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Il ruolo della persona offesa nella valutazione sulla particolare tenuità del fatto

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IL RUOLO DELLA PERSONA OFFESA NELLA VALUTAZIONE SULLA PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO

di Valentina Bonini

(Ricercatore confermato di diritto processuale penale presso l’Università di Pisa)

SOMMARIO: 1. Le diverse articolazioni del ruolo dell’offeso nella valutazione sulla tenuità del

fatto. 1.1. Persona offesa e tenuità del fatto nel processo minorile. 1.2. Persona offesa e tenuità del fatto nella disciplina codicistica. 1.3. Persona offesa e tenuità del fatto nel procedimento davanti al giudice di pace - 2. L’opposizione dell’offeso ex art. 34 co. 3 d. lgs. 274/2000 nell’insegnamento delle sezioni unite. - 3. Poteri dell’offeso ed epiloghi decisori: qualche riflessione.

1. Una recente pronuncia resa a Sezioni unite dalla Corte di cassazione1 offre

interessanti spunti di riflessione in ordine al significato dell’intervento della persona offesa in sede di definizioni “alternative” al tradizionale binomio decisorio innocenza/colpevolezza. Investita del quesito relativo alla possibilità di pronunciare sentenza con cui il giudice di pace proscioglie per particolare tenuità del fatto anche in caso di mancata comparizione in udienza della persona offesa, la Corte analizza sotto più profili la veste della manifestazione di volontà dell’offeso, oltre a soffermarsi, seppure per incidens, sul calibro da riconoscere al ruolo dell’offeso nelle dinamiche definitorie del processo.

Come noto, il legislatore offre ormai più riferimenti normativi espressivi della rinuncia alla risposta sanzionatoria per quelle condotte criminose che presentino caratteri di ridotta offensività. Nel calibrare i connotati sintomatici della particolare tenuità del fatto, talora si conferisce rilievo all’entità del danno e del pericolo e, mediatamente o immediatamente, all’interesse della persona offesa alla prosecuzione della vicenda procedimentale. Si tratta di schemi normativi che con sempre maggiore ricorrenza evidenziano una netta rivalutazione del ruolo della persona offesa all’interno di quei percorsi che portano all’epilogo del processo lungo binari diversi da quelli tradizionalmente improntati all’accertamento dei fatti e delle responsabilità.

L’istituto si inscrive in un chiaro trend legislativo, peraltro sollecitato a più

riprese dalle fonti sovranazionali2, che impone di “fare i conti” con una persona

1Cass. S.U. 27.10.2015 n. 43264, in CEDCass, m. 264547, che ha affermato il seguente principio di

diritto: «Nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto in presenza dei presupposti di cui all’art. 34, comma 1, d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274».

2 Molteplici sono le chiavi di analisi con cui il legislatore sovranazionale si è interessato del ruolo

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offesa, la quale, da comprimario qual era, diventa sempre più protagonista del

processo penale3 secondo schemi per certi versi inusitati, che prescindono dal

conferimento del ruolo tecnico di “parte” ad un soggetto che pur finisce per assumere un peso talora determinante in ordine ai contenuti dell’epilogo decisorio.

Le variabili e le sfumature di cui il legislatore colora la veste assegnata all’offeso si manifestano nella loro ampiezza paradigmatica anche all’interno del microcosmo normativo governante il fenomeno della tenuità offensiva del reato.

1.1. Il legislatore è ricorso a differenti livelli di coinvolgimento della persona offesa, in ragione dei diversi contesti giudiziari nei quali l’istituto della particolare tenuità è stato chiamato ad operare: così, nell’ambito della giustizia minorile, ove la categoria ha trovato iniziale sperimentazione, l’art. 27 d.P.R. 22.9.1988 n. 448 prevede il coinvolgimento dell’offeso (al pari dell’imputato e dell’esercente la potestà genitoriale) per la sola ipotesi in cui l’iter sia innescato nelle indagini preliminari e entro lo schema della mera audizione da parte del giudice investito della domanda di valutare la «irrilevanza del fatto». Insomma, qui il soggetto titolare dell’interesse (lievemente) aggredito dalla condotta di reato trova tutela sotto il profilo del suo diritto ad interloquire e a contraddire in ordine ai profili di tenuità, secondo logiche

partecipative che si risolvono in una forma di contraddittorio argomentativo4: non

poca cosa in un processo, qual è quello a carico di imputati minorenni, ove non è ammessa la costituzione di parte civile e, dunque, la persona offesa che sia pure

danneggiata non potrà mai assumere il ruolo di parte5. Peraltro, l’espressione

vittima nel processo, che ha inaugurato in settori specifici il concetto di vittima vulnerabile (in questa prospettiva si collocano la Convenzione di Lanzarote del 2007, sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, ratificata con l. 1.10.2012 n. 172; la Convenzione di Istanbul del 2011, sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, ratificata con l. 27.6.2013 n. 77; la Direttiva 2011/36/UE per la prevenzione e la tratta di esseri umani, recepita con d. lgs. 4.3.2014 n. 24), concetto che ha trovato generalizzazione nella Direttiva 2012/29/UE, il cui orizzonte più ampio comprende aree di tutela della persona offesa come soggetto del processo, titolare di diritti informativi e diritti partecipativi, oltre che di un diritto alla protezione. A tali profili deve poi aggiungersi l’interesse manifestato, non solo e non tanto nelle logiche deflative della giustizia tradizionale, per gli istituti di restorative justice ed in particolare per la mediazione nel settore penale, già oggetto di attenzione nella Raccomandazione del 15.9.1999 n. 19.

3 Per l’impiego di tali espressioni, ben evocative dei diversi ruoli assegnati ai soggetti del processo

penale, v. M. Chiavario, Diritto processuale penale6, Torino 2015, 210 ss.

4 In questo senso v., ex plurimis, C. Cesari, sub art. 27, in Il processo penale minorile, a cura di G.

Giostra, Milano 2009, 309; L. Pepino, sub art. 27, in Commento al c.p.p. Leggi collegate. Il processo

minorile, a cura di M. Chiavario, Torino 1994, 287.

5 Come noto, l’art. 10 d.P.R. 448/1988 sancisce l’inammissibilità dell’esercizio dell’azione civile nel

processo penale avverso un imputato minorenne, con una previsione che ha superato indenne il vaglio della Corte costituzionale (sentenza 23.12.1997 n. 433) e che trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di limitare il tasso di conflittualità del rito e di ridurre il più possibile la durata del percorso processuale in ossequio al principio di minima lesività del processo minorile, oltre che nella considerazione per cui le ragioni risarcitorie svelano una ridotta, o talora distorta, potenzialità educativa. Non v’è dubbio, peraltro, che tale scelta abbia come sfondo una tendenziale «marginalizzazione dell’offeso» (in questo senso v. P. Bronzo, sub art. 10, in Il processo penale

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normativa («il giudice provvede in camera di consiglio sentiti il minorenne e l’esercente la responsabilità genitoriale, nonché la persona offesa dal reato») è tale da suggerire una doverosità dell’audizione dei soggetti coinvolti, anche se questa doverosità sarà da leggersi in modo sintonico con i diritti partecipativi di ognuno e dunque potrà/dovrà prescindersi dalla loro audizione, se questi, regolarmente convocati, non compaiano. Una volta intervenuta all’udienza, la persona offesa non è qui chiamata a manifestare la propria volontà in materia, essendo la sua convocazione funzionale solo ad integrare il contraddittorio sui requisiti generali

posti a fondamento della valutazione di irrilevanza6.

