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Aspetti organizzativi nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti: il caso Publiambiente S.p.a.

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Academic year: 2021

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1 Sommario

Riassunto Analitico ... 2

1. Capitolo - I Rifiuti ... 4

1.1 Come e perché sono diventati un problema ... 4

1.2 Gli obiettivi dell’Unione Europea in merito ai rifiuti ... 7

1.3 Soluzioni tecnologiche e impatto ambientale ... 9

1.4 La politica dei rifiuti ... 14

1.5 I rifiuti come problema economico e sociale ed il pagamento dei servizi legati ai rifiuti ... 16

1.6 Bibliografia e sitografia del primo capitolo ... 20

2 Capitolo – La gestione dei rifiuti: quadro normativo e principi generali ... 21

2.1 Il quadro normativo europeo ... 21

2.2 Breve storia della normativa ambientale italiana ... 23

2.3 Gestione dei rifiuti: principi generali ... 24

2.4 La pianificazione e la programmazione dei rifiuti ... 35

2.5 Le competenze sui rifiuti ... 37

2.6 Produzione dei rifiuti in Italia ... 40

2.7 Bibliografia e sitografia del 2° capitolo ... 43

3. Publiambiente Spa ... 44

3.1. L’azienda ... 44

3.2. La Storia e l’organizzazione ... 45

3.3. La missione aziendale e il sistema di gestione ambientale ... 49

3.4. Attività e Territorio servito ... 50

3.5. I servizi ... 53

3.5. La Comunicazione ... 56

3.6. Gli impianti ... 59

3.7. Bibliografia e sitografia del 3° capitolo ... 63

4 Bibliografia e Sitografia ... 64

4.1 1° capitolo ... 64

4.2 2° capitolo ... 64

4.3 3° capitolo ... 64

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Riassunto Analitico

I rifiuti sono uno dei più rilevanti indicatori dell’interazione tra attività umane e sistemi ambientali in quanto strettamente connessa alle tendenze della produzione e dei consumi. La quantità e la qualità dei rifiuti prodotti, difatti, dipendono direttamente da:

• l’efficienza con cui vengono utilizzate le risorse nei processi produttivi; • la quantità e la qualità dei beni che vengono prodotti e consumati.

La produzione di rifiuti rappresenta essenzialmente una perdita di risorse materiali e d’energia, e i rifiuti e la loro gestione sono ormai di fondamentale importanza per la salvaguardia ambientale perché in natura i rifiuti non esistono e sono divenuti un problema sempre più rilevante ed evidente agli occhi dei cittadini, assumendo una visibilità e una rilevanza mediatica assolutamente particolari che ne conferma la difficile soluzione.

E’ nel primo capitolo di questa tesi che sono descritte alcune motivazioni che spiegano perché i rifiuti sono diventati un problema, soprattutto economico e sociale, e quali sono le varie attività in cui sono coinvolti. Inoltre, viene dedicato un paragrafo relativo alla programmazione sull’ambiente, che include la gestione dei rifiuti; tale programmazione è stata effettuata dall’Unione Europea che ha redatto il settimo Programma d'azione per l'ambiente "Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta" che lancia le sfide e gli obiettivi da raggiungere fino al 2020.

Le problematiche legate ai rifiuti e quindi all’ambiente, nonché al clima e alla salute pubblica non sono lasciate alla sensibilità dei singoli Paesi, ma ad aggregazioni di essi come è avvenuto nell’Unione Europea. Ecco perché si è resa necessaria la creazione di una normativa comunitaria elaborata su principi base per una corretta gestione dei rifiuti e che a partire dagli anni ’70 in poi, ha avuto un crescendo di norme.

Pertanto nel 2° capitolo “La gestione dei rifiuti: quadro normativo e principi generali”, è stata effettuata una breve descrizione delle varie norme emanate dall’Unione Europea e dall’Italia che hanno portato all’attuale normativa: il D. Lgs. 152/2006, modificato più volte, in attuazione della Direttiva 2008/CE/1998.

Il lavoro di questo elaborato prosegue sempre nel 2° capitolo, con una descrizione dei principi generali della gestione integrata dei rifiuti, della pianificazione e della programmazione dei rifiuti in Italia e la ripartizione delle competenze sulla gestione da parte dello Stato, Regioni, Province e Comuni.

Infine sono stati inseriti dei dati elaborati dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, sulla produzione dei rifiuti urbani e speciali in Italia.

L’ultimo capitolo è dedicato alla presentazione dell’Azienda Publiambiente Spa, mettendo in evidenza quelli che sono i vari aspetti per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti nelle zone toscane di Sua competenza. La motivazione e l’idea di dar vita ad un elaborato che avesse come argomento principale i rifiuti sono stati presenti dall’inizio della mia carriera universitaria, perché il trasporto dei rifiuti era l’attività della ditta di

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3 famiglia, alla quale ho lavorato attivamente per alcuni anni fino al 2008. Successivamente, nel medesimo anno sono stata assunta dall’azienda Publiambiente Spa che gestisce l’igiene urbana in Toscana, nella zona Empolese/Valdelsa, Pistoia e Mugello, società illustrata nel terzo capitolo di questo elaborato.

A questo proposito vorrei ringraziare i colleghi che mi hanno fornito tutte le informazioni e i dati necessari alla redazione del capitolo relativo all’azienda Publiambiente Spa.

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1. Capitolo - I Rifiuti

1.1 Come e perché sono diventati un problema

Quando si parla di rifiuto la prima domanda che ci possiamo porre è “Che cos’è un rifiuto”? La parola rifiuto deriva dal latino reputare che significa respingere.

Secondo la definizione su Wikipedia, l’Enciclopedia on line, i rifiuti sono tutto quanto risulta di scarto o avanzo alle più svariate attività umane oppure secondo il vocabolario della Lingua italiana del Corriere della Sera i rifiuti sono l’eliminazione di qualcosa perché inutilizzabile o dannoso, sono uno scarto oppure un residuo inutilizzabile di lavorazioni, di processi organici oppure si tratta di spazzatura, immondizia.

Secondo la normativa per rifiuto deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi.

Ciò che si evince da queste definizioni è che in Natura non ci sono rifiuti. Soltanto gli uomini li producono e una volta prodotti non possiamo abbandonarli nell’ambiente perché la Natura non li riconosce e non li può assorbire.

I rifiuti rappresentano un problema ambientale, sociale ed economico della massima urgenza. L'aumento dei consumi e lo sviluppo economico continuano a generare grandi quantità di rifiuti, comportando la necessità di maggiori sforzi di riduzione e prevenzione. Mentre in passato i rifiuti erano visti come qualcosa da buttare, oggi sono considerati sempre più come una risorsa; ciò si riflette nel passaggio, a livello di gestione dei rifiuti, dallo smaltimento al riciclaggio e al recupero.

Per i nostri antenati, il motto “ripara e risparmi” era considerato ovvio; quando qualcosa si rompeva, era meglio ripararlo piuttosto che disfarsene. Quella generazione è stata educata a risparmiare e a considerare lo spreco come un peccato.

Questo era senza dubbio un modo di ragionare indiscutibile in un tempo in cui le merci erano poche e relativamente costose, mentre il lavoro era abbondante e poco caro.

E’ stato William Baumol a spiegarci il motivo, con la celebre teoria della “malattia dei costi” che affligge tutte le attività ad alto contenuto di lavoro manuale. La morale di questa teoria è che queste attività hanno una dinamica dei costi per unità di prodotto inesorabilmente crescente. Dunque, se al giorno d’oggi, riparare le cose che si rompono comporta sempre più lavoro manuale, mentre produrre cose nuove costa sempre meno, ovvio che lo spreco diventa dedicare ore di lavoro a riparare, anziché produrre nuovi prodotti.

Negli ultimi anni, la produzione dei rifiuti è aumentata in modo vertiginoso perché ci sono abitudini consumistiche sfrenate che portano le persone ad acquistare oggetti inutili o ancor peggio prodotti così detti “usa e getta” che hanno sostituito altri prodotti più duraturi.

