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"Per agros amoenos et prata florentia". Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza

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Academic year: 2021

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Mondi Mediterranei 6

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Direzione scientifica e Comitato redazionale

La Direzione scientifica di Mondi Mediterranei è composta da un Comi-tato di valutazione scientifica e da un ComiComi-tato internazionale di garanti, i quali valutano e controllano preventivamente la qualità delle pubbli-cazioni.

Del Comitato di valutazione scientifica fanno parte i docenti che compon-gono il Collegio del Dottorato di ricerca in “Storia, Culture e Saperi dell’Europa mediterranea dall’Antichità all’Età contemporanea” del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università della Basilicata: coor-dinatori ne sono Michele Bandini, Fulvio Delle Donne, Maurizio Mar-tirano, Francesco Panarelli.

Il Comitato internazionale di garanti è composto da: Eugenio Amato (Univ. di Nantes); Luciano Canfora (Univ. di Bari); Pietro Corrao (Univ. di Palermo); Antonino De Francesco (Univ. di Milano); Pierre Girard (Univ. Jean Moulin Lyon 3); Benoît Grévin (CNRS-EHESS, Paris); Edoardo Massimilla (Univ. di Napoli Federico II).

Il Comitato redazionale è composto dai dottorandi e dottori di ricerca del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi della Basili-cata: per questo volume è stato coordinato da Cristiano Amendola. Tutti i testi pubblicati sono vagliati, secondo le modalità del “doppio cieco” (double blind peer review), da non meno di due lettori individuati nell’ambito di un’ampia cerchia internazionale di specialisti.

In copertina: Bibliothèque national de France, ms. fr. 12400, c. 2r. Traduzione francese del De arte venandi cum avibus di Federico II, ese-guita per ordine di Jean II signore di Dampierre e di Saint Dizier (sec. XIV in.): particolare del capolettera dell’incipit, che raffigura Federico II. Immagine disponibile per uso non commerciale sul sito della Bi-bliothèque national de France (https://archivesetmanuscrits.bnf.fr).

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Il Regno di Sicilia in età normanna e sveva

Forme e organizzazioni della cultura e della politica

a cura di

Pietro Colletta, Teofilo De Angelis,

Fulvio Delle Donne

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Il Regno di Sicilia in età normanna e sveva: forme e organizza-zioni della cultura e della politica / a cura di Pietro Colletta, Teofilo De Angelis, Fulvio Delle Donne. – Potenza : BUP - Ba-silicata University Press, 2021. – 388 p. ; 24 cm. – (Mondi Medi-terranei ; 6)

ISSN: 2704-7423

ISBN: 978-88-31309-11-0 945.704 CDD-23

© 2021 BUP - Basilicata University Press Università degli Studi della Basilicata Biblioteca Centrale di Ateneo Via Nazario Sauro 85

I - 85100 Potenza https://bup.unibas.it Published in Italy

Prima edizione: maggio 2021

Gli E-Book della BUP sono pubblicati con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

(6)

SOMMARIO

Pietro Colletta, Teofilo De Angelis, Fulvio Delle Don-ne, Premessa. Politica e politiche culturali nell’età

nor-manna e sveva 7

Organizzazione e strategie della cultura

Jean-Marie Martin, Culture e tipi di formazione nel

Mez-zogiorno prima dell’Università 17

Fulvio Delle Donne, L’organizzazione dello Studium di

Napoli e la nobiltà del sapere 37

Pietro Colletta, Genesi e tradizione del mito di Guglielmo II

«re buono» (secc. XII-XIV) 49

Teofilo De Angelis, La cultura medica e le acque termali flegree tra XII e XIII secolo: la testimonianza di Pietro

da Eboli 109

Armando Bisanti, Orgoglio poetico e lode del sovrano nei

carmina di Enrico di Avranches per Federico II 125 Clara Fossati, Cronaca di una battaglia mancata: Genova e

Federico II nel carme di Ursone da Sestri 173

Martina Pavoni, «Per agros amoenos et prata floren-tia». Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro

da Prezza 187

Mirko Vagnoni, Federico II e la messa in scena del corpo

regio in immagine 203

Organizzazione e strategie della politica

Horst Enzensberger, Tra cancelleria e Magna Curia.

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Edoardo D’Angelo, Il De rebus circa regni Siciliae

curiam gestis dello pseudo-Ugo Falcando: prosopografia

e politica dell’età normanna 235

Francesco Panarelli, Ancora sullo pseudo Falcando e

l’Epistola ad Petrum 243

Marino Zabbia, Memorie mutevoli. Federico II nelle

crona-che genovesi (secc. XIII-XV) 261

Erasmo Merendino, La politica orientale di Federico II 275 Rodney Lokaj, Clare the Epistolographer against Church

and Empire stupenda paupertas vs stupor mundi 287 Walter Koller, Manfredi e l’arte della guerra 339 Daniela Patti, “Luoghi forti” nel territorio ennese in età

me-dievale. Organizzazione del territorio, strategie difensive e

(8)

MARTINA PAVONI

«Per agros amoenos et prata florentia»

.

Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza

Nunc ad Fridericum revertamur, cuius afflictio et maledictio, qua contra Parmam ex toto inflammatus exarsit, duravit a millesimo CCXLVII exeunte Iunio usque ad MCCXLVIII, duodecima die exeunte Februario, in die Martis, in qua capta est Victoria civitas. Nam Parmenses et omnes milites et populares armati et preparati ad pugnam exiverunt de Parma, et mulieres eorum egresse sunt cum eis, similiter pueri et puelle, iuvenes et virgines, senes cum iunioribus; et violenter expulerunt imperatorem de Victoria et omnes suos milites et pedites. Et multi fuerunt ibi mortui, et multi capti et ducti in Parmam. Et suos liberaverunt captivos, quos im-perator in Victoria in vinculis detinebat. Et impleta est Scriptura Ysaie que dicit, XIIII: «Et erunt capientes eos qui se ceperant, et subicient exactores suos»1.

