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Effetti collaterali e interazione tra farmaci nel paziente anziano che accede al Pronto Soccorso

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Effetti collaterali e interazione tra farmaci

nel paziente anziano che accede al Pronto Soccorso

Relatore: Chiar.mo Prof. Fabio Monzani

Candidato: Rachele Antognoli

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ii

Per la realizzazione di questa tesi

si ringrazia l’U.O. di Geriatria Universitaria

diretta dal Prof. Fabio Monzani

e la cortese collaborazione ed ospitalità

presso i locali del Dipartimento di Emergenza e Accettazione

dell’U.O. di Medicina di urgenza e Pronto Soccorso,

diretta dal Dr. Massimo Santini,

nonché l’U.O.S.O.D. di Farmacologia

diretta dal Prof. Corrado Blandizzi

dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

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(6)

INDICE

Riassunto………...1

Introduzione………...1

Scopo dello studio………..1

Materiali e metodi………..2

Risultati………..3

Discussione e onclusioni………4

1.0 Introduzione………...………7

1.1 Eventi e reazioni avverse ai farmaci……….8

1.1.1 Reazioni avverse ai farmaci (definizioni)………8

1.1.2 Classificazioni ADR………….………12

1.1.3 Diagnosi di ADR………..…19

1.1.4 Epidemiologia delle ADR nell’anziano……..…21

1.1.5 Criteri di appropriatezza prescrittiva e prevenzione delle ADR nella popolazione anziana……….23

1.1.6 Reazioni avverse ai farmaci: esperienze cliniche……….36

1.2 Interazioni farmacologiche………..…40

1.2.1 Interazioni fisico-chimiche……...……..………46

(7)

ii

1.2.3 Interazioni di tipo farmacodinamico……...…..54

1.3 Interazioni alimentari………..…57

1.4 Modificazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche nell’anziano………..59

2.0 Scopo dello studio………..……...70

3.0 Materiali e Metodi………72

3.1 Pazienti in studio e Controlli………..…74

3.2 Analisi statistica………...78

4.0 Risultati……….79

4.1 Descrizione della popolazione in studio……….79

4.2 ADR……….………..88

4.3 Regressione logistica multivariata backward……….94

5.0 Discussione e conclusioni……….……..………..95

(8)
(9)
(10)

1

RIASSUNTO

INTRODUZIONE

La Reazione Avversa ad un farmaco, definita con la sigla ADR (dall’inglese, Adverse Drug Reaction), è una “reazione nociva e non intenzionale ad un medicinale impiegato alle dosi normalmente somministrate all’uomo a scopi profilattici, diagnostici o terapeutici o per ripristinarne, correggerne o modificarne le funzioni fisiologiche”, in accordo con quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Molti studi naturalistici hanno documentato l’incidenza di ADR in vari ambiti clinici sia nella popolazione generale che in quella anziana e hanno contribuito alla identificazione dei vari fattori potenzialmente associati al manifestarsi di un effetto collaterale. Gran parte delle esperienze cliniche riportate in letteratura sono state condotte in modo retrospettivo. Inoltre, pochi studi clinici hanno esplorato la prevalenza di ADR in modo longitudinale direttamente al Pronto Soccorso (PS) con un monitoraggio attivo condotto da specialisti dedicati (geriatri, farmacologi). In base ai dati disponibili in letteratura è possibile affermare che la patologia iatrogena rappresenta una frequente causa di accesso al PS. La probabilità di sviluppare una ADR aumenta nei soggetti poli-trattati, in particolare nella popolazione anziana, nella quale il numero medio di farmaci assunti per soggetto è di circa 3-6 al giorno. I soggetti anziani di per sé sono più predisposti a sviluppare eventi avversi: infatti, le modificazioni cardiovascolari, renali, gastrointestinali ed epatiche, ed i cambiamenti sia della composizione che della massa corporea, correlati all’invecchiamento, influenzano tanto la farmacocinetica (assorbimento, biodisponibilità, metabolismo, eliminazione dei farmaci) quanto la farmacodinamica (meccanismo di azione dei farmaci). È necessario considerare come possibile causa di ADR anche l’interazione farmacologica ovvero la contemporanea somministrazione di due o più farmaci, i quali possono esercitare i loro effetti in modo indipendente oppure interagire.

SCOPO DELLO STUDIO

Il presente studio longitudinale, condotto presso il Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP), ha lo scopo di: 1) stimare la prevalenza di ADR nei soggetti anziani del nostro territorio che afferiscono al PS dell’AOUP con monitoraggio attivo condotto da personale dedicato (geriatra, farmacologo) a partire dall’accesso all’area triage; 2) valutare le caratteristiche dei soggetti che manifestano una ADR dal punto di vista dei parametri demografici (sesso ed età), anamnestici (numero di patologie, presenza di patologie croniche, tra le quali quelle cardiovascolari, neurologiche, psichiatriche, muscolo-scheletriche,

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2 demenza e diabete), farmacologici (numero di farmaci, principali classi

farmacologiche, potenziali interazioni farmacologiche), clinici e laboratoristici (glucosio, creatinina, emoglobina, eritrociti, piastrine, leucociti totali, percentuale di neutrofili e linfociti, transaminasi, bilirubina, gamma-glutamil-transferasi, sodio, potassio, cloro, calcio, amilasi, lipasi, lattico deidrogenasi, International Normalized Ratio (INR), tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale, Brain Natriuretic Peptide (BNP), troponine cardiache ad alta sensibilità); 3) valutare la patogenesi della ADR in base alla classificazione per meccanismo di azione di Rawlins e Thompson (1977) in base al giudizio clinico e mediante la consultazione delle banche dati (Micromedex®, Pharmadati®); 4) valutare la gravità delle ADR in base alla classificazione riportata dalla FDA (Food and Drug Administration) e l’outcome dei pazienti con patologia iatrogena (esito dell’accesso: dimissione a domicilio, ricovero ospedaliero); 5) valutare gli indici di comorbidità e severità secondo CIRS-G (dall’inglese, Cumulative Illness Rating Scale for Geriatrics) nei soggetti con ADR; 6) confrontare tutti i parametri analizzati nei casi di ADR con quelli del gruppo di controllo (rappresentata da soggetti arruolati nello stesso studio, che accedono al PS per cause diverse dalla ADR), con la finalità di evidenziare potenziali fattori di rischio per ADR sia modificabili che non modificabili e definire il profilo del paziente più soggetto a ADR nell’ambito degli accessi al DEA.

MATERIALI E METODI (pazienti in studio e controlli)

I dati di questa tesi sono stati estratti dallo studio osservazionale-prospettico su 3,260 pazienti giunti al DEA dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP) dal 1/06/2012 al 23/07/2014, dal lunedì al venerdì, dalle ore 10:00 alle ore 17:00. I principali criteri di inclusione dei soggetti afferenti al DEA nello studio sono stati: pazienti con età ≥ a 65 anni in grado di dare il consenso e fornire una adeguata anamnesi clinica e farmacologica (i dati -quando possibile- sono stati raccolti preferenzialmente dalla documentazione sanitaria esibita al triage). Per i pazienti non in grado di fornire il consenso informato è stato richiesta l'autorizzazione al rappresentante legale; pazienti che accedevano al PS per un processo patologico acuto di entità medio-grave (codice colore di gravità verde/giallo).

I pazienti arruolati in questo studio sono stati intervistati direttamente al triage da un Geriatra e da un Farmacologo al fine di raccogliere una accurata anamnesi farmacologica e clinica: sono quindi stati raccolti i dati del paziente, il codice triage, il motivo del suo accesso al PS, una breve anamnesi con riferimento alle patologie più importanti e ad eventuali allergie, la lista completa dei farmaci assunti dal paziente, la posologia e la relazione temporale con il motivo di accesso ed infine sono stati riportati i principali dati ematochimici, derivati dai prelievi effettuati dai pazienti il giorno stesso dell’accesso al PS.

Dopo l’intervista è stata eseguita la valutazione della potenziale correlazione tra il motivo dell’accesso e le reazioni note, mediante la

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3 consultazione delle banche dati Micromedex® e Farmadati®. I pazienti

sono stati seguiti nel percorso diagnostico in PS fino alla dimissione o al ricovero. Nello di studio di Farmacovigilanza Geriatrica la possibile causa di ADR è stata considerata in diagnosi differenziale precocemente -fin dal triage- nel percorso diagnostico dei pazienti.

