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(1)

SPAZIO APERTO

Sonnambula (

)

Sleepwalker

Cristina Sbarra (∗∗)

ISS Valle, Via T. Minio 13, 35134, Padova, Italy

“Qui veramente prevedo che molti saranno assaliti da grande incertezza, e

impigliati in cos`ı grave difficolt`a, da esser costretti a revocare in dubbio una conclusione gi`a spiegata e da tante apparenze confermata.”

[Galileo Galilei, Sidereus Nuncius]

Maristella non voleva andare a letto, proprio non c’era verso di mandarla a dormire come gli altri ragazzini della sua et`a. Aveva 12 anni ed era quasi una signorina, dunque spesso le toccava di aiutare la mamma a lavorare dal fornaio, tanta era la sua voglia di stare sveglia, appena sentiva dei rumori a casa, durante le prime ore dell’alba. Sua madre se ne approfittava un po’ e, dato che la ragazzina non voleva riaddormentarsi, se la portava dietro facendosi aiutare con le ceste, che le servivano poi per distribuire quel pane ai propri clienti. A dire il vero la mamma se la portava dietro anche per avere un po’ di compagnia, lei era una donna che soffriva la solitudine mentre sua figlia era venuta su allegra: una curiosa e piacevole chiacchierona.

Per`o Maristella preferiva andare con suo padre. Era per quello che si destava alle prime ore notturne, appena sentiva un minimo rumore. Suo padre Cosimo, qualche notte, con suo grande piacere, andava ad aiutare il professor Galileo Galilei. Lo aiutava durante le sue osservazioni con il cannocchiale, strumento da questi inventato (1) e che in molti studiosi gli invidiavano. Il padre lo aveva aiutato spesso a pulire e lubrificare in modo opportuno questo cannocchiale, e sapeva farlo anche in modo abile e veloce. Cosimo era un meccanico e possedeva una officina di riparazioni per vari strumenti. Alla sua bottega si rivolgevano contadini e calzolai, vetrai e gioiellieri. Lui riusciva ad accontentare tutti, con la sua inventiva e la sua audacia (se non possedeva gli strumenti necessari al lavoro, se li inventava e se li costruiva).

Galileo in quei giorni l’aveva cercato e gli aveva chiesto una mano. Di notte, il professore non aveva tempo per stare dietro agli strumenti, se qualcosa si inceppava. Infatti i pianeti andavano veloci e col cannocchiale bisognava sempre inseguirli.

(∗) Riprodotto con permesso dal libro dello stesso autore Un salto nel blu (Piazza editore) 2016. (∗∗) E-mail: cristina.sbarra@gmail.com

(2)

Il fatto `e che, alle volte, questo mirabile strumento poteva aver bisogno di un’oleatura in pi`u, proprio in certi suoi delicati ingranaggi.

C’era sempre qualcuno dei suoi studenti ad aiutarlo, solitamente, anche se nessuno di questi era un meccanico di professione. Anzi, alle volte, lui stesso aveva paura che i suoi “baldi giovani” potessero combinare qualche guaio . . . tanto che, alla fine, solo lui metteva le mani sull’apparecchio. Tuttavia in quei giorni l`ı non c’era nessuno dei suoi studenti. Ma c’era Giove da osservare con attenzione, per almeno una settimana. Bisognava guardare nel cannocchiale senza stanchezza e riprodurre poi con dei nitidi disegni le immagini viste. Ci voleva una attenzione visiva e mentale, e una velocit`a e accuratezza nel disegnare non indifferenti. Galileo voleva pensare solo a questo, non poteva perdere tempo a fare il meccanico, anche se ci`o gli sarebbe anche piaciuto, ma tutta la sua concentrazione era rivolta nel portare avanti la procedura, scandendo i passaggi e muovendo il telescopio dietro al pianeta che correva, e quindi disegnando con arte e velocit`a ci`o che aveva visto.

Non era come con le stelle fisse, infatti, con le quali ti potevi rilassare perch´e erano sempre l`ı, ferme dove le puntavi, e cos`ı te le vedevi con discreta calma lasciando anche fermo il cannocchiale.