Torniamo ora a Federico. Il suo flagello e la sua maledizione, per la quale arse che tutto lo infiammò contro la città di Parma, durarono dalla fine del giugno 1247 fino a martedì 18 febbraio 1248, quando l’accampamento Vittoria fu preso. Infatti i Parmensi, tutti i soldati e i cittadini armati e pronti alla bat-taglia uscirono da Parma, e le loro mogli con loro, e allo stesso modo anche i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, i vecchi con quelli più giovani: cacciarono con la forza l’imperatore e tutti i suoi cavalieri e i fanti da Vittoria. E molti furono lì i morti, molti quelli catturati e condotti a Parma. E libera-rono i loro prigionieri, che l’imperatore teneva in catene a Vittoria. Si avverò allora la profezia di Isaia (14), che dice: «Essi terranno in cattività quelli che li avevano ridotti in cattività, e signoreggeranno sui loro oppressori».

1 Salimbene de Adam, Cronica, ed. G. Scalia, I, Bari 1966, p. 292 (qui

e in seguito, salvo diversa indicazione, la traduzione è mia). Salimbene, che è fra le principali fonti sull’assedio di Parma, parla più estesamente dell’epi-sodio in altri passi della sua opera: es. Salimbene, Cronica, pp. 283-285,

294-296, 302-306. Di Salimbene esiste anche una edizione più recente, cu-rata sempre da Scalia: Turnholti 1998-1999 (CCCM 125-125A).

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188 Martina Pavoni

Voce di spicco della propaganda antifedericiana, in questo passo della sua Cronaca Salimbene de Adam ripercorre il momento

della conquista e della distruzione, da parte dei parmensi, del campo imperiale fatto costruire da Federico II nel 1247 durante l’assedio di Parma, Victoria, «civitas que fuit et non est»2. In questo biblico rovesciamento delle sorti, in cui gli oppressi diventano op-pressori e viceversa, il frate accenna ai molti morti e prigionieri che l’eroica insurrezione dei parmensi – incluse le donne, i vecchi e i bambini – aveva causato: 1500 i caduti fra le forze sveve, secondo l’autore degli Annales Parmenses, che stima invece intorno ai 3000 il

numero dei prigionieri3. Fra i morti, anche lo stesso Taddeo di Sessa, giurista che aveva accompagnato l’imperatore nell’impresa, il quale – si legge negli Annales – «in captura predicta remansit

se-mivivus cum manibus amputatis»4.

Nel 1248, a Parma, al fianco di Federico, si trovava anche il retore Pietro da Prezza, verosimilmente come funzionario di cancelleria. Il silenzio delle fonti intorno alla sua presenza presso l’accampamento imperiale durante l’assedio di Victoria è sanato,

infatti, da una raccolta di lettere che Pietro scrisse durante la sua permanenza nelle carceri della città, una testimonianza preziosis-sima non solo sotto il profilo storico, ma – come si vedrà – anche e soprattutto sul versante letterario.

A questo punto sarà forse utile, prima di soffermarci sul con-tenuto di alcune di queste epistole, una rapida introduzione5. Nato probabilmente a Prezza, nell’aquilano, Petrus de Pretio (o

2 Salimbene, Cronica cit., p. 500.

3Annales Parmenses maiores, ed. Ph. Jaffé, MGH, SS, XVIII,

Hannove-rae 1863, pp. 664-790: p. 675. Per una ricostruzione dettagliata dell’assedio di Parma, con una ricognizione delle fonti più importanti, si veda P. Grillo,

I comandanti degli eserciti comunali nel Duecento: uno studio della campagna di Parma (1247-1248), in Cittadini in armi. Eserciti e guerre nell’Italia comunale, cur. P.

Grillo, Soveria Mannelli 2011, pp. 9-35.

4Annales Parmenses cit., p. 675.

5 Su Pietro da Prezza, anche per la bibliografia essenziale, si veda

in-nanzitutto F. Delle Donne, Pietro da Prezza (Petrus de Prece, Petrus de Precio),

in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXIII, Roma 2015, pp. 543-545. La

più antica biografia del retore è edita in Th.Ch. Mosheim, De vita Petri de Pretio vice-cancellarii Conradi IV regis Romanorum et Siciliae commentatiuncula,

Gottingae 1747; per un approfondimento su questioni più specifiche, in-vece, cfr. B. Grévin, Rhétorique du pouvoir médiéval. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage politique européen (XIIIe-XIVe siècle), Roma

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 189

de Prece) fece verosimilmente parte della cancelleria imperiale di Federico II e poi di Manfredi; in un privilegio di Corradino, da-tato dicembre 1267, il retore viene menzionato come dilectus vice-cancellarius et fidelis6, e ancora, in un altro documento sempre di Corradino redatto l’anno successivo, viene definito protonotarius curiae7. Rimasto al fianco del giovane re durante la sua nefasta impresa italiana, culminata nella disfatta di Tagliacozzo e poi nella decapitazione a Napoli per ordine di Carlo I d’Angiò, Pietro non venne fortunatamente catturato, ma riuscì a fuggire e a de-dicarsi all’insegnamento dell’ars dictaminis. Tuttavia, non

sap-piamo bene dove si trovasse la sua scuola: forse a Pavia, a Pia-cenza o probabilmente a Praga8. Pietro è noto, soprattutto, per essere l’autore di una feroce invettiva contro Carlo d’Angiò, l’ Ad-hortatio, in cui esortava lo zio di Corradino, Federico di Meissen,

a vendicare il giovane sovrano e a riprendere in mano le redini del potere9; altrettanto celebri, soprattutto per la loro rilevanza storica, sono la Protestatio Conradini, in cui si rivendicavano i diritti

di Corradino sul Regno di Sicilia10, e il Manifesto di Manfredi ai Romani (1265), quest’ultimo, però, di incerta attribuzione11. A questi tre testi principali vanno aggiunti alcuni documenti redatti per la cancelleria imperiale e varie epistole, pubblicati in più sedi e secondo difformi criteri editoriali. Il problema della carenza di edizioni critiche affidabili – che affligge, nonostante il rinnovato interesse degli ultimi anni, ancora buona parte delle raccolte di

dictamina – riguarda, di fatto, anche Pietro da Prezza: infatti,

seb-bene i principali manoscritti fossero noti già agli editori sette-6 Mosheim, De vita Petri de Pretio cit., pp. 24-27: p. 24.