RISULTATI

Il numero totale di soggetti arruolati nello studio naturalistico in corso al DEA di Pisa sulle ADR è stato di 3,260 pazienti. L’età media ± DS dei soggetti inseriti nell’analisi è stata di 80.3 ± 7.79 anni e la prevalenza del sesso femminile è stata il 58.8% (1,888) dell’intera popolazione.

La principale causa di accesso al DEA per questa popolazione di soggetti anziani è stata la caduta (14.5%), seguita da sintomatologia respiratoria (14.2%), sintomatologia gastroenterica (9.8%), sincope/presincope (9.1%) e sintomatologia neurologica (7.5%). Il numero totale di ADR è stato di 153 (4.71%, I.C. 3.99-5.44%) su tutta la popolazione analizzata. La frequenza dei soggetti di sesso femminile nei due gruppi è stata: 60.5 % (92) nel gruppo ADR e 58.7% nel gruppo dei Controlli (p>0.05). L’età media ± DS del gruppo ADR è stata 79.57 ± 7.59 anni e nel gruppo dei Controlli 80.48 ± 7.79 anni (p>0.05).

Nel gruppo ADR il motivo di accesso più frequente è stato l’emorragia (21.1%), seguito da sincope/presincope (15.0%), gastroenterico (9.5%), alterazione dello stato di coscienza (6.8%), neurologico e pneumologico (5.4%), anemia e caduta (4.1%), cardiologico (3.4%), ipoglicemia e muscolo-scheletrico (2.7%), insufficienza renale acuta (IRA) (1.4%), febbre, trauma, dolore toracico e sintomatologia dolorosa di NDD (0.7%). Nel gruppo dei Controlli le cause di accesso sono risultate significativamente differenti (p<0.05). In questo gruppo, infatti, la causa più frequente di accesso è stata la caduta seguita da cause pneumologiche e gastroenterologiche .

Dai dati anamnestici è stato possibile valutare nei due gruppi di studio il numero totale di patologie croniche e la presenza di varie comorbidità tra cui malattie psichiatriche, neurologiche, cardiovascolari, muscolo-scheletriche, demenza e diabete. Il numero mediano di patologie croniche ± DS non è risultato significativamente maggiore nel gruppo ADR (3 (0-10)), rispetti ai Controlli.

Un differenza significativa tra i due gruppi è stata rilevata per le patologie muscolo-scheletriche (p=0.03) e per il diabete (p<0.01). Il numero mediano di farmaci è stato statisticamente maggiore nel gruppo ADR (7 (1-17)), mentre nel gruppo dei Controlli è stato di (5 (0-20)). La presenza di interazione farmacologica nei due gruppi è risultata significativamente meno rappresentata nel gruppo di controllo: 75.8% e 61.9% (p<0.01) nel gruppo ADR e dei Controlli, rispettivamente. Stratificando per sesso, è stata mantenuta la stessa differenza significativa tra i due gruppi per il numero di farmaci, mentre nessuna differenza è emersa per il numero di patologie. Non sono state ottenute differenze significative per quanto riguarda CIRS-G , IS e IC. Sono stati ottenuti valori significativi di

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p-4 value nel confronto dei livelli di sodio (p=0.02), INR (p<0.01), PT

(p<0.01), aPTT (p<0.01).

Tra le ADR l’emorragia si è dimostrata la manifestazione clinica più frequente (28.1%), seguita da sincope/presincope (18.3%), gastroenterologico (9.8%), neurologico (7.8%), eruzione cutanea (7.2%), ipoglicemia (5.9%), ematologico (4.6%), delirium (3.3%), vertigini, caduta, IRA (2.6%), iperglicemia (2.0%), iponatriemia (1.3%). L’ospedalizzazione è stato l’esito più prevalente (53.0%), seguito da ADR non gravi (45.5%) e da ADR che hanno determinato pericolo di vita per il paziente (1.5%) . Valutando la percentuale di utilizzo della principali classi farmacologiche è stata osservato un più largo impiego di diuretici (50.0%), ACEI/ARB (48.0%), cortisonici (20.4%),%), nitrati (18.4%), TAO (18.4%), ipoglicemizzanti orali (17.0%), insulina (15.8%), oppioidi-oppiacei (15.1%) nel gruppo con ADR ( p<0.05).

La regressione logistica multivariata backward è stata condotta su tutta la popolazione in studio considerando la presenza di ADR come variabile dipendente e, come covariate, tutti i parametri significativamente differenti nelle due popolazione in studio (ADR e Controlli). L’output del programma ha fornito 7 livelli di analisi, di cui l’ultimo era caratterizzato dalla presenza di 4 covariate. In particolare, la presenza di una possibile interazione, l’assunzione di nitrati, TAO e cortisonici sono risultate i fattori di rischio che meglio interpretano la presenza di una ADR.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

I dati di questa tesi confermano che le ADR sono eventi relativamente frequenti nei soggetti anziani che accedono al PS. La prevalenza di ADR è risultata in linea con i dati riportati in letteratura. Nella nostra casistica, considerando la mediana delle età dei soggetti in studio nel gruppo ADR, i risultati confermano che le ADR sono molto rappresentate sopra gli 80 anni, anche se non sono stati ottenuti risultati significativi dal punto di vista dell’età rispetto al gruppo di controllo.

Nella nostra analisi la presenza di almeno una possibile interazione farmacologica, rilevata in base alla consultazione delle maggiori banche dati sulle interazioni farmacologiche, è stata significativamente associata alla presenza di ADR. Numerosi studi sulle ADR hanno già rilevato questa associazione, benché pochi studi clinici abbiano valutato in modo prospettico tale influenza su soggetti anziani selezionati al DEA. La nostra analisi ha evidenziato che mediamente i soggetti con ADR assumono all’incirca un farmaco in più al giorno rispetto ai Controlli, aumentando considerevolmente la possibilità di interazione farmacologica. Questo dato va considerato alla luce di quello ottenuto per l’analisi delle comorbidità, che non ha mostrato alcuna differenza tra i gruppi. Il numero di farmaci, pertanto, non può essere considerato come un fattore confondente, che sottende la complessità o la comorbidità, ma va considerato come un fattore di rischio indipendente di ADR. A livello laboratoristico il gruppo ADR differiva significativamente per i valori della coagulazione e sodiemia. Questo risultato è da interpretare alla luce della maggior prevalenza di diuretici nel gruppo ADR. In questi ultimi,

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5 infatti, la percentuale di utilizzo di diuretici era circa il 50% in più

rispetto ai Controlli. Tale risultato è in linea con quanto atteso in base al meccanismo di azione dei diuretici soprattutto quelli drastici e tiazidici, e con quanto riportato in vari studi epidemiologici sulle ADR. Analogamente, il dato sui parametri emocoagulativi riflette ciò che abbiamo osservato per l’associazione tra ADR e terapia anticoagulante orale. Questo risultato, anch’esso atteso in base al meccanismo di azione, è stato osservato in altri studi clinici.

Nella nostra casistica abbiamo osservato che le emorragie sono tra le ADR più frequentemente rilevate presso il PS, seguite da sincope, eventi gastroenterologici e neurologici, manifestazioni cutanee e metaboliche (ipoglicemia). In base alla nostra esperienza ed ai risultati di alcuni studi naturalistici che hanno documentato l’effetto combinato sul rischio emorragico tra età e antitrombotici, è possibile ipotizzare che l’età sia un possibile fattore aggravante il rischio di emorragia da antitrombotici. E’ stato osservato che, in oltre la metà dei casi, la ADR è stata di notevole entità clinica, richiedendo un periodo di ospedalizzazione. In un solo caso è stato riscontrato il pericolo di vita per il paziente. La rimanente percentuale di ADR è stata di minor entità ed è stata risolta in sede di PS. Il confronto delle prevalenze di assunzione di varie classi farmacologiche nei due gruppi di studio ha mostrato notevoli differenze in termini percentuali sia nell’analisi globale che nel test specifico per ciascuna classe. In particolare, è stato osservato che l’impiego di anticoagulanti orali, insulina, nitrati era circa il doppio nel gruppo con ADR rispetto alla coorte di controllo. Oppioidi, cortisonici, diuretici, ACE-inibitori o sartanici e ipoglicemizzanti orali erano significativamente più rappresentati nel gruppo ADR, anche se con una differenza dell’ordine del 20-40% circa. Seppur con dovute differenze, principalmente legate sia all’ambito della ricerca che alla tipologia di paziente analizzato, possiamo constatare una certa coerenza dei dati da noi prodotti con quelli riportati da altre esperienze cliniche. Infine, l’analisi dei fattori di rischio per interpretare al meglio il manifestarsi di ADR al PS nei soggetti anziani, eseguita con la regressione logistica backward, ha evidenziato che, al di là dei farmaci legati direttamente alle ADR (nitrati, TAO, cortisonici), la presenza di una possibile interazione, anche se non legata alla ADR, è uno dei fattori più importanti. Il numero di farmaci, infatti, non rimane significativo quando corretto per altre variabili e viene scartato precocemente dal modello. Anche la presenza di diabete non rimane fino all’ultimo step di analisi. Questi dati suggeriscono che l’associazione più forte tra ADR e fattori causali si ottiene con i singoli farmaci o classi farmacologiche, oltre alla presenza di interazioni negative.