Decisamente più sfumato è l’apporto dei privati, e tra loro quindi anche dell’offeso, alla decisione circa la particolare tenuità del fatto che il tribunale per i minorenni sia chiamato ad adottare dopo l’esercizio dell’azione penale: l’art. 27 co. 4 d.P.R. 448/1988 sancisce laconicamente che in fase processuale «il giudice pronuncia di ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto», senza

prevedere alcun coinvolgimento né dell’imputato7 né della persona offesa. Il

superiore interesse del minore che, talora con prospettive non del tutto emancipate dall’arcaica visione paternalistica, governa il processo minorile è affidato qui alla valutazione solipsistica ed esclusiva dell’organo giurisdizionale specializzato, il quale sarà chiamato a valutare i contorni oggettivi e soggettivi della tenuità, anche alla luce delle «esigenze educative del minorenne» eventualmente pregiudicate dall’ulteriore corso del procedimento, ma nella totale indifferenza della posizione e degli interessi della persona offesa dal reato, che qui rilevano solo nella misura in cui rispondano

alle esigenze educative del minore di cui è permeato il processo a suo carico8.

funzionale al perseguimento dell’ideale educativo di cui è intriso il processo nei confronti del minorenne.

6 Osserva C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, Torino 2005,

292 s. come «la persona offesa deve essere messa in condizioni di partecipare all’udienza e, ove vi prenda parte, deve essere sentita; il suo parere, tuttavia, non è vincolante, sicché la sua eventuale opposizione non è di ostacolo all’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto […]. Sembra, piuttosto, che l’apporto della vittima serva ad illuminare il giudice sull’effettiva gravità dell’illecito […]; un compito conoscitivo, dunque, più che l’occasione di far valere le proprie ragioni».

7 Il panorama muta, allorché l’epilogo anticipato debba essere pronunciato in udienza preliminare, in

quanto l’art. 32 d.P.R. 448/1988 richiede che prima dell’inizio della discussione l’imputato presti il proprio consenso alla definizione del processo in quella fase, consenso che, legittimando l’impiego degli atti preformati, rappresenta il presupposto necessario per qualsiasi epilogo che presupponga un accertamento dei fatti e della responsabilità, come oramai cristallizzato da diverse pronunce della Corte costituzionale (v. C. cost., 16.5.2002 n. 165; C. cost., 2.4.2004 n. 110). Risulta evidente come il consenso non rappresenti un presupposto della valutazione sulla particolare tenuità del fatto, bensì la condizione per l’impiego di atti formati unilateralmente come prova del fatto e della responsabilità. In ordine all’accertamento che deve essere condotto come prius anche nel percorso che conduce all’epilogo liberatorio per tenuità del fatto v., di recente, G. Biondi, Non punibilità per

particolare tenuità del fatto e presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 14.10.2015.

8 Cfr. sul punto anche le osservazioni di C. Cesari, Le clausole di irrilevanza, cit., 293, che afferma

come «[l]a scelta normativa di circoscrivere a tal punto l’apporto dell’offeso sembra, comunque, sistematicamente coerente con l’impianto del rito penale a carico di minorenni».

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1.2. Più articolata è la disciplina in materia che ha trovato recente introduzione nel corpo del codice di rito, estendendo le logiche e gli effetti liberatori della

particolare tenuità del fatto anche all’imputato adulto9. Gli artt. 411 co. 1-bis e 469 co.

1-bis Cpp prevedono entrambi un coinvolgimento dell’offeso che si attesta però su livelli diversi, in ragione della progressione procedimentale nella quale si colloca la decisione. Così, la disciplina dettata in tema di archiviazione motivata su questa particolare causa di estinzione del reato non poteva non armonizzarsi con quelli che sono i poteri riconosciuti in via generale alla persona offesa, allorché il p.m. si determini nel senso della inazione: si sancisce il diritto di avanzare opposizione alla richiesta di archiviazione, che mutua i suoi caratteri essenziali dal noto strumento rimesso nella mani dell’offeso in tale snodo procedimentale, pur distinguendosi da quello per la maggiore tutela prevista qui per le prerogative dei privati. L’art. 411 co. 1-bis Cpp, invero, generalizza l’incombente che fa carico al p.m. di notiziare l’offeso

della richiesta di archiviazione10, svincolandolo da qualsiasi precedente istanza

avanzata dalla vittima che attestasse uno specifico interesse all’informazione de qua ed estendendolo altresì alla persona sottoposta ad indagini. Insomma, la particolarità della causa archiviativa suggerisce al legislatore di coinvolgere ex ante i soggetti privati potenzialmente interessati, seppure sulla base di esigenze di tutela di segno diverso: l’indagato potrà avere interesse ad un epilogo liberatorio che ne attesti la completa estraneità ai fatti, a differenza di quanto avviene per una pronuncia fondata

sulla particolare tenuità del fatto, che postula l’accertamento della commissione11 di

9 In ordine alla normativa introdotta con il d. lgs. 16.3.2015 n. 28, v. S. Quattrocolo (a cura di), I nuovi

epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, Torino 2015, passim; G. Alberti, Non punibilità per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it; R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di particolare tenuità del fatto, in CP 2015, 1317; R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 659; F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it; A. Mangiariacina, La tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, in

www.penalecontemporaneo.it; A. Marandola, I ragionevoli dubbi sulla disciplina processuale della

particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 791; E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo (… ma non impossibile) per l’interprete delle norme processualpenalistiche: alla ricerca di una soluzione ragionevole del rapporto tra accertamenti giudiziali e declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art.

131-bis c.p., in www.archiviopenale.it.

10 Rileva come la previsione, pur sintonica con le esigenze di tutela dei diritti informativi dell’offeso

individuati dalla Direttiva 2012/29/UE, rischi di generare «un ulteriore appesantimento della procedura, con un possibile “effetto boomerang”», M. Chiavario, L’espansione dell’istituto della

“tenuità del fatto”: frammenti di riflessione su alcuni aspetti chiaroscurali, in I nuovi epiloghi, cit., 258.

11 Seppure l’art. 651-bis Cpp faccia inevitabilmente riferimento alle sole «sentenze di proscioglimento

per particolare tenuità del fatto», dovendo sancirne l’efficacia extrapenale nei giudizi civili di danno, non v’è dubbio che il provvedimento di archiviazione fondato sulla medesima causa esiga, seppur nei limiti dell’accertamento condotto in sede di indagini preliminari, l’accertamento dei medesimi profili del fatto e delle responsabilità; inoltre, la pronuncia di un’archiviazione per tenuità del fatto può rappresentare una futura causa ostativa rispetto ad un ulteriore provvedimento liberatorio ex art.

131-bis c.p., ponendo un’ipoteca sulla possibilità di ritenere sussistente il requisito della non abitualità

del comportamento. Sul tema v. G. Biondi, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e

presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it. Ritiene che le peculiarità della procedura

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un fatto di reato colpevole. Dall’altra parte, la persona offesa ha un interesse generico

ad opporsi alla chiusura anticipata attraverso archiviazione12, che si somma in questo

contesto ad un interesse più specifico ad interloquire in ordine ai connotati della particolare tenuità del fatto, connotati che l’art. 131-bis Cp collega anche all’esiguità del danno o del pericolo, ossia ad un profilo che involge direttamente la posizione della vittima che sia anche danneggiata dal reato. Peraltro, qui, come nelle dinamiche delineate dall’art. 410 Cpp, l’opposizione innesca una procedura garantita che passa attraverso l’udienza camerale nella quale ciascuna parte può argomentare in ordine alle «ragioni del dissenso rispetto alla richiesta»: insomma, l’opposizione consegna alle parti il diritto di interloquire davanti al giudice e dà corpo quindi al contraddittorio argomentativo dell’offeso come dell’indagato, ma non presenta la forza ed i connotati volontaristici di un veto rispetto all’epilogo archiviativo, il quale

resta nei binari della discrezionalità valutativa del G.i.p.13.