7Regesta imperii, V, 1, 2 n. 4847, reperibile anche on-line.

8 Di questo fatto ci informa Enrico da Isernia, che scrive di essere

stato chiamato a seguire gli insegnamenti di Pietro presso la sua scuola: cfr. il cod. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 3143, cc. 189v («Ubi octo peractis mensibus maximo cum labore ad magistrum Petrum de Prece vocatus mei gressus tramitem lineavi, et cum ipso insudans stu-dio dictatorie facultatis legendo et transcrivendo hec dictamina feci») e 199r («Magistro Petro de Prece suadente pauper veni Pragam»): Th. Dol-liner, Codex epistolaris Primislai Ottocari II, Viennae 1803, p. V.

9 Per le edizioni dell’Adhortatio cfr. nota 12.

10 La Protestatio Conradini è stata recentemente ripubblicata in Cronaca della Sicilia di Anonimo del Trecento, ed. P. Colletta, Leonforte 2013, cap. 43,

pp. 55-63.

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190 Martina Pavoni

ottocenteschi, un nuovo censimento ha rilevato un numero di testimoni ben più ampio, che, come nel caso dell’Adhortatio, si

sono rivelati utili non solo per una larga revisione critica del testo (per il momento leggibile nella sola edizione obsoleta di Her-mann Schmincke, del 1745)12, ma anche per ricavare qualche in-formazione in più sulla circolazione e la fortuna dei dictamina di

Pietro13.

Senza entrare troppo approfonditamente nel merito del-l’aspetto filologico – deviazione che imporrebbe di allontanarci troppo dall’argomento che si è invece scelto di trattare –, sarà qui sufficiente e utile dire qualcosa almeno sulla tradizione testuale delle epistole14. Esse sono tramandate da quattro manoscritti principali, distribuiti fra XIV e XV secolo, ai quali si aggiungono pochi altri codici che però non menzioneremo15:

B Berlin, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz, Lat. Fol. 188 (XIV sec.).

C Cambridge, University Library, Add. 3040 (1349?). L Leipzig, Universitätsbibliothek, 1268 (XIV-XV sec.). J Jena, Universitätsbibliothek, El. phil. q. 1 (XV sec.).

12 Petrus de Pretio, Adhortatio ad Henricum illustrem, Landgravium Thurin-giae et Marchionem Misniae, ed. J.H. Schminckius, Lugduni Batavorum 1745.

Il testo si può leggere anche nella traduzione ottocentesca di G. Del Re,

Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, vol. II, Napoli 1868, pp.

687-700, e in quella più recente – benché non scevra di errori – curata da Umberto Caperna: Pietro de Pretio, Invettiva contro Carlo d’Angiò, cur. U.

Caperna, Cassino 2010.

13 La tradizione manoscritta di Pietro da Prezza, che – come ha

indi-rettamente mostrato Schaller, in H.M. Schaller, Handschriftenverzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea, MGH, Hilfsmittel 18, Hannover 2002 –

risulta connessa in buona parte con quella di Pier della Vigna, è per lo più transalpina. Inoltre, il fatto che il testo dell’Adhortatio – come ho avuto

modo di verificare – venga parzialmente riutilizzato in testi successivi di area boema sembra andare in direzione dell’ipotesi cui si accennava sopra, che localizzerebbe a Praga la scuola di ars dictaminis di Pietro.

14 Intorno alla questione filologica, soprattutto in relazione all’ Adhor-tatio, cfr. M. Pavoni, Cultura retorica e ideologia politica all’epoca della battaglia di Tagliacozzo (1268). Primi sondaggi sulla tradizione dell’Adhortatio di Pietro da Prezza, «Spolia. Journal of Medieval Studies», anno XVI, n. 6 n.s. (2020), pp. 19-36.

15 Per una descrizione dettagliata del contenuto dei manoscritti si veda

(12)

Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 191

Dei quattro citati, il manoscritto di Lipsia (d’ora in avanti L) è indubbiamente il più autorevole: oltre alla migliore qualità delle lezioni trasmesse, L, infatti, reca la collezione più completa di opere del retore, oltre a essere il solo a riportare un’intitolazione che ne attribuisca esplicitamente la paternità a Pietro da Prezza16. A tale proposito, sarà utile una preliminare specificazione meto-dologica in vista di quanto si dirà fra poco: avendo assunto L come codice di riferimento per la nuova edizione critica (che è attualmente in preparazione)17, si è scelto di includere nel corpus di quest’ultima anche tutte quelle epistole che L trasmette sotto il nome di Petrus de Pretio e che il precedente editore, Eugen

Mül-ler, non aveva invece incluso fra le 19 pubblicate nel 191318. Oltre a queste ultime, infatti, L tramanda una ventina di lettere (in buona parte trasmesse anche dagli altri tre codici sopra citati: J, B e C), le quali, almeno per il momento, restano ignote perché del tutto inedite.

Sulla base di quanto detto, è evidente che nel caso di Pietro da Prezza l’assenza di uno studio critico accurato e complessivo della tradizione manoscritta abbia avuto delle ripercussioni non solo sul piano testuale (ancora nel caso dell’Adhortatio, per fare

un esempio, la pur meritoria edizione di Schmincke è in buona parte da rivedere), ma anche nella definizione stessa di un corpus

di opere del retore: accanto al problema delle epistole inedite per-mane infatti – soprattutto per alcuni testi importanti, come il già citato Manifesto di Manfredi – la spinosa questione attributiva, che era stata affrontata in passato dallo stesso Müller, e più re-centemente ripresa, in termini differenti, da Benoît Grévin19.

16 Le opere di Pietro da Prezza, nel manoscritto di Lipsia, si trovano

alle cc. 50v-84r, sotto l’intitolazione «Petri de Precio».

17 L’edizione critica di tutte le opere di Pietro da Prezza è oggetto della

mia tesi di dottorato, alla quale sto lavorando sotto la supervisione del prof. Fulvio Delle Donne.

18 E. Müller, Peter von Prezza, ein Publizist der Zeit des Interregnums,

Hei-delberg 1913.