Viva l’usa e getta quindi? No, per semplici motivi: mentre la malattia dei costi di Baumol faceva il suo decorso, un’altra, altrettanto grave, contagiava il mondo sviluppato: le sempre maggiori esternalità ambientali connesse con lo smaltimento dei rifiuti. I procedimenti di gestione dei rifiuti sono diventati

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5 sempre più costosi, portando a sostenere quasi l’inaccettabilità dell’affermazione “i rifiuti sono una risorsa”. Dunque, è evidente che bisogna trovare un compromesso tra l’esigenza di non creare eccessivi ostacoli alle transazioni che hanno per finalità un recupero, e quella di evitare che il recupero venga fittiziamente millantato per nascondere una gestione scorretta.

Gli economisti ecologisti parlano di “throughput” per definire il flusso di materia ed energia che passa “attraverso” il sistema di produzione e consumo. Se il processo economico è creazione e consumo del valore contenuto nei beni, per potersi verificare esso ha bisogno di un substrato materiale. Siccome in natura “nulla si crea e nulla si distrugge: tutto si trasforma”, così diceva Antoine-Laurent Lavoisier, padre della chimica, deve valere un’identità tra la massa di materiali che entrano nel sistema e quelli che ne escono, al netto di quanti ne restano al suo interno.

Allora per capire cosa rappresenta davvero uno spreco, occorre considerare tutti quei costi necessari per riottenere un prodotto come nuovo, e confrontarli con quelli da sostenere per procurarsene uno nuovo, disfacendosi di quello vecchio.

Dobbiamo valutare i termini di questa equazione:

Crd + Ct ≥ Cmp + Cind + Cs Crd + Ct ≤ Cmp + Cind + Cs

Dove:

Crd = costo della raccolta differenziata

Ct= costo di tutti i trattamenti del processo per ottenere un prodotto come nuovo Cmp= costo di produzione della materia prima vergine

Cind= costo di raccolta del rifiuto indifferenziato Cs= costo di smaltimento finale

Questi valori non sono sempre e ovunque gli stessi, variano in funzione dei costi che occorre sostenere per lo smaltimento.

Solo se comprendiamo la dinamica di tutte queste variabili, possiamo davvero capire quali siano i termini del “problema rifiuti”, da dove nasce, e perché, col passare del tempo, è diventato così importante.

La gestione sostenibile dei rifiuti consiste nel garantire un equilibrio nel lungo periodo tra la quantità di materiali che si estraggono dallo stock naturale e quelli che restituiamo all’ambiente.

L’esigenza primaria è sempre stata allontanare le deiezioni dalle città. Ed è soprattutto al deflusso dell’acqua, che in antichità, venne affidato il compito di portar via gli scarti in eccesso. Negli scavi archeologici dei villaggi preistorici sono stati rinvenuti accumuli di materiali di scarto, in pratica gli antenati delle nostre discariche. Chi ha inventato i “rifiuti industriali” sono stati gli Etruschi con le loro discariche di scorie derivanti dalla lavorazione del ferro provenienti dall’Isola d’Elba. Ad Atene esistevano spazzini di professione che dovevano portare i rifiuti a due chilometri dalle mura. I romani furono i primi creatori dei

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6 servizi pubblici di raccolta e smaltimento dei rifiuti, il loro modello urbano fu esportato in tutto l'impero e come tale funzionò fintanto che durò l'impero stesso. Roma all’apice del suo sviluppo era dotata di discariche esterne dove finivano non solo i rifiuti, ma anche le carcasse degli animali e le vittime dei giochi circensi. All’inizio del XIV secolo si inventarono i “primi cassoni pubblici per i rifiuti”, mentre la nascita degli straccivendoli che vagavano di casa in casa fu il primo abbozzo di raccolta per il riciclaggio. Alla fine dell’800 la maggior parte delle principali città europee aveva adottato un sistema più o meno regolare di raccolta e nel 1873 la città di Manchester sperimentò il primo inceneritore.

Con l’avvento della società industriale e il miglioramento dei livelli di vita, al problema delle deiezioni comincia ad affiancarsi anche quello dei rifiuti solidi: un po’ alla volta si costruiscono le fognature. Negli anni del boom demografico, questo equilibrio viene a rompersi: la quantità di materiali che entra nelle città non riesce più ad essere interamente assorbita dal processo di consumo e tende perciò a ristagnare nelle vie delle città. Queste sono costrette a dotarsi di altri sistemi, per portare i residui fuori dalla zona abitata. Il problema, in questa fase, è essenzialmente il ristagno di tutti questi materiali di scarto; una volta eliminato quello, ci penserà la natura. L’emblema di questa filosofia sta nella canna per le immondizie, di cui gli edifici costruiti negli anni ’50 vanno orgogliosi. Senza nemmeno bisogno di scendere le scale, i rifiuti escono di scena e scompaiono nei bassifondi. “Out of sight, out of mind”, così dicevano gli inglesi.

Presto, ci si rende conto che questo modello non può resistere a lungo.

Qualche Comune italiano più grande pensa di risolvere il problema costruendo un sito dove bruciarli; anche a livello europeo qualcosa comincia a muoversi, introducendo norme più severe che disciplinano la costruzione di impianti. L’effetto è paradossale: è proprio la norma più severa a mettere in moto nell’opinione pubblica una forma di rigetto, che si traduce nell’opposizione sociale alla realizzazione di qualsiasi tipo di impianto. Inoltre, gli iter amministrativi si complicano e si allungano.

Da un altro lato, dilaga la protesta ecologista e antisistema e si inizia a parlare di raccolta differenziata, accompagnate da un clima di scetticismo e ribellione; tutto questo si traduce nell’incapacità del sistema di mettere in campo soluzioni appropriate in tempi utili.

La risposta della politica pubblica italiana sarà quella della pianificazione: le Regioni assumono responsabilità e successivamente anche i Comuni. Tuttavia, anche questi provvedimenti non sono sufficienti a risolvere in modo tempestivo l’emergenza.

Lentamente, però, agli inizi degli anni ’90, un modello alternativo inizia a farsi strada: i rifiuti cessano di essere considerati solo come un problema sociale, determinato da cause esogene e inevitabili. Si viene a creare un rinnovato rapporto fra cittadini e sistema di gestione e l’impiantistica tecnologica non cessa di essere necessaria, ma cambia obiettivo, offrendosi come terminale delle diverse operazioni di recupero e destino degli scarti, non altrimenti recuperabili. La filiera si allunga e si complica: non più un approccio orizzontale, ma uno sempre più verticale, focalizzato sulle diverse filiere merceologiche, con la tradizionale separazione fra rifiuti urbani e rifiuti speciali (così definiti tutti quei rifiuti che non sono urbani ad esempio quelli industriali).

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7 Infine, concentrandoci ora sul sistema di gestione del servizio di igiene urbana, cominciano a emergere operatori integrati lungo la filiera che non si limitano come in passato a raccogliere e conferire in impianti di terzi, ma realizzano direttamente gli impianti e assumono un ruolo da protagonisti a 360° gradi. Spesso a questa tendenza si affianca quella verso la crescita orizzontale (fusioni, incorporazioni) e verso una progressiva apertura al mercato, sia coinvolgendo soci privati o con la quotazione in borsa, sia rafforzando il modello di impresa multi utility, attiva anche negli altri servizi pubblici e nelle filiere energetiche.

1.2 Gli obiettivi dell’Unione Europea in merito ai rifiuti

La Commissione europea ha varato il 29 novembre 2012 la proposta di direttiva di approvazione del settimo Programma d'azione per l'ambiente "Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta" che lancia le sfide e gli obiettivi da raggiungere fino al 2020.

Tale documento è fondato sul principio "chi inquina paga", sul principio di precauzione e di azione preventiva e su quello di riduzione dell'inquinamento alla fonte, il Programma definisce un quadro generale per la politica ambientale fino al 2020, individuando nove obiettivi prioritari da realizzare.

I nove obiettivi sono: 1.proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell'Unione; 2.trasformare l'Unione in un'economia a basse emissioni di carbonio; 3.proteggere i cittadini da pressioni e rischi ambientali per la salute e il benessere; 4.sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione Ue in materia di ambiente; 5.migliorare le basi scientifiche della politica ambientale; 6.garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di ambiente e clima, al giusto prezzo; 7.migliorare l'integrazione ambientale e la coerenza delle politiche; 8.migliorare la sostenibilità delle città dell'Ue; 9.aumentare l'efficacia dell'azione Ue nell'affrontare le sfide ambientali a livello regionale e mondiale.