In generale, i dati di questa tesi confermano che le ADR rappresentano un problema importante nell’ambito del DEA, sia in termini di incidenza che di gravità, con un alto tasso di ospedalizzazione. Un’attenta diagnosi differenziale dovrebbe essere posta sin dal triage, soprattutto nei soggetti anziani e nei pazienti che presentano polipatologia e interazioni farmacologiche negative. Inoltre, di fronte ad alcuni eventi come le emorragie, le sincopi o stati di ipoafflusso centrale, sintomatologia

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6 gastroenterica, alterazioni dello stato di conscienza o delirium, una

valutazione dell’anamnesi farmacologica è ancor più raccomandata. Infine, una attenta valutazione deve essere posta in caso di impiego di alcune categorie di farmaci, soprattutto in caso di eventi sopracitati. Secondo un’ottica di prevenzione della patologia iatrogena, sarebbe inoltre da raccomandare estrema cautela da parte dei medici durante la fase prescrittiva dei trattamenti nei pazienti anziani: infatti, l’utilizzo delle banche dati potrebbe prevenire il manifestarsi ad esempio di ADR.

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7

1.0 INTRODUZIONE

La patologia iatrogena rappresenta una frequente causa di accesso al PS; pochi dati sono però disponibili sulla reale incidenza di reazioni avverse nel nostro Paese nell’ambito dell’area critica e nella popolazione anziana. Due studi prospettici italiani, uno condotto all’Ospedale S. Carlo Borromeo a Milano e l’altro multicentrico, hanno mostrato che la percentuale di accessi in PS per reazioni avverse ai farmaci (ADR) rappresenta circa il 2-5% di tutte le cause [1, 2]. Risultati simili sono stati osservati in studi nazionali ad internazionali [3-5]. In particolare, negli USA i dati ottenuti da uno studio di popolazione hanno consentito di stimare che circa nel 3.6% degli accessi in PS possa essere identificata una ADR [4]. La probabilità di sviluppare una reazione avversa aumenta nei soggetti poli-trattati, in particolare nella popolazione anziana, nella quale il numero medio di farmaci assunti per soggetto è di circa 3-6 al giorno [6]. I soggetti anziani inoltre sono più predisposti a sviluppare effetti avversi ai farmaci a causa sia delle alterazioni del metabolismo e dell’eliminazione dei principi attivi sia per alterazioni recettoriali legate all’invecchiamento [7]. Non sempre è possibile riconoscere con certezza la patologia iatrogena, soprattutto nei soggetti nei quali sono presenti patologie croniche e comorbidità; infatti gli effetti avversi ai farmaci sono spesso riferibili alle patologie di base piuttosto che ai diversi principi attivi [8]. In alcuni casi si determina una vera e propria cascata prescrittiva per trattare gli effetti avversi di un farmaco, invece di provvedere alla sospensione del principio attivo responsabile [8]. I pazienti anziani, oltre ad essere di per sé più suscettibili all’azione

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8 farmacologica, più frequentemente manifestano reazioni ai diversi

principi attivi, le quali oltretutto restano spesso misconosciute.

1.1 Eventi e reazioni avverse ai farmaci

Le reazioni avverse ai farmaci rappresentano complicazioni importanti e frequenti nella pratica clinico-terapeutica. E’ stato valutato che il 5-15% dei pazienti può incorrere in reazioni avverse ai farmaci e che fino al 30% dei pazienti ospedalizzati sviluppa almeno una reazione avversa a farmaci. Inoltre, circa il 3% delle valutazioni in PS e lo 0.3% dei ricoveri ospedalieri sono attribuibili a tali reazioni.

1.1.1 Reazioni avversi ai farmaci (definizioni)

La Reazione Avversa ad un farmaco, definita con la sigla ADR, dall’inglese Adverse Drug Reaction, era definita dallo Stato Italiano come una “reazione nociva e non intenzionale ad un medicinale impiegato alle dosi normalmente somministrate all’uomo a scopi profilattici, diagnostici o terapeutici o per ripristinarne, correggerne o modificarne le funzioni fisiologiche” secondo il D.lgs. 219/2006, in accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità [9]; in tale definizione erano compresi anche l’overdose, l’abuso, la sospensione del trattamento e l’uso off-label di un farmaco, mentre precedentemente erano escluse le reazioni conseguenti ad un utilizzo del farmaco non conforme alle indicazioni presenti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto.

L’attuale definizione è stata introdotta nella Comunità Europea nel 2010 dalla Direttiva Europea 2010/84/EU e dal Regolamento UE 1235/2010,

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9 con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Europea della L. 348 del 31

dicembre 2010. In Italia è stata recepita il 2 luglio 2012. Tale nuova definizione implica la manifestazione di reazione avversa in relazione a:

- utilizzo non conforme alle indicazioni contenute

nell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) del farmaco;

- errori terapeutici;

- utilizzo non conforme alle indicazioni contenute nell’autorizzazione all’immissione in commercio, quali sovradosaggio, uso improprio o abuso del medicinale; - reazione associata all’esposizione per motivi professionali. Ne deriva dunque che anche eventuali reazioni avverse ai farmaci conseguenti ad un utilizzo off-label del medicinale, così come un sovradosaggio di un farmaco anche autoinflitto a scopo lesivo, vadano considerate e segnalate alle autorità competenti come ADR, come da obbligo deontologico per tutti gli operatori sanitari [10]. Questo vale anche per le reazioni non gravi, in modo da permettere alle autorità regolatrici, quali Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (European Medicines Agency, EMA), di effettuare una corretta valutazione del profilo di sicurezza e di efficacia dei farmaci. Con la nuova legislazione viene inoltre data la possibilità di segnalare eventuali reazioni avverse anche al cittadino, mediante la compilazione di un’apposita scheda di segnalazione, scaricabile dal sito internet dell’AIFA. Il processo di monitoraggio e segnalazione di ADR prende il nome di Farmacovigilanza.

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10 Più in generale, rientra nell’insieme degli Eventi Avversi ai Farmaci,

dall’inglese Adverse Drug Event (ADE), ogni evento non desiderato che si realizza durante un trattamento farmacologico, di cui però non è dimostrabile alcuna correlazione con la somministrazione del medicamento [11]. Perché un evento avverso si connoti quindi con una reazione avversa, è necessario supporre l’esistenza di un nesso di causalità tra somministrazione e insorgenza della reazione, ovvero una correlazione temporale.

Ad esempio la caduta rientra nella definizione di ADR quando vi è stretta correlazione fra l’assunzione del farmaco imputato e la caduta stessa, come riportano alcuni studi, ed in particolare una meta-analisi [12] che ha esaminato l’impatto di 9 classi farmacologiche (antipertensivi, diuretici, beta-bloccanti, sedativi e ipnotici, neurolettici e antipsicotici, antidepressivi, benzodiazepine, narcotici e FANS) riguardo all’incidenza di cadute negli anziani, dimostrando che esiste una stretta correlazione tra il trattamento e l’evento. Tuttavia questa correlazione non è sempre dimostrabile: ad esempi,o l’incidenza di frattura di anca nelle donne anziane che assumono benzodiazepine potrebbe essere dovuta a una ridotta massa ossea del collo del femore [13] e non al farmaco.

