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Le concessioni sul demanio marittimo e idrico dopo la liberalizzazione della Direttiva ex Bolkestein

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Le concessioni sul demanio marittimo e idrico

dopo la liberalizzazione della Direttiva ex

Bolkestein

Introduzione V

Capitolo I

I Beni demaniali: profili definitori

1. I beni demaniali nel Codice civile 1

2. La nozione di demanio idrico 6

3. Il demanio marittimo 16

Capitolo II

La disciplina giuridica del demanio marittimo antecedente ai provvedimenti di liberalizzazione

1. La rottura dell’unitarietà della disciplina nel demanio marittimo: dal d.P.R. 616/1977 alla riforma Bassanini 28 2. Il d.lgs 112/1998 e le criticità del trasferimento 34 3. La riforma del Titolo V della Costituzione 37 4. Il contenzioso Stato-Regioni: questioni di legittimità costituzionale e conflitti di attribuzione 39 5. Le norme regionali di attuazione: l’esperienza della Toscana 51

(2)

6. La riforma della Legislazione Nazionale del Turismo 55

7. La legge finanziaria per il 2006 65

8. La gestione integrata delle coste 68

Capitolo III

L’evoluzione storica del demanio idrico

1. Il R.D. 1775 del 1933 77

2. La legge Galli 89

3. Il decentramento amministrativo e il Decreto Bersani 97 4. Gli strumenti di pianificazione nel Testo Unico

dell’Ambiente 102

Capitolo IV

Le concessioni in godimento ai privati

1. Definizione e valorizzazione in relazione all’interesse

pubblico 112

2. L’uso del demanio idrico 121

2.1. Le concessioni in materia di demanio idrico nella

provincia di Lucca 125

(3)

3.1. Le concessioni nel sistema del Codice 138 3.2. I procedimenti speciali: la realizzazione di strutture

dedicate alla nautica da diporto 150

3.2.1 La rete dei Porti Toscani 155

3.3. Le costruzioni sul demanio e la situazione della

Versilia 160

4. Criticità della disciplina delle concessioni 170

Capitolo V

La direttiva ex Bolkestein e la storia infinita della liberalizzazione

1. Genesi e obiettivi 176

2. Il recepimento della direttiva nell’ordinamento italiano 187 3. L’incongruenza tra normativa comunitaria e italiana:

le procedure di infrazione 198

4. I provvedimenti dello Stato italiano 203

4.1. Il decreto Milleproroghe 204

4.2. Il federalismo demaniale 208

(4)

5. L’intervento della Corte Costituzionale sulle disposizioni regionali 223 6. La proroga al 2020 234 Conclusioni 237 Bibliografia 242 Giurisprudenza 251 Fonti informatiche 253

(5)

Introduzione

All’interno dell’Unione Europea le quattro libertà di circolazione (merci, servizi, capitali e persone) sono le colonne portanti e il fondamento del Trattato della Comunità Europea; la concorrenza costituisce uno degli strumenti principali per consolidare l’aspetto unitario del mercato.

Per raggiungere il programma di integrazione socio economica, l’azione della Comunità prevede di realizzare un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alle quattro libertà fondamentali.

Al fine di eliminare detti ostacoli nel 2006 è stata approvata la Direttiva relativa ai servizi nel mercato interno.

La Direttiva servizi prende il nome dall’ex commissario della Comunità Europea della concorrenza e del mercato interno, Frits Bolkestein, membro della commissione Prodi, che ne è stato il proponente.

La disciplina emanata dall’Unione Europea ha la finalità di ridurre, eliminare o comunque limitare il più possibile i vincoli all’esercizio delle quattro libertà commerciali riconosciute dai

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Trattati dell’Unione, sul presupposto che un’economia priva di limiti alla concorrenza sia più “efficiente” e crei le condizioni di una più equa ripartizione della ricchezza grazie alle maggiori occasioni di “economia”.

I lavori del Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 avevano posto come obiettivo principale dell’azione comunitaria, il completamento del mercato interno dei servizi, affidando alla Commissione il compito di individuare “entro la fine del 2000 una strategia per la rimozione delle barriere alla libera circolazione dei servizi”, in attuazione delle prescrizioni del Trattato istitutivo della comunità Europea che dedica il III Titolo alla libera circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e che all’articolo 49 vieta “le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità”.

Il testo originario si è progressivamente trasformato tra il gennaio del 2004 e il dicembre 2006 in un terreno di confronto e scontro tra fautori della liberalizzazione economica e paladini del modello sociale europeo.

La direttiva Bolkestein può essere considerata un insieme equilibrato, composto di armonizzazione, rafforzamento e

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perfezionamento dei principi già esistenti in ambito comunitario, ma non accolta pacificamente.

Codifica i principi giurisprudenziali e introduce meccanismi di semplificazione amministrativa e normativa, di cooperazione e norme a tutela sia degli utenti dei servizi che dei prestatori degli stessi.

La direttiva ha subito diversi tagli e modifiche, ma gli aspetti e gli obiettivi fondamentali sono rimasti presenti nel testo definitivo.

L’approvazione della direttiva ha rappresentato l’occasione per dare una risposta a problemi nodali disegnando un modello europeo formato da Stati fortemente differenziati per condizioni normative e socio economiche, alla ricerca disperata di identità.

Il recepimento di questo strumento aveva come scopo quello di innescare una revisione delle discipline amministrative a livello nazionale.

Il presente lavoro pone l’attenzione su come, l’attuazione della direttiva Bolkestein ha inciso sui procedimenti di rilascio delle concessioni sui beni del demanio idrico e marittimo, avviando un processo di liberalizzazione.

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Dopo aver esaminato la nozione di bene demaniale si passerà ad analizzare le singole categorie dei beni del demanio marittimo e idrico, nonché l’evoluzione storica e regolamentare antecedente ai provvedimenti di liberalizzazione.

Verrà affrontata la disciplina dei procedimenti di rilascio delle concessioni sia nel demanio idrico, sia nel demanio marittimo, ponendo l’attenzione sul c.d. “diritto di insistenza” e su come la previsione di gare per l’aggiudicazione di concessioni, basate su concorrenza e trasparenza abbia creato non poche polemiche a riguardo.

In merito al recepimento della direttiva Bolkestein si porrà l’attenzione alle procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea per incongruenza e contrasti tra normativa nazionale e dettati superiori europei, e su come lo Stato italiano abbia reagito alle messe in mora da parte dell’Europa, mediante l’emanazione di una serie di provvedimenti che hanno cercato di conciliare la normativa statale e il quadro comunitario con l’obiettivo di affermare i principi di concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione.

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Nelle more delle procedure di infrazione, alcune regioni hanno emanato leggi con previsioni di ulteriori rinnovi dei rapporti concessori in essere. Queste disposizioni sono state ritenute dallo Stato volte ad aggirare la scadenza delle concessioni del 2015 e sono state dichiarate oggetto di illegittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale ha ribadito in una serie di pronunce la necessità di creare una regolamentazione unitaria alla luce dei principi Europei e della tutela della concorrenza.

I difensori delle regolazioni ingiustificatamente restrittive fanno balenare disastri generali come conseguenza di un aumento della concorrenza, mentre in realtà ciò che essi temono è soltanto la riduzione dei redditi delle categorie protette. Il compito di chi sostiene la concorrenza è quello di convincere che i benefici sono superiori ai costi.

