• Non ci sono risultati.

Cookingworld. Una nuova proposta relazionale tra genitori e figli, per conoscere le cucine del mondo e superare gli stereotipi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Cookingworld. Una nuova proposta relazionale tra genitori e figli, per conoscere le cucine del mondo e superare gli stereotipi"

Copied!
165
0
0

Testo completo

(1)

#COOKINGWORLD

Una nuova proposta relazionale tra genitori e figli, per

conoscere le cucine del mondo e superare gli stereotipi

POLITECNICO DI MILANO

Scuola del Design

Design del prodotto per l’innovazione

Giulia Calaresu

(2)
(3)
(4)
(5)
(6)

INDICE

ABSTRACT Introduzione

INQUADRAMENTO TEORICO

1 > CONTESTO

1.1 Le nuove tendenze alimentari 1.2 Ricette “home made”

1.3 Il business dei ristoranti etnici 2 > CIBO E NARRAZIONE

2.1 I format

2.2 Educazione alimentare ad EXPO 2.3 Casi studio

3 > SUPERARE GLI STEREOTIPI

3.1 Lo stereotipo di genere 3.2 La cucina per l’adolescente 4 > IL MONDO DEI SOCIAL

4.1 Il trend del “social food” 4.2 Le piattaforme sovrane

5 > VISUAL DESIGN E FOOD DESIGN

5.1 Iconografia intuitiva e “Isotype” 5.2 Casi studio

6 > INDAGINI E DATI

6.1 Prima indagine: sondaggio online 6.2 Seconda indagine: intervista

8 12 22 36 46 58 74

(7)

IL PROGETTO 7 > #COOKINGWORLD 7.1 Che cosa è 7.2 Target 7.3 Sistema prodotto/Servizio/Comunicazione 8 > IL KIT

8.1 Le componenti del kit 8.2 Le illustrazioni 8.3 Il prototipo 9 > LACONDIVISIONE 9.1 Il sito 9.2 I social 9.3 La app

10 > L’ESTENSIONE DEL PROGETTO

10.1 L’ampliamento della collana 11 > CONSIDERAZIONI

12 > BIBLIOGRAFIA INDICE DELLE IMMAGINI

INDICE DELLE MAPPE E DELLE TABELLE

96 106 130 152 160 161 142 156

(8)

Questa tesi propone una soluzione proget-tuale mirata a superare lo stereotipo di gene-re all’interno dei nuclei familiari e a dagene-re, a genitori e figli, la possibilità di approfondire la cultura del cibo, divertendosi insieme.

Il percorso inizia con l’analisi delle pratiche sociali attorno al cibo, così come è vissuto in famiglia, fino alla raccolta di casi studio interessanti riguardanti format, social media e progetti di giovani designer come me.

Si giunge, in seguito, a una proposta pro-gettuale di un nuovo sistema prodotto/servi-zio/comunicazione che esprime l’intento di aiutare a superare uno stereotipo di genere molto diffuso nelle famiglie italiane: la cucina, il trattamento e la preparazione dei cibi, atti-vità tendenzialmente attribuita alle femmine di casa e, il più delle volte, non vissuta assieme, non ritenuta come momento di interesse e svago tra genitori e figli.

“Genitori e figli adolescenti hanno poche ra-gioni che li spingano a passare del tempo libero insieme.” Sbagliato.

Il sistema prodotto/servizio realizzato serve proprio per creare momenti di convivialità, condivisione, nuovi interessi culturali tra

geni-tori e figli sia maschi che femmine, e dunque creare dei momenti di leggerezza da passare in cucina.

Il kit da usare in cucina serve per sviluppare alcune semplici ricette e apprendere nozioni sul cibo in diversi paesi e differenti culture. Contiene istruzioni, brevi racconti per imma-gini e semplici strumenti, ispirati dalla cultura di riferimento, che guidano nella preparazio-ne delle ricette; è caratterizzato da una grafi-ca chiara, riconducibile al paese e alle ricet-te proposricet-te e usa un linguaggio verbo/visivo adatto a comunicare alle età di riferimento. Ho progettato un sistema di icone e di illustra-zioni per comunicare attraverso l’immediatez-za della visione e il linguaggio grafico. La parte di servizio , oltre al sistema di istru-zioni, prevede l’uso dei social che permette agli utenti di condividere i momenti di svago legati all’utilizzo del kit e l’interazione con al-tri utilizzatori.

La parte di progetto si conclude con la rea-lizzazione del prototipo di un Kit di esempio, il primo della collana realizzabile in seguito, e con il design delle interfacce e l’ideazione del sistema.