Diagnosticare un ADR può non essere semplice considerando la aspecificità e la multisistemicità dei segni e sintomi che spesso caratterizzano le ADR: per esempio, tra i sintomi frequentemente riportati nei pazienti che manifestano una ADR, possiamo elencare la cefalea, le eruzioni cutanee e l’iperpiressia, cioè reperti clinici ampiamente aspecifici, ascrivibili perciò a numerose altre condizioni patologiche. I

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11 farmaci ad attività colinergica, ad esempio, somministrati negli stati

medio-avanzati di deficit cognitivo possono provocare incontinenza urinaria e talora fecale [14]; tali sintomi, però, rappresentano anche una frequente complicanza dei deficit cognitivi stessi [15]. A rendere ancora più difficile l’individuazione di una ADR è spesso la presenza di sintomi multi-sistemici: ad esempio quelli che possono conseguire all’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), che possono dare luogo a disturbi gastroenterici associati ad un quadro di anemia, disturbi cutanei e/o renali oppure cardiovascolari. Un altro esempio interessante è rappresentato dagli ACE-inibitori, i quali possono provocare reazioni cutanee insieme a tosse e angioedema [16]. Tutto ciò fa capire come per identificare un ADR sia necessario intraprendere un processo di diagnosi differenziale molto accurato e preciso. Inoltre, è possibile utilizzare degli algoritmi diagnostici che stimano la probabilità di ADR in funzione di vari parametri; tra i più importanti possiamo citare: il nesso temporale tra assunzione del farmaco e ADR, l’eventuale scomparsa dell’ADR dopo sospensione del farmaco, la possibile ricomparsa del fenomeno dopo nuova somministrazione (rechallenge) del farmaco sospetto ed infine la presenza di un evento già descritto per quella tipologia di principio attivo. Un fattore determinante per l’individuazione di una potenziale reazione legata ad un dato farmaco è la frequenza con la quale si manifesta nella popolazione esposta: se una reazione avversa ad un principio attivo si manifestasse nei soggetti trattati una volta su 100 sarebbe possibile già in fase di sviluppo clinico identificare tale associazione. Su questa base sono stati effettuati studi di farmacovigilanza post-marketing in modo da

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12 identificare l’incidenza di eventuali reazioni non identificate

precedentemente [17]; ad esempio, la tosse indotta da captopril è stata riconosciuta solo nel periodo post-commercializzazione, grazie alle numerose segnalazioni.

1.1.2 Classificazioni delle ADR

Esistono diverse modalità per classificare le ADR.

1) Gravità. Si considera una reazione avversa “grave” qualsiasi evento medico sfavorevole correlato all’uso di un farmaco che:

• Richieda o prolunghi il ricovero; • Metta in pericolo la vita del paziente;

• Determini disabilità persistente o clinicamente significativa;

• Determini anomalie congenite;

• Provochi il decesso del paziente [18].

2) Intensità. Il termine “severo” è usato spesso per definire l’intensità con cui una reazione avversa si manifesta. In genere l’intensità di una reazione avversa viene classificata come:

• Severa; • Moderata; • Lieve.

Per certe reazioni avverse l’intensità viene misurata in “gradi” (da I a IV).

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13 Questa tipologia di classificazione è utilizzata classicamente in

ambito oncologico per identificare in maniera sistematica le tossicità da chemioterapia come diarrea, neutropenia, eccetera. 3) Attesa/Inattesa. Una reazione avversa si definisce “inattesa”

quando la sua natura o intensità non concorda con quanto riportato nel foglietto illustrativo del prodotto medicinale, o con quanto atteso dalle caratteristiche del prodotto.

4) Eziopatogenesi.

Reazione tossica. Effetto avverso indotto da un farmaco tramite uno dei meccanismi seguenti:

- meccanismo d’azione responsabile dell’effetto terapeutico;

- proprietà farmacodinamica secondaria (non responsabile dell’effetto terapeutico); - metabolita prodotto durante il processo di

biotrasformazione del farmaco;

- proprietà chimico-fisica intrinseca alla molecola del farmaco (ad esempio radicali chimicamente reattivi).

Reazione idiosincrasica: reazione avversa provocata dalla somministrazione di un farmaco e determinata da un’alterazione della costituzione genetica dell’individuo. Per esempio l’enzima NAT-2 (N-acetil transferasi 2) media la reazione di acetilazione a livello epatico per numerosi substrati farmacologici e non solo tra cui isoniazide, procainamide, clonazepam. Mutazioni del

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14 gene che codifica per NAT-2 riducono l’attività

enzimatica della proteina. Nella popolazione generale si distinguono due tipologie di individui: coloro che hanno una normale attività enzimatica detti acetilatori rapidi e coloro che presentano invece una ridotta attività enzimatica detti acetilatori lenti. L’isoniazide, noto farmaco anti-tubercolare, può essere biotrasformata tramite due vie metaboliche: più comunemente attraverso acetilazione, meno frequentemente attraverso idrolisi. Negli individui acetilatori rapidi prevale la produzione di metaboliti acetilati di isoniazide con rischio di epatotossicità. Negli individui acetilatori lenti invece prevale l’idrolisi di isoniazide con produzione di metaboliti neurotossici e rischio quindi di neuropatia periferica.

Reazione allergica: reazione avversa provocata dalla somministrazione di un farmaco, ma causata da un’abnorme attivazione del sistema immunitario, che è stato sensibilizzato da un precedente contatto con quel farmaco (o con un farmaco simile per struttura chimica). Esempi: rash cutaneo, shock anafilattico, vasculiti, anemia emolitica, sindrome di Stevens-Johnson.

• Tipo 1: Reazione immediata (anafilattica); • Tipo 2: Reazione citolitica mediata da anticorpi; • Tipo 3: Danno tissutale da complessi immuni;

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15 • Tipo 4: Reazione ritardata (immunità cellulo-mediata).

Malattia iatrogena. Si tratta d una reazione avversa in cui il trattamento con un farmaco provoca la comparsa di sintomi e disfunzioni organiche che:

- sono identici a quelli di una malattia nota; - generalmente non recedono con la semplice

sospensione della somministrazione del farmaco; - richiedono l’adozione di adeguati provvedimenti

terapeutici.

Per esempio gli aminoglucosidi possono provocare ipoacusia.

4) In base alla frequenza:

Molto comune: in più di 1 paziente su 10 pazienti trattati;

Comune: in più di 1 paziente su 100 pazienti trattati;

Non comune: in più di 1 su 1,000 pazienti trattati;

Rara: in più di 1 su 10,000 pazienti trattati;

Molto rara: in meno di 1 su 10,000 pazienti trattati. 5) Meccanismo d’azione.

Dal punto di vista fisiopatologico una delle classificazioni più utilizzate è quella di Rawlins e Thompson [19] che suddivide le ADR in tipo A, dose-dipendente quindi prevedibile, e tipo B, dose-indipendente quindi non prevedibile [20].

Le reazioni avverse di tipo A (dove “A” sta per augmented, cioè aumentata) sono molto frequenti, presenti infatti tra il 25 e il 40%

(25)

16 dei pazienti (si può arrivare al 100% in caso di farmaci

antineoplastici) e sono spesso prevedibili ed evitabili usando il farmaco a dosi più basse. Il meccanismo patogenetico può essere ricondotto ad un eccesso farmacologica principale, come ad esempio la cefalea da nitroderivati, la secchezza delle fauci da antimuscarinici ed anche il parkinsonismo da neurolettici; oppure ad un’attività farmacologica secondaria, come la diarrea da macrolidi o la costipazione da morfina [21]. Possono inoltre essere favorite da interazioni di tipo farmacocinetico, che provocano un aumento dell’esposizione tissutale ad un dato farmaco quando somministrato contemporaneamente ad un secondo interferente: ad esempio la torsione di punta provocata da terfenadina se associata a ketoconazolo, o la miopatia da statine e macrolidi [22]. Queste reazioni, di elevata incidenza e morbidità, potrebbero essere facilmente evitate e prevenute. Spesso vengono riconosciute prima della commercializzazione ovvero durante lo sviluppo clinico, consentendo la descrizione nelle schede tecniche dei farmaci da non associare; in altri casi, invece, le interazioni farmacocinetiche vengono riscontrate solo dopo la commercializzazione del farmaco, come è avvenuto per terfenadina [23].

