) e R `e un crivello su c tale che h∗(R)  J (d) per ogni h: d → c in S, allora R  J (c)

Data una categoria C ed una topologia di Grothendieck J su essa, chia-miamo la coppia (C, J ) un sito. Se S  J (c) diremo che il crivello S ricopre c (o anche S `e un crivello di ricoprimento per c); possiamo dare allora una nozione di ricoprimento anche per i morfismi: diciamo che S ricopre f : d → c se f∗(S) ricopre d.

Come in uno spazio topologico `e possibile generare un crivello da un ricopri-mento {Ui}i∈I di un aperto U5, allo stesso modo, per un’arbitraria categoria

5Precisamente prendendo l’insieme degli aperti V tali che V ⊆ U

(42)

C con pullbacks, `e possibile dare un metodo per generare crivelli di ricopri-mento: questa semplice osservazione ci conduce al concetto di base per una topologia di Grothendieck.

Definizione 2.18. Una base per una topologia di Grothendieck su un categoria C con pullbacks `e una funzione K che assegna ad ogni oggetto c  ObC un insieme di morfismi con comune codominio c tali che:

(i’) se f : c0 → c `e un isomorfismo allora {f : c0 → c}  K(c);

(ii’) se I `e un insieme di indici e {fi: ci → c | i  I}  K(c) allora, per ogni

morfismo g: d → c, l’insieme di pullbacks {π2: ci×cd → d}  K(d);

(iii’) se {fi: ci → c | i  I}  K(c) e per ogni i  I si ha un insieme {gij: dij →

ci| j  Ii}  K(ci) allora l’insieme delle composizioni

{fi◦ gij: dij → c | i  I, j  Ii}

appartiene a K(c).

Data una base K su C `e possibile generare una topologia J in modo canonico, analogamente a quanto avviene con i ricoprimenti di un aperto in uno spazio topologico: dato un crivello S,

S  J (c) se e solo se ∃R ∈ K(c) tale che R ⊆ S. Vediamo alcuni esempi di topologie di Grothendieck:

Esempio 2.6. • La topologia triviale su una categoria C `e quella in cui l’unico crivello di ricoprimento per un oggetto c `e il crivello massimale mc.

• La topologia dei ricoprimenti aperti per una categoria T, di spazi to-pologici, chiusa per limiti finiti e per sottospazi aperti di spazi che appartengono a T, `e definita a partire da una base K su T in questo modo: {fi: Yi → X | i ∈ I}  K(X) se e solo se Yi `e un sottospazio

aperto di X, fi `e l’immersione corrispondente e

S

(43)

• Topologia dell’estremo superiore. Data un’algebra di Heyting comple-ta H (cfr. pi`u avanti il paragrafo 2.5), considerata come categoria, possiamo definire una topologia di Grothedieck J per H ponendo

{ai| i  I} ∈ K(c) se e solo se

_

ai = c,

dove abbiamo identificato un elemento ai ≤ c con il corrispondente

morfismo ai → c. Un crivello, S, su c non `e altro che un sottoinsieme

di elementi a di H, tali che a ≤ c e, se a  S e b ≤ a, allora b  S. Nella topologia J , definita come sopra, un crivello S ricopre c se e solo se c =W S, ossia c `e l’estremo superiore degli elementi di S. Osserviamo che, se come algebra di Heyting prendiamo quella degli aperti di un dato spazio topologico X, ritroviamo la definizione classica di topologia sullo spazio X.

• Topologia densa. Se P `e un Poset e p un suo elemento, un insieme D ⊆ {q  P | q ≤ p} `e detto denso sotto p se, per ogni r ≤ p, esiste q ≤ r con q  D. Chiaramente ogni insieme D, denso sotto p, `e un anche un crivello su p. Definiamo una topologia J su P ponendo: J (p) = {D | q ≤ p per ogni q  D e D `e un sottoinsieme denso sotto p}, dove abbiamo identificato i morfismi q → p in D  J (c) con gli elementi q tali che q ≤ p.