(9)
(10)

Il progetto che voglio illustrare in questa tesi di laurea racchiude la mia passione per il mondo creativo, che tocca diverse sfere, ma, in particolar modo, quella della comunicazione mediante la grafica.

“#COOKINGWORLD” è un’idea nata durante l’ultimo blocco del corso di laurea dedicato al “design delle opzioni”. Ha su-bito mille cambiamenti sin dal principio, acquisendo un’identità dopo un abbon-dante lasso di tempo.

L’idea di partenza era semplicemente quella di dimostrare come un segno (grafi-co, cartaceo, fisico etc.) possa contenere un’identità, un significato, un linguaggio riconducibile alla mano di chi lo ha ge-nerato: dimostrare quindi la potenza che esso possiede, se in grado di comunicare qualcosa. Ed io ho voluto provare a co-municare.

Questo progetto altro non è che un’espe-rimento, un gioco che ho voluto mettere in pratica coinvolgendo il mio target preferito (e forse, per diversi aspetti, quello più dif-ficile): quello dei bambini e dei ragazzini. In un’era dove videogiochi e tecnologie la fanno da padrone, perchè non sfruttare esse stesse come supporto per tornare alla sane abitudini di una volta?

Non so dire se il mio esperimento è riu-scito oppure no. Io mi sono divertita nella realizzazione, ora cercherò di raccontar-velo!

(11)
(12)
(13)
(14)

Nel 2015 per parlare di contesto alimentare dobbiamo far riferimento ad una dimensione ben più ampia di quella che poteva essere solo un decennio fa.

Occorre fare, prima di tutto, chiarezza poiché sono tante le ramificazioni che un discorso così ampio determina.

Se da una parte, infatti, parliamo di un boom innovativo, con l’introduzione di nuovi orizzonti culinari, nuove tendenze gastronomiche e tecnologie professionali messe alla portata di tutti, l’altra faccia della medaglia mostra sprechi sempre maggiori, cibo spazzatura proposto dalle più grandi multinazionali e popolazioni del terzo mondo che soffrono la fame.

Il contesto alimentare è quindi caratterizzato da grandi contrasti che più si va avanti negli anni e più crescono.

“La sfida per una umanità migliore e per un mondo più giusto passa anche dalla capacità della collettività umana di risparmiare cibo e risorse e distribuire a tutti il necessario per vivere.”1

Esiste quindi un binario su cui questo tema va condotto, quello dell’educazione ambientale nei confronti della collettività, quello delle iniziative politiche e gli interventi e tecnologici e di programmazione in campo alimentare per minimizzare gli scarti e rendere i cibi utilizzabili (e quindi commestibili) più a lungo soprattutto nel sistema della grande distribuzione occidentale. Il progetto che ho realizzato, rivolgendosi primariamente a un pubblico giovane, ha tra gli obbiettivi quello di sensibilizzare e insegnare nozioni riguardanti la sfera dell’alimentazione multiculturale, partendo da piccole informazioni e curiosità legate ai cibi.

(15)

1500

KCAL

SPRECATE

748

KCAL

SPRECATE

746

KCAL

SPRECATE

5% POCHISSIMO 5%-9% MOLTO POCO 10%-19% POCO 20%-34% ABBASTANZA <35% MOLTO

1840

KCAL

È IL

FABBISOGNO

MINIMO

DI UNA PERSONA

842

MILIONI

DI PERSONE

DENUTRITE

(16)

LE NUOVE TENDENZE

ALIMENTARI

Ciò che intendiamo per nuove tendenze alimentari sono lenuove tendenza culinarie che negli ultimi anni ci hanno indottrinato abitudini di cui potremo, senza dubbio, fare a meno ma con le quali conviviamo piacevolmente.

Veicoli di questi trend sono i social media, i programmi televisivi, internet e la società in generale che ci frastornano ogni giorno con aneddoti sul come e quali cibi man-giare per gustare buoni pasti o sulla corret-ta etica da seguire in cucina.

“Più di quattro milioni e mezzo di per-sone in Italia hanno abbandonato la carne e il pesce, in nome di norme eti-che e regole salutiste. Questa rinun-cia piace soprattutto ai giovani e alle donne. E, lungi dall’essere una religio-ne per pochi, sta diventando uno stile di vita non più “punitivo e rigido”, ma motivo di orgoglio”2.

Pizza, pasta, cibo vegano o insetti: cosa mangeremo, quindi, nei prossimi anni? Se pensiamo al mondo, le ipotesi sono infi-nite, ma se guardiamo all’Italia è difficile prevedere cosa metteremo nei nostri piatti nel prossimo futuro. Si possono però capi-re quali saranno le tendenze della nostra tavola.