Il settimo Programma d'azione sostituisce il sesto (scaduto a luglio 2012) ed è stato approvato dal Parlamento europeo il 24 ottobre 2013 e dal Consiglio europeo il 15 novembre 2013.

Da questo documento si evince che gli attuali sistemi di produzione e di consumo dell’economia globale generano molti rifiuti e assieme alla domanda crescente di beni e servizi e all’esaurimento delle risorse contribuiscono ad aumentare i costi delle materia prime fondamentali, minerali ed energia, generando ancora più inquinamento e rifiuti, aumentando le emissioni globali di gas ad effetto serra e causando il degrado del suolo, la deforestazione e la perdita di biodiversità.

Al fine di stabilire un quadro d’azione per il miglioramento degli aspetti legati all’efficienza delle risorse che vadano oltre le emissioni di gas a effetto serra saranno stabiliti degli obiettivi volti a ridurre l’impatto globale della produzione e dei consumi, in particolare nel settore alimentare, dell’edilizia, e della mobilità (ogni anno nell’UE sprechiamo circa 89 milioni di tonnellate di cibo, ossia 179 kg a testa [fonte Bio Intelligence Service 2010]. Gli impatti aggregati dell’edilizia e delle infrastrutture costituiscono circa il 15-30% delle pressioni ambientali complessive associate al consumo in Europa e generano circa 2,5 tonnellate di CO2 a testa all’anno [fonte SEC 2011- 1067].

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8 Vi è inoltre un grande potenziale di miglioramento della gestione dei rifiuti nell’UE per giungere a un miglior utilizzo delle risorse, aprire nuovi mercati, creare posti di lavoro e ridurre la dipendenza di importazioni di materie prime, consentendo di ridurre gli impatti ambientali. La piena attuazione della normativa UE sui rifiuti consentirebbe di risparmiare 72 miliardi di euro l’anno, di aumentare il fatturato annuo dell’UE di 42 miliardi di euro nel settore della gestione e del riciclaggio dei rifiuti e di creare oltre 400.000 posti di lavoro entro il 2020. Ogni anno nell’UE si generano 2,7 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui 98 milioni di tonnellate sono rifiuti pericolosi. In media solo il 40% dei rifiuti solidi viene riutilizzato o riciclato, il resto finisce nelle discariche o è destinato all’incenerimento. Alcuni Stati Membri riciclano oltre il 70% dei rifiuti, dimostrando che è possibile utilizzarli come una risorsa fondamentale nell’UE. Al contempo in molti Stati membri il 75% dei rifiuti municipali è destinato alle discariche.

Nel 2008, sono state generate nell'UE circa 5,2 tonnellate di rifiuti pro capite. Le attività di costruzione e demolizione, l'attività estrattiva e quella manifatturiera sono le principali fonti di rifiuti, ma ogni cittadino dell'UE genera circa 444 kg di rifiuti domestici l'anno.

In passato, la crescita dei consumi e la tendenza verso nuclei familiari più piccoli hanno contribuito grandemente alla produzione di rifiuti urbani. Tuttavia, tali fattori sembrano oggi scindersi: dal 1999 al 2010 la produzione di rifiuti urbani pro capite nell'UE a 27 si è stabilizzata. Le differenze tra gli Stati membri sono notevoli sia in termini di incremento della produzione di rifiuti sia nell'entità di tale produzione.

L'UE ha assistito a un netto cambiamento nella gestione dei rifiuti. Nel 2010, una quota consistente (37%) dei rifiuti urbani solidi (che rappresentano il 10% dei rifiuti totali generati nell'UE) era ancora destinata alla discarica. Attualmente, si registra una tendenza al riciclaggio o al compostaggio (38%), oppure all'incenerimento con recupero dell'energia (21%), per diversi flussi di rifiuti.

Trasformare i rifiuti in una risorsa, come invocato nel quadro della tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, richiede una piena applicazione della legislazione UE sui rifiuti in tutta l’Unione, basata su un ‘applicazione rigorosa della gerarchia dei rifiuti e che disciplini i diversi tipi di rifiuti. Sono pertanto necessari ulteriori sforzi per ridurre la produzione di rifiuti pro capite in termini assoluti, limitare il recupero energetico di materiali non riciclabili, dismettere le discariche, garantire un riciclaggio di elevata qualità e sviluppare mercati per materie prime secondarie. I rifiuti pericolosi dovranno essere gestiti in modo tale da minimizzare gli effetti dannosi per la salute umana e l’ambiente, così come concordato in occasione del vertice di Rio+20. Per raggiungere questo proposito è auspicabile che in tutta l’UE si ricorra in maniera più sistematica a strumenti di mercato che favoriscano la prevenzione, il riciclaggio e il riutilizzo. E’ opportuno rimuovere gli ostacoli dalle attività di riciclaggio nel mercato interno dell’UE e riesaminare gli ostacoli esistenti in materia di prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero e di alternative alla discarica per progredire verso un ‘economia “circolare” con un uso senza soluzione di continuità delle risorse e rifiuti residui quasi inesistenti.

Il territorio dell’UE è densamente popolato e si prevede che, entro il 2020, l’80% della sua popolazione vivrà in zone urbane o perurbane. La qualità di vita dipenderà direttamente dallo stato in cui si trova l’ambiente urbano. Gli impatti ambientali dovuti alle città arrivano ben oltre i loro confini fisici, in quanto le città

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9 dipendono in modo sostanziale dalle regioni perurbane e rurali che devono provvedere alle loro esigenze in termini di cibo, energia, spazio e risorse, nonché accogliere i loro rifiuti.

1.3 Soluzioni tecnologiche e impatto ambientale

La gestione dei rifiuti comincia nelle nostre case. Dobbiamo sempre ricordare che sono il comportamento dei consumatori, stili di vita e abitudini a determinare quanti e quali rifiuti produrre.

Un sistema di raccolta è sempre un compromesso tra l’esigenza di limitare al massimo le complicazioni logistiche e quella di favorire al massimo il potenziale di recupero. Tale compromesso dipende dal livello di collaborazione che il gestore è in grado di ottenere dai cittadini. Affinché il sistema funzioni, occorre che la popolazione agisca tutta insieme, collettivamente.

I rifiuti, suddivisi in uno o più flussi, vengono conferiti a un sistema di raccolta; si può distinguere:

 Raccolta differenziata, materiali separati

 Raccolta indifferenziata, materiali indistinti

Differenziati, o indifferenziati che siano i flussi, la raccolta può avvenire in tre modalità:

 Collettiva (denominata raccolta stradale o a cassonetto)

 Individuale (denominata porta a porta)

 Basata sul conferimento diretto del cittadino

La prima consente maggiore libertà all’utente (che può scegliere in quali orari conferire i rifiuti) e maggiore flessibilità nel pianificare la circolazione e i turni dei mezzi di raccolta per il gestore; in compenso c’è l’ingombro dello spazio stradale per i diversi contenitori, tanto maggiore quanto più sono le raccolte separate, anche perché la loro densità e distanza deve essere comunque sufficiente a non scoraggiare la collaborazione dei cittadini e inoltre rende più difficile controllare il comportamento degli utenti e incoraggia forme di conferimento abusivo dei rifiuti.

La seconda rende possibili rese migliori per la raccolta differenziata, dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo e facilita un rapporto più diretto con gli utenti. I maggiori costi unitari sono compensati dai maggiori ricavi dovuti alle quantità raccolte in modo differenziato e alla maggiore purezza di quanto raccolto.

La raccolta basata sul conferimento diretto del cittadino può essere realizzata con la presenza di Centri di Raccolta comunali (definiti dalla legislazione italiana dal DM 8 aprile 2008 e s.m.i.) o intercomunali (chiamati anche ecocentri, isole ecologiche, ecc.) cioè di spazi presidiati e attrezzati in cui gli utenti possono conferire in modo differenziato diverse tipologie di rifiuti (ingombranti, rifiuti ed apparecchiature elettriche ed elettroniche - RAEE, ecc.). Tale raccolta concorre ad incrementare l’efficienza dei servizi di gestione dei rifiuti poiché:

- Favorisce il controllo delle raccolte differenziate con conseguente aumento della qualità;

- Contribuisce alla realizzazione dei costi dei servizi di igiene urbana e concorre ad evitare l’abbandono incontrollato di rifiuti per strada da parte dei cittadini;

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10 - Consente l’abbattimento dei costi per la gestione dei RAEE;

- Permette la raccolta differenziata di alcune frazioni pericolose di rifiuti urbani; - Facilita il riconoscimento di incentivi diretti agli utenti.