I fasci su un sito possono essere definiti analogamente a quanto fatto per i fasci su uno spazio topologico: ci`o che `e necessario `e una riformulazione della condizione di incollamento coerente dei ricoprimenti in termini di crivelli. Definizione 2.19. Dato un prefascio P : Cop → Set ed un crivello S che ricopre un oggetto c di C, una famiglia compatibile6 per S, di elementi di P , `e una funzione che assegna ad ogni elemento f : d → c di S un elemento xf P (d), in modo tale che per ogni morfismo g: a → d in C si abbia:

xf · g = xf g,

(44)

dove xf g ∈ P (a) (f g `e ancora in S essendo questo un crivello), e xf · g `e

l’immagine della funzione P (g) applicata all’elemento xf (detta anche

restri-zione di xf lungo g). Un incollamento di una tale famiglia compatibile `e

un unico elemento x  P (c) tale che per ogni f  S si abbia x · f = xf.

Diremo che un prefascio P `e un fascio nel caso in cui, per ogni ricoprimen-to di un oggetricoprimen-to di C, ogni famiglia compatibile ha un’unico incollamenricoprimen-to. Come nel caso di uno spazio topologico possiamo formulare questa richiesta in termini diagrammatici:

Definizione 2.20. Un prefascio P `e un fascio per la topologia di Grothen-dieck J se, per ogni oggetto c di C e ogni ricoprimento S  J (c), il diagramma che segue `e un equalizzatore

P (c)99Ke Y f  S P (dom(f )) p −−−→ a −−−→ Y f,g,domf =codg P (dom(g)).

In tale diagramma e `e la mappa e(x) = {x · f }f  S, l’ultima produttoria ha

come indici le coppie f, g componibili (con f  S) e, i due morfismi p e a, sono definiti sugli elementi x = {xf}f  S di

Q

f  SP (dom(f )) da:

p(x)f,g = xf g, a(x)f,g = xf · g.

La mappa p `e quindi quella indotta dalla composizione in C di f e g, mentre a `e la mappa indotta dall’azione di P (g) sull’elemento xf.

Data una base K per una topologia su una categoria C con pullbacks, e detta J la topologia indotta da K, `e possibile dare una descrizione dei fasci per J in termini della base K. Dato un K-ricoprimento R = {fi: ci → c | i  I}

di un oggetto c, una famiglia compatibile per R `e un insieme {xi P (ci) | i  I}

tale che xi· π1ij = xj · π2ij, dove π1 e π2 sono le proiezioni del pullback

ci×ccj cj ci c. π2 ij π1 ij fi fj (2.6)

(45)

Un incollamento per {xi| i  I} `e un elemento x  P (c) con la propriet`a che

x · fi = xi per ogni i  I. Si ha allora ([22] prop. 1, par 4, cap. III):

Proposizione 2.3.2. Un prefascio P su C `e un fascio per la topologia J se e solo se, per ogni ricoprimento {fi: ci → c | i  I} nella base K, il diagramma

seguente `e un’equalizzatore P (c)99Ke Y i  I P (ci) p1,p2 ⇒ P (ci×ccj);

dove e(x) = {x · fi}i  I, p1({xi})i,j  I = xi · πij1 e p2({xi})i,j  I = xj · π2ij con

π1

ij, π2ij proiezioni canoniche come nel diagramma (2.6).

I fasci su un sito (C, J ) formano una sottocategoria piena di SetCop, che indichiamo con Sh(C, J ); i morfismi di tale categoria sono trasformazioni naturali fra tali fasci;

Definizione 2.21. Un topos di Grothendieck `e una categoria che `e equivalente alla categoria Sh(C, J ) dei fasci su un sito (C, J ).

Come per i fasci su uno spazio topologico, `e possibile costruire un funtore di fascificazione a che risulta essere aggiunto sinistro al funtore di inclusione i: Sh(C, J )  SetCop; inoltre tale funtore a commuta con i limiti finiti (si veda [22] par. 5 per la costruzione del funtore a). Si pu`o dimostrare che la categoria Sh(C, J ) `e chiusa per limiti finiti ([22] prop. 4, par. 4, cap. III): `e chiaro quindi che la categoria Sh(C, J ) ha sia pullback che oggetto termi-nale. Analogamente a quanto accade per i fasci su uno spazio topologico, l’esponenziale di due fasci `e ancora un fascio ed `e definito allo stesso modo dell’esponenziale fra prefasci. Per concludere che Sh(C, J ) (e quindi anche ogni topos di Grothendieck) `e un topos elementare ci rimane da esibire il classificatore di sottoggetti: definiamo a tal fine la nozione di crivello chiuso. Definizione 2.22. Un crivello S su c  ObC`e chiuso (per la topologia J ) se

Figura

diagramma di pullback di ∆ b 7 lungo true

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