Più incisivi i poteri che l’art. 469 Cpp assegna alle parti in ordine al proscioglimento predibattimentale: l’opposizione che, ai sensi del co. 1 della disposizione, esprima il p.m. o l’imputato, priva il giudice del potere di chiudere anticipatamente il processo, risolvendosi quindi in un impedimento insuperabile a pronunciare (ma solo hic et nunc) il provvedimento proscioglitivo. Si tratta di regola che il legislatore accoglie in termini generali per la sentenza predibattimentale e che opera anche per la pronuncia fondata sulla particolare tenuità del fatto: l’estrema prossimità alla sede nella quale si è chiamati a valutare il merito della res iudicanda nel pieno contraddittorio tra le parti ha suggerito di circoscrivere il novero delle cause proscioglitive e di riconoscere alle parti un diritto soggettivo perfetto al

colpire l’indagato P. Bronzo, L’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Procedura penale.

Teoria e pratica del processo, II, a cura di A. Marandola, Torino 2015, 960.

12 Osserva M. Daniele, L’archiviazione per tenuità del fatto fra velleità deflattive ed equilibrismi

procedimentali, in I nuovi epiloghi, cit., 52 s., come la comunicazione de qua sia volta ad «assicurare

che l’offeso in ogni caso venga a conoscenza del suo potere di opposizione, considerata l’importanza del suo contributo conoscitivo per la correttezza della prognosi sulla tenuità del fatto», ritenendo, peraltro, che la previsione rappresenti ormai un approdo doveroso alla luce degli obblighi imposti dall’art. 6 §1 lett. a della Direttiva 2012/29/UE sulla tutela della vittima, nella parte in cui prevede l’obbligo di assicurare che la vittima sia informata del proprio diritto di essere edotta di un’eventuale decisione di non esercitare l’azione penale. In verità, come noto, il d. lgs. 212/2015, pur sancendo un corredo informativo dei diritti riconosciuti all’offeso attraverso l’inserzione dell’art. 90-bis Cpp, non ha operato una generalizzazione della notiziazione di cui all’art. 408 co. 2 Cpp.

13 Cfr. G. Alberti, Non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., 10, per la quale «l’archiviazione

per particolare tenuità del fatto non presuppone il consenso dell’indagato, né tantomeno quello della persona offesa. Entrambi i soggetti processuali hanno, però, il diritto di essere avvisati della richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero e possono presentare opposizione». Rileva Aprati,

Le regole processuali, cit. 1325, che la particolarità della procedura ex art. 411 co. 1-bis Cpp si rinviene

in un limite modale alla decisione del g.i.p., nel senso che, questi mantiene intatta la titolarità del potere dovere di ordinare la formulazione dell’imputazione ovvero la integrazione delle indagini, ma, ove questi ritenga invece ricorrere una diversa causa archiviativa, non potrà pronunciare l’ordinanza di archiviazione, ma dovrà - in forza di quanto stabilito dall’ultimo periodo della disposizione de

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passaggio al segmento dibattimentale14. Nell’estendere - non senza qualche

forzatura15 - la pronunciabilità del proscioglimento ex art. 469 Cpp al ricorrere di una

non punibilità per particolare tenuità del fatto, si è dettata una disciplina che prevede il coinvolgimento anche della persona offesa, in quanto il giudice del predibattimento può pronunciare la sentenza in parola al ricorrere della causa di non punibilità ex art. 131-bis Cp «previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare». La tutela dei diritti partecipativi della vittima nella udienza camerale in cui si discute del proscioglimento anticipato sembra, però, attestare un livello di tutela più ridotto rispetto a quello riconosciuto a p.m. ed imputato: questi, ai sensi dell’art. 469 co. 1 Cpp, sono titolari di un diritto ad opporsi tout court alla pronuncia predibattimentale16, rispetto alla quale la persona offesa è,

invece, chiamata ad interloquire solo al fine di portare il proprio contributo argomentativo in ordine alla valutazione in punto di tenuità del fatto; ciò postula la corretta citazione dell’offeso per l’udienza nella quale si discuta di tale particolare

epilogo anticipato17, udienza alla quale egli potrà comparire o non comparire,

portando in quest’ultima ipotesi il proprio contributo argomentativo, che, anche si

14 In tema v. F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, Padova 2010, 250; L. Iai, Il

proscioglimento predibattimentale, Milano 2009. Osserva G. Santalucia, Gli atti preliminari al dibattimento, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, cit., 1082, come il consenso esprima

il «diritto al giudizio delle parti». Come noto, l’art. 469 Cpp consente di pronunciare il proscioglimento in limine del dibattimento solo per cause che prescindano da un accertamento dei fatti, nel preciso intento di assegnare tale accertamento alla sua naturale sede, quella dell’istruzione dibattimentale appunto, che è ormai prossima ad aprirsi. In questa prospettiva, l’inserzione del potere/dovere di valutare qui la particolare tenuità del fatto risulta per più versi stonata, sia sotto il profilo dell’armonia sistematica, sia sotto il profilo delle cadenze procedimenti interne all’art. 469 Cpp, e pare giustificarsi solo nella logica deflativa di cui partecipa il d. lgs. 28/2015. In proposito osserva F. Caprioli, Prime considerazioni, cit., 25, come, così facendo, si «inscrive il giudizio su esiguità del danno, modalità della condotta e non abitualità del comportamento in un contesto processuale per sua natura refrattario alle valutazioni di merito».

15 Osserva F. Caprioli, Prime considerazioni, cit., 25, come l’inserzione del co. 1-bis nell’art. 469 Cpp

sia fuorviante anche sul piano della corretta individuazione della natura giuridica della tenuità del fatto, qui pronunciata all’interno di un provvedimento espressamente qualificato come «sentenza di non doversi procedere» che rievoca in modo improprio la categoria delle condizioni di procedibilità. Critica anche la posizione di G. Alberti, Non punibilità, cit., 10, che ne ipotizza un’applicazione residuale, in quanto collegata a valutazioni di merito, per la quale il giudice del predibattimento non potrà verosimilmente disporre della necessaria base cognitiva. Nello stesso senso v. R. Dies,

Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, in

www.penalecontemporaneo.it; P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del

fatto”, in I nuovi epiloghi, cit., 72.

16 La dottrina ritiene unanimemente che il diritto di veto alle parti necessarie debba esser

riconosciuto anche con riguardo al proscioglimento predibattimentale delineato dall’art. 469 co. 1-bis Cpp: in questo senso v. R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di particolare tenuità del

fatto, cit., 1328; A. Mangiaracina, La tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, cit., 7; P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, in I nuovi epiloghi, cit., 74.

17 La precisazione è di P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, in I

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risolvesse in un’opposizione, sarebbe superabile dal giudice il quale ritenga sussistere

gli estremi delineati dall’art. 131-bis Cp18.

Se per più versi pare scontato osservarlo, vale però la pena sottolineare come, a prescindere dal ruolo che l’art. 469 co. 1-bis Cpp assegna alle parti e alla persona offesa, una volta approdati alla fase dibattimentale, si recupera una piena operatività delle ordinarie logiche decisorie ed il giudice sarà svincolato da qualsiasi manifestazione di volontà delle parti, allorché ritenga sussistere gli estremi per valutare il fatto come particolarmente tenue, potendo pronunciare la sentenza

liberatoria ex art. 530 Cpp anche a fronte di una opposizione di p.m. e/o imputato19.