Con l’approvazione della Direttiva Servizi l’ordinamento comunitario ha compiuto un decisivo passo in avanti, mentre il legislatore nazionale, incerto nel perseguire autonomamente il disegno di una revisione pro-concorrenziale della regolazione non sembra aver colto le opportunità offerte da questa iniziativa,

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confermando le difficoltà che l’ordinamento incontra nell’aprirsi con stabile convinzione alle ragioni della libera concorrenza.

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Capitolo I

I beni demaniali: Profili definitori

1. I beni demaniali nel Codice civile

Il Codice civile, nel Capo II del Titolo I del Libro III, individua e disciplina i beni appartenenti allo Stato e agli enti pubblici, i quali sono soggetti a un regime giuridico speciale, cioè a regole diverse rispetto a quelle che valgono per i beni privati.

I beni pubblici si distinguono in due categorie: quella dei beni demaniali e quella dei beni patrimoniali, questi ultimi a loro volta distinti in disponibili e indisponibili.

I beni demaniali possono essere di due tipi: beni del demanio necessario o naturale e beni del demanio accidentale o eventuale1. Nei beni del demanio necessario rientrano i beni che possono appartenere esclusivamente allo Stato, non essendo concepibile una proprietà degli stessi: ne fanno parte il demanio marittimo, idrico e militare.

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1 U. BRECCIA, L. BRUSCUGLIA, F.D. BUSNELLI, F. GIARDINA, A. GIUSTI, M.L.LOI,

E. NAVARRETTA, M. PALADINI, D. POLETTI, M. ZANA, Diritto privato, seconda edizione, Torino, Utet, 2010, pag. 923.

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L’art. 822 c.c. comma 1 individua come beni facenti parte del patrimonio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.

Il demanio necessario è costituito esclusivamente da beni immobili che a differenza della generalità degli altri beni pubblici sono caratterizzati dalla scarsa deperibilità2.

Appartengono invece al demanio accidentale quei beni che possono appartenere anche a privati e che fanno parte del demanio solo se appartengono allo Stato. Tali beni sono: le strade, le autostrade, e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. I beni del demanio accidentale non sono costituiti esclusivamente da beni immobili, potendo consistere anche in universalità di mobili (raccolta dei musei e pinacoteche).

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L’art. 823 disciplina il regime giuridico dei beni che fanno parte del demanio pubblico precisando che tali beni sono inalienabili e non usucapibili. Essi non possono inoltre formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

I beni demaniali possono costituire oggetto di uso comune, come per esempio il demanio stradale; di uso speciale consentito solo a chi vi sia ammesso mediante autorizzazione e subordinatamente a determinate condizioni, e possono essere oggetto anche di uso eccezionale (concessione di occupazione del suolo pubblico).

La tutela di questi beni spetta all’autorità amministrativa che può indifferentemente scegliere la via amministrativa o può avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso. A questo stesso regime sono assoggettati i diritti reali dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali costituiti su beni privati per l’utilità di beni demaniali o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali ( art. 825 c.c.).

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I beni demaniali possono acquisire la demanialità in forza della loro conformazione come nel caso del demanio naturale o artificiale necessario oppure per effetto di uno specifico atto di destinazione pubblicistica impresso ad un bene nel caso del demanio accidentale e dei beni militari.

La cessazione della qualità di bene demaniale, a seconda dei casi, deriva oltrechè dalla distruzione del bene, dalla perdita di requisiti di bene demaniale e dalla cessazione della destinazione (per esempio una fortezza non più idonea ad usi militari).

Vi è inoltre il caso della sdemanializzazione: tale concetto indica un atto o un fatto che incide sulla destinazione pubblicistica di un bene determinandone la cessazione dello statuto pubblicistico e perciò l’inalienabilità, insuscettibilità di espropriazione privata o pubblica, insuscettibilità di acquisto a titolo originario per usucapione e possibilità di formare oggetto di diritti in favore di terzi solo nei limiti legalmente previsti.

La sdemanializzazione può verificarsi solo nel caso di demanio eventuale in quanto, con riferimento al demanio necessario i beni sono destinati ad assolvere funzioni pubblicistiche e non è

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ipotizzabili la perdita della demanialità per effetto di un atto amministrativo.

In giurisprudenza si sono poste questioni in ordine ai presupposti per la configurabilità di una sdemanializzazione tacita e si è avuto modo di precisare sia il Consiglio di Stato sia la Cassazione Civile che un comportamento omissivo non è idoneo a determinare la perdita della demanialità del bene principale o della pertinenza occorrendo invece un comportamento attivo o comunque diretto a sottrarre il bene dalla valenza pubblicistica3.

Con riferimento alla demanialità e sdemanializzazione la p.a redige degli elenchi dove vengono indicati i beni soggetti al regime demaniale. Tali elenchi come precisato dalla giurisprudenza non possiedono alcuna valenza costitutiva della demanialità del bene, ma una valenza meramente dichiarativa, creando una presunzione dell’appartenenza suscettibile di essere confutata in ordine alla sua

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3!Consiglio di Stato, Sez.V, 7 febbraio 2000, n. 725: “La sdemanializzazione di un bene

pubblico quando non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da altri atti o comportamenti univoci della p.a. proprietaria che siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest’ultima di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica, onde la sdemanializzazione non si può desumere dal mero fatto che il bene non sia più adibito, per un certo tempo a detto uso.”

Cassazione Civile, Sez.Un., 18 Dicembre 1998, n. 12701 “..tale rapporto pertinenziale e la relativa demanialità del bene permangono fino al momento in cui la p.a. manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenza alla sua funzione, mentre la sdemanializzazione non può desumersi da comportamenti omissivi della medesima ”.!

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natura privata e all’insussistenza di vincoli di destinazione pubblicistica .

2. La nozione di demanio idrico

Il demanio idrico appartiene al c.d. demanio necessario ed è predisposto alla fruizione dei beni che lo compongono ai fini di un uso di pubblico generale interesse.

La disciplina del demanio idrico è contenuta nel Codice Civile all’art. 822 e all’art 1 T.U. 1775/1933, successivamente modificato dalla Legge 36/1994 (Legge Galli). A seguito di tale legge la materia è stata riformulata e ridefinita con il Testo Unico in materia ambientale (d.lgs.152/2006).

Esistono inoltre i beni idrici che sono considerati parte del patrimonio indisponibile: è il caso delle acque termali e minerali, assoggettate al regime delle miniere4. Le acque sorgenti fanno parte invece del demanio idrico5.

Costituiscono demanio idrico un’ampia categoria di beni: fiumi, laghi e torrenti compresi gli alvei e le rive che li delimitano !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

4!In virtù del R.D. 1443/1927 le acque termali e minerali seguono la disciplina delle miniere. 5 E. CASETTA, Compendio di diritto amministrativo, op. cit., 2010, pag. 118.

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ma escluse le foci che sboccano sul mare (art 28 c.n.); rivi, fossati e colatori quando siano destinati ad un uso per fini generali; le acque sotterranee, le acque sorgenti e i ghiacciai; i porti e gli approdi destinati alla navigazione interna e gli acquedotti, i canali e i laghi artificiali di proprietà statale.

I fiumi sono i corsi d’acqua perenni a regime regolare e con alvei a lieve pendenza, mentre i torrenti sono corsi d’acqua caratterizzati da un regime molto variabile con piene improvvise e magre molto accentuate ed aventi un alveo a forte pendenza con fondo ghiaioso. Essi sono demaniali per espressa previsione di legge; tuttavia la giurisprudenza tende a riconoscere come demaniale anche l’alveo6, le rive e le sponde del corso d’acqua.