A fare delle ipotesi è Enrico Finzi, Astra Ricerche, dal suo osservatorio tecnico, in un’intervista rilasciata per il sito specializ-zato sul food.3

“Innanzitutto mangeremo meno: non più pasti pantagruelici, ma poche pietanze. Non più abbuffate al ristorante, ma una tendenza del passato: mangiare fuori tor-nerà ad essere un’occasione speciale.” Ne consegue che avremo consumi alimen-tari più semplici nel Bel Paese: si riscopre (e sempre più accadrà) una generica ten-denza a cucinare in casa, a preparare magari la “schiscetta” per il pranzo. E non solo le cuoche, anche gli uomini si lance-ranno nell’easy-cooking: una cucina sem-plice, rapida ma ben curata. Insomma, la presentazione del piatto sarà sempre più

(17)

curata, pur nella selezione attenta degli ingredienti.

Finzi segnala una diffusione crescente dei piatti locali e regionali: la riscoperta di ri-cette antiche, magari utili per recuperar gli scarti di cucina del giorno prima.

Di riflesso, la nostra cucina sarà sempre più low-cost ma anche più attenta alla sa-lute dell’individuo: un’alimentazione quasi “magica”, dice Finzi, capace di risolvere problemi legati ad ambiti complessi come la sessualità o semplicemente tesa a mi-gliorare la nostra qualità della vita in sen-so salutistico.

Tanto che si andrà sempre più verso il “personal food”: non ci sarà il cibo di massa, ma una sorta di dieta individua-le, dove la persona userà come forma di identificazione la scelta di ciò che mette in tavola.

Insomma, usando un’espressione della fisi-ca, la tendenza del cibo sarà la “compres-sione”: meno quantità ma più qualità nei nostri piatti, principio che riflette la locu-zione americana “less is more” ma anche “less is better”.

Per questo la cura di ciò che mangiamo accompagnerà il superamento del fast-fo-od verso lo slow-fofast-fo-od: saremo sempre più attenti alla provenienza degli ingredienti, alla sana filiera produttiva, alle informazio-ni relative e alle analisi dei grandi opiinformazio-nion- opinion-maker sulle aziende distributrici. Quindi, un consumo più consapevole.

(18)

RICETTE HOME MADE

Anche la diffusione dell’home made è una conseguenza di diversi fattori quali la co-modità del pasto pronto fuori casa, molto spesso, il risparmio legato alla crisi econo-mica ma, più di tutto, vi è una motivazione legata al alimentazione sana.

Sempre più persone attente alla salute e stanno rivalutando i vecchi processi per cucinare il cibo genuino. Fioccano corsi di panificazione, siti che spiegano come creare il “lievito naturale”, corsi e fan di orti sul balcone per non dipendere dal caro prezzi e così via.

Preparazione aiutate da elettrodomestici o alla vecchia maniera non sono così labo-riose come si può credere.

Il gusto ritrovato, del cibo dell’infanzia, è una motivazione che ha spinto a continua-re e proseguicontinua-re in questa dicontinua-rezione. Conoscere gli ingredienti, e poterli modifi-care a proprio piacere, rende sicuramen-te migliore la sapidità oltre che la qualità degli alimenti consumati. Un po’ come la differenza che si può trovare tra un vestito della grande distribuzione e uno fatto a mano da un sarto. In tavola però si è sco-perto che l’artigianato fa risparmiare più dell’industrializzazione.

Ad esempio, il costo del pane nelle città si aggira intorno a 1,80 euro al chilo, per autoprodurlo invece con un chilo di farina di Manitoba che costa 1,25 euro al chilo si ottiene una pagnotta, con lievito natura-le, di quasi due chili. Il lievito naturale non costa e si rigenera. Il pane a lievitazione naturale si digerisce meglio e quindi costa meno.

Nell’alimentazione vegetariana e vegana si usano sostituti proteici alla carne, come seitan e tofu, che nei negozi costano uno sproposito. Fare il seitan in casa richiede poco tempo e grandi risultati.

Con una macchina per fare il latte di soia si ammortizza il costo della macchina in breve tempo e si guadagna in salute. Per fare un litro di latte occorrono circa 100 gr di soia gialla il cui costo è di 0,50 euro ogni mezzo chilo.

Un litro di latte di soia al supermercato co-sta circa 2 euro. Il risparmio non è poco. Altro fattore, da non dimenticare, è che autoproducendo si consuma meno acqua, benzina per i trasporti, gas di scarico, scarti industriali. In Italia, inoltre, un risto-rante etnico su 4 è cinese, 1 su 8 arabo, 1 su 10 latinoamericano con una con-centrazione maggiore nel centro-nord del Paese. Nei gusti degli italiani, dunque, kebab, sushi e involtini primavera scaval-cano cotoletta, risotto e pizza.