1.3. Di ben altro calibro è, invece, il ruolo riconosciuto alla persona offesa nell’ambito della valutazione sulla particolare tenuità del fatto che è chiamato a svolgere il giudice di pace. Come noto, l’impianto voluto dal legislatore della giurisdizione di pace si connota per la evidente tensione verso lo sbocco conciliativo ed in questa prospettiva la persona offesa si vede assegnare qui un ruolo decisamente

rinnovato sia in fase di avvio del giudizio, sia in sede di epiloghi del stesso20. In

sintonia con questa impostazione prospettica, anche nel prisma della valutazione giudiziale sulla particolare tenuità del fatto, una particolare attenzione doveva essere

riservata alla tutela degli interessi dell’offeso dal reato21. Ecco che, laddove il giudice

di pace circondariale sia investito, in qualità di G.i.p., della richiesta di archiviazione ex art. 34 co. 2 d.lgs. 274/2000, egli potrà accogliere la richiesta «solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento»: poiché, come noto, la procedura di archiviazione qui non si dipana mai lungo la sequenza garantita dell’udienza camerale, è rimesso al giudice il compito di valutare - alla luce delle argomentazioni addotte con l’opposizione avanzata dall’offeso ai sensi dell’art. 17 co.

18 Per l’esclusione di qualsiasi potere di veto in capo all’offeso in sede di proscioglimento

predibattimentale per tenuità del fatto, v. F. Caprioli, Prime considerazioni, cit., 25, nt. 91, nonché E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo, cit., 7; C. Santoriello, La clausola di particolare tenuità del

fatto. Dimensione sostanziale e prospettive processuali, Roma 2015, 97.

19 Resta, invece, in dubbio che la particolare tenuità del fatto possa essere pronunciata attraverso una

sentenza resa ex art. 129 Cpp; sul punto v. G. Alberti, Non punibilità, cit., 11; F. Caprioli, Prime

considerazioni, cit., 25 e 26

20 Cfr. E. Aprile, La competenza penale del giudice di pace, Milano 2001, 53; V. Comi, Procedimento

dinanzi al giudice di pace, in La giustizia penale differenziata, II, coordinato da C. Santoriello, Torino

2010, 14, per il quale «[l]a persona offesa dal reato è vista come una figura centrale del procedimento che viene coinvolta con una serie di facoltà e attribuzioni maggiori rispetto a quelli tipici del codice di rito». Evidenzia la rivalutazione del ruolo dell’offeso in sintonia con l’ideale conciliativo che orienta il procedimento de quo anche E. Marzaduri, Procedimento penale davanti al giudice di pace, in Compendio di procedura penale 7, a cura di G. Conso, V. Grevi e M. Bargis,Padova 2015, 1267.

21 Cfr. G. De Francesco, sub art. 34 d. lgs. 28.8.2000, n. 274, in LP 2001, 196, il quale osserva che «la

logica del “processo di pace” è destinata a risultare dominata da un’esigenza di fondo, che ne costituisce e ne esprime la “cifra” qualificante essenziale: il “dialogo” processuale, che nel giudizio ordinario vede come interlocutori principali il rappresentante dell’accusa e l’imputato (affiancato dal difensore), nel giudizio penale “di pace” tende piuttosto ad instaurarsi tra l’imputato e la persona offesa»; G. Di Chiara, Esiguità penale e trattamento processuale della “particolare tenuità del fatto”:

frontiere e limiti di un laboratorio di deprocessualizzazione, in Il giudice di pace. Un nuovo modello di giustizia penale, a cura di A. Scalfati, Padova 2001, 357 ss.

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2 d. lgs. 274/2000, ovvero sulla base della semplice lettura degli atti delle indagini

preliminari22- se sussista un interesse della vittima del reato che non può dirsi

soddisfatto per il caso in cui venga pronunciata la chiusura anticipata per tenuità del fatto.

Il costrutto della previsione è armonico con i poteri ordinariamente riconosciuti all’organo giurisdizionale delle indagini preliminari. Il G.i.p. potrà rigettare la richiesta di archiviazione, ritenendo sussistente un interesse dell’offeso alla prosecuzione del processo, pur in mancanza di una opposizione di questo e, specularmente, potrà aderire alla scelta di inazione del p.m., nonostante l’opposizione avanzata dall’offeso: insomma, il G.i.p. è chiamato a valutare la sussistenza obiettiva di un interesse meritevole di tutela e non a prendere atto di un

generico veto dell’offeso23.

Si assegna uno specifico rilievo all’interesse che risulti collocato in capo alla vittima, ma sul piano procedimentale il ruolo dell’offeso non risulta oggetto di particolare rafforzamento rispetto alle già sperimentate scelte codicistiche, in ossequio, forse, ad esigenze di economia processuale che hanno inciso sulle cadenze del procedimento di archiviazione, ma anche in ossequio al riconoscimento in capo al G.i.p. di una funzione di garanzia e controllo che deve muoversi nel solco della legalità.

Gli assetti mutano significativamente dopo che sia stata esercitata l’azione penale: in forza dell’art. 34 co. 3 d. lgs. 274/2000, una volta approdati alla fase processuale, «la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono». La disposizione assegna alle parti (rectius, alla parte privata necessaria ed al mero soggetto processuale rappresentato dall’offeso) un ruolo di straordinario rilievo: oltre ai requisiti positivi di sapore sostanziale che vanno a riempire di contenuti la locuzione di “particolare tenuità del fatto”, si prevede un requisito negativo di carattere processuale,

22 Si esclude per lo più che il giudice di pace abbia autonomi poteri istruttori volti a saggiare la

consistenza dell’interesse dell’offeso in questa sede; per una rassegna delle varie posizioni v. G. Ariolli, Il procedimento davanti al giudice di pace, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, a cura di G. Garuti, Torino 2015, 829 s.

23 In questo senso G. DiChiara, Esiguità penale e trattamento processuale, cit., 359 s., il quale ritiene

doveroso che «il delinearsi di tale “interesse” sia oggetto di puntale delibazione da parte del giudice, non essendo allo scopo sufficiente una labiale enunciazione in tal senso da parte della persona offesa dal reato», dovendosi individuare l’interesse tutelato «non già della nuda e generica volontà dell’offeso di ottenere la punizione del colpevole, ma nella sussistenza di un oggettivo interesse all’accertamento processuale». Sul tema v. anche i rilievi problematici sviluppati da M. Caianiello,

Poteri dei privati nell’esercizio dell’azione penale, Torino 2003, 206 ss. In giurisprudenza, v. Cass.

27.11.2014, Draghi e a., in www.italgiure.giustizia.it, che richiama il consolidato orientamento per cui «nel procedimento per reati di competenza del giudice di pace, l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione consente unicamente la realizzazione di un contraddittorio cartolare, all’esito del quale il giudice, se accoglie la richiesta del p.m., decide “de plano” » (così Cass. 8.4.2008 n. 22297, in CEDCass, m. 239889; Cass. 16.11.2006 n. 9204, in CEDCass, m. 235824), osservando altresì che «l’instaurazione di un contraddittorio meramente cartolare non esime il giudice dal controllare e valutare, nell’eventuale provvedimento di archiviazione, la fondatezza dell’eventuale atto di opposizione» (così Cass. 6.11.2009 n. 36314, in CEDCass, m. 241903; Cass. 20.6.2013 n. 35504, in

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rappresentato dalla mancata opposizione di imputato ed offeso. Il giudice non è chiamato qui a sindacare la meritevolezza degli interessi evidenziati dai privati, ma solo a prendere atto della loro manifestazione di volontà contraria all’epilogo fondato

sulla tenuità del fatto24; e l’opposizione eventualmente avanzata non ha solo un

rilievo procedimentale, inibendo in un determinato segmento o fase la valutazione di tenuità del fatto, ma svela addirittura un’efficacia generalizzata, che priva in radice l’organo della giurisdizione del potere di pronunciare il proscioglimento per tale causa, andando a integrare il catalogo dei presupposti di ordine sostanziale delineati dall’art. 34 d. lgs. 274/2000 per individuare la categoria del fatto tenue.