Le reazioni di tipo B, dove “B” sta per bizarre, cioè strane, sono spesso di natura allergica, idiosincrasica o immunologica, insorgono in una bassa percentuale dei pazienti, sono inaspettate, imprevedibili e molto gravi. Non sono dose-correlate e non

(26)

17 rappresentano nemmeno un’estensione dell’attività farmacologica

e per questo sono estremamente difficili da identificare; tuttavia, tranne le reazioni da ipersensibilità immediata, queste reazioni compaiono in genere dopo circa 5 giorni dall’assunzione del farmaco (tempo necessario per far diventare le cellule ipersensibili al farmaco) sebbene non esista un limite massimo temporale per la loro insorgenza. Alcune reazioni riconoscono base immunologica, infatti danno segni come rash cutanei, vasculiti, anemia emolitica, shock anafilattico. Altre hanno come substrato un deficit congenito del metabolismo, con conseguente accumulo di metaboliti tossici, come nell’epatite da isoniazide o nell’apnea da succinilcolina: si capisce come, in questo caso, la prevenzione individuale sia impossibile, ma sarebbe invece necessario individuare l’eventuale gene responsabile.

Questa classificazione presenta dei limiti, ad esempio non tiene conto del fatto che alcune ADR non dipendono solo dalla dose ma anche dal tempo d’esposizione (come l’osteoporosi da glucocorticoidi), per cui ha subito delle modificazioni ed è stata ampliata (Figura 1), con l’aggiunta di altri quattro tipi di reazioni: tipo C, dove “C” sta per chronic o continuous, cioè croniche; di tipo D, dove “D” sta per delayed, ad effetto ritardato; di tipo E, dove “E” sta per end, cioè fine, da sospensione della terapia; di tipo F, dove “F” sta per failure, cioè fallimento della terapia. Nel terzo gruppo ci sono quindi le reazioni di tipo C (dose e tempo dipendenti), giustificate dal fatto che i farmaci, soprattutto

(27)

18 se assunti per periodi prolungati come mesi o anni, possono

indurre malattie o aumentare l’incidenza di quelle per cui i pazienti sono già predisposti, come gli eventi trombo-embolici indotti da contraccettivi orali. L’insorgenza tardiva della malattia la rende difficile da riconoscere come una patologia farmaco-correlata, poiché la valutazione a lungo termine dei benefici e dei danni indotti da terapia cronica richiede tempo e banche dati con morbilità e utilizzazione del farmaco. Reazioni di tipo C sono ad esempio l’ipertermia maligna da alotano o il rash cutaneo da penicillina.

Le reazioni di tipo D, sono anch’esse ad insorgenza tardiva e poco frequenti, difficili da riconoscere, insorgono dopo un certo lasso di tempo o quando il farmaco è assunto in un certo periodo come ad esempio quelle da talidomide nel primo trimestre di gravidanza.

Le reazioni di tipo E, anch’esse poco frequenti, sono dovute alla sospensione di un farmaco e perché si verifichino è necessario che tale sospensione sia brusca, che il trattamento con il farmaco sia stato abbastanza lungo e che l’emivita del farmaco sia sufficientemente breve, perché un farmaco ad emivita lunga persisterà nell’organismo anche dopo la sua sospensione. Alcuni esempi di quest’ultima categoria sono le allucinazioni e le convulsioni che possono insorgere dopo la brusca sospensione di baclofen, la sindrome da astinenza da oppioidi, l’ischemia miocardica da sospensione di beta-bloccanti [24] o la

(28)

19 soppressione dell’asse ipofisi-surrene da brusca sospensione di un

glucocorticoide.

Le reazioni di tipo F sono dovute al fallimento terapeutico, sono dose-dipendenti e abbastanza comuni: ad esempio, chi fa uso di contraccettivi contenenti estradiolo dovrebbe evitare di assumere preparati a base di iperico, in quanto esso riduce i livelli plasmatici dei farmaci che sono substrato della glicoproteina p e del citocromo CYP3A4 (come appunto gli estrogeni), diminuendo l’efficacia del farmaco [25].

Figura 1. Rappresentazione delle ADR classificate secondo il meccanismo di azione.

1.1.3 Diagnosi di ADR

Il problema più importante nel riconoscere una ADR è determinare il nesso di causalità tra l’assunzione di un farmaco e gli effetti avversi: tra i primi a descrivere la difficoltà a determinare un ADR furono Koch-Weser

(29)

20 et al. (1977) e successivamente anche altri ricercatori [26]. Si è pertanto

pensato a definire un metodo che rendesse la diagnosi di ADR più univoca possibile come ad esempio quello proposto da Karch e Lasagna (1977) o da Kramer et al. (1979). Ciononostante l’applicazione di questi metodi nella routine clinica è stata molto limitata perché ritenuti troppo dettagliati e di lunga applicazione. Nel 1981 Naranjo et al. hanno messo a punto un questionario (Tabella 1) per diagnosticare un ADR in base ad un ad una scala di probabilità: questo metodo di veloce esecuzione è stato, invece, molto utilizzato negli anni sia in ambito di ricerca che in quello clinico [27, 28]. Prendendo casi clinici di ADR da riviste internazionali come Lancet, British Medical Journal, Annals of Internal Medicine, Journal of American Medical Association e New England Journal of Medicine e presentandoli ad alcuni esperti in maniera casuale, sono riusciti a mettere a punto un algoritmo, che consente di capire tramite l’assegnazione di un punteggio se si tratta realmente di una reazione avversa oppure no (Naranjo score).

(30)

21

1.1.4 Epidemiologia delle ADR nell’anziano

Le ADR sono un problema sanitario in aumento, soprattutto negli anziani, e ciò è dovuto a molti fattori: la popolazione sta invecchiando, le malattie croniche sono in aumento e gli anziani sono trattati con molti farmaci. Uno studio statunitense del 2006 sostiene che, fra la popolazione con più di 65 anni, il 40% prende da 5 a 9 farmaci e il 18% ne prende 10 o più (Pattern of medications use in the United States, 2006). La polifarmacoterapia aumenta significativamente il rischio di sviluppare un ADR [3, 29], soprattutto se si considerano le possibili interazioni fra farmaci, che sono favorite dalle modificazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche, che fisiologicamente incorrono dell’organismo anziano [30, 31]. Tuttavia l’età non rappresenta un fattore di rischio indipendente per ADR nei pazienti ospedalizzati, perché un buon trattamento geriatrico può ridurre l’incidenza di reazioni avverse [32].

(31)

22

Figura 2: Incidenza di ADR in funzione dell’incremento dell’età, dopo la terza decade di vita la curva cresce in modo simil-esponenziale raggiungendo un plateau all’inizio della

nona decade [33].

Le ADR incidono moltissimo anche sui costi della sanità: ad esempio nel Regno Unito uno studio prospettico condotto in due ospedali ha rivelato che le reazioni avverse costano al Servizio Sanitario Inglese 466 milioni di sterline all’anno ed inoltre provocano la morte di 5700 pazienti [34]. Secondo una meta-analisi le ospedalizzazioni per ADR sono fra il 2.4 e il 6.2% [35, 36] e molte di queste sono considerate prevenibili [37]. Uno studio olandese ha riscontrato 41,000 ammissioni ospedaliere l’anno per ADE, circa la metà erano prevenibili [38], ed il rischio era raddoppiato per gli over-65. Un altro studio canadese [39] ha riscontrato che un’alta percentuale di pazienti, 85%, ricevono farmaci attivi sul sistema nervoso centrale e che la maggior parte di prescrizioni potenzialmente inappropriate (PIP) riguardano questa categoria. Al 35% erano prescritti antipsicotici e il 22.9% prendeva 23 benzodiazepine per periodi prolungati, ovvero più di un mese (Consensus Conference, 1984). In base

(32)

23 a queste considerazioni, è di cruciale importanza un utilizzo il più

possibile sicuro di farmaci, soprattutto nell’anziano.