Secondo alcuni autori7 bisogna distinguere tra rive interne e rive esterne: le prime sono parte di terra compresa tra il minimo e il massimo spostamento dell’acqua e sono parte dell’alveo condividendo con esso la natura demaniale; le rive esterne possono invece rimanere di proprietà privata ma sono assoggettate da servitù pubblica.

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6 Si intende per alveo lo spazio di terreno scavato naturalmente dal deflusso delle acque e dalle

stesse occupato durante il periodo di piena normale e non eccezionale : Cass, Sez.Un. , 11 Maggio 1942, n. 1227.

7 G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1958, pag. 80; nello stesso

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Fanno inoltre parte del demanio idrico sia il letto di magra del fiume sia le zone che, nell’eventualità di una piena ordinaria, vengono sommerse.

L’azione erosiva dei corsi d’acqua comporta la modificazione del territorio circostante. Fin dai tempi antichi il diritto ha regolato tali situazioni: alveus derelictus, insula in flumine nata, adluvio,

avulsio8. Il diritto romano seguiva un principio mirato alla

risoluzione dei conflitti tra titoli di acquisto a titoli originario: tutti i fenomeni naturali che andavano ad aumentare la superficie dei terreni emersi, o che facevano emergere terre sommerse, davano luogo ad un acquisto a titolo originario.

Tale disciplina è stata oggetto di modifiche legislative nel corso degli anni. A seguito della legge Galli il terreno rimasto libero dalle acque appartiene ora al demanio pubblico9. Stessa sorte ha avuto la disciplina del c.d. alluvione impropria.

La disciplina dell’insula in flumine nata che prevedeva che l’isola affiorata nel fiume cadesse in proprietà dei fondi rivieraschi opposti, con confine segnato dalla linea mediana del fiume non è mai stata trasportata nell’ordinamento moderno.

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8 D. GALLENCA, Demanio idrico e responsabilità della p.a., Padova, Exeo, 2013 pag. 18. 9 Per un approfondimento più dettagliato si rinvia al capitolo 3.

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L’art. 945 c.c. infatti ha sempre previsto che le isole e unioni di terra che si formano nel letto di fiumi o torrenti appartengono al demanio pubblico .

La disciplina dell’adluvio è giunta fino a noi: ai sensi dell’art. 941 c.c. le unioni di terra e gli incrementi che si formano successivamente e impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti appartengono al proprietario del fondo.

Simile all’adluvio è l’avulsio cioè un incremento fluviale manifesto e violento di una parte consistente di un fondo con conseguente accrescimento di un altro fondo. Ai sensi dell’art. 944 c.c. il proprietario del fondo al quale si è unita la parte staccata ne acquista la proprietà; conseguentemente dovrà pagare all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall’avulsione.

Nell’attuale impianto codicistico le modificazioni del territorio così createsi appartengono alla categoria del demanio accidentale: l’art. 822 c.c. non richiama infatti le isole nate nel fiume o gli incrementi fluviali. La giurisprudenza ha ritenuto che gli incrementi fluviali non possono concettualmente ritenersi demanio idrico ma demanio accidentale, poiché la demanialità non discende dall’art.

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822 comma 1, ma da un espresso riconoscimento legislativo espresso nel secondo comma dell’art. 822 e dagli artt. 941 e ss c.c.10.

Stabilire se un’acqua abbia o meno attitudine ad usi di pubblico generale interesse importa un’indagine di specie, prevalentemente di fatto, e soprattutto tecnica, diretta ad accertare caso per caso, considerando la natura dell’acqua, sia per se stessa, sia relativamente al bacino o ai sistemi imbriferi di cui fa parte, se essa abbia o meno attitudine agli usi menzionati dalla legge.

È sorta la questione se anche relativamente ai laghi, il riconoscimento della demanialità sia in funzione della loro attitudine ad usi di pubblico generale interesse. L’art. 427 c.c. del 1865 non prevedeva espressamente i laghi fra i beni demaniali.

La dottrina però riteneva che tutti i laghi, esclusi soltanto quelli di dimensioni minime, e che a stretto rigore, più che laghi dovrebbero definirsi stagni, fossero pubblici. Ciò posto sembrava indiscutibile che l’espressione “definite pubbliche dalle leggi in materia” di cui all’art. 822 si riferisse alle altre acque e non ai laghi, torrenti e fiumi, definiti demaniali dal Codice civile.

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Sembrava che, accertati in uno specchio d’acqua i caratteri idrografici di un lago, si dovesse intendere ammessa la sua demanialità, indipendentemente dalla sua attitudine maggiore o minore, attuale o potenziale ad usi di pubblico generale interesse.

Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche riteneva, invece, che l’art. 822 c.c. armonizzato con l’art. 1 T.U. 1775/1933 sulle acque debba intendersi nel senso che fiumi, torrenti e laghi sono demaniali se le loro acque sono definite pubbliche dalle leggi e la Corte di cassazione ne confermava la pronunzia ribadendo che l’art. 822 c.c. andava armonizzato con quanto stabilito dall’art. 1 del T.U del 193311.

Oggi espressamente previsti di proprietà demaniale dal Codice civile, i laghi sono bacini di acqua permanente che si differenziano dagli stagni in quanto questi ultimi sono privi di emissari e immissari e sono scarsamente profondi. Sotto la denominazione di stagni si possono includere anche specchi d’acqua come valli, paludi e fosse non comunicanti con il mare: tali beni in linea di principio possono essere di proprietà privata poiché non vi è un’espressa previsione di demanialità, ma in ragione della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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loro conformazione possono essere incluse nel novero dei beni demaniali.

Come per i corsi d’acqua anche le sponde delle acque lacuali hanno carattere demaniale. Per definire i limiti della demanialità dell’alveo, delle sponde e della spiaggia, la giurisprudenza utilizza il criterio della contiguità ai corsi d’acqua valido sia per i laghi che per i fiumi. Secondo tale principio desunto dall’art. 943 c.c. l’estensione dell’alveo demaniale è identificata dal livello che le acque raggiungono durante la piena ordinaria, con la conseguenza che tutte le terre da essa coperte sono considerate alveo ed hanno identico regime giuridico.

Per quanto riguarda le opere realizzate sulle sponde stesse la giurisprudenza ha rinvenuto un criterio di distinzione nella conformazione delle costruzioni se queste sono costruite in comunicazione con il bacino lacuale divengono per accessione demaniali 12. In tema di costruzioni non è superfluo sottolineare come le opere su alvei e sponde debbano essere compiute con il permesso dell’autorità amministrativa13.

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12 D. GALLENCA, Demanio idrico e responsabilità della p.a., op.cit., pag. 24. 13 R.D. n. 523 del 1904 artt. 93 e 94.

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Da non confondersi con le sponde14, definite come confine naturale dell’ordinaria portata delle acque, gli argini sono le barriere esterne, per lo più artificiali, erette a difesa del territorio per il caso di piene eccezionali15.

Sono definiti argini quei rialzi regolari di terra, che specie quando i terreni laterali e circostanti al corso d’acqua sono o più bassi o a livello uguale, servono a contenere le piene, e ad impedire o arrestare le inondazioni delle campagne laterali16 .

L’appartenenza al demanio idrico di tali beni è stata discussa in dottrina e giurisprudenza ma la recente giurisprudenza attribuisce agli argini carattere demaniale; nello stesso senso si muove la dottrina.