Insomma, con una prospettiva decisamente eccezionale, viene assegnata ad un soggetto processuale eventuale la facoltà di incidere direttamente sui contenuti dell’epilogo decisorio attraverso un semplice atto di volontà, in quanto tale immotivato e non sindacabile nelle sue motivazioni.

E’ su quest’ultima disposizione, così innovativa e al tempo stesso così espressiva dei connotati di fondo della giurisdizione di pace, che viene ad essere sollecitato l’intervento delle sezioni unite della cassazione, volto a risolvere una questione che, apparentemente di sapore formale, offre un importante spunto nell’actio finium regundorum del ruolo che l’offeso è chiamato a ricoprire in occasione degli epiloghi decisori del giudizio penale.

2. Così diversamente calibrato il significato ed il peso del ruolo riconosciuto alla persona offesa nel procedimento per le competenze penali del giudice di pace, ben si può comprendere la particolare attenzione che la giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, ha posto nel salvaguardare le prerogative della vittima in sede di definizione del processo per particolare tenuità del fatto. Se l’intento è in questo senso condivisibile, in quanto rispecchia le diverse scelte sistematiche maturate dal legislatore, gli esiti interpretativi sono stati talora eccentrici, offrendo letture della disposizione lontane da quanto pur limpidamente scolpito a livello normativo.

Desta per certi versi meraviglia che le sezioni unite siano state chiamate a chiarire se l’art. 34 co. 3 d. lgs. 274/2000, consente di pronunciare proscioglimento

per tenuità del fatto anche in caso di mancata presentazione della persona offesa25,

24 In questo senso cfr. M. Caianiello, Poteri dei privati, cit. 208, che rinviene «un potere ostativo in

capo ai privati, in quanto l’opposizione preclude la praticabilità del meccanismo deflativo in esame»; C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto, cit., 298, evidenzia come «mentre nel momento successivo all’esercizio dell’azione la volontà del privato leso dall’illecito penale è vincolante per il giudice, nella fase anteriore invece non lo è, essendo il giudice di pace ammesso a sindacare la portata o lo spessore dell’interesse alla prosecuzione del procedimento addotto dalla vittima, se del caso giudicandolo superabile».

25 L’ordinanza di remissione alle Sezioni unite (Cass. 10.4.2015, cit.) rileva «un contrasto nella

giurisprudenza di legittimità in merito all’interpretazione della mancata comparizione della persona offesa all’udienza innanzi al giudice di pace come opposizione alla dichiarazione di particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 34 ult. co. d. lgs. 274 del 2000». Il panorama è abbastanza vario: in taluni casi si individuano comportamenti processuali dell’offeso incompatibili con la volontà adesiva all’epilogo anticipato, quali la costituzione di parte civile (così Cass. 1°.6.2011, Michelini, in www.italgiure.giustizia.it), che «sebbene revocata per la mancata presentazione delle conclusioni scritte nei confronti del coimputato […], lascia presumere la mancanza di consenso alla declaratoria

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alla luce dell’inciso per cui l’epilogo liberatorio è raggiungibile «solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono». La disposizione pare, invero, chiara nello scolpire una condizione ostativa che riposa su un comportamento attivo dei soggetti, che ne postula la partecipazione: ciò nonostante, la Corte di cassazione ha affermato più volte che la “volontà non oppositiva” dovesse essere oggetto di apposita espressione

attiva (verbale o per fatti concludenti)26, mentre in altre ipotesi si è ritenuto che un

contegno inerte della parte (presente o assente in udienza) potesse consentire la

pronuncia de qua, essendo sintomatico della mancanza di una volontà ostativa27.

Il disorientamento dei giudici di legittimità può forse ascriversi al maturare di differenti livelli di sensibilità verso le esigenze di tutela della persona offesa, ma ciò poco giustifica, però, interpretazioni così distanti dal tenore letterale della disposizione. Sul punto, pertanto, può essere utile introdurre qualche distinguo.

Nelle dinamiche procedimentali di tipo consensuale si possono riscontrare diversi moduli espressivi della volontà della parte: il soggetto può essere chiamato ad esprimere la propria volontà ora attraverso un consenso/dissenso, ora attraverso una opposizione/mancata opposizione. In entrambi i casi la manifestazione di una volontà adesiva determina la possibilità di raggiungere l’epilogo speciale, mentre la manifestazione di una volontà oppositiva preclude quel risultato. E’ il silenzio a spiegare effetti diversi a seconda che il legislatore abbia assegnato alla manifestazione di volontà l’una o l’altra veste: laddove l’epilogo sia subordinato al consenso dei soggetti coinvolti, ecco che il silenzio in proposito vale come

d’improcedibilità per la tenuità del fatto» (così Cass. 10.4.2014, in www.italgiure.giustizia.it). In altre ipotesi, più affini a quelle portate all’attenzione delle sezioni unite, la Corte ha affrontato il caso della mancata presentazione della persona offesa e, ritenuto che il disinteresse manifestato dall’offeso attraverso la sua mancata comparizione non possa essere annoverato tra i «comportamenti concludenti inequivocabilmente rivelatori della volontà di non prestare opposizione», ha stabilito che il giudice debba sollecitare uno specifico contraddittorio sul punto, acquisendo il loro parere (cfr. Cass. 27.5.2014, Mora, in www.italgiure.giustizia.it). Sul tema v. in dottrina E.Turco, I prodromi

della riforma, in La deflazione giudiziaria, Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, a cura di N. Triggiani, Torino 2014, 216 s.

26 Parte della giurisprudenza «esclude che la mancata comparizione della persona offesa possa

costituire univoca manifestazione di non opposizione» (così Cass. 21.9.2012, p.g. in proc. Sabouri, in

CEDCass, m. 254833; conf. Cass. 27.5.2009, p.g. in proc. Bakiu; Cass. 15.7.2015, Guarnieri e a.,

entrambe in www.italgiure.giustizia.it, la quale osserva come «la manifestazione di volontà di non opporsi alla declaratoria di particolare tenuità del fatto non può che essere univoca e desumibile da condotte incompatibili con una diversa scelta»), in quanto l’assenza della persona offesa dovuta alla sua irreperibilità deve «essere considerata un fatto neutro, certamente non espressivo di tale volontà» (così Cass. 9.7.2013, De Cicco, in CEDCass, m. 257121).

27 Cfr. Cass. 5.12.2008 n. 9700, in CEDCass, m. 242971, la quale ebbe ad evidenziare come «la

decisione di non comparire in udienza va ritenuta come inequivoca espressione di una precisa strategia processuale e cioè della volontà di rinuncia all’esercizio di tute le facoltà consentite dalla legge, come la possibilità di opporsi alla dichiarazione di non procedibilità per la particolare tenuità del fatto». In una prospettiva più netta si colloca Cass. 13.3.2015, Di Napoli, in www.italgiure.giustizia.it, la quale avalla la pronuncia di proscioglimento per tenuità del fatto pronunciata dal giudice di pace in «assenza di formale opposizione alla definizione del processo ai sensi dell’art. 34», pur avendo la parte civile presente insistito nella richiesta di affermazione di responsabilità dell’imputato e di condanna al risarcimento del danno.

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condizione ostativa28; invece, se la decisione è subordinata alla mancata opposizione,

il contegno silenzioso licenzierà l’ammissibilità e la legittimità della pronuncia resa

nel segno della specialità29.