1.3.5 Criteri di appropriatezza prescrittiva e prevenzione delle ADR nella popolazione anziana

Nelle ultime due decadi numerose evidenze hanno mostrato un’aumentata prevalenza di prescrizione di farmaci potenzialmente dannosi (perciò definiti “inappropriati” dal punto di vista del rapporto rischio/beneficio) nei pazienti anziani dal 2.2% al 35.6% nel nostro Paese, a seconda della popolazione studiata [40, 41]. In uno studio apparso su JAMA [42], è stata studiata la prevalenza di farmaci potenzialmente dannosi per gli anziani in base ai criteri di inappropriatezza più riconosciuti (criteri di Beers, vedi sotto), in un campione di 2,707 ultra-ottantenni che ricevevano servizi di assistenza domiciliare in 11 Paesi europei, inclusa l’Italia. Gli Autori hanno osservato che, globalmente, circa il 20% dei pazienti riceveva la prescrizione di almeno un farmaco inappropriato, con profonde differenze tra i vari Paesi e con l’Italia (26.5%) seconda solo alla Repubblica Ceca (41.1%) per prevalenza di prescrizioni inappropriate. Tra i fattori predittivi più potenti di uso inappropriato di farmaci emerge la politerapia, allorché la probabilità globale di ricevere una prescrizione inappropriata aumenti esponenzialmente con il numero di fattori predittivi presenti. Uno studio del gruppo GIFA (Gruppo Italiano di Farmacovigilanza nell’Anziano) in una coorte di oltre 5,000 pazienti (età media 79 anni) ricoverati in 81 ospedali distribuiti omogeneamente sul

(33)

24 territorio nazionale italiano, ha documentato che il 29% dei pazienti

riceveva la prescrizione di almeno un farmaco inappropriato e che i pazienti con prescrizioni di due o più farmaci inappropriati aveva una più lunga degenza ospedaliera ed un rischio maggiore, ma non significativo, di mortalità intra-ospedaliera studiata [40]. Un recente studio di Maio et al. (2010) [41] 5 su 91,741 pazienti anziani evidenzia un 26% di prescrizioni farmacologiche inappropriate; è da notare come il 37% di queste riguardino l’utilizzo di FANS per il trattamento del dolore cronico. L’età rappresenta uno dei principali fattori predittivi del consumo di farmaci. Nel rapporto OSMED 2010 emerge come in Italia la popolazione geriatrica (>65 anni) assorba mediamente il 62% di tutte le prescrizioni di farmaci in termini di Defined Daily Dose (dall’inglese: Ipotetica Dose Media Giornaliera di un farmaco impiegato nel trattamento di un adulto con riferimento all’indicazione terapeutica principale) e di spesa, percentuale corrispondente a circa un miliardo di euro/anno [43]. La popolazione ultrasessantacinquenne, infatti, è affetta da multimorbilità, spesso caratterizzata da patologie ad andamento cronico ed associate in clusters. L’anziano è comunemente esposto alla politerapia e, anche a causa della ridotta riserva funzionale, ad un conseguente aumentato rischio di reazioni avverse e di inappropriatezza prescrittiva.

Un farmaco viene considerato potenzialmente inappropriato quando il rischio di eventi avversi supera il beneficio atteso dal trattamento, in particolare quando è disponibile un’evidenza scientifica a supporto di

(34)

25 un’alternativa di trattamento più sicura e/o efficace per la stessa

condizione clinica [44, 45].

L’inappropriatezza prescrittiva può includere anche un inadeguato impiego del farmaco per durata, per dosaggio sia in eccesso che in difetto o per un’eccessiva frequenza delle assunzioni, che può ridurre il livello della compliance nel paziente anziano.

Inoltre, l’inappropriatezza prescrittiva può essere la conseguenza dell’uso contemporaneo di più farmaci che interagiscono fra loro (drug-drug interaction) e/o con le patologie di cui il paziente geriatrico è affetto (drug-disease interaction). Un ulteriore aspetto dell’inappropriatezza prescrittiva può essere ricondotto alla sottoprescrizione di un farmaco sulla base dell’età del paziente (ageismo). Tra le conseguenze principali dell’inappropriatezza prescrittiva bisogna considerare, oltre alle reazioni avverse da farmaci, anche una minore aderenza al trattamento e un aumento sia dei costi che dell’utilizzo delle risorse sanitarie.

La prescrizione farmacologica inappropriata nei soggetti anziani può essere ricondotta a tre ampie categorie:

1. Farmaci da evitare sempre. Secondo le evidenze disponibili questi farmaci sono inefficaci o pongono rischi non necessari in una popolazione anziana. Esistono farmaci altrettanto efficaci ma più sicuri.

2. Farmaci da evitare in specifiche circostanze. Si tratta di farmaci efficaci, ma che non dovrebbero essere usati come trattamento di prima linea. Questi farmaci possono avere un rapporto rischio/benefico e/o costo/benefico sfavorevole.

(35)

26 3. Farmaci da usare solo sotto stretto monitoraggio del

paziente. Sono farmaci che, pur essendo indicati per il paziente anziano, devono essere utilizzati sotto uno stretto controllo da parte del medico. Possono essere infatti utilizzati in modo scorretto o essere sovradosati.

Esistono varie forme di prescrizione inappropriata. Le più comuni sono le seguenti:

1. Cascata prescrittiva. Descritta per la prima volta da Rochon e Gurwitz nel 1997 [46], si riferisce al processo per cui una reazione avversa ad un farmaco non viene riconosciuta come tale, ma viene interpretata come manifestazione di una nuova patologia. Di conseguenza, per il trattamento di tale nuova manifestazione clinica, vengono prescritte nuove terapie non necessarie, che espongono il paziente al rischio di sviluppare nuove reazioni avverse. Un tale fenomeno può essere facilmente prevenuto mediante l’identificazione degli effetti collaterali ai farmaci.

• Esempio: prescrizione di anticolinergici per il trattamento degli effetti collaterali (nausea) della terapia dopaminergica in pazienti con Parkinsonismo o prescrizione di benzodiazepine o antipsicotici per contrastare l’aumento della libido indotta da pramipexolo.

(36)

27 2. Sotto/sovra-prescrizione. Entrambi questi fenomeni possono

riferirsi ad un inadeguato uso del farmaco sia in termini di durata che di dosaggio, sia in difetto che in eccesso.

• Esempi di sottoprescrizione.

- Per durata: uso di antidepressivi per meno di 6 mesi. - Per dosaggio: uso di antipsicotici a basse dosi, con

conseguente effetto paradosso. • Esempi di sovraprescrizione.

- Per durata: uso prolungato di benzodiazepine. - Per dosaggio: uso di digossina >0.125 mg/die. 3. Interazione farmacologica. L’interazione farmacologica è il fenomeno che si verifica ogni qual volta un farmaco (drug-drug interaction), un alimento (drug-food interaction) o una condizione patologica (drug-disease interaction) interagisce con un farmaco assunto dal paziente, con conseguente alterazione del profilo rischio/beneficio.

• Esempio di interazione farmaco-farmaco: clopidogrel e omeprazolo.

• Esempio di interazione farmaco-cibo: warfarin e verdure a ricco contenuto di vitamina K (broccoli, cavoli, cavolini di Bruxelles, cime di rapa, spinaci e verza).

• Esempio di interazione farmaco-patologia: corticosteroidi e diabete.

(37)

28 4. Farmaci da evitare. Questa categoria si riferisce a farmaci i

cui rischi superano i potenziali benefici ed il cui uso andrebbe evitato negli anziani.

• Esempio di farmaci da evitare: clorpropamide nel trattamento del diabete.

5. Prescrizioni duplicate. Si riferisce alla contemporanea prescrizione di due molecole della stessa classe terapeutica per trattare una determinata patologia o due diverse patologie, determinando un sostanziale aumento del rischio di patologia iatrogena.

• Esempio: alfa-bloccanti nel trattamento

dell’ipertensione arteriosa e dell’ipertrofia prostatica benigna.

L’inappropriatezza prescrittiva può essere valutata mediante misure esplicite (basate su criteri predefiniti) o implicite (basate sulla valutazione del caso clinico).

Gli indicatori espliciti sono orientati al farmaco o alla malattia; possono essere applicati su grandi banche dati, anche in assenza di un giudizio clinico e/o della conoscenza delle caratteristiche cliniche del paziente e non prendono in considerazione i fattori che definiscono la qualità dell’assistenza sanitaria [47].