Talvolta può essere utilizzata una raccolta mista: per alcune tipologie di rifiuti può essere “porta a porta”, mentre per altre tipologie “a cassonetto”.

Non è possibile stabilire preliminarmente quale sia la modalità di raccolta “migliore” rispetto alle diverse opzioni possibili ed occorre individuare, per ogni specifico contesto, la migliore soluzione da adottare tenendo conto delle diverse variabili (demografiche, urbanistiche, geografiche, specifiche di settore, ecc.), nel rispetto di quanto introdotto nel quadro normativo nazionale dalla Direttiva 2008/98/CE.

I rifiuti possono avere due tipi di destini: uno è quello di farli rientrare nel ciclo produttivo, dopo averli trattati in modo tale che tornino ad assumere un valore positivo; l’altro è restituirli all’ambiente, seppellendoli nel suolo, o disperdendoli nell’aria, attraverso i fiumi, minimizzando l’impatto ambientale dell’operazione. Si parla di “recupero” nel primo caso e di “smaltimento” nel secondo.

Una volta raccolti in modo differenziato, i rifiuti possono essere ceduti direttamente a un ri-utilizzatore, ma la maggior parte delle volte, necessitano di una serie di operazioni di cernita e di trattamento, oppure saranno soggetti a compostaggio. Tutte queste attività, però, generano a loro volta scarti che poi vanno smaltiti; questi possono tuttavia essere riutilizzati per produrre materiali di livello merceologico inferiore (down cycling). In alternativa questi scarti costituiranno materiali da smaltire che si aggiungeranno al flusso del rifiuto indifferenziato.

In particolare, lo smaltimento può avvenire mediante la discarica e/o gli inceneritori/termovalorizzatori. Vediamo in cosa consiste il compostaggio, la discarica, l’inceneritore/valorizzatore.

Il trattamento meccanico-biologico ovvero il compostaggio Il compostaggio consta di 2 fasi ben differenziate:

- Il trattamento meccanico, in cui il rifiuto viene vagliato per separare le diverse frazioni merceologiche e/o condizionato per raggiungere gli obiettivi di processo o le performance di prodotto;

- Il trattamento biologico volto a conseguire la mineralizzazione delle componenti organiche maggiormente degradabili. Il trattamento biologico consiste nella stabilizzazione biologica della sostanza organica, in condizioni aerobiche (presenza di ossigeno molecolare), tali da garantire alla matrice in trasformazione, il passaggio spontaneo attraverso una fase di auto riscaldamento, dovuto alle reazioni microbiche. Il processo trasforma il substrato di partenza in un prodotto stabile, simile all’humus, chiamato compost.

Durante il processo di compostaggio, i microrganismi degradano, in maniera più o meno spinta, il substrato organico di partenza, producendo anidride carbonica, acqua, calore e sostanza organica humificata, vale a dire una matrice finale metastabile, non suscettibile cioè di ulteriori repentine trasformazioni biologiche. In condizioni ottimali il compostaggio si svolge attraverso tre stadi principali:

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11 1- La fase mesofila di latenza – che può protrarsi da poche ore ad alcuni giorni – durante la quale la matrice iniziale viene invasa dai microorganismi, il cui metabolismo finisce per causare il progressivo riscaldamento del substrato;

2- La fase termofila o di stabilizzazione – di durata variabile da alcuni giorni a diverse settimane - nel corso della quale si ha un’intensa attività biossidativa.

3- La fase di raffreddamento o maturazione – di durata da poche settimane ad alcuni mesi – nella quale intervengono le reazioni di umificazione.

I parametri che influenzano le reazioni biologiche che caratterizzano il processo di biotrasformazione sono rispettivamente:

- La concentrazione di ossigeno e l’aereazione; - La temperatura;

- L’umidità;

- Le proprietà fisico-meccaniche del substrato.

[descrizione del compostaggio tratta dalla brochure aziendale “Oltre lo sguardo” di Publiambiente Spa]

Quindi il trattamento meccanico-biologico consiste nell’avviare il rifiuto residuo a ulteriori fasi di selezione, dalle quali si possono ricavare tre tipi di flussi: i rifiuti umidi (da destinare successivamente a trattamenti biologici che li trasformano in materiali organici inerti), i combustibili derivati da rifiuti (Cdr) e gli scarti. In sostanza, questi impianti setacciano l’immondizia alla ricerca di qualcosa di utile.

Gli impianti di selezione, oggi conosciuti come impianti di pretrattamento, sono utili a predisporre il rifiuto per forme di smaltimento successivo.

Per quel che riguarda la frazione combustibile, dalla semplice separazione meccanica è possibile ricavare un rifiuto secco, che ancora richiede impianti ad hoc per essere utilizzato. Con ulteriori fasi di selezione, triturazione e miscelazione con flussi di rifiuti di diversa provenienza, si può ottenere il cosiddetto Cdr di qualità (Cdr-q), che si presta ad essere impiegato come additivo dei normali combustibili in processi industriali quale la produzione di cemento o di altiforni.

Si deve tenere presente che per questi materiali non esiste un mercato, nel senso che non esiste una domanda autonoma e già consolidata, come avviene, ad esempio, per i metalli o il vetro. Si tratta piuttosto di relazioni contrattuali da costruire in genere con transazioni bilaterali tra il gestore dei rifiuti e i pochi potenziali utilizzatori.

Il trattamento dei rifiuti industriali

I rifiuti speciali sono una categoria diversa da quelli urbani. In primo luogo, perché l’eterogeneità dei processi da cui provengono ne rende molto più difficile la classificazione; in secondo luogo perché, trattandosi di materiali di cui è più facile conoscere la natura merceologica, si prestano meglio di quelli urbani a operazioni di recupero; in terzo luogo perché da molte lavorazioni industriali si originano prodotti tossici e pericolosi che richiedono speciali cautele.

Le opzioni di recupero variano a seconda dei materiali; possono prevedere fasi di trattamento, rigenerazione, miscelazione con altra sostanze al fine di ricavarne materiali ricollocabili in seguito come input di altri

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12 processi. Anche qui distingueremo recupero diretto (ad esempio per i materiali come il rottame di ferro, la carta e il cartone), quello indiretto o down cycling (ad esempio la produzione di concimi dai fanghi di depurazione), o ancora il recupero energetico.

La discarica [*]

La discarica tecnicamente non è altro che un enorme fosso ottenuto mediante escavazione di un suolo (preferibilmente argilloso e quindi impermeabile) dove si andranno a sversare i rifiuti fino al riempimento della stessa.

L’acqua piovana che passa attraverso i rifiuti trascina con sé sostanze organiche ed inorganiche dei rifiuti; la decomposizione della frazione organica produce anch’essa un liquido ricco di batteri. Tali liquami sono denominati complessivamente percolato. Questo, se la discarica non è costruita come si deve, può inquinare i corsi d’acqua o le falde acquifere. Le nuove discariche sono realizzate predisponendo uno strato (o anche due) impermeabile sul fondo ed un sistema di drenaggio del percolato, che viene raccolto ed inviato ad impianti per la depurazione.

Le discariche producono anche del biogas (prevalentemente formato da metano, anidride carbonica, ecc.), che dovrebbe essere captato sia in fase di riempimento della discarica, sia dopo la sua dismissione. Questo biogas può essere utilizzato per produrre energia elettrica tramite la sua combustione.

Le discariche, quindi, sono dei veri e propri impianti per la degradazione e il confinamento definitivo dei rifiuti.

[*] tratto dal sito internet dell’associazione Marco Mascagna onlus www.giardinodimarco.it

L’immagine della discarica viene di solito associata alla dispersione incontrollata di rifiuti sul suolo, ma la realtà fortunatamente non è questa. Essa resta un impianto problematico in funzione del tipo di materiale che riceve.

La discarica è di gran lunga il sistema meno costoso ma anche quello che comporta potenzialmente le più importanti esternalità negative. E’ comprensibile perciò, la ragione che spinge il legislatore a limitarne l’uso il più possibile e anche la ragione per cui il suo prezzo di mercato ha conosciuto una così drastica impennata non appena la scarsità di impianti ha cominciato a manifestarsi.