Con Giove c’era frenesia, ci voleva sangue freddo e rapidit`a. E lui non voleva essere da solo.

Cosimo e Maristella entrarono da Galileo, che aveva aperto personalmente la porta del chiostro del convento di S. Anna (2

), da dove faceva le osservazioni.

Professore c’`e con me mia figlia Maristella, disse entrando il meccanico, che continu`o:

Non riusciva a dormire dall’eccitazione per venire ad aiutarmi.

Cosimo avvert`ı nello sguardo di Galileo una certa inquietudine, un certo imbarazzo.

Le piacciono le stelle, sa? Aggiunse di fretta. Ma sa stare al suo posto, sa darsi da fare, in silenzio.

Lo scienziato si ferm`o per un istante, meditabondo, con gli occhi su di lei. Andiamo, su’, venite. Disse infine. Galileo non voleva perdere tempo e neanche si degn`o di rispondere all’uomo.

Era il 17 Gennaio, nell’anno 1613. Mentre salivano le scale che li avrebbero portati in osservatorio, Galileo borbottava tra s´e:

Tutti in vacanza sono questi baldi studenti. Chi al matrimonio della sorella a Fiesole, chi a casa a riposare perch´e stanco . . . . Bella giovent`u ho trovato in toscana! Disse sconsolato.

Era meglio se me ne restavo a Padova, l`ı s`ı che sono pi`u seri. Aggiunse con rabbia, anche perch´e non amava parlare male dei toscani come lui.

Si stavano inoltrando su per il tetto. Per fortuna non era freddo, ma erano belli imbacuccati.

(2) Convento posto nel centro di Pisa. Successivamente sede del collegio omonimo per gli studenti

(3)

Nel mentre Galileo continuava a sfogarsi:

Non ci sono pi`u gli studenti di una volta. Ai miei tempi quello che diceva il professore era sacro!

Arrivarono infine nella soffitta scoperta, che era l’osservatorio di Galileo, e questi accese i lumi, aiutato da Cosimo. Anche Maristella si dette subito da fare ad accendere e a sistemare i vari lumi. Il professore not`o con piacere la sua solerzia ed ebbe un sorriso insperato, verso di lei. Stava forse rilassandosi, all’idea del nuovo, seppur misero e ben poco ortodosso, gruppo di lavoro, che lo avrebbe affiancato in quella notte. Si sent`ı anche incoraggiato ad andare avanti nei suoi ragionamenti canzonatori: D’altra parte cosa potevo sperare . . . uno, il Ciampi, di Livorno e l’altro, il Brunellesco, di Firenze!

La ragazzina vide entrambi gli uomini sorridere, suo padre sotto i baffi. Evidentemente questi discorsi erano divertenti.

Perch´e maestro? Ebbe l’ardire di chiedere.

Il padre si gir`o serio verso di lei, come a rimproverarla perch´e ci aveva messo bocca.

Evidentemente il maestro avr`a i suoi motivi! Le disse perentorio. Ma Galileo, invece, sembrava ben intenzionato a risponderle:

Sei troppo piccina Maristella (ancora sorrideva mentre le parlava) Quando sarai grande capirai!

E quindi si apprest`o a guardare nel suo cannocchiale, puntato verso il cielo. Ormai si era quasi abituato alla pochezza della squadra dei suoi aiutanti, quella notte. Si sfogava parlando come se fossero in osteria. Usava un volgare italiano, che non gli riusciva per niente ameno, a dire il vero.

Lo scienziato cominci`o ad annotare sul suo quaderno, faceva anche degli schizzi, dei disegni di quello che aveva osservato con la sua protesi oculare. Chiss`a se ci si pu`o fidare di quell’arnese, pensava la piccina mentre scrutava con attenzione ogni movimento di Galileo, e ogni appunto da lui scritto.

Mentre il maestro osservava al cannocchiale, infatti, lei amava gironzolare per il tavolo e guardava i disegni che lui faceva. Non sapeva leggere il Latino, ma trovava curioso osservare i puntini schizzati dal maestro, che dovevano corrispondere agli astri visti con lo strumento, pi`u volte oliato e aggiustato da suo padre.