Viceversa, gli indicatori impliciti sono focalizzati sull’analisi dei pazienti piuttosto che su quella di farmaci o malattie e sono meno facilmente standardizzabili [47].

(38)

29 Tra i numerosi set di criteri espliciti proposti a livello internazionale per

identificare l’inappropriatezza prescrittiva (over/mis/under prescribing), i più utilizzati in letteratura sono i criteri di Beers [45, 48-50] e i criteri STOPP and START [51].

I criteri di Beers sono stati il primo set di indicatori espliciti di inappropriatezza prescrittiva nel paziente anziano, elaborati attraverso metodologie standard di ricerca del consenso (tecniche Delphi) [48] nel 1991 negli USA dal Dr. Mark Howard Beers, geriatra americano che si è occupato di farmacovigilanza nelle residenze per anziani, dove ha lavorato fin dagli anni di specializzazione. Tali criteri, semplici da applicare, universalmente accettati e strutturati appositamente per la popolazione di anziani istituzionalizzata, sono stati poi rivisti ed aggiornati nel 1997 [45], nel 2003 [49]ed infine nel 2012 dalla American Geriatrics Society [50], estendendo la loro applicabilità in qualsiasi setting assistenziale.

I criteri di Beers del 2012 comprendono tre liste: la prima include farmaci o classi farmacologiche potenzialmente lesive per la maggior parte della popolazione anziana, indipendentemente dalle condizioni cliniche del paziente; la seconda include farmaci potenzialmente pericolosi solo in determinate condizioni cliniche (ad esempio l’utilizzo di FANS in soggetti che presentano insufficienza cardiaca) e la terza elenca farmaci o classi che potrebbero essere appropriati in alcuni soggetti, ma il cui abuso o danno comporta un livello di cautela maggiore (ad esempio l’utilizzo di aspirina nella prevenzione primaria di eventi

(39)

30 cardiaci in soggetti di età 80 anni o l’utilizzo di dabigatran o prasugrel in

soggetti di età 75 anni).

Questi criteri, che sono sia dipendenti che diagnosi-indipendenti, hanno lo scopo di informare ed educare piuttosto che limitare la libertà prescrittiva del medico. Per ciascun criterio sono riportate: la motivazione per la quale il farmaco è potenzialmente inappropriato e la raccomandazione (evitare in tutti i soggetti o in determinate circostanze) accompagnate dalla qualità della evidenza (bassa, moderata o alta) e dalla forza della raccomandazione (forte o debole).

Esistono diversi aspetti dei criteri di Beers, sia intrinseci al metodo stesso sia legati alla realtà in cui sono stati sviluppati, che pongono dei limiti alla loro applicabilità e trasferibilità nelle differenti realtà nazionali:

• considerano farmaci da evitare nell’anziano senza proporre delle alternative terapeutiche;

• non fanno riferimento all’inappropriata sotto-utilizzazione dei farmaci;

• non contemplano l’attenzione all’uso di duplicati (farmaci della stessa classe utilizzati contemporaneamente);

• sono stati identificati da un panel di esperti solo americani; • si riferiscono alla realtà farmacologica americana e quindi

contengono anche farmaci non in commercio in Europa. Proprio per questi motivi la misurazione dell’inappropriatezza nell’uso dei farmaci è stata recentemente oggetto di iniziative europee ed

(40)

extra-31 europee volte alla ridefinizione di criteri che rispondessero all’esigenza

di una loro maggiore applicabilità clinica.

Alcuni stati hanno quindi adattato i criteri di Beers in base ai farmaci presenti nel Paese e in base ad altri parametri [52, 53][54], facendo emergere come certi items proposti da Beers siano stati ritenuti validi da molti panel di esperti e quindi offrano una comparabilità sovrannazionale del processo. In alcuni criteri nazionali derivati da Beers vengono riportate le alternative terapeutiche ai farmaci considerati potenzialmente inappropriati.

I criteri di Beers italiani [41] sono stati progettati, a partire dalla lista di Beers del 2003, da un panel di esperti dell’AUSL di Parma, in associazione con i ricercatori della Thomas Jefferson University, considerando il prontuario farmaceutico italiano e la pratica prescrittiva nazionale [41]. Tali criteri hanno suddiviso i farmaci secondo le tre categorie di inappropriatezza, precedentemente riportate, e per ciascun farmaco sono state riportate anche le alternative terapeutiche.

La Regione Toscana ha pubblicato un documento in cui è riportata la traduzione italiana delle tre liste di Beers [55], e un secondo in cui la lista farmaco-patologia e stata integrata con altri criteri realizzati in ambienti differenti da quello nord-americano [56].

Il metodo STOPP and START, invece, è stato elaborato da un team di diciotto esperti irlandesi e inglesi e propone due tipologie di criteri: i farmaci da non prescrivere nel paziente anziano (criteri STOPP: Screening Tool of Older Person’s Prescriptions) e i farmaci appropriati

(41)

32 per lo stesso paziente in determinate condizioni patologiche (criteri

START: Screening Tool to Alert doctors to Right Treatment) [51].

I criteri STOPP (Tabella 2) constano di una lista comprensiva di 65 indicatori di farmaci potenzialmente inappropriati suddivisi in 10 aree clinico-terapeutiche per facilitare il prescrittore all’utilizzo della lista: sette aree appartenenti a diversi sistemi anatomici (ad esempio sistema cardiovascolare o muscolo-scheletrico), una ad una classe di farmaci (farmaci analgesici), una a farmaci che possono causare cadute e, un’ultima, alle prescrizioni duplicate.

(42)

33

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34

Al contrario i criteri START (Tabella 3) sono una lista di ventidue criteri suddivisi in sei sistemi anatomici che permettono di identificare le sottoprescrizioni e/o le omissioni prescrittive di farmaci potenzialmente benefici nei soggetti anziani.

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35

Tabella 3. Criteri START (Screening Tool to Alert doctors to Right Treatment)

I criteri Canadesi o IPET [57] consistono in una lista dei quattordici errori prescrittivi più frequenti, identificati da un panel di esperti canadesi tra un lungo elenco di prescrizioni inappropriate. Di seguito due

(45)

36 esempi: antidepressivi triciclici in pazienti con glaucoma, farmaci

anticolinergici per trattare gli effetti avversi dei farmaci antipsicotici. Lo strumento IPET è stato validato in uno studio prospettico su pazienti anziani ricoverati in ospedale ed in base a questi criteri è stato rilevato un 12.5% di prescrizioni inappropriate in questo setting [57]. IPET è stato usato molto poco fuori dal Canada, tuttavia uno studio ha dimostrato che nel 22% dei casi di pazienti anziani dimessi dall’ospedale in Irlanda sono presenti inappropriatezze prescrittive [58].

1.3.6 Reazioni avverse ai farmaci: esperienze cliniche

Una della prime esperienze italiane è stata pubblicata da Trifirò et al. nel 2005 [1]; questo studio è stato condotto prospetticamente in PS durante i periodi di osservazione attiva: due periodi di dieci giorni ciascuno su 22 PS in varie sedi della penisola. I pazienti sono stati arruolati nelle ore diurne in maniera prospettica e in maniera retrospettiva per i pazienti ammessi durante la notte. Su 18,854 pazienti arruolati, 629 (3.3%) avevano avuto un ADE, 244 di questi (38.8% dei pazienti con ADE) un evento grave. I pazienti con ADE rappresentavano il 4,3% (193 casi) di tutti i ricoveri ed erano i pazienti più facilmente ricoverabili. I farmaci più frequentemente responsabili di ADR sono stati i FANS (16.5%) e gli antibiotici (12.9%) e i disturbi lamentati dai pazienti sono stati dermopatie (213 pazienti) e disturbi gastrointestinali (211 pazienti). Nel 2004 a Napoli [5] è stato svolto uno studio in due ospedali, Cardarelli e Incurabili, per due periodi di dieci giorni ciascuno su pazienti di tutte le età. Lo studio aveva lo scopo di determinare la

(46)

37 percentuale di visite al PS dovute agli ADE, la percentuale di accessi che

hanno richiesto un ricovero d’urgenza per ADE acuto, i farmaci implicati negli ADE, i tipi di ADE e la loro frequenza. Lo studio era contemporaneamente prospettico e retrospettivo, prospettico dalle ore 8:00 alle ore 20:00, retrospettivo dalle ore 20:00 alle ore 8:00. Sono state analizzate 2,442 visite e di queste 34 (1.3%) erano correlate a farmaci; 480 pazienti sono stati ricoverati e 17 di questi (3.6%) hanno avuto un ADE. I farmaci più frequentemente responsabili erano i FANS con il 26.5%, gli antibiotici con il 23.6% e gli anti-ipertensivi con il 17.7%. Ed i disturbi più frequentemente riscontrati sono stati quelli gastrointestinali (diarrea, vomito e gastriti emorragiche) e i rash cutanei (eritema e dermatiti).