L’incenerimento

I rifiuti contengono molte frazioni combustibili e questa loro caratteristica ha da sempre suggerito l’opzione di bruciarli per ridurre il volume e renderli inerti.

Il calore generato dalla combustione può essere utilizzato sia per la produzione di energia elettrica, sia direttamente come energia termica. Quest’ultima può essere sfruttata per alimentare impianti produttivi, piscine, o impianti sportivi; ma viene valorizzata al meglio attraverso il cosiddetto teleriscaldamento, ossia l’impiego del calore per il riscaldamento di un fluido che, tramite scambiatori di calore, cede l’energia termica all’acqua impiegata negli edifici, eliminando così l’impiego di sistemi condominiali o autonomi. Gli inceneritori oggi vengono definiti “termovalorizzatori” perché i nuovi impianti sono progettati con l’obiettivo di produrre energia elettrica utilizzando il calore derivante dalla combustione dei rifiuti.

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13 L’inceneritore comunica un’illusione: i rifiuti vi entrano e, come d’incanto, scompaiono. Purtroppo non è così: ne cambia solamente la composizione chimica e, al limite, lo stato fisico (gas, liquido, solido).

I rendimenti energetici e le emissioni dipendono dalla tipologia dell’impianto (forni a tamburo rotante, griglia, a letto fluido), dai rifiuti che vi si bruciano e dalla gestione dell’impianto. Le plastiche, la carta, il legno sono le sostanze che bruciano meglio, mentre la frazione umida brucia con difficoltà, quella inerte (sabbia, pietre, ceramica) non brucia e i metalli, fondendo, possono creare problemi all’impianto. Per tale motivo all’inceneritore deve andare solo il cosiddetto combustibile da rifiuto (Cdr) che viene prodotto in impianti (detti impianti di de-selezione o di produzione di cdr) che allontanano dai rifiuti le componenti non idonee all’incenerimento (residui alimentari, materiali inerti, metalli ecc). Per avere una maggiore efficienza dell’impianto di de-selezione si deve raccogliere in maniera differenziata il secco dall’umido e inviare all’impianto solo la frazione secca dei rifiuti.

Poiché le sostanze che bruciano meglio sono la plastica, la carta e il legno, che sono anche prodotti che possono essere convenientemente riciclati, si comprende come gli inceneritori finiscano per fare concorrenza al riciclaggio, più conveniente anche dal punto di vista del recupero energetico. Infatti producendo la plastica dai prodotti plastici raccolti nelle campane, anziché dal petrolio, si risparmiano circa 10.000 calorie per ogni Kg di plastica prodotta, mentre bruciando 1 Kg di plastica in un inceneritore si produce meno della metà di energia.

[*] tratto dal sito internet dell’associazione Marco Mascagna onlus www.giardinodimarco.it

Per l’incenerimento, per esempio, la tecnologia più diffusa è quella del forno a griglia mobile, per i rifiuti industriali si utilizzano tecniche più sofisticate, quali il tamburo rotante, il letto fluido o, le più efficaci, le torce al plasma.

Queste soluzioni permettono di adattare le condizioni di combustione agli specifici materiali trattati, quindi di controllare i processi di formazione delle scorie e dei residui.

L’innovazione tecnologica

Negli ultimi decenni le tecniche di trattamento hanno subito importanti miglioramenti e se ne stanno sperimentando di ancora più innovative. Passi da gigante sono stati compiuti dalle tecnologie di combustione, soprattutto con riferimento all’abbattimento degli inquinanti e all’ottimizzazione dei rendimenti energetici. Enormi progressi hanno interessato lo sviluppo di applicazioni con materiali recuperati sia direttamente (ad esempio plastiche omogenee) sia indirettamente (plastiche eterogenee, rifiuti secchi misti).

L’industria italiana eccelle nel reimpiego degli scarti di qualunque genere e sono soprattutto italiane le imprese che hanno sviluppato la filiera del recupero delle materia plastiche. Nel settore della carta sono stati sviluppati processi in grado di adattare le produzione a livelli molto maggiori di riciclato, mentre da sempre la nostra industria metallurgica si è specializzata nel riciclo di rottami. L’Italia è ancora oggi in buona parte importatore netto di materiali di scarto, a testimonianza della sua vocazione al recupero.

Sul versante del recupero energetico molto promettenti sembrano le potenzialità di tecnologie dirette all’ottenimento di combustibili più puliti: dalla pirolisi-gassificazione, alla digestione anaerobica, dalla

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14 dissociazione molecolare alla tritatura ultrafine, che promettono l’ottenimento di combustibili molto più puliti eliminando i potenziali precursori di inquinanti, anche se per il momento i loro costi non sono ancora competitivi.

1.4 La politica dei rifiuti

La gestione dei rifiuti è oggi regolata in modo dettagliato da un complesso insieme di norme.

In Europa è dagli anni ’70 che la fonte principale di norme e principi è quella comunitaria; gli spazi per gli Stati membri sono relativamente elevati per ciò che attiene ai principi generali e all’organizzazione del sistema, ma sono via via più, ristretti, almeno verso il basso, per ciò che riguarda la regolamentazione delle diverse attività.

La legge stabilisce i criteri per definire qualcosa come rifiuto e identifica le differenti attività di gestione, stabilendo i parametri che devono essere rispettati per le diverse tipologie di materiale. Delimitato in questo modo il campo di applicazione, la legge identifica i profili soggettivi e quelli oggettivi; il principale destinatario delle norme è il detentore, colui che possiede un rifiuto, o perché lo ha direttamente generato (produttore iniziale), o perché l’ha ottenuto trasformando e trattando altri rifiuti (nuovo produttore).

Il detentore ha l’obbligo di provvedere a proprie spese alla gestione del rifiuto, o in proprio, oppure cedendolo a un gestore autorizzato, nel qual caso dovrà essere iscritto a un apposito Albo, a svolgere le operazioni cui quel rifiuto può essere destinato.

Il detentore è inoltre obbligato a comunicare all’amministrazione i dati relativi alle quantità prodotte, alle diverse tipologie, nonché alle modalità di gestione.

Tutte le principali tipologie di impianti per il trattamento, il recupero e lo smaltimento sono soggette ad autorizzazione. Questa è un atto della Pubblica Amministrazione che legittima un determinato soggetto a svolgere determinate attività in un sito individuato, previa verifica del rispetto delle normative tecniche. L’Amministrazione che concede l’autorizzazione può imporre al gestore tutte le prescrizioni che ritiene opportune, e che rappresentano condizioni preventive dell’autorizzazione.

Anche i soggetti che esercitano attività di recupero e smaltimento, trasporto, intermediazione e bonifica, a loro volta, devono essere iscritti ad un apposito Albo. A questo scopo, devono dimostrare di possedere adeguati requisiti soggettivi (idoneità tecnica, capacità finanziaria).

La legge identifica altresì una serie di attività illecite e molte di queste sono sanzionate come illeciti amministrativi e in qualche caso come illeciti penali. La flagranza di illecito comporta anche l’obbligo per chi ha causato danni ambientali a risarcirli (responsabilità civile) e a ripristinare la situazione preesistente. La politica europea in materia di rifiuti si è sviluppata lungo l’arco degli ultimi 30 anni e rappresenta ormai un corpus consolidato, che detta ai paesi membri norme e criteri.

Negli anni ’70, l’azione europea è stata soprattutto orientata al contenimento dell’impatto ambientale dello smaltimento; in seguito, la politica europea ha cercato di responsabilizzare le comunità alle gestione dei

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15 propri rifiuti, imponendo che al livello territoriale appropriato le autorità pubbliche garantissero una congrua dotazione di impianti.

A partire dagli anni ’90, a questo approccio, si è sovrapposta un strategia molto più generale, impostata sulla gestione sostenibile del ciclo dei materiali e non più concentrata solo sullo smaltimento finale.

Con le numerose direttive approvate negli anni ‘90, questa politica ha preso forma per trovare la sua sistemazione definitiva (per adesso) nella Direttiva 2008/98/CE.