(19)
(20)

IL BUSINESS DEI RISTORANTI ETNICI

Sempre più spesso sentiamo parlare di società multietnica e oggi tutti i paesi oc-cidentali sono caratterizzati da numerose comunità di immigrati che, negli anni, si sono evolute.

Le nuove generazioni che sono nate in Ita-lia, ma che hanno relazione con i paesi d’origine, hanno iniziato ad apprezzare la cultura alimentare del paese importan-dola da noi e ciò ha determinato l’aper-tura di numerosi locali che ci propongono pietanze etniche: dai più semplici e poco impegnativi (come i kebap o i pita) ai più raffinati come ristoranti indiani o thailan-desi.

Inutile dire che, per quanto delle volte si possa storcere il naso su questo business, che per molti suona come un invasione, la maggior parte delle volte assaporiamo più che volentieri le loro proposte.

(21)

FOCUS

I dati emergono da un’indagine della Ca-mera di commercio di Milano che eviden-zia come solo nella citta della Madonnina si spende circa 80 milioni di euro all’anno nei ristoranti etnici.

Secondo il report, dal 2000, il processo d’integrazione degli stranieri in città, an-che dal punto di vista culinario, ha subito una notevole accelerazione.

Dall’inizio del secolo, infatti, i ristoranti con un titolare straniero, soprattutto cinesi, a Milano sono aumentati del 179%, sfio-rando nel 2009 le 800 attività, a fronte di una crescita media del settore del solo 24%. Un milanese su 3 frequenta locali stranieri 10 volte all’anno, con una predi-lezione (circa il 25%) per i ristoranti arabi. I motivi? Generalmente risparmiare e gu-stare sapori diversi. Soprattutto, però, un milanese su 10 è spinto dal desiderio di avvicinarsi a nuove culture.

Vanno forte soprattutto in provincia di Mi-lano (dove è straniero il 12% del totale dei ristoratori).

Il boom si evidenzia però anche nelle altre Regioni italiane: nella province di Roma, l’8% dei ristoratori è straniero, mentre a Torino la percentuale è pari al 4%.

Dal punto di vista della dislocazione ge-ografica delle nazionalità dei titolari stra-nieri di locali etnici, la Lombardia, insie-me con Veneto e Lazio, priinsie-meggia per la presenza di cinesi, arabi e rumeni (58%), mentre la Campania resta la meta preferi-ta di titolari di ristoranti e alberghi d’origi-ne latinoamericana (11%), segue l’Emilia Romagna con il maggior numero di rume-ni (12,8%).

(22)
(23)
(24)

In questo capitolo diamo rilievo a i mezzi che ci circondano che raccontano, in maniere alternative, l’universo del cibo. Alcuni in maniera positiva, alcuni in maniera negativa. Altri in maniera neutrale dando rilievo ad aspetti secondari.

Il cibo è diventato negli ultimi anni l’attore principale e la nuova Star dei media: televisione, libri e web sono letteralmente impazziti e quasi ogni giorno nascono nuovi programmi, scritti, blog o applicazioni che riguardano la cucina, le ricette, il mangiare e il cibo. I cooking show sono ormai su tutti i canali televisivi, i food blog hanno invaso la blogosfera e le applicazioni mobile stanno proliferando. Il tutto ha influenzato per forza di cose anche il mondo dei social network, che si basa sugli utenti, sul loro “narcisismo” e sulla voglia di condividere le proprie esperienze (fosse anche solo un panino).

Food pornography e social eating sono diventate due tendenze sempre più presenti anche in Italia e con loro sono nati e cresciuti anche dei social network: il primo è la condivisione dell’immagine del piatto che si sta per mangiare, e gli esempi più famosi sono sicuramente Pinterest e Instagram (un po’ meno Facebook); il secondo invece è la condivisione del pasto vero e proprio, con l’organizzazione di eventi e serate per invitare amici (ma anche scono-sciuti) a mangiare a casa propria.

Il vero successo è dovuto al fatto che tutti, o quasi, possono diventare “chef” o “esperti” per qualche ora e possono vantarsi delle proprie creazioni, oppure possono elogiare o criticare una pietanza che stanno per mangiare, e poi scambiarsi opinioni con gli altri utenti. Questo boom l’hanno capito anche i brand del settore alimentare ed i ristoranti che

(25)

verso i social network hanno dato sempre maggiore importanza alle immagini e al coinvol-gimento degli utenti.