19 Müller, Peter von Prezza cit., passim, e B. Grévin, Le Manifeste aux Ro-mains et la culture rhétorique à la cour de Manfred. Une note historiographico-philolo-gique, «Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge», 124/2

(2012), pp. 587-600. Per le edizioni del Manifesto di Manfredi cfr. invece C. Carbonetti Vendittelli, Bonconte Monaldeschi senatore di Roma, Manfredi ed

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192 Martina Pavoni

Tornando a quanto accennato in apertura, le 19 epistole edite da Müller costituiscono, oltre che testi letterari di altissimo va-lore, la principale fonte di informazioni sull’attività di Pietro da Prezza negli anni ’47 e ’48 del Duecento. Da esse apprendiamo che il retore si trovava a Parma nei mesi dell’assedio e, soprat-tutto, che era stato fatto prigioniero, verosimilmente in seguito alla conquista di Vittoria da parte dei Parmensi; da una lettera, in particolare (Müller, Peter von Prezza, n. 2), apprendiamo che suo

padre, dopo essersi recato in carcere per offrirsi come prigioniero al posto del figlio, era morto dopo sette giorni di malattia20, men-tre ancora in un’altra Pietro chiede informazioni di suo fratello – del quale conosciamo solo l’iniziale del nome – perché teme che possa essere morto (Müller, Peter von Prezza, n. 5)21. Sul periodo Eugenio Duprè Theseider, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il

Me-dio Evo», 115 (2013), pp. 253-286, cui va aggiunta l’edizione curata da C. Friedl, Die Urkunden Manfreds, MGH, Die Urkunden der deutschen Könige und Kaiser, XVII, Harrassowitz 2013, pp. 341-352. Il testo è stato recentemente

ripubblicato all’interno dell’edizione critica del codice Fitalia, curata da P. Colletta, F. Delle Donne e B. Grévin, attualmente in corso di stampa per l’Edizione nazionale dei testi mediolatini d’Italia (SISMEL – Edizioni del Galluzzo).

20 Müller, Peter von Prezza cit., p. 114: «Credebam enim de maris medio

me nuper ad litora pervenisse, ubi Parmam venerat meus genitor in car-cere loco filii permansurus, sed repente consurgens spiritus procellarum me subito reduxit ad pelagus et absorbuit in profundum [...]. Sevit in meam perniciem rabiose fortune tyrannides [...] dum idem pater meus, per fata voti sui proposito non perfecto, duram et diram egritudinem septem dierum passus – horresco referens! –, sicut Domino placuit, ad Dominum expiravit» («Credevo, infatti, di essere finalmente approdato dal mare aperto sulla terraferma, quando mio padre giunse a Parma per stare in carcere al posto del figlio. Ma improvvisamente il turbine violento della tempesta mi riportò presto a largo e mi risucchiò in profondità. [...]. La tirannia della fortuna rabbiosa si abbatteva contro di me per distruggermi [...] perché mio padre, che per volontà del destino non era riuscito a por-tare a compimento il suo proposito, dopo aver sopportato per sette giorni una implacabile e orrenda malattia – rabbrividisco mentre lo dico! – morì, per volontà del Signore»).

21 Müller, Peter von Prezza cit., p. 119: «Usque quo, domine, meum

ani-mum suspendetis, usque quo placebit vobis anxietas mei spiritus et cor-poris cruciatus? Et de N. fratre meo, pridem ad curiam veniente, utrum mortuus sit vel vivus, meam latere notitiam vestra dominatio patietur?» («Fino a quando, signore, terrete in sospeso il mio animo? Fino a quando

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 193

della prigionia, del quale ignoriamo la durata, possiamo però ri-cavare ulteriori informazioni dalle 22 lettere inedite sopra citate22: in alcune di esse Pietro parla infatti di uno scambio di ostaggi, e incalza un ignoto dominus affinché acceleri le ‘pratiche’ per il suo

rilascio23; in altre, lamentando le disumane condizioni del carcere «ubi vivit iam mortuus et moritur adhuc vivus», implora alcuni amici perché gli spediscano dei soldi, gli stessi amici che, altrove, vengono biasimati per averlo abbandonato nel momento di mas-simo bisogno24. Tuttavia, la vera ricchezza di queste lettere si an-nida non tanto nelle informazioni che riusciamo a ricavarne (tutto sommato poche), bensì nella riflessione del loro autore – ispirata dalla reclusione, dal dolore, dalla povertà – intorno a temi ampi e importanti: la fortuna e i suoi voltafaccia, l’importanza dello studio, il valore dell’amicizia.

La lamentatio di Pietro, che dal sepulchrum carceris25 piange quella sorte avversa che «multos enim degradat gradibus ab excelsis»26 mentre ricerca un lenimento per la sua anima, è situazione ben nota e letterariamente codificata, che reca l’eco nitida della più celebre consolazione della letteratura latina – che certamente il

godrete dell’irrequietezza del mio spirito e del mio corpo martoriato? E riguardo a mio fratello N., che in precedenza era giunto nella curia, la vo-stra autorità sopporterà che io non sappia se è vivo oppure è morto?»).

22 Trattandosi di lettere ancora inedite, soltanto indicizzate per incipit

da Schaller (in Schaller, Handschriftenverzeichnis cit., pp. 146-147), da qui in

poi vi si farà riferimento con il numero a esse attribuito dallo studioso.

23 Fra le lettere edite da Müller, solo nella n. 5 si accenna a uno

scam-bio di ostaggi. L’argomento si ritrova con molta più frequenza fra le lettere inedite (es. Schaller, Handschriftenverzeichnis cit., nn. 116, 97, 127). In una di

queste, la n. 116, Pietro allude infatti alla costanza con cui torna a chiedere, senza timidezza, che lo scambio tanto agognato vada in porto: «Abiecto rubore, cum audaces fortuna iuvat, crebris litteris nostrum negotium ve-stris audeo sensibus innovare».