Al riguardo delle altre acque definite pubbliche richiamate dall’art. 822 c.c. assumono rilievo i ghiacciai per la loro natura di riserva di acqua dolce. Essi non sono stati espressamente definiti di proprietà demaniale ma la dottrina li ha sempre ritenuti come parte del demanio necessario. I ghiacciai non sono altro che fiumi allo stato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

14 Definite tecnicamente come la parte inclinata, la parte interna del corso d’acqua, la parte che

si congiunge direttamente alla scarpata. Essa è detta anche ripa interna e forma un tutto unico con l’alveo, un tutto inscindibile per il contenimento delle acque ed è quindi come questo, demaniale. Diversamente è da dirsi per le ripe esterne, cioè lo spazio soprastante unito alla scarpata, che sono di proprietà dei privati sebbene gravate in alcuni casi da servitù pubbliche.

15 T.A.R. Emilia Romagna, Sezione Parma, 15 Settembre 2010 n.435 in: casistica-Raccolta di

giurisprudenza 2009-2012, (a cura di) LORO. P, Padova, Exeo, 2012, pag. 60.

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solido, l’origine dei fiumi propriamente detti e richiamati nel Codice civile. In tempi recenti il legislatore si è più volte riferito ai ghiacciai come parte del demanio idrico17.

Il Testo Unico del 1933 contiene la disciplina delle acque sotterranee, la cui ricerca ed estrazione, salvo per gli usi domestici del proprietario del fondo (art. 93), subordina all’autorizzazione amministrativa, previa regolare istruttoria, nei comprensori che, a norma dell’art. 95, vengono via via dichiarati soggetti alla tutela della pubblica amministrazione. Fatta salva la proprietà attribuita al proprietario dell’art. 93, chi nei comprensori soggetti a tutela voglia procedere a ricerca di acque sotterranee o a scavi di pozzi nei fondi propri o altrui, deve ottenere l’autorizzazione del competente ufficio del genio civile18.

Le sorgenti fanno parte del demanio idrico a differenza delle acque termali e minerali. In passato era diffusa l’opinione della natura privatistica delle sorgenti, oggi invece è pacificamente riconosciuta la natura demaniale di tali beni sia perché la sorgente è

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17 d.P.R. 115/1973 art.8 lett e, così come modificato da d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463: “..il

demanio idrico , compresi le aree fluviali, gli alvei e le pertinenze, i ghiacciai e i laghi ..”; nonché art. 8 d.P.R. 15 febbraio 2006, pubblicato in G.U. 24 maggio 2006 n. 119, ove nel capitolo intitolato “Utilizzazione delle acque pubbliche” si vieta l’utilizzazione diretta delle acque di ghiaccio sia in forma solida che liquida .

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l’origine del fiume o del torrente sia perché illogico considerare demaniale un corso d’acqua senza che lo sia anche il suo inizio19.

La demanialità delle sorgenti è stata affermata in relazione a due elementi: pertinenza ad un corso d’acqua pubblica, nel qual caso esse si reputavano pubbliche come caput fluminis o pars

fluminis; e importanza in relazione alla destinazione o al possibile

uso delle acque. Quando una sorgente costituiva caput fluminis, o anche pur non costituendolo, concorreva in misura notevole alla formazione o alla vita di un fiume o di un torrente; oppure quando aveva l’attitudine a soddisfare usi di pubblico interesse, in tutti questi casi si diceva che la sorgente era pubblica.

Questi concetti sono stati ripetutamente accolti dalla giurisprudenza.

L’art. 1 del T.U. del 1933 ha risolto l’antica questione della demanialità della sorgente caput fluminis: il pubblico interesse delle acque sorgive, dovendosi considerare in relazione al sistema idrografico, di cui queste fanno parte, è evidente nel caso diano luogo a fiumi o corsi pubblici; ugualmente deve dirsi quando

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19 Cass. Civ., Sez. Un., 19 gennaio 1979, n. 387 secondo cui “la natura demaniale di un’acqua

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arrecano a corsi altrimenti formati contributi rilevanti in ordine alla loro utilizzazione pubblica20.

3. Il demanio marittimo

Nell’ambito del genus dei beni demaniali appartenenti allo Stato si trova la species dei beni facenti parte del demanio marittimo statale.

Per demanio Statale si intendono tutti i beni appartenenti allo Stato, destinati per legge o natura al soddisfacimento di una funzione pubblica. Più in particolare, il demanio destinato a soddisfare gli usi pubblici del mare, sia quelli concernenti le attività in connessione diretta con il mare, come la pesca, sia quelli che presuppongono un’utilizzazione indiretta a favore della collettività, come la balneazione, rientra nella categoria del demanio marittimo21.

I beni demaniali marittimi fanno parte del demanio necessario, quest’ultimo comprende i beni che sono demaniali ipso facto,

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20 U. PERNIGOTTI, Acque pubbliche, cit., pag. 405.

21L. SALAMONE, La gestione del demanio marittimo: dallo Stato, alle regioni, ai comuni,

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quindi per natura; tali beni sono tutti di proprietà dello Stato e solo eccezionalmente delle Regioni22. Fanno invece parte del demanio accidentale le pertinenze demaniali cioè le costruzioni e altre opere appartenenti allo Stato che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale (art. 29 c.n)23.

I beni del demanio marittimo costituiscono per la vastità dell’estensione territoriale e la particolarità delle utilizzazioni, la categoria dei beni pubblici di maggior rilievo ambientale. Scopo comune a tali beni è il fatto di delimitare o circondare lo spazio acqueo marino.

Una prima classificazione dei beni appartenenti al demanio marittimo si ritrova nel Codice della marina mercantile del 1865 che all’art. 157 elencava tra i beni del pubblico demanio il lido del mare, i porti, i seni e le spiagge. Attualmente la classificazione in vigore è riconducibile al Codice della navigazione (approvato con R.D. 30 marzo 1942 n. 327) e al relativo regolamento per la

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22 Per la Regione Sicilia il trasferimento dei beni demaniali marittimi è avvenuto con il d.P.R.

n. 684/1977.

23 Secondo quanto dispone l’art 49 c.n. tali costruzioni di opere inamovibili, salvo che non sia

diversamente stabilito nell’atto di concessione, alla scadenza della stessa restano acquisite dallo Stato senza alcun compenso o rimborso.

L’art 31 c.n. dispone inoltre che nei luoghi ove il mare comunica con canali, fiumi o altri corsi d’acqua, i limiti del demanio marittimo sono fissati dal ministro della marina mercantile di concerto con quello per le Finanze e per i lavori pubblici, nonchè con gli altri ministri interessati.

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navigazione interna24. La principale differenza tra il vecchio codice e il nuovo sta nella scomparsa della categoria dei seni e nell’introduzione di quella delle rade.

In particolare i beni del demanio marittimo sono elencati dall’art. 822 c.c. e dall’art. 28 c.n.. Ai sensi dell’art. 822 costituiscono beni del demanio marittimo: il lido, la spiaggia i porti e le rade; l’art. 28 c.n. dopo aver richiamato il predetto articolo del Codice civile continua con un’elencazione che va a ricomprendere anche le lagune, le foci dei fiumi che sboccano nel mare, i bacini d’acqua salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente con il mare e i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

Il lido è inteso come parte di terra, a immediato contatto con le acque del mare, normalmente coperta da mareggiate ordinarie e destinata ad uso marittimo relativo all’approdo, alla pesca o alla balneazione.