E’ il legislatore a selezionare la veste formale dell’atto consensuale alla luce della differente intensità che riconosce all’apporto volontaristico della parte e, laddove richieda la manifestazione di un consenso/dissenso, correda la struttura della fattispecie di un requisito specifico, dato dalla previa manifestazione di volontà del soggetto, così che il giudice non possa pronunciarsi senza aver prima raccolto l’adesione dei soggetti coinvolti. Non così, evidentemente, allorché la manifestazione di volontà debba esprimersi attraverso le forme della opposizione/mancata opposizione: in questa ipotesi l’istituto è perfetto nei suoi requisiti procedimentali indipendentemente dalla manifestazione di volontà del soggetto, il quale può, a seconda dei contesti, inibirne la pronuncia o travolgerne la tenuta attraverso un’attivazione nel segno della opposizione. Il livello di tutela sembra attestarsi in questo caso su un piano più ridotto, in ragione di considerazioni delle più varie, che possono condurre a declinazioni diverse degli effetti connessi all’opposizione eventualmente espressa, talora idonei a privare di qualsiasi tenuta il provvedimento opposto, talaltra idonei ad innescare semplicemente sequenze procedimentali diverse30.

Su un orizzonte così definito, il quesito giunto fino all’attenzione delle sezioni unite si presentava in termini di agevole risoluzione. Al di là della perentorietà con

28 E così, ad esempio, nei procedimenti speciali di matrice consensuale che prevedono, per l’appunto,

la necessità di una previa richiesta (o di una richiesta e di un consenso) proveniente direttamente dalla parte o dal suo difensore se munito di procura speciale, in difetto della quale manca una condizione di ammissibilità del rito. Un temperamento solo apparente di questa regola può individuarsi in quella giurisprudenza che consente l’innesco della sequenza speciale anche a seguito di richiesta/consenso avanzata dal difensore non munito di procura ad hoc, ma in presenza dell’assistito all’udienza (in tema di procedimento di applicazione concordata della pena cfr., ex

plurimis, Cass. 16.2.2011, p.m. in c. Givetti, in RP 2012, 550; quanto al giudizio abbreviato v. Cass. S.U.

31.1.2008, Morini, in DPP 2009, 52). Si tratta della sola ipotesi in cui si attribuisce rilievo ad un contegno silenzioso dell’imputato, il quale è però mediato qui da due dati - la richiesta comunque avanzata dal difensore, la presenza dell’imputato all’udienza - i quali lasciano ritenere la riconducibilità della scelta alla stessa parte privata.

29 Ancora, a titolo di esempio, può richiamarsi il procedimento per decreto, ove la volontà

dell’imputato viene espressa attraverso la scelta di opporsi/non opporsi espressa nei quindici giorni dall’avvenuta notifica del provvedimento ed il contegno inerte assume il valore di acquiescenza. Il fatto che qui la manifestazione di volontà sia collocata dopo l’adozione del provvedimento vale solo ad assecondare i ritmi estremamente sincopati del rito speciale in parola, ma nulla muta, per il resto, in ordine al tipo di attivazione che è richiesta alla parte.

30 Può qui tracciarsi un parallelo tra la straordinaria forza attribuita alla volontà oppositiva alla

sentenza proscioglitiva ex art. 34 co. 3 d. lgs. 274/2000, che inibisce tout court la pronuncia del provvedimento liberatorio da parte del giudice di pace ed il ben più contenuto spessore dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione (anche di quella avanzata ex art. 411 co. 1-bis Cpp), che determina l’instaurazione della procedura più garantita di cui all’art. 409 co. 2 c.p.p., ma lascia impregiudicati gli esiti decisori del G.i.p., per concludere con l’individuare una linea mediana nell’opposizione delineata dall’art. 469 Cpp, che inibisce la pronuncia del proscioglimento predibattimentale, imponendo il passaggio alla fase dibattimentale con assoluta impregiudicatezza degli esiti decisori.

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cui si esprime l’art. 34 co. 3 d. lgs. 274/2000, in forza del quale la tenuità del fatto può essere pronunciata con sentenza «solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono», è evidente che la norma non individua tra i requisiti positivi dell’istituto la previa manifestazione di volontà adesiva delle “parti”. La Corte, pertanto, risolve agevolmente la questione attraverso il dato semantico e supera il contrasto tra gli opposti orientamenti maturati in giurisprudenza, evidenziando come «la norma in esame non richiede da parte della persona offesa (come dell’imputato) un’adesione [all’esito proscioglitivo], stabilendo invece che esso sia escluso solo in presenza di una presa di posizione che abbia il valore di una “opposizione”». Insomma, il comportamento attivo è richiesto al privato solo nella direzione oppositiva e non nella prospettiva adesiva; pertanto la mancata opposizione, che sia o meno abbinata ad una mancata comparizione in udienza, non potrà di per sè impedire la pronuncia del proscioglimento che attesti la particolare tenuità del fatto.

Non occorre attribuire alla mancata comparizione un significato adesivo all’esito ex art. 34 d. lgs. 274/2000, in quanto la disposizione non esige una volontà adesiva, limitandosi a richiedere che non risulti una volontà oppositiva.

Del resto, a questo approdo interpretativo era già pervenuta, seppure

incidentalmente, la Corte costituzionale31, allorquando - investita della questione di

legittimità dell’art. 34 d. lgs. 274/2000 nella parte in cui subordina la pronuncia liberatoria al consenso dell’imputato e della persona offesa, in violazione dell’art. 101 Cost. - ebbe a dichiarare inammissibile la questione, proprio in ragione dell’erroneità del «presupposto interpretativo in forza del quale la norma censurata condizionerebbe, nella fase dibattimentale, la pronuncia di esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto al “consenso” dell’imputato e della persona offesa»; in quella occasione i giudici delle leggi chiarirono come la «disposizione sottoposta a scrutinio […] preved[a][…] non già una condizione positiva (il “consenso”), ma una condizione negativa (la non opposizione)» e che una diversa interpretazione risulta quindi «palesemente contraria al tenore letterale della disposizione sottoposta a scrutinio».

Già segnato, quindi, dalla chiarezza della previsione e dall’autorevole precedente il percorso che avrebbe condotto all’odierno esito interpretativo, lo sforzo

31 C. cost., 2.3.2007 n. 63, che ha deciso sulla q.l.c. sollevata dal giudice di pace di Napoli (invocando

la lesione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 27, 76, 101 e 111) dell’art. 34, comma 3 d. lgs. 274/2000 nella parte in cui, nel procedimento davanti al giudice di pace, «subordina al consenso dell’imputato e della parte offesa la pronunzia, all’esito del dibattimento, della sentenza di esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto». La questione era già stata portata all’attenzione dei giudici delle leggi in occasione di una censura a tutto tondo dell’istituto introdotto dall’art. 34 d. l.gs. 274/2000 (e ritenuta inammissibile proprio in ragione dell’ampia e contraddittoria formulazione della questione), osservandosi allora come «l’anzidetta previsione violerebbe segnatamente l’art. 101, secondo comma, Cost., in quanto sottrarrebbe il giudice all’imperio della sola legge, subordinando il contenuto della sua decisione alla volontà di una parte processuale: giacché, quando pure il giudice si convincesse dell’irrilevanza penale del fatto sottoposto al suo giudizio, egli si troverebbe impedito a dichiararla, e tenuto invece a condannare l’imputato, solo perché la persona offesa dal reato ”vuole così”» (cfr. C. cost., 4.2.2003 n. 34).

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a cui sono chiamate le Sezioni unite si riduce ad alcune precisazioni, peraltro assai preziose.

Oltre a ribadire come «la volontà di opposizione deve essere necessariamente espressa, non portentosi desumere da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di una formale ed inequivoca manifestazione di volontà», i giudici di legittimità chiariscono il panorama delle modalità espressive della volontà oppositiva32.