24 Le lettere inedite trattano ampiamente il tema dell’amicizia (es.

Schaller, Handschriftenverzeichnis cit., nn. 94 e 113), che viene spesso messo

in relazione con il problema del prestito e della spedizione di denaro: è fatto scontato che in una situazione come quella in cui Pietro versava il carcerato facesse grande affidamento, per la sua salvezza, sulla generosità dei sodales.

25 «In sepulchro carceris et articulo paupertatis»: Schaller, Handschrif-tenverzeichnis cit., n. 104.

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194 Martina Pavoni

retore doveva conoscere molto bene –27 legata al nome di Seve-rino Boezio. Accusato di alto tradimento da Teodorico, del quale era stato fedelissimo collaboratore, e imprigionato a Pavia in at-tesa della condanna capitale, Boezio, nell’autunno del 525, scrive la Consolatio Philosophiae: nella forma di un dialogo fra sé e la

Fi-losofia, l’autore assume quest’ultima come guida suprema in grado di condurre il suo animo da una condizione di confusione e dolore verso la serenità della saggezza. Ed è proprio la Filoso-fia, in apertura, a scacciare le Muse che si accalcano intorno al letto del poeta: «Quis, inquit, has scenicas meretriculas ad hunc aegrum permisit accedere, quae dolores eius non modo nullis re-medii foverent, verum dulcibus insuper alerent venenis?» («Chi ha permesso a queste sgualdrine, a queste attrici da circo di avvi-cinarsi a un malato? Non curano i dolori, ma li alimentano con la loro velenosa dolcezza»)28. Nel libro II, la Filosofia si rivolge invece a Boezio con le parole che pronuncerebbe la Fortuna. A quest’ultima, che ribadisce il suo diritto di elargire doni con ge-nerosità e poi di ritrarre la mano, di girare rallegrandosi di «por-tare in alto chi sta in basso, e in basso chi sta in alto» («infima summis, summa infimis mutare gaudemus»), Boezio risponde (II, pr. 3, 2):

Speciosa quidem ista sunt, inquam, oblitaque rhetoricae ac musicae melle dulcedinis tum tantum cum audiuntur oblectant, sed miseris malorum altior sensus est; itaque cum haec auribus insonare desie-rint insitus animum maeror praegravat.

Belle parole, non c’è che dire! Con il miele della retorica, con la soavità della musica che le abbelliscono. Riescono a persuadere, mentre le ascolti. Ma pur-troppo, il dolore di chi soffre è più profondo. E così, appena hanno smesso di risuonare nelle orecchie, l’animo è tornato come prima. Desolato.

27 La Consolatio Philosophiae, infatti, entrò a far parte ben presto del

ca-none scolastico: sulla fortuna dell’opera nel corso del Medioevo e del Ri-nascimento, cfr. almeno R. Black, Humanism and education in Medieval and Renaissance Italy, Cambridge 2001, passim (il qualche osserva come

«Boe-thius’s Consolation became the single most popular piece of school lite-rature in the Italian Trecento»: p. 224), e R. Black, G. Pomaro, La ‘Conso-lazione della filosofia’ nel Medioevo e nel Rinascimento, Firenze 2000. Sullo stesso

argomento cfr. anche P. Courcelle, La Consolation de philosophie dans la tra-dition littéraire, Paris 1967.

28 Per il testo e la traduzione è stato usato Boezio, La consolazione della Filosofia, cur. F. Troncarelli, Milano 2019, pp. 228-229.

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 195

A queste parole, ribatte nuovamente la Filosofia (II, pr. 3, 3):

«Ita est, inquit; haec enim nondum morbi tui remedia, sed adhuc contumacis adversum curationem doloris fomenta quaedam sunt. Nam quae in profundum sese penetrent cum tempestivum fuerit admovebo».

«È così.» – disse – «Questi non sono ancora i veri rimedi del tuo male. Sono solo un calmante per alleviare un dolore troppo forte per sopportare un’autentica cura. Al momento opportuno ti darò i farmaci che penetrano a fondo. Se per Boezio, dunque, la retorica è un miele che può addol-cire le pene ma non guarire l’anima in profondità, se le Muse sono scenicae meretriculae che alimentano, con le loro effimere

dol-cezze, il dolore del malato, in una simile condizione di reclusione Pietro afferma, invece, di preferire la salubre medicina della «di-lettosa Retorica», che si muove per «ameni campi e prati fioriti», e in due lettere piuttosto note (Müller, Peter von Prezza, nn.

13-14)29 chiede, come consolatio per la sua anima afflitta, di poter leg-gere le grandi opere dei classici:

(Ep. XIII). Ut igitur ab inundationibus instantium erumnarum queam distrahere commodius intellectum et mentem meam, curis incurrentibus obicem interponere presertim alicuius recreabilis lec-tionis, vestram discretionem, cui me totum precordialiter offero in anima, carne, ossibus et medullis ad omne vestrum servitium et honorem, rogo propensius, quoad possum, quod librum Titi Livii, si forsan habetis eum, vel alias historias Romanorum, quas pro certo comperi vos habere, mihi per dies aliquot hilariter commo-detis [...]30.

Per poter più opportunamente strappare mente e intelletto allo straripare delle incombenti preoccupazioni e soprattutto per porre agli affanni che mi assalgono l’argine di qualche lettura capace di ritemprare la mente, prego di cuore, per quanto posso, la vostra discrezione, al cui completo servizio offro affettuosa-mente tutto me stesso in anima, carne, ossa e midolla, che di buon grado mi

29 Sulle lettere nn. 13 e 14 cfr. G.C. Alessio, C. Villa, Il nuovo fascino degli autori antichi tra i secoli XII e XIV, in Lo spazio letterario di Roma antica,

III: La ricezione del testo, cur. G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Roma 1990,

pp. 473-511; M. Bertè, M. Petoletti, La filologia medievale e umanistica,

Bolo-gna 2017, pp. 185-187; C. Villa, Trittico per Federico II «Immutator mundi»,

«Aevum», 71/2 (1997), pp. 330-358: 334-335.