La spiaggia corrisponde ad una linea di terra, dalla più varia natura geologica che si estende dal lido verso la terra ferma utilizzabile per il soddisfacimento degli usi marittimi. E’ una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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porzione di terreno dai confini variabili, in quanto si restringe, per far posto al lido, sotto l’azione delle forze erosive del mare, o si amplia a seguito del ritirarsi delle acque. Il mutamento dello stato dei luoghi è idoneo a mutare il regime giuridico senza la necessità di un provvedimento amministrativo.

I porti sono i tratti di costa, comprese le apposite strutture artificiali, nonché le zone di mare che, per la loro particolare conformazione, offrono riparo alle navi e ne agevolano l’approdo. L’art. 4 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, specialmente ai fini dell’attribuzione dell’onere finanziario per le opere marittime, suddivide i porti in due categorie. Alla prima categoria appartengono quelli finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato. Alla seconda categoria appartengono i porti destinati al commercio e sono suddivisi a seconda della rilevanza economica internazionale, nazionale e regionale o interregionale. I porti della seconda categoria sono inoltre distinti a seconda della funzione che assolvono: commerciale, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia, turistica e da diporto25.

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25 LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE, TULLIO, Manuale di diritto della navigazione,

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Le rade sono estensioni di mare protette, generalmente antistanti i porti, che consentono alle navi di accostarsi e sostare in sicurezza 26.

Le lagune sono specchi d’acqua situati nelle vicinanze del mare. Si distinguono in lagune vive, se comunicanti con il mare, e lagune morte, se separate o stagnanti. Nelle lagune vive le aperture comunicanti con il mare prendono il nome di bocche di porto. E’ in dubbio se anche le lagune morte siano da includere tra i beni del demanio marittimo27.

Le foci dei fiumi sono state incluse nell’art. 28 c.n., che considera solo le foci dei fiumi che sboccano in mare; in base all’art. 31 c.n. nei luoghi nei quali il mare comunica con i fiumi i limiti demaniali sono fissati dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto per le altre amministrazioni.

I bacini di acqua salsa o salmastra sono bacini di basso fondale di origine sia marina che fluviale, esistenti nella terraferma, in cui lo stato dei luoghi rende possibile la penetrazione e il riflusso dell’acqua del mare, anche solo per una parte dell’anno.

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26 IMPALLOMENI, Le rade, i porti, le darsene e le opere a terra, in Riv. Trim. dir. pubbl.

1990, pag. 1182.!

27 Secondo Cass., 6 giugno 1989 n. 2745, l’elemento della comunicazione col mare deve essere

tale da rivelare l’idoneità attuale e non solo potenziale del bacino a servire ai pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico.

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La comunicazione può avvenire anche attraverso canali costruiti dall’uomo purchè l’acqua del mare posso affluire liberamente al bacino senza mezzi meccanici28.

I canali utilizzabili a uso pubblico marittimo sono immediatamente collegati al mare e adibiti agli approdi interni e alle operazioni di carico e scarico. Sono assoggettati alla natura giuridica del demanio marittimo indipendentemente dalla natura delle acque, in quanto considerati strumenti per usi pubblici del mare.

E’ opportuno precisare che esistono beni demaniali non identificabili facilmente nei limiti esatti e sottoposti alla continua opera di trasformazione delle forze naturali29. Il Codice della

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28 È controversa la natura giuridica delle valli da pesca (zone del litorale presenti

prevalentemente nell’Alto Adriatico, dove si esercita l’allevamento del pesce marino in spazi lagunari racchiusi) ritenendo talora non demaniali le valli chiuse che non si trovano in libera comunicazione con il mare.

29 Nel 1989 il Ministero della Marina Mercantile avviò la costituzione della banca dati dei beni

demaniali marittimi, primo passo per la futura istituzione del sistema informativo del demanio marittimo (SID), attualmente condiviso tra Stato, Regioni, Comuni e altre istituzioni. Il SID nasce con lo scopo di dotare il Ministero e la altre pubbliche amministrazioni coinvolte nella gestione dei beni demaniali marittimi, di uno strumento moderno ed efficiente, che basandosi su una nuova base cartografica catastale metricamente esatta e amministrativamente corretta, fosse capace di identificare con certezza i beni costituenti il demanio marittimo e di rappresentare con evidenza le caratteristiche geometriche del territorio e il suo stato d’uso amministrativo. Il SID è fondato sull’integrazione di due banche dati: una cartografia derivante dalla digitalizzazione delle mappe catastali della fascia costiera, revisionate e aggiornate secondo le tecniche più avanzate; l’altra amministrativa, contenente lo stato amministrativo attuale delle occupazioni, legittime e non, e la loro utilizzazione. Su queste banche dati integrate si innesca un sistema operativo orientato all’interscambio delle informazioni e che consente a ciascuna amministrazione coinvolta nella gestione del demanio di fornire i dati di propria produzione e di ricavare quelli di rispettivo interesse. Il primo passo per la costituzione di queste banche dati è stato quello di definire la consistenza del demanio, in quanto il limite del mare è soggetto a fenomeni di erosione dei confini. A seguito della produzione di una nuova cartografia catastale il risultato più concreto fu la ricostruzione documentata della c.d. “dividente demaniale”, ossia quella linea di demarcazione che separa i beni del demanio

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navigazione predispone due distinti procedimenti di determinazione dei confini dei beni demaniali marittimi: il primo disciplinato dall’art. 31 c.n. è volto alla definizione dei limiti spaziali del demanio marittimo nei confronti dei beni del demanio idrico . Il decreto di fissazione dei limiti non è un atto costitutivo della demanialità né dell’appartenenza del bene ad una determinata amministrazione.

Il secondo disciplinato dall’art. 32 e 58 c.n. fa riferimento alla delimitazione in senso proprio30 che si attua in caso di obiettiva incertezza e comporta il provvedere dell’amministrazione ad accertare i confini certi fra beni del demanio marittimo e zone di proprietà privata o proprietà pubblica patrimoniale.

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marittimo come definiti dall’art. 28 c.n., dai beni censiti al catasto terreni o urbano intestati a terzi. La costituzione del dividente demaniale ha reso possibile accertare che i limiti giuridici presentano geometrie irregolari, e incoerenti con lo stato dei luoghi e con gli stessi requisiti di demanialità che rendono difficoltoso il controllo sul territorio generando occupazioni abusive e disordine amministrativo. Il SID ha come compito quello di individuare le aree da sdemanializzare e portare alla luce situazioni di illegalità. Grazie ad una esatta cognizione della distribuzione delle attività svolte sulla costa è possibile far emergere una fotografia aggiornata degli abusi, che obbliga le autorità competenti ad adottare provvedimenti, e un panorama organico e completo di tutte le competenze e vincoli che gravano su ciascuna particella catastale di suolo demaniale. Il SID ha incontrato un primo momento di criticità con il conferimento delle funzioni amministrative alle Regioni ed enti locali; la situazione è stata poi superata con il perfezionamento tra Stato e regioni (come prescritto dall’art. 104 d.lgs. 112/ 1998 che ha riservato allo Stato le funzioni relative al SID), di appositi protocolli d’intesa per la gestione condivisa del SID in chiave di gestione integrata del demanio marittimo e della fascia costiera. Il SID organizza e razionalizza dati prodotti e utilizzabili da amministrazioni differenti, velocizza la gestione di provvedimenti amministrativi e dà certezza a stati di fatto e di diritto. Questo strumento può diventare il tramite per il soddisfacimento di una serie di interessi pubblici quali, quello alla conoscenza e all’informazione, al corretto rapporto delle istituzioni, all’efficienza e alla buona amministrazione, alla trasparenza e al coinvolgimento diretto del cittadino nelle forme più avanzate di amministrazione partecipata.