Essa consiste in diversi principi:

 Principio di priorità con cui viene definita la seguente scala gerarchica che privilegia: prevenzione, preparazione al riutilizzo, riciclaggio, altre forme di recupero, smaltimento;

 Principio di Autosufficienza con cui entro ambiti territoriali di ragionevoli dimensioni ogni comunità è tenuta a farsi carico direttamente dello smaltimento dei propri rifuti;

 Principio di prossimità con cui si dovrebbe limitare al massimo la circolazione dei rifiuti;

 Principio “chi inquina paga” ovvero che i costi della gestione dei rifiuti dovrebbero ricadere su chi li produce, compresi i costi indiretti causati dalle esternalità ambientali;

 Principio di responsabilità estesa del produttore: i diversi soggetti che intervengono lungo la filiera di produzione e distribuzione dei beni sono responsabili del destino ultimo di questi e delle esternalità ambientali da essi causate lungo il rispettivo ciclo di vita fino al momento in cui verranno restituiti all’ambiente;

 Principio di minimizzazione del danno che si manifesta nei molteplici standard tecnologici e di emissione che gli impianti devono rispettare.

La legislazione in materia di rifiuti è essenzialmente di fonte europea, con spazi di manovra abbastanza limitati per le politiche nazionali. A livello europeo, sono stabilite le definizioni di rifiuto, i principi base cui ispirare la gestione, le norme tecniche e i limiti alle emissioni d’impianti.

A livello nazionale, spetta allo Stato la traduzione dei principi generali europei in principi nazionali, per quel che attiene in particolare alla tutela dell’ambiente e ai controlli.

Alle Regioni spetta invece l’organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, in particolare la pianificazione dello smaltimento e della raccolta differenziata, oltre alla fissazione dei criteri per l’individuazione dei siti ove collocare gli impianti, alle attività amministrative, e alla pianificazione della bonifica dei siti contaminati.

Il piano regionale viene poi dettagliato e reso operativo dalle Province, che nel territorio di competenza individuano flussi di rifiuto da smaltire, obiettivi, siti e impianti.

Il sistema delle Agenzie per la protezione dell’ambiente, istituite a livello regionale (Arpa) e coordinate a livello centrale (Ispra precedentemente denominato Apat), svolge tutte le attività tecnico-scientifiche, istruttorie, di controllo e monitoraggio ambientale. L’osservatorio nazionale rifiuti (Onr), anch’esso collocato presso l’Apat-Ispra, svolge importanti funzioni di documentazioni e reporting.

Agli Enti Locali compete infine la gestione dei rifiuti, affermandosi il principio della gestione integrata dei rifiuti.

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16 All’interno di aree identificate come ambiti territoriali ottimali, fatti coincidere con le Province, gli enti locali devono costituire un’organizzazione unitaria, istituendo un ente dotato di personalità giuridica (Autorità di ambito territoriale ottimale, Aato) che li rappresenta collettivamente, le Aato sono responsabili di garantire l’effettuazione delle varie fasi previste dal piano provinciale.

A questo punto, i Comuni, associati nelle Aato, devono assolvere alla loro responsabilità affidando il servizio o le sue diverse componenti a dei soggetti gestori.

1.5 I rifiuti come problema economico e sociale ed il pagamento dei servizi

legati ai rifiuti

A seconda della loro gestione, i rifiuti possono incidere sia sulla salute umana sia sull'ambiente tramite le emissioni nell'atmosfera, nel suolo, nelle acque di superficie e nelle acque sotterranee. Tuttavia, i rifiuti possono anche costituire una perdita di risorse materiali (sotto forma di metalli e altri materiali riciclabili) e costituiscono, potenzialmente, una risorsa energetica.

I rifiuti vengono prodotti in tutte le fasi del ciclo di vita dei materiali:

 Estrazione (rifiuti minerari);

 Produzione e distribuzione (rifiuti industriali, rifiuti pericolosi e di imballaggio);

 Consumo di prodotti e servizi (rifiuti urbani e rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche);

 Trattamento (ad esempio residui di cernita provenienti da impianti di riciclaggio o scorie di inceneritori).

Una buona gestione dei rifiuti può proteggere la salute pubblica e avere effetti benefici sull'ambiente, sostenendo al contempo la conservazione delle risorse naturali.

Il riciclaggio apporta benefici all'ambiente sottraendo i rifiuti alla discarica e riducendo così le emissioni inquinanti. Contribuisce, inoltre, a soddisfare la richiesta di risorse materiali della produzione economica, riducendo la necessità di estrarre e raffinare le materie prime.

Il riciclaggio offre, inoltre, importanti vantaggi economici e sociali: garantisce la crescita economica, favorisce l'innovazione, genera occupazione e aiuta a garantire la disponibilità di risorse critiche. Il riciclaggio è fondamentale per una delle principali priorità politiche europee e globali: la transizione verso un'economia rispettosa dell'ambiente, capace di generare prosperità, mantenendo un ambiente sano e garantendo l'equità sociale per le generazioni presenti e future.

Le direttive UE sui rifiuti scoraggiano lo smaltimento in discarica e promuovono il riciclaggio e il recupero dei rifiuti. Un altro fattore trainante all'origine della crescente importanza economica del riciclaggio è l'aumento della richiesta di risorse materiali, specialmente nelle economie asiatiche in forte crescita.

Fino a venti anni fa, i Comuni italiani organizzavano le attività di raccolta, ricorrendo ad appaltatori privati, costituendo aziende municipalizzate o attraverso gestioni dirette, comunali o consortili. Solo in pochi casi,

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17 l’impresa che gestiva la raccolta provvedeva direttamente anche allo smaltimento attraverso propri impianti. Solitamente quest’attività era affidata a terzi, inizialmente ad imprese private operanti liberamente sul mercato.

Oggi il mercato ha una struttura completamente diversa. La gestione dei rifiuti è affidata ad imprese pubbliche che sono sempre più organizzate come gestori integrati (cioè, oltre a raccogliere gestiscono anche direttamente gli impianti di smaltimento). Talvolta è un’unica impresa a ricevere l’affidamento per la gestione integrata di tutto il ciclo e ad operare sull’intero ambito provinciale o regionale. In questo caso oltre alle raccolte realizzano e gestiscono in proprio gli impianti di smaltimento e organizzano i rapporti con gli operatori a valle del recupero; spesso sono integrate lungo la filiera, offrendo servizi anche relativi alla gestione e trattamento dei rifiuti speciali.

Spesso questi operatori affidano, a loro volta, a terzi le diverse fasi, soprattutto quelle più specializzate. Questa modalità organizzativa crea spazi di mercato per un gran numero di piccole e medie imprese locali, anche di tipo no profit (ad esempio cooperative sociali), in particolare segmenti come le raccolte differenziate.

La situazione si ribalta nel caso dei rifiuti speciali, che in massima parte sono gestiti e trattati da imprese private, molte delle quali peraltro, operano nell’orbita delle principali imprese ex municipalizzate. La filiera è estremamente frastagliata, con numerosi operatori che svolgono specifiche e distinte attività, dalle discariche, al pretrattamento, dallo stoccaggio al trasporto, dalla costruzione d’impianti alla componentistica e alle attrezzature di supporto. Certamente, l’industrializzazione rappresenta almeno in parte una strada obbligata: la crescente complessità della filiera si presta poco e male ad essere gestita in regime di pianificazione pubblica e da imprese pubbliche governate dalla politica. Lo sviluppo delle opportunità di recupero richiede una grande iniezione di mercato e di concorrenza: è soprattutto all’inventiva e all’iniziativa imprenditoriale autonoma che dobbiamo anche le migliori esperienze recenti in materia di recupero.

Non sarebbe pensabile che grandi interventi impiantistici possano essere gestiti solo con il know-how e i mezzi finanziari delle imprese pubbliche. Il coinvolgimento del settore privato migliora le garanzie di efficacia e sostenibilità economica dell’intervento, oltre a sgravare il pubblico di parte degli oneri d’investimento.

Il rovescio della medaglia, tuttavia, sta nella maggiore difficoltà di controllare il settore e seguire con precisione il destino dei rifiuti se questo opera in regime di mercato; nonché della maggiore incertezza circa la capacità di ottenere il risultato finale in tempi compatibili con l’evoluzione continua della produzione dei rifiuti. Questo è un settore in cui se le cose sono fatte a regola d’arte l’impatto ambientale è contenuto, ma il rischio di comportamenti scorretti è elevato e i controlli non sono sempre facili.