30 Il testo dell’epistola è quello edito da Müller, Peter von Prezza cit., p.

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imprestiate con piacere per alcuni giorni un libro di Tito Livio, se per caso lo avete, o altre storie degli antichi Romani, che per certo so che possedete […]. (Ep. XIV). Verum quia nequeo sine gratie vestre subsidio ducere cenam istam, paternitatem vestram rogo precordialiter, quoad pos-sum, immo precordialius plus quam possim, quatenus Isidorum de synonimis et ethymologiis, Tullium, Senecam, quos in vestro monaste-rio pro certo comperi reperiri, vel aliquos etiam libros, alios ex illis precipue qui suis in tractatibus per agros amenos et prata florentia delectantis rhetorice spatiantur, mihi benigne dignemini commo-dare, pro certo scituri, si essent aurei vel inestimabiliter pretiosi, iuxta vestrum beneplacitum, salvi fient31.

Ma poiché non posso imbandire questa cena senza l’aiuto della vostra grazia, prego di cuore la paternità vostra, fin dove posso, e perfino più di cuore di quanto posso, di voler benignamente offrirmi in prestito i Sinonimi e le Eti-mologie di Isidoro, Tullio, Seneca, che con sicurezza so che si trovano nel vostro monastero, o anche qualche altro libro, soprattutto di quegli autori che nelle loro opere spaziano nei campi ameni e nei fioriti prati della dilettosa retorica; e sappiate per certo che resteranno intatti, secondo il vostro volere, come fossero d’oro o di inestimabile valore.

Le due epistole, indirizzate a un anonimo abate non meglio identificato32, sono una testimonianza preziosa non solo per comprendere le condizioni in cui effettivamente versava Pietro durante la sua reclusione – che forse non doveva essere così dura come lui ce la descrive, se effettivamente aveva la facoltà di chie-dere in prestito dei libri33 –, ma anche e soprattutto perché ci

31 Müller, Peter von Prezza cit., p. 135.

32 Non è certo, in realtà, che si tratti del medesimo destinatario. 33 Altrove, la sua reclusione ci viene infatti descritta in termini molto

crudi: isolamento, povertà estrema, un ‘inferno in terra’ fatto di freddo, fame, dolore e catene (es. Müller, Peter von Prezza cit., n. 3: «Vere quidem

infernus est iste, quo nullus atrocior, et ubi ferro, peste, fame, vinculis, algore, calore ac aliis multis martiriis cruciamur»). È però verosimile che questa caratterizzazione del carcere rispondesse, almeno in parte, a certi

topoi letterari: ad esempio, un passaggio della lettera n. 12 edita da Müller,

che descrive Pietro come un novello Lazzaro, ‘resuscitato’, già maleodo-rante, grazie alla mirifica dextra di un amico dal carcere dove si trovava, con

le mani e i piedi legati («ad portum salubrem reduxistis alium Lazarum ferro manus pedes, que ligatum et in monumento carceris iam fetentem vestra mirifica dextra suscitavit et eum mundo reddidit redivivum»), è una chiara citazione biblica (Ioh. XI, 17), ripresa, in una forma molto simile a

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 197

informano della circolazione di autori classici (Cicerone, Seneca, Livio, le Historiae Romanorum)34 durante un secolo, il Duecento, «che in genere viene considerato [...] un po’ refrattario alla lettura degli antichi e maggiormente disposto a ricorrere alle grandi en-ciclopedie»35.

Si è già detto del dialogo che Boezio, nel II libro della Conso-latio, inscena fra sé e la Fortuna, esponendo dell’uno e dell’altra

le rispettive ragioni. Alla luce di questa – seppur lontana – affinità di contesti, sarà interessante notare come una situazione simile si riscontri anche in tre lettere di Pietro da Prezza: nella prima, pub-blicata da Müller (Müller, Peter von Prezza, n. 8), il retore si rivolge

direttamente alla fortuna implorandola di invertire la sua rotta e risollevarlo, così, dalla miseria in cui l’ha fatto precipitare; le altre due epistole, trasmesse da tutti i quattro principali manoscritti sopra citati (L, J, B e C), sono invece ancora inedite36: nella prima, l’allievo chiede al maestro che gli insegni ad aggirare i rovesci della fortuna; a questa richiesta segue, puntuale, la risposta del

magister. Se la prima delle tre epistole citate, la n. 8, risulta

interes-sante ai nostri occhi per la dettagliata caratterizzazione della for-tuna, che affonda le sue radici nell’antica e tradizionale immagine, anche boeziana, della ruota (allegoria del suo costante e inarre-stabile movimento ascensionale e discensionale: onori e miseria, gioia e lutto)37, le altre due possono, a mio avviso, essere messe

quella usata da Pietro, da vari autori medievali (es. Beda, Homiliae, 94,

0311D: «Nam ad hoc intimandum resuscitavit Lazarum quatuor dies in monumento habentem, et, sorore attestante, iam fetentem»).

34 Il monastero presso il quale dovevano trovarsi i classici richiesti da

Pietro è stato localizzato presumibilmente a Verona: «Qui sarebbe facile indicare che fra la Capitale e il monastero vallombrosiano della SS. Trinità – centri, a quanto pare, produttori e perfino esportatori di codici – si tro-vava proprio ciò che Pietro da Prezza voleva nel suo carcere» (Alessio, Villa, Il nuovo fascino cit., p. 502). Sullo stesso argomento è tornata ancora

Villa, Trittico per Federico II cit., pp. 335-336.

35 Bertè, Petoletti, La filologia medievale cit., p. 186. 36 Schaller, Handschriftenverzeichnis cit., nn. 85-86.

37 Sull’antico e fortunatissimo tema della rota fortunae cfr. C. Frugoni, «Fortuna Tancredi». Temi e immagini di polemica antinormanna in Pietro da Eboli,

in Studi su Pietro da Eboli, Roma 1978, pp. 147-166: part. pp. 156 ss. Sullo

stesso argomento si veda anche M. Giovini, Dalla rota fortunae (o Ixionis) alla rota Veneris di Boncompagno da Signa: appunti preliminari sul “manuale del seduttore epistolografico”, «Maia», 58/1 (2006), pp. 75-90.