Cosimo mi si `e incastrata questa manopola e non riesco bene a seguire Giove e le sue lune! Imprec`o il fisico ad un certo punto.

Aspetti, non tocchi l`ı, basta girare meglio quest’altra manopola qua, e poi pu`o muovere anche quella. Il padre stava spiegando la procedura migliore per ruotare efficientemente il cannocchiale, perch´e Galileo era cos`ı frenetico nei movimenti, che si inceppava sugli ingranaggi delle carrucole atte a muovere l’oculare dietro all’astro osservato.

Ripreso il corretto inseguimento delle stelle, Galileo si calm`o e stette fermo tutto intento a scrutare il cielo. Ogni tanto, con una mano, schizzava qualcosa su un foglio di brutta, rimanendo incollato al telescopio. Infine, a intervalli regolari, trascriveva gli appunti sul quaderno. Negli schizzi che faceva, c’erano molti disegni, quelli che la ragazzina riusciva a leggere. Ebbe per`o l’accortezza di non interromperlo, quella

(4)

notte, con le sue domande. Aveva capito che il maestro era troppo impegnato in tutte quelle operazioni, che per lui erano cruciali.

Adesso `e scappato del tutto. Disse Galileo alle prime ore dell’alba. Possiamo andare a dormire.

Grazie di avermi aiutato Cosimo.

Era stanco, ma volle aggiungere una frase anche per Maristella.

Grazie anche alla piccina, che ci ha aiutati, e parecchio. Ora finalmente andr`a a nanna, giusto?

S`ı maestro. Rispose lei.

Prima per`o mi potrebbe dire cosa sono queste stelline che ha disegnato qui sul quaderno?

La curiosa non poteva stare zitta.

Va bene, ma poi te ne vai a letto. Promesso?

Maristella sorrise. Galileo non sembrava seccato, con buona pace di Cosimo che era gi`a con gli occhi al cielo.

Vedi, questo pi`u grande `e Giove. Qui accanto ci sono i suoi tre satelliti, che sono come stelline ma girano intorno a lui. Qui invece ci sono due vere stelle fisse, che ho chiamato a e b.

La piccina era con gli occhi che brillavano dalla contentezza per quelle rivelazioni. Per lei, quei disegni erano magici.

Domani vedremo dove si sono spostati i satelliti. Disse infine Galileo, che li riaccompagn`o poi alla porta, da cui ognuno prese la sua strada di casa.

La sera successiva, Cosimo e la moglie stavano cenando, assieme alla loro figlioletta quasi adolescente. L’uomo rimuginava, mentre osservava la figlia.

Vuoi venire anche tu stanotte? Le chiese a bruciapelo.

Come no? Perch´e me lo chiedi, ci aspetta entrambi. Lo sai . . .

Ma io so anche che sei ancora una bambina e non puoi fare sempre tardi! Babbo ti prego, mi piace un sacco stare in osservatorio, mi piace guardare le stelle! Ma Galileo non ti far`a usare il suo cannocchiale, scordatelo.

Non importa, io guardo i disegni. Non ci fu verso di farle cambiare idea.

Maristella stava mettendo a posto le cose nella stanza e indugiava attorno al tavolo di lavoro di Galileo. C’erano i suoi quaderni aperti, con tutte le annotazioni che lui ci aveva fatto durante l’osservazione della notte precedente. C’erano anche i disegni nuovi, di quella notte, del 18 Gennaio.

Lei li scrutava. Riconosceva Giove e i suoi satelliti, che si erano mossi.

Poi guard`o le stelle fisse a e b, che Galileo le aveva indicato la notte precedente. L’istinto di fare una domanda fu pi`u forte di lei:

Maestro, questo puntino qui, che lei ha chiamato b, ieri non era proprio qui, ma un pochino pi`u in l`a. Disse.

Galileo stacc`o gli occhi dal cannocchiale, e poi cominci`o a parlare: Bimba.