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La delimitazione si attua con provvedimento amministrativo; il procedimento è promosso dal capo del compartimento, in contraddittorio con le pubbliche amministrazioni e i privati. In caso di accordo di tutte le parti, il provvedimento del direttore marittimo dà atto dell’intesa; della deliberazione è redatto verbale, che è firmato da tutti gli intervenuti e diviene obbligatorio per lo Stato dopo che sia stato approvato dal direttore marittimo, di concerto con l’Agenzia del demanio.

Ove manchi l’accordo delle parti, le controversie che sorgono sono decise in via amministrativa dal direttore marittimo, di concerto con l’intendente di finanza con provvedimento definitivo31.

I beni del demanio marittimo possono essere integrati con l’incorporazione di zone private adiacenti di limitata estensione e di lieve valore, o di depositi o stabilimenti, situati solo in parte entro l’ambito del demanio marittimo o comunque collegati con il mare, con corsi d’acqua o canali marittimi. Tale integrazione si compie con un procedimento di espropriazione. L’art. 33 infatti recita che quando per necessità di pubblici usi del mare occorra comprendere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

31 LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE, TULLIO, Manuale di diritto della navigazione,

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nel demanio marittimo zone di proprietà privata, la dichiarazione di pubblico interesse per l’espropriazione è fatta con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con quello delle Finanze. Tale decreto costituisce titolo per l’immediata occupazione del bene da espropriare e contiene implicitamente la dichiarazione di indifferibilità e urgenza dell’opera.

Le parti del demanio marittimo che abbiano l’attitudine ad adempiere a funzioni pubbliche attribuite alla competenza di altre amministrazioni, possono essere destinate anche temporaneamente, a tali altre funzioni con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, su richiesta dell’amministrazione interessata32 (art 34 c.n.). In questo caso, secondo autorevole dottrina sebbene il potere di gestione sia trasferito all’amministrazione interessata ad un’utilizzazione diversa dai pubblici usi del mare, i poteri di polizia amministrativa e giudiziaria permangono in capo all’amministrazione concedente.

Il codice della navigazione annovera il procedimento di esclusione di zone del demanio marittimo o sdemanializzazione disciplinato dall’art. 35 il quale stabilisce che nel caso in cui certe !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

32 Con la legge n. 308 del 2004 le parole “dell’amministrazione interessata” sono sostituite

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zone demaniali non siano più ritenute dal Capo del compartimento marittimo utilizzabili per i pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con quello delle Finanze. L’atto di sclassificazione ha carattere discrezionale e costitutivo a differenza di quello relativo ad altri beni demaniali, che ha invece carattere dichiarativo.

In tema di uso pubblico marittimo la giurisprudenza sulla base di principi affermati dalla dottrina tradizionale ha individuato tre modi di utilizzazione dei beni demaniali marittimi.

Si parla di uso normale quando si utilizza il bene al fine di trarre vantaggi collegati alla conformazione naturale del bene e dal punto di vista soggettivo caratterizzato dalla destinazione al godimento della generalità dei cittadini33.

L’uso speciale è invece definito come l’utilizzazione conforme alla normale destinazione del bene la quale richiede però un permesso speciale e spetta solo a coloro che si trovano in una particolare situazione di fatto.

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33 I cittadini non vantano un diritto all’uso del bene del demaniale, bensì un interesse di fatto

dipendente dall’insindacabile volere dell’amministrazione marittima, la quale può escludere un bene dall’uso generale o vietarne particolari forme di utilizzazione. VALLARIO, Il demanio marittimo, Milano, Hoepli, 1970, pag. 50.

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Infine l’uso eccezionale si ha quando il bene viene sottratto all’uso normale per essere attribuito in godimento esclusivo ad un soggetto determinato, affinchè vi eserciti un’attività che non corrisponde alla normale destinazione del bene ma che si risolve in un vantaggio per la collettività.

Per individuare correttamente quali siano i soggetti usano i beni demaniali è opportuno effettuare una classificazione dell’uso dei beni demaniali. Si parla di uso diretto, uso generale e uso particolare.

L’uso diretto si ha quando il bene serve all’amministrazione come strumento dell’azione amministrativa; i beni demaniali possono infatti essere utilizzati dall’amministrazione della marina mercantile per il compimento di attività riguardanti gli usi pubblici del mare, oppure possono essere utilizzati da altre amministrazioni che li abbiano chiesti in godimento ai sensi dell’art. 34 c.n.

L’uso collettivo si ha quando il bene demaniale è lasciato all’uso libero di tutti, senza autorizzazione o concessione con il solo limite di non impedire il godimento di tale bene agli atri utenti (tipico esempio è l’uso della spiaggia libera).

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Infine l’uso particolare si concretizza nell’utilizzazione di beni demaniali riservata a singoli o ad un ristretto numero di soggetti34. Tale uso può assumere due forme: uso speciale di cui sono ammessi a godere i soggetti attraverso autorizzazioni spesso sottoposte al pagamento di tasse e diritti erariali, e uso eccezionale di cui sono ammessi a godere soggetti individuati attraverso atti di concessione, i quali costituiscono in capo ai beneficiari diritti di godimento che si presentano con le caratteristiche di esclusività e assolutezza35.

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34 C. CINQUE, Profili istituzionali e valorazione imprenditoriale in tema di “demanio

marittimo”, in Trasporti: Diritto economia politica, n. 104, 2008, pag. 18.

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Capitolo II

La disciplina giuridica del demanio marittimo antecedente ai provvedimenti di liberalizzazione

1. La rottura dell’unitarietà della disciplina del demanio marittimo dal d.P.R. 616/1977 alla riforma Bassanini

La configurazione del demanio marittimo si è mantenuta sostanzialmente unitaria fino agli anni settanta del secolo scorso, sia sotto il profilo delle fonti normative, sia sotto quello delle strutture amministrative competenti con l’autorità marittima.

L’unitarietà di tale disciplina rifletteva il rapporto di riserva esistente tra Stato e demanio. In questo contesto statico si sono inseriti nuovi soggetti tra cui le Regioni, dotate di autonomia decisionale che si affiancavano alle amministrazioni comunali, nelle proprie competenze, occupando spazi in base alle funzioni ad esse attribuite a livello costituzionale.

La Regione si è inserita come parte in un processo disegnato dalla Costituzione del 1948, quale elemento di forte decentramento non tanto amministrativo quanto politico, con un’autonomia molto

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qualificata dal riconoscimento di una potestà legislativa concorrente con quella dello Stato1.

L’art. 117 della Costituzione indicava le materie di potestà regionale e nell’ambito demaniale marittimo l’introduzione del nuovo soggetto assunse una particolare rilevanza, sia per l’aspetto della competenza concorrente nella disciplina urbanistica e del governo del territorio, sia per la potestà concorrente in materia di turismo2.

Il riconoscimento delle funzioni in materia di turismo ha portato ad individuare i compiti propri del nuovo ente regionale tramite il d.P.R. 616/1977, attuativo della legge 22 luglio 1975 n. 382, che ha introdotto il concetto di quello che poi è stato definito “demanio turistico-ricreativo”.