D’altronde il vecchio passaparola è stato sostituito da “like” e condivisioni, quindi sapersi raccontare con trasparenza e fantasia, sviluppando delle strategie di comunicazione che sfruttano proprio questa nuova tendenza dei social media, è diventato ormai un obbligo, per non rischiare di restare indietro rispetto ai competitors.

(26)

I FORMAT

Se c’è un messaggio che i format televi-sivi culinari cercano di trasmetterci quello che oramai chiunque ha la capacità di mettersi ai fornelli e realizzare qualcosa di creativo, improvvisandosi cuoco provetto. Il programma per eccellenza artefice di questa “corrente di pensiero” è Master-chef che, con il suo meccanismo leggero e accattivante, ha conquistato la fedeltà di un pubblico mondiale.

Masterchef fa la sua prima comparsa nel 1990, creato dal regista britannico Franc Roddam e trasmesso dalla BBC; ma il suo vero successo arriva nel 2005 quando viene rilanciato completamente rinnovato. Il suo meccanismo è semplice, prevede la competizione di un gruppo di chef ama-toriali che gareggiano e duellano tra di loro a suon di pietanze. Il lavoro dei con-correnti viene moderato e giudicato da un trio di giudici, chiave del format, che con la loro spietatezza e simpatia riesce a in-trattenere gli spettatori puntata pe puntata. L’introduzione, o meglio il rinnovo, di que-sto genere di format è stata una sorta di rivoluzione che ha spinto giovani (e non) aspiranti chef ad intraprendere questo per-corso creativo.

Essendo anche il target “bambino” molto appetibile, è stata ideata una declinazio-ne pensata appositamente per i piccoli cuochi, chiamata Masterchef junior. D’al-tronde i bambini sono una grossa fetta del pubblico di Masterchef e renderli parte integrante del talent show si è rivelata una mossa vincente.

I bambini ai fornelli sono buffi ma anche capaci di rivelarsi piccoli geni. I giudici con loro sono indubbiamente più flessibili, alle volte strappando qualche momento di tenerezza.

Il messaggio dietro allo spettacolo è che ormai l’alta cucina non è più un tabù. An-che se in chiave giocosa, tutti siamo in grado di realizzare piatti da nouvelle cou-isine non senza farci una gran risata tra un disastro e l’altro.

(27)
(28)

EDUCAZIONE ALIMENTARE

AD EXPO

L’Italia con l’Expo ha voluto porre il tema della nutrizione al centro del dibattito po-litico mondiale. “Nutrire il mondo, ener-gia per la vita”, sono temi che hanno un diretto, fortissimo collegamento con lo spreco alimentare.

Dal primo maggio 2015 la comunità internazionale si interroga sulle soluzioni possibili per una politica alimentare che sia equa ed efficace, su come i diversi paesi possono contribuire ad affrontare questo tema, su come definire un utilizzo razionale e giusto delle risorse naturali che non impoverisca il pianeta e, quin-di, la possibilità di nutrire un pianeta che fra pochi decenni conterà 9 miliardi di abitanti.

Un occhio di riguardo è stato adottato nei confronti dei bambini per i quali sono stati realizzati dei padiglioni ad hoc per farli divertire e allo stesso tempo sensi-bilizzarli sulle delicate tematiche alimen-tari.

(29)

CHILDRENPARK: IL PARCO A MISURA DI BAMBINO

Questo percorso, gestito dal Comune di Milano in collaborazione con una coope-rativa torinese di progettazione educativa e studiato da Reggio Children, prevede otto tappe diverse con esperienze multi-sensoriali diverse per ogni postazione: il percorso dura all’incirca 35-40 minuti ed è adatto a bambini di tutte le età.

In ogni postazione ci sono due responsa-bili che aiutano i bambini a interagire con il percorso e spiegano cosa bisogna fare. La prima stazione è legata all’olfatto: i bambini entrano sotto delle campane che diffondono odori di piante e devono cercare di indovinare che profumo sen-tono schiacciando un bottone sotto alla pianta esatta.

La seconda postazione è legata all’acqua e alle piante: viene dato ai bambini un recipiente dove raccogliere l’acqua che cade dal soffitto (che simula la pioggia), poi l’acqua raccolta viene messa in una bacinella trasparente e vaporizzata sulle piante che circondano la zona. In questo modo imparano il ciclo dell’acqua diver-tendosi.

Si passa poi al terzo gioco interattivo, in

cui i bambini imparano le differenze di peso tra loro e i vari animali – vengono pesati tutti insieme e scoprono per esem-pio che complessivamente corrispondono a 2 milioni di api o a 3 ghepardi – e tra-mite un video gli viene raccontata la storia di un seme che diventa albero.