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198 Martina Pavoni

in relazione più pertinentemente con l’exemplum della Consolatio Philosophiae. La richiesta dell’allievo di essere istruito sui modi per

contrastare i voltafaccia della fortuna e la risposta del maestro riproducono, infatti, la stessa dialettica del dialogo che si instaura fra Boezio (da identificarsi, nel nostro caso, con il discipulus) e la

Filosofia (nella responsiva di Pietro, il magister). Come il senatore

romano lamentava la sua precipitosa caduta nell’abisso della mi-seria, mentre ricordava con dolorosa nostalgia il tempo in cui la fortuna gli sorrideva ricoprendolo di ricchezze e onori, allo stesso modo, nella lettera del retore filo-svevo il discipulus pone

l’accento sulle conseguenze dei repentini voltafaccia della sorte, la quale «multos in superlativo statu depositos in stratum ponit humilis positivi38, multos honorum et dignitatis purpura trabea-tos repente dedecoris et ignominie saccum vestit, multrabea-tos in pro-fundo divitiarum torrente natantes subito figit interdum in limo sterilis paupertatis» («molti, da uno stato superlativo, abbassa allo strato dell’umile positivo; molti, vestiti con la porpora degli onori e della dignità, ricopre con il sacco del disonore; molti, che prima nuotavano nel torrente profondo della ricchezza, all’improvviso depone in una melma di sterile povertà»). Ma ciò che più inte-ressa è la risposta del magister (della quale si riporta qui di seguito

un excerptum), le cui argomentazioni, sviluppate in apertura,

rie-cheggiano le parole intrise di stoicismo con cui la Filosofia, nel libro II della Consolatio, invitava l’uomo a farsi scudo contro le

avversità della sorte del proprio animo, fortificato con le mura della virtù:

MAGISTER: [...] tali consilio dirige viam tuam, quod magnanimitatis

fulciens robore temetipsum accedere debeas ad cor altum, ut ante te frangas opposita queque tibi, contrarios casus superes et nullis turbationibus inrueris, sed in arcem virtutum potius cum tuis

co-38 L’espressione si ritrova in una forma assai simile in una lettera, forse

del 1240, del maestro Terrisio di Atina, indirizzata agli studenti e maestri di grammatica a Bologna: «magister Bene, qui non ab infimo positivi, sed a superlativi nomine meruit derivari», edita in F. Delle Donne, Per scien-tiarum haustum et seminarium doctrinarum. Edizione e studio dei documenti relativi allo Studium di Napoli in età sveva, «Bullettino dell’Istituto storico

ita-liano per il Medio Evo», 111 (2009), pp. 101-225 (edizione ripubblicata anche nel volume dello stesso, «Per scientiarum haustum et seminarium doctri-narum». Storia dello Studium di Napoli in età sveva, Bari 2010).

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 199

piis te receptas, quarum propugnaculis vite statum ab ipsius

vio-lentis insultibus tuearis eiusque spinas et tribulos, quos tibi pro-terva paraverit, calcare valeas pedibus in offensis.

MAESTRO: [...] con questo consiglio indirizza la tua strada: cercando sostegno

nella forza della magnanimità, avvicinati alle profondità del cuore, perché tu possa spezzare gli ostacoli che ti si porranno innanzi, superare le avversità e non essere sopraffatto da alcun turbamento. Ritirati, piuttosto, insieme con le tue truppe sulla rocca delle virtù, grazie alla cui difesa tu possa proteggere la tua vita dai suoi stessi violenti attacchi, e sia in grado, nelle offese, di calpestare con i tuoi piedi le spine e i triboli che essa sfrontatamente ti metterà davanti. Tuttavia, all’arx virtutum di cui ci parla Pietro non si accede,

come suggerisce invece Boezio, per mezzo della Filosofia, bensì attraverso le arti liberali, fondamentali affinché l’uomo si eman-cipi dal giogo della fortuna:

MAGISTER:Oportet ergo te primum animi vas implere liberalium

artium – que vite magistre sunt – honestissimis disciplinis, quibus sic te precordialiter totum devoveas et assignes, ut earum studio lucreris scientiam, scientia pervenias ad virtutes, virtutibus ab ipsius fortune iugo liberius eruaris.

MAESTRO: Bisogna, dunque, che per prima cosa tu riempia il vaso della tua

anima con le nobilissime discipline delle arti liberali, che sono maestre di vita; a queste consacrati e dedicati con tutto il tuo cuore, così da guadagnare per mezzo del loro studio la conoscenza, per mezzo della conoscenza giungere alle virtù, per mezzo delle virtù liberarti dal giogo della stessa fortuna.

Boezio fu ucciso a Pavia, probabilmente dopo essere stato torturato, fra la primavera e l’estate del 526; Pietro non solo fu rilasciato dal carcere di Parma dove era rinchiuso, ma riuscì a fug-gire anche in seguito alla morte di Corradino, dopo aver soste-nuto sino alla fine la causa sveva.

Poco più di un pretesto per portare l’attenzione su un autore la cui produzione letteraria andrebbe valorizzata, il confronto, largo, qui accennato con alcuni passi dell’opera boeziana sembra tuttavia incoraggiare una possibile lettura delle stesse lettere di Pietro come consolatio, come ricerca, nell’uso sapiente della

pa-rola, di un lenimento per l’anima trafitta dal «gladius bis acutus» della sorte39. E così come la rhetorica, della quale le opere degli antichi sono sazie, apre spiragli di «campi ameni e prati in fiore» 39 «Meam perforavit animam gladius bis acutus»: Schaller, Handschrif-tenverzeichnis cit., n. 94.

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200 Martina Pavoni

persino fra le mura di un carcere, anche la lettera di un amico, retoricamente ornata, può essere solacium, evasione e sollievo

dalla disperazione, come Pietro scriverà a un ignoto destinatario dal carcere di Parma dove si trovava rinchiuso40:

Fecunda sententiis et facunda verbis41 multoque festiva decore,

lit-tera vestra nuper intravit ad mei carceris laberinthum magnum, mihi inter angustias solacium prestitura.

Feconda di concetti, faconda di parole e molto piacevole nella forma, la vostra lettera ha da poco fatto ingresso nel grande labirinto del mio carcere, pronta a portarmi consolazione in mezzo alle angustie.