In particolare l’art. 59 del decreto stabiliva una delega alle Regioni delle funzioni amministrative “sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicenti, sulle aree del demanio lacuale e flluviale, quando l’utilizzazione prevista abbia finalità !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

1G. LAMI, Proprietà demaniale e gestione delle coste. Il contributo della giurisprudenza alla

costruzione di nuove categorie giuridiche e alla definizione del ruolo delle Regioni ed enti locali, in N. GRECO (a cura di), Le risorse del mare e delle coste: ordinamento, amministrazione e gestione integrata, Roma, Edistudio, 2010, pag. 363.

2 Art. 117 nel testo all’epoca vigente: “La regione emana per le seguenti materie norme

legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato semprechè non siano in contrasto con l’interesse nazionale e quello delle Regioni…”. Segue un elenco di materie tra le quali l’urbanistica, il turismo e l’industria alberghiera.

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turistiche e ricreative”, mantenendo invece in capo all’amministrazione dello Stato le funzioni riguardanti la navigazione marittima, la sicurezza nazionale e la polizia doganale. L’articolo trattava di una delega di funzioni e non di un vero e proprio trasferimento di competenza, ma rappresentava il riconoscimento, non solo formale, di un nuovo attore nell’ambito della gestione del demanio marittimo quale strumento sempre più rilevante e portatore di sviluppo economico.

Il successivo art. 60 precisava che la suddetta delega non si sarebbe dovuta applicare “ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima”, disponendo all’art. 59, comma 2, l’affidamento dell’identificazione di tali aree ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanarsi, previo parere delle Regioni interessate, entro il 31 dicembre 1978. Il mancato rispetto di detto termine ha determinato una situazione di incertezza dei rapporto tra Stato e Regione in materia; tale lacuna è stata colmata dall’affermarsi di un orientamento giurisprudenziale che confermava la permanenza della competenza statale sulla base del principio secondo il quale la delega agli organi regionali veniva

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ad essere subordinata all’emanazione del suddetto decreto. Sul punto fu chiamata a pronunciarsi l’Avvocatura dello Stato che, sulla base del principio secondo il quale il trasferimento delle funzioni amministrative non avrebbe mai potuto operare senza specifici provvedimenti che ne regolino l’attuazione, si pronunciò nel senso che il termine indicato dal d.P.R. n. 616 dovesse considerarsi ordinatorio.

Conseguentemente il Ministro dei Trasporti e della Navigazione, avrebbe dovuto continuare ad esercitare le funzioni amministrative sul demanio turistico-ricreativo fino al momento dell’individuazione dei porti e delle aree di preminente interesse nazionale.

Questo orientamento venne recepito con la legge del 1982, n. 979 recante la disciplina di carattere statale relativa alla pianificazione delle coste, che stabilì che il rilascio ed il rinnovo di concessioni per finalità turistico ricreative rimaneva in capo alle autorità individuate dal Codice della Navigazione, limitandosi a

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prescrivere un parere non vincolante delle Regioni per i rapporti di durata superiori ad un anno3.

Si è dovuto attendere il 1995 perché fosse emanato il decreto e subito si scatenò un forte contenzioso tra Stato e Regioni sulla modalità con le quali erano stati formati gli elenchi delle aree escluse dall’esercizio della delega loro attribuita, ritenendo lesiva delle proprie prerogative l’unilateralità della formazione del provvedimento, in virtù della lesione del principio di leale collaborazione, per aver il Governo omesso di dare attuazione alla modalità di consultazione della Regione conformi a tale principio4.

Questo quadro istituzionale, seppure formalmente vigente dal 1 gennaio 1996, non ha avuto modo di manifestare pienamente la sua operatività in conseguenza, sia al contenzioso attivato sul d.P.C.M., sia per la tardiva strutturazione organizzativa delle Regioni nella gestione delle funzioni delegate5. Come conseguenza

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3 M. BOLCINA, La regolazione statale in materia di concessione di spiaggia. Dall’unità del

Codice della navigazione alla frammentazione del quadro regolatorio, in M. DE BENEDETTO (a cura di), Spiagge in cerca di regole. Studio dell’impatto sulle concessioni balneari, Bologna, il Mulino, 2011, pag. 27 ss.

4 Nella sentenza n. 242 del 18 Luglio 1997, conflitto di attribuzione promosso dalla regione

Liguria avverso il d.P.C.M., concluso con il suo annullamento relativamente alla parte che concerne aree del territorio della regione Liguria, in quanto non spetta allo Stato adottare il decreto di individuazione delle aree demaniali escluse dalla delega di cui all’art. 59, comma 1 del d.P.R. 616/1977, senza il parere delle Regioni interessate, da acquisire mediante la leale collaborazione.!

5 Dall’emanazione del d.P.C.M. le Regioni mostrarono subito la difficoltà nell’esercitare

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di ciò è scaturito che l’azione amministrativa del demanio marittimo si è limitata alla predisposizione di alcune direttive alle autorità marittime di cui si sono avvalsi gli enti regionali, sul come procedere per i rinnovi delle concessioni nei casi di scadenza dei titoli vigenti.

Conseguentemente ad una serie di sentenze della Corte Costituzionale, sono state chiarite le modalità con le quali dare piena attuazione alla ripartizione delle competenze tra amministrazione Statale e Regioni, lasciando alla capacità operativa dello Stato un ruolo marginale relativo a poche attività ritenute strategiche per gli interessi nazionali.

Il 15 marzo 1997 è stata promulgata la c.d. Legge Bassanini rubricata “ Delega al Governo per il Conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, dove all’art. 1 si conferivano alle Regioni e enti locali, ai sensi degli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e compiti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Furono emanati vari decreti legge, scaduti e successivamente reiterati fino al n. 535 del 1996 convertito dalla legge 23 dicembre 1996 n. 647, i quali in fase di prima attuazione della delega hanno consentito alle Regioni di avvalersi delle Capitanerie di porto per lo svolgimento delle funzioni attraverso la stipula di apposite convenzioni gratuite. L’autorità marittima agiva esercitando le funzioni in materia di demanio marittimo, destinato ad uso turistico-ricreativo in relazione funzionale con l’amministrazione regionale (art. 8, 1 comma, legge 23 dicembre 1996 n. 647).

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amministrativi nel rispetto dei principi e dei criteri della presente legge.

Ciò ha comportato il trasferimento di funzioni alle Regioni e enti locali, provvedendo anche all’eliminazione di strutture ministeriali e periferiche dello Stato che si occupavano di tali materie.

Con i decreti attuativi il policentrismo dell’amministrazione delle aree demaniali si è ampliato in modo esponenziale, con nuovi conflitti tra amministrazioni dello Stato e il comparto, Regioni-Enti locali, soggetti destinatari delle nuove funzioni amministrative e gestionali, con una vera e propria conflittualità conseguente, sia alla non chiara trasposizione legislativa, sia alla resistenza della riduzione delle competenze Statali6.

2. Il d.lgs. 112/1998 e la criticità del trasferimento

L’impulso di un’azione politica orientata a favorire la valorizzazione delle autonomie locali aprì una nuova stagione di

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6 G. LAMI, Le attività turistico ricreative sul demanio marittimo: conseguenze giuridiche e

procedimentali per l’utilizzo del bene pubblico in relazione al trasferimento di funzioni ed i suoi riflessi sulle attività imprenditoriali, in C. A. NEBBIA COLOMBA, S. VILLAMENA, G. LAMI (a cura di), Le concessioni demaniali marittime tra passato, presente e futuro, Padova, Exeo, 2010, pag. 18.