La quarta postazione è di passaggio: ci sono i bagni e le panchine dove genitori e bambini posso riposarsi e guardare un video che spiega il progetto del Children Park. Proseguendo nel percorso si entra nella postazione con schermi interattivi, dove i bambini si vedono proiettati come se fossero alberi, con l’immagine che se-gue i loro movimenti grazie a dei sensori. (vedi foto pag. 32)

C’è poi la postazione legata all’energia e all’acqua, dove i bambini – pedalando con le bici – producono energia e solle-vano dei getti di acqua: più i bambini pe-dalano insieme più i getti sono numerosi e alti.

Nella settima postazione i bambini pesca-no da una vasca una pallina di plastica che contiene un disegno o un messaggio lasciato da quelli che sono già passati al Children Park. Potranno portarsi a casa

(30)

quel disegno, come ricordo della visita, e dovranno farne uno loro da lasciare per chi passerà nei giorni successivi. L’ultima postazione è formata da verdu-re giganti colorate, tra cui si potrà gio-care a “strega comanda color” con gli educatori e divertirsi ad arrampicarsi su una melanzana gigante o su una carota gialla.

In conclusione, la funzione di Expo in ambito educativo è stata fondamentale e i ragazzini hanno potuto trarre grandi insegnamenti dalle installazioni ideate per loro. La strategia di far loro interagire con il cibo ha fatto si che potessero di-vertirsi apprendendo il messaggio di cui l’evento si è fatto portavoce mondiale: “stiamo attenti agli sprechi”.

(31)

“L’EDUCAZIONE

E’ UN AFFARE SERIO.

ANCHE A TAVOLA”

(32)

CASI STUDIO

Esiste un’enorme quantità di casi che me-riterebbero di essere riportati.

Ho deciso di sceglierne alcuni, quelli probabilmente che hanno suscitato nella mia ricerca maggior interesse.

Il primo caso è quello della piattaforma digitale AGRODOLCE.

Agrodolce è un portale creato recente-mente su cibo e vino: ricette, prepara-zioni, informaprepara-zioni, news e commenti sul mondo enogastronomico ed i suoi pro-tagonisti.

E’ molto utile per tenersi aggiornati sul mondo del food sia per le persone che cercano qualche evento o qualche ricet-ta, sia per i professionisti che vogliono tenersi aggiornati.

E’ stato molto utile quando ho cercato manifestazioni culinarie dove raccoglie-re materiale.

(33)

Un altro caso studio interessante da men-zionare, poiché è stato molto utile per il recupero di informazioni importanti per il progetto, è il format televisivo UNTI E

BI-SUNTI.

Unti e bisunti è un programma televisivo italiano “on the road” presentato da Chef Rubio, alias di Gabriele Rubini.

In ogni puntata Chef Rubio gira il Bel Pae-se per cercare i piatti della tradizione più “unti e bisunti”, per poi sfidare un cuoco

con cibo da strada tipico del luogo. L’ar-duo compito di sancire il vincitore viene affidato ad una giuria composta da perso-ne comuni, solitamente da una rappresen-tativa sportiva del posto.

Nella terza stagione lo chef viaggia per paesi sperduti nel mondo e da la possibi-lità di conoscere le ricette più particolari: per questo motivo è stato interessante per il mio studio. Alcune ricette sono state utili per il kit che ho realizzato.

(34)

CHILDRENSHARE invece è un evento

ri-velatasi fondamentale per le mie ricerche e per la mia raccolta dati.

Si tratta di una programmazione di atti-vità per bambini appoggiata all’Expo (e durata esattamente quanto l’Expo), fina-lizzata a sensibilizzare i più piccoli alle tematiche alimentari.

Un viaggio attraverso i sapori, la cultura e le tradizioni di tantissimi Paesi: questo progetto vuole simbolicamente mettere a tavola insieme i bambini di tutto il mon-do, perché possano condividere,

gio-cando, il messaggio di Expo.

Childrenshare, oltre alla sua funzione principale, che è quella di generare una condivisione digitale di elaborati realiz-zati dai bambini riguardo al tema dell’a-limentazione corretta, include un’installa-zione, che precede l’inizio dell’evento, chiamata “Prepariamo la tavola”.

Si tratta di un grande tavolo interattivo locato in due strutture nella città di Mila-no, che permette di giocare con i piat-ti e le apparecchiature delle tavole del mondo, per prepararsi ad accogliere e a essere accolti nello scambio e nella convivialità interculturale.