Ma soprattutto, in ossequio a quelli che sono i generali diritti partecipativi riconosciuti all’offeso, la Corte precisa come «[o]ccorre, beninteso, che la persona offesa sia stata messa in grado di esprimere la sua eventuale opposizione. Sicché non potrebbe essere pronunciata sentenza liberatoria se essa non sia citata in dibattimento». Insomma, secondo quelle che sono coordinate di carattere generale, la mancata presentazione in udienza - e con essa la mancata opposizione - non può essere frutto di un difetto di conoscenza in ordine alla celebrazione della stessa, altrimenti procedendosi in dispregio di quelli che sono i diritti partecipativi della

persona offesa33.

32 E così, si chiarisce come la volontà di opposizione, oltre a poter essere espressa in udienza, possa

essere manifestata anche attraverso memorie e soprattutto «che essa sia implicita nei casi in cui la persona offesa, costituitasi, in quanto soggetto danneggiato dal reato, quale parte civile, formuli in udienza, a mezzo del procuratore speciale, richiesta di risarcimento dei danni», così superando il contrasto sorto in seno alla giurisprudenza in ordine al significato da attribuire alla costituzione di parte civile (cfr. Cass. 13.3.2015, Di Napoli, cit., che conferma la sentenza del giudice di pace di proscioglimento ex art. 34 co. 3 d. lg.s 274/2000, nonostante «il fatto che la parte civile abbia insistito nella richiesta di affermazione di responsabilità dell’imputato e di condanna al risarcimento»; contra Cass. 27.5.2014, Mora, cit., che invece annulla il provvedimento proscioglitivo per tenuità del fatto, in quanto «appare evidente che [il giudice] abbia ignorato la condotta processuale tenuta dalla persona offesa, che appare inequivocabilmente incompatibile con una presunta volontà di non opporsi ad una dichiarazione di particolare tenuità del fatto, atteso che la medesima si è costituita parte civile ed ha presentato conclusioni finalizzate a sollecitare il riconoscimento della responsabilità dell’imputato e la sua condanna al risarcimento del danno»).

33 Con tutti i margini di approssimazione di cui è doveroso tener conto, allorché si tracci un parallelo

per alcuni versi ardito, può rievocarsi qui la particolare attenzione che il legislatore e la giurisprudenza hanno dovuto riservare ai profili di conoscenza funzionali ad assicurare che la mancata opposizione al decreto penale di condanna possa essere intesa propriamente come acquiescenza allo stesso: accanto alla cautela in punto di notifica del provvedimento, che esclude la tenuta dello stesso nei casi in cui l’imputato sia irreperibile od abbia dichiarato un domicilio non idoneo (cfr. art. 460 co. 4 Cpp e C. cost., 18.11.2000 n. 504), deve ricordarsi come i contenuti del decreto penale di condanna siano corredati dell’espresso avviso in ordine alla facoltà di opposizione ed alle conseguenze del mancato esercizio della stessa (art. 460 lett. e ed f Cpp). L’irreperibilità dell’offeso è da sempre fenomeno di cui il processo si interessa marginalmente (per lo più ai soli fini del contributo probatorio dello stesso), in ragione del fatto che tale soggetto non riveste la qualità di parte, né può comunque assumere quella di parte necessaria: non v’è chi non si avveda, però, di come il tema possa acquisire ben altra rilevanza, allorché il legislatore assegni alla persona offesa, seppure a fini delimitati, un ruolo tanto pregnante. In questo senso lascia un certo rammarico il silenzio serbato sul punto dalle sezioni unite, che pure erano state chiamate a rispondere al quesito, sorto all’interno di una vicenda processuale connotata dall’assenza dell’offeso dovuta anche ad una sua irreperibilità, limitandosi ad affermare come «la mancata partecipazione al dibattimento della persona offesa (regolarmente citata o irreperibile) è affatto irrilevante ai fini dell’abilitazione del giudice a valutare la sussistenza dei presupposti considerati dal co. 1 dell’art. 34 d. lgs. 274/2000, non

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In verità deve osservarsi come la conoscenza dell’udienza non rechi con sé anche la conoscenza dei poteri oppositivi riconosciuti all’offeso; in questo senso, all’interno del microsistema del processo davanti al giudice di pace può rilevarsi un deficit di tutela sotto il profilo informativo, in quanto l’offeso non risulta destinatario di alcuna informazione specifica in ordine ai possibili epiloghi in punto di tenuità del fatto e relativamente al potere di opposizione, così da consentirgli di mettere in correlazione la partecipazione all’udienza con le facoltà ostative dell’esito liberatorio. Insomma, a dispetto del riconoscimento di un diritto di straordinaria intensità, qual è quello di opporre un vero e proprio veto su un epilogo proscioglitivo altrimenti perfetto nei suoi contorni sostanziali, è sotto il profilo dell’effettività che si poteva rinvenire un momento di possibile vulnus delle ragioni della vittima.

A questo dato problematico sembra porre rimedio, seppure in termini così generali che esigeranno una più puntuale messa a fuoco da parte degli uffici giudiziari, l’art. 90-bis lett. o Cpp, recentemente introdotto dal d. lgs 212/2015 in

attuazione della Direttiva 2012/29/UE in tema di diritti delle vittime34. Nella

previsione di nuovo conio si compendia una serie tanto ampia quanto, in buona parte, generica di diritti informativi dell’offeso, in ordine a momenti di tutela procedimentali ed extraprocedimentali: per quanto qui rileva si stabilisce che «[a]lla persona offesa, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, vengono fornite, in una lingua a lei comprensibile, informazioni in merito: […] o) alle facoltà ad essa spettanti nei procedimenti in cui […] è applicabile la causa di esclusione della

punibilità per particolare tenuità del fatto»35. Al di là della qualificazione del

fenomeno della particolare tenuità con la veste giuridica della causa di non punibilità, non pare potersi dubitare che la previsione sia destinata a trovare applicazione anche nel procedimento davanti al giudice di pace, così facendo carico all’autorità procedente, al più tardi con la vocatio in iudicium, di informare l’offeso della facoltà di opporsi all’esito proscioglitivo ex art. 34 d. lgs. 274/2000.

In questa prospettiva, l’esito decisorio a cui sono oggi approdate le Sezioni Unite dovrà verosimilmente essere rivisto alla luce di una più compiuta e specifica tutela dei diritti informativi dell’offeso: l’omesso avviso del riconoscimento di una

potendosi desumere da detta situazione alcuna volontà di opposizione alla pronuncia di improcedibilità per tenuità del fatto».

34 Sulla Direttiva 2012/29/UE v., tra i numerosi contributi, L. Luparia(a cura di), Lo statuto europeo

delle vittime di reato, Padova 2015, passim (e in particolare il contributo di S. Allegrezza, Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, 3 ss.); S. Allegrezza - H. Belluta - M. Gialuz - L. Lupária, Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Torino

2012, passim. In tema v. M. Bouchard, Prime osservazioni al decreto legislativo sulle vittime del reato, in www.questionegiustizia.it, 14.1.2016; M. Cagossi, Nuove prospettive per le vittime di reato nel

procedimento penale italiano, in www.penalecontemporaneo.it, 19.1.2016; D. Ferranti, Strumenti di tutela processuale per la vittima del reato. Sguardo d’insieme sulle recenti innovazioni alla luce dell’attuazione della direttiva 2012/29/UE, in www.penalecontemporaneo.it, 29.1.2016; D. Vispo, La riscoperta del ruolo della persona offesa nel sistema processualpenalistico italiano: prime riflessioni a margine del d. lgs. 212/2015, in www.lalegislazionepenale.eu, 26.2.2015, 5.