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attribuzioni di competenze proprie dello Stato alle Regioni o agli Enti locali, in cui fu inserito anche il trasferimento delle funzioni per il rilascio delle concessioni demaniali marittime, superando il limite precedente della delega che attribuiva tale facoltà solo per le finalità turistico-ricreative7 .

Questo trasferimento, ispirato al principio di sussidiarietà contenuto nella legge delega da cui scaturisce il d.lgs. 112 /1998, ha consolidato la valorizzazione delle realtà locali di tipo funzionale con l’obiettivo di eliminare ogni interferenza del residuo apparato statale, in modo da evitare il ripetersi di quelle problematiche mai completamente superate, derivate dal primo trasferimento degli anni settanta. Al d.lgs. 112/1998 si è aggiunta la previsione introdotta dall’art. 42 del d.lgs. 30 Marzo 1999, n. 96, che ha stabilito come le funzioni amministrative dell’art. 105 comma 2 lettera l del d.lgs. 112/98 potessero essere esercitate dal Comuni

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7 Art. 105 d.lgs. 31 marzo 1998 n.112: “1. Sono conferite alle Regioni e agli Enti locali tutte le

funzioni non espressamente indicate negli articoli del presente capo e non attribuite alle autorità portuali dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84 e successive modificazioni e integrazioni. 2. tra le funzioni di cui al comma 1, in particolare sono conferite alle regioni le funzioni relative: […]

l) al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia; tale conferimento non opera nei porti e nelle aree di interesse nazionale individuate con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21/12/1995”.

Questa disposizione subirà un’importante modifica dalla quale scaturirà un contenzioso tra Stato e Regioni.

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fino a che le Regioni non avessero provveduto con apposita legge al riparto delle medesime funzioni con gli Enti locali.

Pur in presenza si questa forte spirito innovativo e orientato alla valorizzazione degli enti locali, anche l’attuazione di tale trasferimento si è mostrata ricca di criticità: l’attribuzione delle funzioni in materia di demanio marittimo ha visto gli enti, a cui è stata affidata la gestione, muoversi in un quadro amministrativo con una legislazione poco organica e limitata, guidata da un gran numero di circolari ministeriali e di disposizioni interpretative alle quali era stato affidato un ruolo integrativo per la definizione e lo svolgimento delle procedure svolte dall’autorità marittima8.

Il conflitto tra i nuovi enti e i precedenti titolari delle funzioni sono stati la conseguenza di un trasferimento avvenuto in modo non chiaro ed in assenza di una radicale revisione della materia.

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8 Un esempio di questa situazione è riscontrabile nella competenza delle autorità doganali.

L’art. 14 del regolamento di attuazione del codice della navigazione impone di richiedere il parere dell’autorità doganale competente sulla domanda di concessione, a cui si aggiunge anche l’autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale per ogni realizzazione in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale. Il problema da parte dei Comuni è stato quello di individuare la linea doganale che non necessariamente corrisponde alla linea demaniale marittima, ma può assumere anche conformazioni diverse in relazione anche a tutela del rispetto delle leggi sui traffici commerciali.

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3. La riforma del Titolo V della Costituzione

L’assetto che si è venuto a creare all’indomani del d.lgs. 112/1998 ha trovato riconoscimenti ma anche complicazioni nella riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con la l. Cost. n. 3/2001.

La legge, se da un lato, ha portato a compimento il processo di responsabilizzazione delle Regione, dall’altro la ripartizione di competenza ha prodotto non poche incertezze.

La legge Costituzionale ha previsto l’attribuzione alle Regioni della competenza legislativa concorrente in materia di “porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione” (art. 117 Cost. comma 3 Cost.), mentre il demanio nello specifico non viene menzionato.

È stata inoltre attribuita la generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, salvo che per assicurare l’esercizio unitario, le stesse siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118, comma 1 Cost.).

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Si sono riscontrate in ogni caso molte pertinenze di esclusività statale in grado di incidere ed incrociarsi con le problematiche demaniali: si pensi alle materie relative alla sicurezza dello Stato (art. 117, lett. d, Cost.), dell’ordine pubblico e sicurezza (art. 117, lett. h, Cost.), dell’ordinamento civile (art. 117, lett. l, Cost.), della protezione dei confini nazionali (art. 117, lett. q, Cost.), della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, lett. s, Cost.), della concorrenza (art. 117, lett. e, Cost.), oltre alle competenze concorrenti attinenti al governo del territorio9.

In ragione del nuovo assetto costituzionale, la Corte è più volte intervenuta nel corso degli anni per dirimere le controversie insorte ed assicurare un’esigenza di bilanciamento delle funzioni e delle competenze attribuite, andando a configurare limiti e confini e rimettendo in discussione le certezze che con la legge Bassanini sembravano ormai consolidate10.

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9 F. GAULTIERI, La regolazione regionale e locale, tra pianificazione e gestione, in M. DE

BENEDETTO (a cura di), Spiagge in cerca di regole. Studio d’impatto sulle concessioni balneari, Bologna, Il Mulino, 2011, pag. 75.

10 Con la legge n. 56 del 7 aprile 2014 (“ Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,

sulle unioni di comuni”) vengono ridisegnati e confini e le competenze dell’amministrazione locale: le province diventano “enti territoriali di vasta area” con il presidente eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia, accanto a questo ci sono il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci. Permangono solo due livelli amministrativi territoriali ad elezione diretta: Comuni e Regioni. La legge prevede la gratuità degli incarichi ed inoltre l’istituzione di nove città metropolitane guidate dai sindaci dei territori, con enti snelli per l’area vasta provinciale, senza personale politico appositamente eletto e retribuito, con incremento di unioni e fusioni di comuni, piani di ristrutturazione e dismissione degli enti e delle aziende non

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4. Il contenzioso Stato-Regioni: questioni di legittimità costituzionale e conflitti di attribuzione

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione il contenzioso tra Stato e Regione è passato da una giurisdizione di conflitto di attribuzione a quella di legittimità costituzionale di norme nazionali indicate come invasive di nuove prerogative regionali e viceversa.

In tale contesto la Corte Costituzionale ha svolto un ruolo fondamentale, sia perchè ha dato un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di trasferimento delle funzioni amministrative, sia perché è riuscita a chiarire i limiti della potestà legislativa ed amministrativa dello Stato e delle Regioni, andando a stabilire i confini delle rispettive attribuzioni.

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più funzionali. Accanto al sindaco metropolitano ci sono due assemblee: il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. La riforma prevede che fino al 31 dicembre 2014 ci sarà una fase di accompagnamento, per nove mesi le giunte provinciali continueranno ad operare e dal 1° gennaio 2015 la riforma entrerà ufficialmente in vigore, liberando gli enti dalle funzioni più rilevanti.

Altra modifica, tuttora in corso e all’esame nelle due camere del Parlamento, è la riforma dell’art. 117 Cost. e l’attuale ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. La maggiore novità è l’abolizione della legislazione concorrente e l’aumento delle competenze esclusive in capo allo Stato. Tra le nuove competenze Statali compaiono: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle p.a.; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto; le disposizioni per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Viene introdotta inoltre la “clausola di supremazia” per lo Stato, in base alla quale, su proposta del Governo la legge statale può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede l’unità giuridica o economica delle Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

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