(35)

Infine non posso non menzionare come lampante caso studio SLOW FOOD. Slow Food si pone come obiettivo la pro-mozione del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell’enogastronomia, innanzitut-to come un piacere. Fondata da Carlo Pe-trini e pensata come risposta al dilagare del fast food, dello junk food, e delle abi-tudini frenetiche, non solo alimentari, della vita moderna, Slow Food studia, difende,

e divulga le tradizioni agricole ed enoga-stronomiche di ogni parte del mondo. Slow Food si è impegnata per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi con-tro l’omologazione dei sapori, l’agricoltu-ra massiva, le manipolazioni genetiche. E’ stato utile nella sua estensione “Slow food international” per la ricerca di infor-mazioni culinarie sui paesi del mondo.

(36)
(37)
(38)

Questo capitolo è fondamentale per capire l’intento del progetto.

Prima di addentrarmi nello specifico, ho pensato di chiarirne il significato e la derivazione della parola “stereotipo”.

Stereòtipo

“Espressione, motto, detto proverbiale o singola parola nella quale si riflettono pregiudizî

e opinioni negative con riferimento a gruppi sociali, etnici o professionali.”4

Essi non sono quindi una creazione individuale ma vengono appresi dall’esterno e rappre-sentano la fonte di alimentazione dei pregiudizi individuali.

Le caratteristiche che lo contraddistinguono sono: -Semplificazioni grossolane e rigide della realtà.

-Processi di semplificazione non arbitrari ma con modalità stabilite culturalmente.

-Funzione di tipo difensivo che determina un mantenimento della cultura a salvaguarda delle posizioni dell’individuo.

-Svalutazione dei dati dell’esperienza.

-È il nucleo cognitivo del pregiudizio e quindi un insieme di elementi di informazione e di credenze su una categoria di oggetti o gruppi sociali che portano a pensare ed agire in un certo modo.

Fondo di verità: non sarebbe un errore attribuire certe caratteristiche a certi gruppi sociali

ma è un errore generalizzare ed esagerare. Il fondo di verità non può essere imputato a cause proprie del gruppo quanto a dinamiche socio-culturali.

(39)

Lo stereotipo può avere un significato neutrale (ad es. lo stereotipo del Natale con la neve e il caminetto acceso), positivo (ad es. gli italiani sono calorosi) o negativo (ad es. i tedeschi sono freddi e calcolatori) e, in questo caso, rispecchia talvolta l’opinione di un gruppo sociale riguar-do ad altri gruppi. Se usato in senso negativo o pregiudizievole, lo stereotipo è considerato da molti come una credenza indesiderabile che può essere cambiata tramite l’educazione e/o la familiarizzazione. Talvolta lo stereotipo è una caricatura o un’inversione di alcune caratteristi-che positive possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole.5

Può essere utile riflettere sul come e sul perché tendiamo a creare degli stereotipi, anche se spesso essi si rivelano nient’altro che concezioni errate. In parte molti dei nostri stereotipi sono trasmessi culturalmente (come quelli legati alla differenza uomini/donne, oppure relativamente al carattere o ai difetti di certe popolazioni), e ci spingono ad etichettare certi atteggiamenti in maniera diversa a seconda dell’attore coinvolto per rimanere coerenti con lo stereotipo di base. La mia tesi si propone di superare uno stereotipo molto rigido, ovvero lo stereotipo di genere radicato all’interno dei nuclei familiari.

(40)

LO STEREOTIPO DI GENERE

Individuato il significato vero e proprio di streotipo (scorciatoia cognitiva di cui la nostra mente non riesce a fare a meno) è necessario capire e approfondire il con-cetto di stereotipo di genere e, all’interno di questa categoria, qual’è il caso specifi-co a cui la mia ricerca si riferisce.

Nel genere si ha una manifestazione on-nipresente di stereotipo, tanto da essersi guadagnata il nome di stereotipo di ge-nere; un esempio è lo stereotipo che vede

le donne più empatiche o loquaci, o meno “portate” al ragionamento logico-matema-tico, mentre gli uomini più freddi, taciturni e razionali. Probabilmente chiunque ha esperito personalmente almeno un caso che non fosse conforme a queste descri-zioni.

L’identità di genere si forma nella primis-sima infanzia (a due anni ne siamo già consapevoli) e viene rafforzata da fami-glia, scuola, televisione, stampa…tutto (a cominciare dalle favole) concorre a tra-smetterli e favorisce la polarizzazione dei generi.