Per quanto riguarda gli studi internazionali, tra i primi pubblicati possiamo citare uno studio americano di Goldberg et al. del 1996 [59]: questo studio era teso a determinare 25 potenziali interazioni fra farmaci (ADI: adverse drug interaction) e interazioni fra farmaci e malattia (DDI: drug-disease interaction) nei reparti d’emergenza. E’ stato condotto in maniera retrospettiva, analizzando pazienti con più di 50 anni d’età che assumevano due o più farmaci e utilizzando software per rilevare la presenza di ADI o di DDI. Sono state rilevate 226 ADI potenziali in 89 pazienti (47%) con il 50% delle ADI correlate al trattamento ricevuto nel reparto d’emergenza. Sono state trovate 94 DDI potenziali in 44 pazienti (21%) ed il 34% era correlato al trattamento ricevuto nel reparto d’emergenza. Il rischio di ADI saliva dal 13% dei pazienti con due farmaci all’82% dei pazienti con sette farmaci. Tra i farmaci con più alto

(47)

38 potenziale di scatenare un ADI: furosemide (17%), digossina (14%) ed

prednisone (14%). Sono due i dati interessanti che emergono da questo studio: il primo è che spesso sono proprio i farmaci e le medicazioni somministrate al PS ad essere causa di potenziali ADR ed il secondo che la maggior parte delle ADR è in relazione a poche classi farmacologiche: insulina, anticoagulanti, analgesici, FANS, benzodiazepine, antiacidi e diuretici.

Focalizzato sugli anziani è ancora uno studio retrospettivo canadese pubblicato nel 2001 [29]: sono state analizzate 283 cartelle del PS di pazienti con più di 65 anni prese in maniera casuale, utilizzando l’algoritmo di Karch e Lasagna del 1977. Trenta dei pazienti da loro analizzati avevano avuto una reazione avversa ad un farmaco, la media dei farmaci assunti da ogni paziente era di 4.2 ed i farmaci più frequentemente responsabili erano i FANS, gli anticoagulanti, i diuretici, gli antibiotici, gli ipoglicemici, i beta-bloccanti, i bloccanti dei canali del calcio e gli 26 agenti chemioterapici. Le comorbidità più frequenti erano cardiovascolari (ipertensione e coronaropatie), endocrine (diabete mellito e ipotiroidismo), cerebrovascolari (ictus), respiratorie (BPCO: broncopneumopatie cronico ostruttive), gastrointestinali (ulcera peptica) e psichiatriche (depressione). Anche in questo studio è stata sottolineata l’importanza medica delle ADR e come queste siano una fonte sottostimata ma importante di morbidità nel paziente anziano; gli autori sostengono che il PS dovrebbe essere un luogo dove la terapia farmacologica dei pazienti ad alto rischio dovrebbe essere controllata attentamente per verificare ed evitare patologie iatrogene.

(48)

39 Un altro studio retrospettivo del 1997, pubblicato soltanto nel 2002 [27],

ha rilevato 217 ADR su un campione di 13,602 cartelle cliniche, usando il Naranjo Score: questo studio pone l’attenzione su insulina, warfarin e furosemide come responsabili più frequenti di ADR, risultato che è stato confermato anche nello studio di Budnitz et al. del 2011 [3]. Le diagnosi più comuni nei pazienti che avevano avuto reazione avversa ad un farmaco sono state: ipoglicemia, coagulopatia ed emorragia; due pazienti erano addirittura deceduti: uno a causa di un’emorragia retroperitoneale da warfarin ed l’altro per disidratazione da furosemide.

Lo studio condotto da Budnitz et al. del 2011 [3], anche questo retrospettivo, ha analizzato i dati di 5,077 pazienti con più di 65 anni dal 2007 al 2009 del National Electronic Injury Surveillance System-Cooperative Adverse Drug Event Surveillance. Dai dati emerge che la maggior parte dei ricoveri per eventi avversi negli anziani è dovuta a pochi farmaci ma comunemente usati (warfarin nel 33% dei casi, insulina 13.9%, antiaggreganti orali 13.3%, ipoglicemizzanti orali 10.7%), mentre relativamente pochi (27) sono i ricoveri dovuti a farmaci tipicamente riconosciuti come ad alto rischio o inappropriati. Gli autori concludono che “migliorare la gestione degli antitrombotici e degli antidiabetici ha il potenziale di ridurre i ricoveri per reazioni avverse negli anziani”; inoltre sottolineano che, a scapito di una definizione di reazione avversa piuttosto ristretta, circa 100,000 ricoveri l’anno negli Stati Uniti sono dovuti proprio a questo motivo: numero, questo, più alto degli ingressi per demenza o delirio (75,000) e più vicino al numero di accessi per

(49)

40 patologie del tratto biliare (110,000) e per infezioni cutanee (118,000) tra

gli anziani (HCUPnet [60]).

66,000 ricoveri sono dovuti ad agenti anticoagulanti e anti-trombotici, usati e prescritti frequentemente: ridurre questo numero sarebbe molto importante, sia per ridurre le sofferenze dei pazienti sia per ridurre i costi. Infatti, con circa 21,010 ricoveri dovuti ad emorragie da warfarin, il costo di questa ADR è di centinaia di milioni di dollari all’anno [61].

Si potrebbe pensare che per minimizzare il rischio di eventi avversi e per ridurre la spesa sanitaria ci debba rimettere il benessere del paziente, in quanto il rischio per alcuni farmaci diminuisce solo se si elimina il farmaco stesso o si abbassa la dose, ma nel caso di warfarin è stato visto che una buona gestione della terapia anticoagulante si traduce in un miglior controllo della coagulazione, con riduzione sia gli eventi trombotici che emorragici [62].

1.2 Interazioni farmacologiche

Due o più farmaci somministrati contemporaneamente possono esercitare i loro effetti in modo indipendente oppure possono interagire. L’interazione può portare ad un potenziamento o ad un antagonismo degli effetti di un farmaco da parte di un altro o, occasionalmente, alla comparsa di effetti inattesi.

Le interazioni tra farmaci rappresentano uno dei settori della medicina dove la distanza tra l’evoluzione delle conoscenze teoriche (quelle prodotte in laboratorio o su volontari sani, che rappresentano il setting più comune per gli studi di interazione) e la possibilità di tradurre tali

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41 risultati in regole di pratica clinica, direttamente applicabili ai pazienti ed

in particolare a quelli trattati con politerapie come i pazienti anziani, si manifesta più marcata. Tale assenza di informazioni, direttamente trasferibili nel contesto clinico di tutti i giorni, costringe il medico ad un approccio empirico, molto più legato al proprio “buon senso” o alla propria esperienza diretta che non guidato da evidenze scientifiche, nonostante l’esistenza di software per la identificazione di interazioni farmacologiche negative [63]. La cronaca ha poi recentemente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica con grande clamore ripetuti casi di interazioni tra farmaci con esiti sfavorevoli tali da indurre gravi effetti collaterali, creando così nella popolazione profonda diffidenza verso i farmaci in generale [64].

Per interazione farmacologica si intende quindi la somministrazione contemporanea di:

- 2 o più farmaci (drug-dru interaction);

- 1 farmaco + certi alimenti (drug-food interaction) o addirittura con lo stato nutrizionale del paziente (drug-nutritional status interaction);

- 1 farmaco + droghe vegetali (drug-herbal product interaction); - 1 farmaco + inquinanti ambientali (compreso il fumo di tabacco

e drug-alcohol interaction);

-1 farmaco + patologia (drug-disease interaction).

È da ricordare che nel caso delle interazioni tra due o più farmaci non è necessario che i due farmaci siano somministrati insieme perché alcuni

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