Retorica, dunque, e consolazione. La lettera infatti, benché priva di riferimenti specifici, si presenta come un elogio che Pie-tro rivolge al suo anonimo interlocutore, del quale vengono pa-rimenti celebrate la sapientia e la sopraffina abilità retorica; qualità,

queste ultime, che fra i rhetores di età sveva trovarono la loro più

alta applicazione in quei ‘certami’ epistolari, di natura privata, nei quali alcuni celebri dictatores legati alla corte di Federico II

cerca-vano svago e sollievo dalle incombenze del loro lavoro: Pier della Vigna e Nicola da Rocca, ad esempio, sono gli illustri protagoni-sti di un affilato ‘duello epistolare’ di otto lettere, combattuto a suon di virtuosismi e spericolatezze retoriche e sintattiche, con l’obiettivo di dare prova della loro inventiva retorica – oltre che per tenersi in esercizio42. D’altronde, come spiega Fulvio Delle Donne, «la perizia retorica [...] garantiva non solo l’accesso a una stimata professione, ma anche la celebrazione letteraria»43; lo stesso concetto di nobilitas, come è stato più volte sottolineato44, conosce con la monarchia sveva una radicale trasformazione: il passaggio cruciale dalla definizione di una ‘nobiltà di sangue’ a una ‘di spirito’ segnò, contestualmente, anche una limitazione dei

40 Müller, Peter von Prezza cit., n. 7, p. 122.

41 Cfr. Schminckius, Adhortatio cit., cap. VII, p. 4: «Accipiatis gratanter

igitur [...] presens opusculum, quod Petrus de Precio, quamvis facundis verbis non conditum et fecundis sententiis non conditum [...]».

42 Cfr. F. Delle Donne, La porta del sapere. Cultura alla corte di Federcio II di Svevia, Roma 2019, pp. 51-52, e Nicola da Rocca, Epistolae, ed. F. Delle Donne,

Firenze 2003 (ENTMI, 9), partic. i documenti nn. 16-23 (pp. 34-42).

43 Delle Donne, La porta del sapere cit., p. 51.

44 Sul concetto di nobilitas in età sveva cfr. almeno Delle Donne, La porta del sapere cit., pp. 204-208, e ancora F. Delle Donne, Una disputa sulla nobiltà alla corte di Federico II di Svevia, «Medioevo Romanzo», 23 (1999), pp. 3-20.

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Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro da Prezza 201

privilegi dell’alta aristocrazia, favorendo «la costituzione di un ceto amministrativo competente, non più proveniente dall’alta nobiltà»45. La medesima idea di una nobilitas raggiunta attraverso

virtutes che si conquistano per mezzo del sapere ritorna con

signi-ficativa frequenza anche nelle epistole di Pietro, il quale, in una lettera indirizzata al fratello perché si concentri sugli studi, scan-disce i momenti di quel percorso ascensionale che dai libri con-duce alle ricchezze, passando attraverso la fama e gli onori: «Que-ras in mora scientiam, ut in scientia captes famam, in fama alios prevenias ad honorem, in honore divitias consequaris»46. La

scien-tia, «gradaria ad virtutes», arricchisce l’uomo e lo nobilita, mentre

permette al povero di stare in mezzo ai principi e di ascendere alle più alte cariche, come il retore tornerà a sostenere in un’altra lettera, di nuovo un’appassionatissima esortazione a non trascu-rare gli studi47:

Hec est enim illa scientia que sensus trahit et cumulat in subiecto: hec est illa scientia que ditat hominem et suum nobilitat possesso-rem; hec est illa scientia que suscitans a terra inopem et de stercore erigens pauperem cum principibus eum locat, eundem promovens ad honores dignos et honorabiles dignitates.

Questo è infatti quel sapere che trascina i sensi e li assoggetta; quel sapere che arricchisce l’uomo e nobilita chi lo possiede; quel sapere che, sollevando da terra il debole e togliendo il povero dallo sterco, lo mette in mezzo ai principi, promuovendolo a degni onori e onorabili dignità.

È verosimile, in conclusione, che Pietro da Prezza, il quale di certo aveva ben presente il capolavoro boeziano, abbia voluto per certi aspetti riproporne il fortunato modello, rinnovandolo

45 Delle Donne, La porta del sapere cit., p. 204. 46 Müller, Peter von Prezza cit., n. 15, p. 136.

47 Müller, Peter von Prezza cit., n. 16, p. 137. Cfr. Psalm. 112.6: «Suscitans

a terra inopem, et de stercore erigens pauperem, ut collocet eum cum prin-cipibus». Il passo richiama molto da vicino un passaggio della lettera con cui Manfredi, forse nel 1259, invitava gli studenti a frequentare lo Studium

di Napoli, così che conseguissero sapienza, onori e cariche pubbliche: «Hec est autem illa scientia, que diligentibus eam thesauros aperit et ad divitias pontem facit. Hec est illa scientia, que scalas erigit ad honores et gradaria construit ad fastigia dignitatum. Hec est illa scientia, que suscitans a terra inopem et erigens de stercore pauperem cum principibus eum lo-cat», edita criticamente in Delle Donne, «Per scientiarum haustum» cit., pp.

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202 Martina Pavoni

però profondamente e adeguandolo alla cultura dell’epoca:48 il prosimetro cede così il posto all’epistola, egemonica forma lette-raria di quel periodo, mentre il dialogo con la Fortuna, nelle pre-messe simile a quello che leggiamo nell’opera di Boezio, trova

uno sbocco diverso nell’esaltazione della rhetorica, che è insieme

garanzia di onori e successo nella buona sorte e consolazione in quella avversa.

48 Del resto, la conoscenza dell’opera di Boezio da parte di Pietro è

confermata da limpide riprese testuali. Si citerà qui, solo a titolo di esem-pio, un passo dell’epistola n. 1 edita da Müller (Müller, Peter von Prezza cit.,

pp. 112-113): «O prava mors, impia mors, maledicta mors, cur nos invitos in vita relinquis et flentes oculos claudere seva negas», ripreso alla lettera da Boeth. Cons. I, I 15-6: «[mors] quam surda miseros avertitur aure / et

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