La sua voce era squillante. Il padre Cosimo trasal`ı. Lo sapevo che la ficcanaso lo faceva arrabbiare! Pens`o sconsolato.

(5)

Se tu non fossi cos`ı piccina, e femmina (aggiunse il maestro) saresti la mia allieva preferita.

Il padre tir`o un sospiro di sollievo, prima di sentirsi orgoglioso della sua piccola curiosona.

Altro che il Ciampi! (continu`o Galileo, in tono canzonatorio) Stattene a Livorno, vai.

Ca`a ci sei venuto a fare a Pisa a studiare? Meglio lavorare al porto, dammi retta!

Ora il maestro sembrava quasi sollazzato, e rincar`o la dose:

e tu Brunellesco rimani pure dietro a qualche nobildonna a Fiesole, che le stelle ti servano per farle la corte, ora!

Noi qui si becca Giove e i suoi satelliti (3)! Cos`ı dicendo strizz`o l’occhiolino a Maristella, prima di rimetterlo incollato al suo cannocchiale. Da l`ı continu`o a parlare:

Lo so bimba, quel puntino `e strano.

Ora la sua voce, per`o, era seria. Quasi solenne:

Ieri sembrava una stella fissa, oggi invece . . . `e andata un po’ aggiro, diciamo. So che a te piacerebbe di pi`u se fosse una stella fissa, ma . . . forse non lo `e. Concluse (4).

Allora potrebbe esser un altro pianeta? Chiese la piccina.

Galileo la guard`o staccando gli occhi dal cannocchiale. Le rispose dopo un attimo, sembrava come incantato.

Forse davvero questo `e un altro pianeta. Disse infine. Ma non diciamolo alla Madre Chiesa, per ora diciamo solo che `e una stella un po’ bighellona, v`a!

E si rimise intento a guardare nel cannocchiale.

Cosimo ormai era al settimo cielo: sua figlia non solo non aveva fatto arrabbiare Galileo, ma addirittura sembrava essersi guadagnata la sua stima. Per cosa non lo capiva bene, ma l’importante era che il maestro la tollerava quasi con ammirazione e ne sembrava anche divertito. Il padre avrebbe di sicuro guadagnato in notoriet`a, forse l’eminente scienziato li avrebbe richiamati ancora al suo laboratorio.

Alla fine della nottata osservativa, per`o, Galileo li salut`o per l’ultima volta: Domani torneranno i miei baldi studenti. Non avr`o pi`u bisogno di voi, Cosimo. Vi ringrazio. Mi siete stati di grande aiuto.

Ormai Maristella faceva parte del gruppo, era un tutt’uno con suo padre, agli occhi del maestro.

Va bene, come volete maestro. Sempre a disposizione. Disse Cosimo prima di accomiatarsi.

Aspetta, vieni qui. Galileo fece cenno con la mano a Maristella di avvicinarsi. Ecco, metti l’occhio qui dentro, ancora si vede un pochino Giove.

La bimba fu senza parole, ammutolita dall’entusiasmo che provava; si avvicin`o allo strumento quasi con timore religioso: erano due giorni che anelava di toccarlo,

(3) I satelliti di Giove erano gi`a stati scoperti da Galileo nel 1610, a Padova [1].

(4) Era in realt`a il pianeta Nettuno, osservato per la prima volta da Galileo, 234 anni prima

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ora non osava farlo. Nell’oculare, con meraviglia di Maristella, apparve una piccola luna, era quello Giove?

Che bello . . . riusc`ı a dire, in preda all’estasi.

Ferma immobile indugi`o un altro po’ nella sua prima osservazione col cannocchiale. Si stacc`o, dicendo semplicemente:

Grazie Galileo.

Era felice. Si sentiva di aver toccato il cielo con un dito.

Bibliografia

[1] Galileo Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di Andrea Battistini, traduzione di Maria Timpanaro Cardini (Letteratura Universale Marsilio) 1993; ISBN 88-317-5751-2.

[2] E. Miles Standishe Anna M. Nobili, “Galileo’s observations of Neptune”, Baltic Astronomy,

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