35 Evidenzia il collegamento tra i diritti informativi della vittima e l’epilogo anticipato fondato sulla

particolare tenuità del fatto M. Chiavario, L’espansione dell’istituto della “tenuità del fatto”: frammenti

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facoltà di opposizione, incidendo direttamente sulle scelte partecipative del privato è, infatti, suscettibile di acquisire rilevanza invalidante ai sensi dell’art. 178 lett. c Cpp. Pertanto, pare doversi ritenere superato l’arresto interpretativo raggiunto nella sentenza in commento, nella parte in cui osserva come «certamente la legge non impone un’apposita convocazione della persona offesa specificamente preordinata a raccogliere la sua eventuale opposizione, dovendo per postulato legale presumersi che essa possa prospettarsi un esito liberatorio nel caso di una sua mancata comparizione in sede dibattimentale»: se ancora oggi non si impone una

convocazione espressa volta all’audizione dell’offeso36, non può però più condividersi

la presunzione di una conoscenza in capo allo stesso soggetto dell’eventualità dell’esito liberatorio in caso di sua mancata comparizione, a meno che questa conoscenza non sia stata adeguatamente raggiunta attraverso l’avviso prescritto nel nuovo art. 90-bis Cpp.

Insomma, il principio di diritto espresso dalle Sezioni unite in tanto mantiene attualità, in quanto venga letto alla luce della recente rivisitazione delle prerogative processuali della persona offesa. Affermando che «[n]el procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto», la Corte dà per scontata la regolarità della vocatio in iudicium, che oggi tale può dirsi, se preceduta dalla informazione ex art. 90-bis Cpp o, in mancanza, se corredata nei contenuti dell’avviso della facoltà di opporsi all’esito liberatorio pronunciabile ex art. 34 d. lgs. 274/2000.

3. Nel delineare le caratteristiche dell’atto di opposizione di cui all’art. 34 d. lgs. 274/2000, le sezioni unite offrono interessanti spunti per un inquadramento del potere lì riconosciuto alla persona offesa. Un primo dato riguarda la riconducibilità dell’opposizione al novero degli atti personalissimi, per i quali non opera la generale rappresentanza conferita al difensore attraverso l’investitura, con la conseguenza che, al pari delle manifestazioni di volontà che fondano i riti premiali e di quelle che vengono raccolte nell’ambito del procedimento mediativo, l’opposizione deve essere espressa direttamente dalla parte e può essere avanzata dal difensore solo nel caso in cui questi sia munito di procura speciale. Osserva la Corte come la manifestazione di volontà con la quale l’offeso e l’imputato esprimono la propria contrarietà all’esito proscioglitivo per tenuità del fatto incida direttamente sui contenuti della sentenza; poiché l’improcedibilità matura solo in mancanza del diniego espresso dalle parti,

36 In una prospettiva di tutela della conoscenza e dei diritti partecipativi si era mossa quella

giurisprudenza che, forzando il dato letterale dell’art. 34 d. lgs. 274/2000, aveva affermato che «[i]n presenza di comportamenti incompatibili con la volontà di opporsi non è necessario che il giudice solleciti uno specifico contraddittorio sul punto. Qualora, invece, la condotta processuale delle parti non riveli tale intenzione, lo stesso giudice tale contraddittorio è tenuto ad instaurare acquisendo il loro parere, sebbene senza necessità di ricorrere a particolari formalità» (così, Cass. 27.5.2014, Mora, cit.). In dottrina, escludeva la necessità di una convocazione ad hoc già C. Cesari, La particolare

tenuità del fatto, in Il giudice di pace nella giurisdizione penale, a cura di G. Giostra e G. Illuminati,

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può dirsi che l’opposizione ex art. 34 d. lgs. 274/2000 rappresenti una condizione di procedibilità per il reato scarsamente offensivo. Sulla base di questa sua natura e in ossequio all’incidenza diretta sul contenuto della pronuncia, si ritiene che solo la

persona offesa e/o l’imputato personalmente possano avanzare opposizione37. Anche

sotto tale angolo di visuale si lascia apprezzare la peculiarità dell’opposizione dell’offeso al proscioglimento per tenuità del fatto, in quanto evidenzia la chiara connotazione dell’atto in chiave di manifestazione di volontà dispositiva di interessi di rango sostanziale, mantenendolo ben distinto da altre forme di opposizione

dell’offeso (quale quella avverso la richiesta di archiviazione38) che assumono più

squisita valenza tecnico-giuridica e procedimentale, innescando momenti di contraddittorio argomentato sul thema decidendum.

Inoltre, parimenti utile a tratteggiare la struttura della manifestazione di volontà dell’offeso, pare essere l’analisi dell’efficacia temporale della stessa: in ragione della diversa disciplina che governa il procedimento delibativo della particolare tenuità del fatto a seconda che questo si collochi prima o dopo l’esercizio dell’azione penale, la Corte evidenzia come la volontà oppositiva debba essere manifestata dopo che si sia approdati alla fase processuale, «essendo dunque inidonea una espressione di opposizione formula “ora per allora”, prima di tale cadenza processuale». La

considerazione, ancora una volta, pare cogliere nel segno39, dovendosi considerare

l’attualità dell’interesse ad opporsi all’epilogo fondato sulla particolare tenuità del fatto. Ciò consente, peraltro, visto che la particolare tenuità del fatto fonda una esclusione della procedibilità che può essere pronunciata in ogni stato e grado, la

37 Se il codice di rito contempla svariate ipotesi di «atti personalissimi» compiuti direttamente

dall’imputato, la soluzione appare invece decisamente eccentrica, una volta riferita alla persona offesa: tralasciando, com’è ovvio, le ipotesi in cui questa eserciti diritti in qualità di parte a seguito dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, alla persona offesa come soggetto del procedimento penale è riconosciuta la titolarità di diritti riconducibili al novero degli atti insuscettibili di trasferimento in capo al difensore a titolo di generale rappresentante della parte in sole due ipotesi, che vanno individuate nella presentazione e remissione della querela (seppure più direttamente riferibile alla figura giuridica del querelante) e nella partecipazione al procedimento di mediazione. Privo com’è di ogni coloritura conciliativa, l’istituto della particolare tenuità del fatto viene ricondotto dal legislatore del 2000 prima e dalle Sezioni unite poi, nell’area delle condizioni di procedibilità rimesse alla volontà del privato e per tale via assimilato nel suo regime a quello della querela. Non è un caso, del resto, che le Sezioni unite, sulla scorta di quanto osservato nell’ordinanza che rimette loro la decisione sul contrasto, richiamino - seppur ad excludendum - la sentenza resa a Sezioni Unite, 30.10.2008, Viele (in CP 2009, 14040 ss., con nota di E. Gallucci, La mancata

comparizione in dibattimento del querelante, anche se preceduta da apposito avviso del giudice, non integra remissione della querela. Perché la decisione delle sezioni unite non appare persuasiva).

38 Sulla legittimazione del difensore della persona offesa a presentare opposizione alla richiesta di

archiviazione ex art. 410 c.p.p. in un panorama giurisprudenziale sostanzialmente conforme, v., ex

plurimis, Cass. 3.1.2008, p.m. in c. ignoti, in CEDCass, m. 238870; conf. Cass. 20.5.2004, p.m. in c.

Maesano e a., in CEDCass, m. 230106; Cass. 10.7.2002, Di Caro, in CP 2003, 3443.

39 L’assunto non poteva darsi del tutto per scontato, se si tiene conto che, in tema di manifestazioni

di volontà della parte privata che innescano procedimenti speciali, la giurisprudenza ha da lungo tempo aderito alla tesi della irrevocabilità del consenso e/o della richiesta avanzata (in tema di procedimento per l’applicazione per la pena concordata v., ex plurimis, Cass. 27.6.2012, Bernardini, in

CEDCass, m. 254058; Cass. 4.6.2009, Bevilacqua, in ANPP 2010, 760; Cass. 15.1.2004, Della Libera, in RP 2005, 201).

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