Va ricordato che il settore dei rifiuti speciali (che sono i ¾ dei rifiuti compresi quelli pericolosi) opera da sempre in regime di liberalizzazione, pur se quote di mercato importanti sono detenute dalle principali utilities pubbliche. Dunque sarebbe ben strano se ci si preoccupasse della presenza privata nel segmento dei rifiuti urbani, tutto sommato meno problematico, e non si considerasse invece l’intera filiera. Molte delle opportunità di mercato per le imprese private, del resto, derivano proprio dal progressivo venir meno

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18 dell’artificiale steccato tra le due categorie di rifiuto. Gli scarti della lavorazione dei rifiuti urbani sono rifiuti speciali, mentre la gran parte dei rifiuti urbani selezionati dalle raccolte differenziate entra poi giocoforza negli stessi canali di recupero cui si rivolgono i rifiuti speciali con analoghe caratteristiche merceologiche. In altre parole, ai fini del recupero della plastica o della carta importa poco se questa proviene dal circuito urbano o commerciale, anzi, per mille ragioni è opportuno integrare la gestione di questi flussi per cogliere in modo più efficace le opportunità di mercato e le sinergie tecnologiche.

Ed è proprio da questa sinergia da cui dipendono in buona parte le opportunità di valorizzazione, che può anche facilmente diventare terreno fertile per operazioni illegali, e richiede al soggetto pubblico una grande capacità di controllo. Quindi è importante il modo in cui il soggetto definisce e fa rispettare le regole. Un ultimo punto su cui riflettere è il consenso popolare. La questione ambientale si dilunga da anni, come un potente catalizzatore del conflitto. E’ evidente la reazione radicale di gran parte della popolazione che si oppone agli impianti di gestione dei rifiuti, a causa delle emissioni inquinanti. Il concetto viene spesso sintetizzato con la “sindrome Nimby”; l’acronimo inglese Nimby sta per Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile" ed indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come ad esempio grandi, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, e simili.

L'atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull'ambiente locale.

La strada per la soluzione del problema non può che passare per la costruzione di una comunità che si senta unita nell’affrontare un problema realmente di tutti, e la cui soluzione, che comporta costi e benefici, non solo sul piano economico, deve essere equa. E’ solo con la partecipazione pubblica, con un grande e duraturo sforzo di condivisione delle scelte e di costruzione sociale della politica che la soluzione può emergere. Partecipazione intesa come investimento collettivo in quella risorsa fondamentale di qualsiasi politica pubblica: il “capitale sociale”, quel circolo virtuoso di relazioni tra cittadini e cosa pubblica che permette ai primi di fidarsi della seconda, e a questa di meritarsi la fiducia.

Italo Calvino nel suo libro “Le città invisibili” definisce la gestione dei rifiuti come rito quotidiano ch rimanda ad un patto sociale, all’appartenenza a una comunità organizzata e alle sue regole.

Tutti gli operatori che svolgono la gestione integrata dei rifiuti compresi i cittadini sono coinvolti a livello economico; in particolare negli anni si è avuta un’evoluzione del pagamento servizi di igiene ambientale da parte dei cittadini.

Con il D. Lgs. 507 del 1993 viene istituita la Tarsu – Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ne sono titolari i Comuni che provvedono ad inviare gli avvisi di pagamento. Tramite questo gettito il Comune dovrebbe coprire tutti i costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, compreso la pulizia strade, che sono gestiti in regime di privativa.

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19 Tuttavia, con la Tarsu, i Comuni, potevano prevedere appositi capitoli di bilancio per contribuire alla copertura dei costi del servizio, ripartendo così sui cittadini costi inferiori rispetto a quelli effettivamente sostenuti per lo svolgimento del servizio.

La commisurazione per i cittadini era in base alla superficie dell’immobile ed agli occupanti, indipendentemente dai rifiuti prodotti.

Successivamente il D.Lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi) ha istituito la TIA – Tariffa di Igiene Ambientale che aveva come obiettivo quello di commisurare in maniera più esatta possibile la cifra da pagare da parte dei cittadini, alla effettiva fruizione del servizio pubblico.

Si passa da una tassa ad una Tariffa. I costi del servizio devono essere totalmente coperti dal gettito TIA, quindi i Comuni possono contribuire con il proprio bilancio, solo relativamente alle agevolazioni sociali (ISEE, ecc…). I titolari sono sempre i Comuni, che ogni anno deliberano ogni singola tariffa per le categorie economiche e per le utenze domestiche, ma la titolarità della riscossione passa ai gestori, che si sobbarcano anche tutta la parte relativa alle mancate riscossioni ed al recupero dei crediti insoluti.

La TIA è divisa in due parti: fissa e variabile. I coefficienti per il calcolo di ciascuna parte sono determinati dal D.P.R. 158 del 1999.

A partire dal 1° Gennaio 2013 entra in vigore la Tares, Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, introdotta dal D.L. n. 201 del 2011 (cosiddetto Decreto Salva Italia), convertita con L. n. 214 del 2011. Non esiste più la natura corrispettiva, si ritorna al tributo, di cui sono titolari i Comuni.

La normativa sulla Tares è, a tutt’oggi, ancora controversa, e variazioni sostanziali alla legge si sono succedute per tutto l’anno 2013. Tuttavia è un tributo destinato a sparire perché dal 1 gennaio 2014 sarà sostituita da un'altra imposta.

Questa nuova imposta è la IUC – Imposta Unica Comunale, Istituita con la L. n. 147 del 27 dicembre 2013 (Legge di stabilità 2014); la IUC comprende tre tipi di gettito:

IMU – Imposta Municipale Unica, che grava sugli immobili

TASI – Tassa sui Servizi Indivisibili (es.: illuminazione pubblica, manutenzione strade) TARI – Tassa sui Rifiuti

Per quanto concerne la TARI, ci sono molte analogie con la Tares. L’aspetto fondamentale, indipendentemente da tutte le differenze che ci sono o ci potranno essere per l’introduzione di nuove disposizioni normative durante il 2014, è che viene confermata la natura tributaria del gettito, quindi non può essere ricondotto a tariffa.

La Tari, la nuova tassa sui rifiuti, è destinata a finanziare i costi di raccolta e smaltimento rifiuti, in sostituzione della Tares.

La Tari è dovuta da chiunque, a qualsiasi titolo, occupa o conduce locali, indipendentemente all’uso a cui sono adibiti. A non pagare la Tari sono le aree scoperte pertinenziali o accessorie non operative (giardini condominiali, cortili, ecc) e le parti comuni dell’edificio non detenute o occupate in via esclusiva (ad esempio, tetti e lastrici solari, scale, aree destinate al parcheggio).

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1.6 Bibliografia e sitografia del primo capitolo

- I Rifiuti di Antonio Massarutto ed. Il Mulino

- Brochure aziendale Publiambiente “Oltre lo sguardo” – 2011

- 7° Programma d’azione per l’ambiente “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” della Commissione europea

(http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2009_2014/documents/com/com_com(2012)0710_/com_c om(2012)0710_it.pdf)

- Ancitel Energia e Ambiente Srl – La Banca Dati 3° rapporto raccolta differenziata e riciclo sul sito http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/La%20banca%20dati%203%20Rapporto%202012.pdf - www.giardinodimarco.it

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2 Capitolo – La gestione dei rifiuti: quadro normativo e principi generali

2.1

Il quadro normativo europeo

La gestione dei rifiuti è uno dei settori di intervento dell’Unione Europea in merito alla politica ambientale. L’ultima direttiva emanata in tema di rifiuti è la Direttiva 2008/98/CE del 19-11-2008.

Vediamo brevemente come l’Unione Europea è arrivata a questa direttiva.

La disciplina della politica ambientale europea si è articolata attraverso diverse fasi che si sono succedute nel tempo. Nella stesura originaria del Trattato CE (1957) non era previsto alcun riferimento all’ambiente; nel periodo antecedente gli anni ‘60, infatti, la disciplina di tale settore avveniva mediante delle direttive che regolavano singoli aspetti della materia, senza costituire, pertanto, un corpo normativo omogeneo. A ciò va inoltre aggiunto che l’attenzione che il legislatore europeo riservava alla tutela dell’ambiente era polarizzata sulle sue implicazioni di carattere economico.

Verso la fine degli anni 60, sull’onda del crescente interesse che il loro cittadini nutrivano per le tematiche connesse alla tutela dell’ambiente, gli Stati membri avvertirono l’esigenza di promuovere forme di collaborazione più incisive.

Tale proposito si tradusse, nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972, in un

preciso indirizzo, successivamente ribadito in seno al

Vertice dei capi di Stato e di governo tenutosi a Parigi nello stesso anno che, convenzionalmente, viene indicato come l’atto di nascita della politica ambientale dell’Unione Europea.

In quella sede, infatti, fu definitivamente sancita la necessità di instaurare un sistema normativo omogeneo in materia di ambiente e fu rivolto un invito alle istituzioni europee affinché elaborassero un programma d’azione, effettivamente presentato l’anno successivo. Quello proposto nel 1973 è il primo di una serie di programmi di durata pluriennale che contengono una politica di insieme in materia ambientale. Attualmente è in vigore il settimo programma d’azione europeo per l’Ambiente (PAA).

La svolta normativa nella disciplina ambientale si è avuta nel 1987. Con l’Atto Unico europeo è stato, infatti, inserito nel Trattato istituivo della Comunità Europea un nuovo titolo, specificamente destinato alla tutela dell’ambiente e formato dagli articoli 130R, S e T (poi 174-176) del TCE, Trattato sulla Comunità Europea (ora 191-193 del TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).

Nel titolo XVI (poi XIX) del TCE (ora XX del TFUE), per la prima volta è stata approntata una normativa ad hoc dedicata all’ambiente e sono stati compiutamente definiti gli obiettivi, i principi, e gli strumenti dell’azione dell’UE.

Siffatte disposizioni sono state riconfermate dal successivo Trattato sull’Unione Europea che ha attribuito maggiore rilievo alla materia, non definendola più “azione” ma facendola assurgere al ruolo di vera e propria “politica comunitaria”.

Come già detto in precedenza il documento fondamentale per l’attuazione delle politiche dell’Unione in materia ambientale è costituito dal programma d’azione, periodicamente varato dalle istituzioni. Il

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22 programma (Sesto programma di azione per l’ambiente, adottato con Decisione n. 1600/2002 del 22 luglio 2002) che è rimasto in vigore fino a luglio 2012, ha indicato quattro priorità:

- Stabilizzazione delle fonti responsabili del cambiamento climatico (gas ad effetto serra). La

realizzazione di questo obiettivo è strettamente connessa con il rispetto degli impegni presi con il protocollo di Kyoto.

- Adozione di misure volte a tutelare la natura e la diversità biologica. Attraverso tale

obiettivo si vuole proteggere o ripristinare in maniera appropriata la struttura ed il funzionamento dei sistemi naturali, arrestando l’impoverimento della biodiversità.

- Adozione di misure volte a tutelare l’ambiente e la salute attraverso una riduzione

dell’inquinamento ambientale. Lo scopo è quello di far si che le sostanze chimiche siano

unicamente prodotte e utilizzate in modo da non comportare un significativo impatto negativo sulla salute e l’ambiente.

- Migliore gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

Questo obiettivo mira a conseguire una sensibile riduzione dei rifiuti pericolosi prodotti, evitando un aumento delle emissioni nell’aria, nell’acqua e nel terreno, attraverso iniziative volte a garantire livelli di produzione e di consumo più sostenibili. In particolare, bisognerebbe incentivare il riciclaggio, riducendo al minimo la quantità dei rifiuti da eliminare e prevedendo dei siti di smaltimento vicino a quelli di produzione.

Il 21 novembre 2013 il Consiglio Ue e il Parlamento europeo hanno trasformato in legge la decisione sul 7° Programma d’azione europeo per l’Ambiente (PAA), che guiderà l’azione politica dell’Unione europea in materia di ambiente e clima per i prossimi sette anni. Il 7° Programma di azione ambientale è stato proposto dalla Commissione Ue nel novembre 2012 ed individua 9 obiettivi prioritari fino al 2020, tra i quali: proteggere la natura e rafforzare la resilienza ecologica; incrementare una crescita sostenibile, low carbon con un uso efficiente delle risorse; affrontare efficacemente le minacce all’ambiente legate alla salute. La Commissione europea spiega che «Il programma stabilisce un quadro di riferimento per sostenere il raggiungimento di tali obiettivi attraverso, tra l’altro, una migliore attuazione della legislazione ambientale dell’Ue, lo stato dell’arte della scienza, garantendo i necessari investimenti a sostegno della politica ambientale e per il cambiamento climatico e migliorando il modo in cui le preoccupazioni e le esigenze ambientali si riflettono nelle altre politiche. Il programma mira anche a rafforzare gli sforzi per aiutare le città europee a diventare più sostenibili ed a migliorare la capacità dell’Ue di rispondere alle sfide ambientali e climatiche regionali e globali».

Tra le varie conclusioni per la valutazione finale del precedente PAA (il 6°) si evidenzia quella che afferma che il programma ha recato benefici all’ambiente e ha delineato un orientamento strategico generale per la politica ambientale. Nonostante questi risultati positivi, persistono tendenze non sostenibili nei quattro settori prioritari indicati nel 6° PAA: cambiamenti climatici, biodiversità, ambiente e salute, nonché uso sostenibile delle risorse e gestione dei rifiuti.

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23 L’Unione si è prefissa di proteggere l’ambiente e la salute umana prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficienza, mediante l’applicazione della seguente gerarchia dei rifiuti: prevenzione, preparazione al riutilizzo, riciclaggio, altre forme di recupero, smaltimento.

Questa gerarchia dei rifiuti è quella descritta nell’ultima Direttiva emanata e vigente ovvero la 2008/98/CE del 19/11/2008, che ha non solo sostituito la precedente direttiva 2006/12/CE del 05/04/2006 (subentrata a sua volta all’originaria Direttiva 75/442), ma ha anche inglobato, per ragioni di semplificazioni e migliore coordinamento normativo, le disposizioni sui rifiuti pericolosi della direttiva 91/689 del 12/12/1991 e le disposizioni sull’eliminazione degli olii usati della Direttiva 75/439 del 16/06/1975.

2.2

Breve storia della normativa ambientale italiana

Per molti anni la produzione normativa italiana in materia ambientale è rimasta pressoché nulla ed anche quando è stata attivata, sotto la spinta dei condizionamenti comunitari e del diffondersi della cultura dell’emergenza di porre un freno ai danni all’ambiente, è mancata una politica nazionale organica e coerente. Si dovrà attendere il 1976 per il varo della normativa sull’inquinamento idrico, la c.d. Legge Merli, che per quanto sottoposta negli anni a numerosi ritocchi, modifiche, integrazioni, abrogazioni parziali, ha avuto il merito di colmare una grave lacuna. Negli anni ’80 la produzione legislativa ha avuto un forte incremento. Risalgono, infatti, a questo periodo il D.p.r. 915/1982 che detta una prima disciplina in materia di rifiuti solidi urbani, poi abrogata dal D. Lgs. 22/1997.

Gli anni ’90 risentono fortemente dei condizionamenti comunitarie della cultura dell’emergenza ambientale che si afferma a seguito del verificarsi di numerosi “incidenti ecologici”, in particolare la L. 61/1994 che ha istituito l’ANPA (Associazione nazionale protezione ambiente), il D. Lgs. 22/1997 (cosiddetto Decreto Ronchi), modificato dal D.P.R. 120/2003, recante una disciplina innovativa della gestione dei rifiuti.

Con la Legge 308 del 15/12/2004 è stata conferita delega al Governo per riordinare, coordinare e integrare la legislazione in materia ambientale e in particolare sulla gestione dei rifiuti, sulla bonifica dei siti inquinati e sulla procedure per la valutazione di impatto ambientale, per la valutazione ambientale strategica e per l’autorizzazione ambientale integrata.

A norma dell’art. 1, la Legge 308/2004 aveva anche disposto che tali decreti, nel termine di due anni dalla loro entrata in vigore, definissero i criteri direttivi da seguire al fini di adottare i necessari provvedimenti per la modifica e l’integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche. Essi avrebbero dovuto indicare esplicitamente le norme da abrogare a seguito della loro entrata in vigore e avrebbero potuto anche subire interventi integrativi o correttivi che il Governo avesse ritenuto opportuno emanare sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

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