Per stereotipi di genere si intendono quei meccanismi di categorizzazione ai quali gli individui ricorrono per elaborare, inter-pretare e decodificare la rappresentazio-ne di ciò che è femminile o maschile. Si basano sulla credenza che, al di là delle differenze biologiche, gli uomini e le donne abbiano differenti caratteristiche. Le due categorie, “femminile” e “maschi-le”, sono in genere nettamente distinte, caratterizzate da precise immagini men-tali socialmente condivise della differenza sessuale.

Tutte le differenziazioni stereotipiche ser-vono a mettere in moto alcuni meccanismi che sono importanti per giustificare il man-tenimento delle differenze di genere. Infatti, secondo la teoria della “giustifica-zione sociale”6 i meccanismi che

agisco-no per mantenere lo stato di fatto, e quindi una situazione di stallo, sono essenzial-mente di tre tipologie:

1. Ogni genere sarebbe essenzialmente

portato ad occupare le posizioni e i ruoli prescritti dalla società; pertanto le creden-ze stereotipiche porterebbero le persone a pensare che ciascun gruppo (uomini e donne) è essenzialmente adatto a coprire determinati ruoli che gli sono prescritti dal-la società; in quest’ottica dal-la divisione dei

(41)

ruoli non sarebbe soltanto “giusta” ma per-sino naturale o inevitabile.

2. Le donne grazie agli stereotipi positivi

(es. essere accoglienti e virtuose) che le caratterizzano e il fatto che gli ambiti fem-minili vengono valutati molto positivamen-te (es. la cura delle famiglia), potrebbero sentirsi appagate ed essere spinte ad ap-poggiare il sistema patriarcale.

3. La convinzione che ogni gruppo

socia-le ha dei vantaggi e degli svantaggi con-tribuisce ad aumentare la credenza che il sistema nel complesso sia giusto, bilancia-to e legittimo.

Gli stereotipi di genere, quindi, sostengo-no il sistema sociale esistente raffigurando uomini e donne come “complementari, ma uguali”. Se aggiungiamo il rafforzamento di questi stereotipi di genere da parte dei mass media, allora appare il meccanismo di come il sistema delle dispari opportuni-tà per uomini e donne venga mantenuto e legittimato appare in tutta la sua chiarez-za.

NEL CASO DEL PROGETTO

Lo stereotipo di genere, per quanto riguar-da le mie ricerche, è riferito a quella fetta

di famiglie che, tendenzialmente riversa le responsabilità culinarie alle femmine della casa, creando così una frattura in deter-minate attività, come quella di cucinare insieme.

L’idea della cucina associata all’universo femminile mette le sue radici nell’infanzia di ognuno di noi, con episodi banali come il ricevere a natale regali correlati stretta-mente al sesso (il dolce forno alle femmi-nucce e il piccolo chimico ai maschietti) oppure con immagini ricorrenti come la donna rappresentata col grembiule da ca-salinga e l’uomo con la tuta da meccanico meccanico. E’ normale, dunque, crescere con l’idea che “io donna” dovrò essere in grado di preparare la cena per la mia famiglia.

Il progetto #COOKINGWORLD si pro-pone di superare questo stereotipo e co-struisce un punto di incontro per cucinare insieme cosìcchè l’attività diventi un mo-mento gioioso da svolgere sia tra mamma e figlio/a sia tra papà e figlio/a.

Se per il maschio dare una mano in cu-cina risulta noioso e forzato, il progetto mette a disposizione una serie di strumenti che motiva e invoglia a farlo.

(42)

LA CUCINA PER L’ADOLESCENTE

Indagando sulle abitudini alimentari infan-tili e adolescenziali ho potuto trarre alcune conclusioni che saranno utili per capire i comportamenti chiave.

C’è un momento della vita in cui il cibo risulta oltremodo necessario.

Certo, il cibo ci serve sempre ed è fina-lizzato alla sua sopravvivenza, ma in adolescenza, così come nella prima infan-zia il cibo è un carburante di importanza davvero speciale. Eppure gli adolescenti spesso mangiano male, a volte mangiano troppo, a volte mangiano troppo poco, a volte mangiano in modo totalmente inade-guato rispetto ai loro bisogni effettivi. QUAL’E’ L’INTERESSE DI UN ADOLE-SCENTE NEI CONFRONTI DEL CIBO? I giovani non sono gourmet: mangiano per gola e per fame, ma il cibo nella loro vita non è tra i piaceri fondamentali. Gli adulti o fanno del cibo un oggetto di amore, un hobby oppure una occasio-ne per socializzare. I bambini appena possono scappano da tavola e vanno a giocare, gli adulti rimangono a tavola a

chiacchierare e a mangiare a oltranza. Il set point dei bambini è più basso di quello di molti adulti perché anche se mangiano cibi ipercalorici, non hanno sempre in te-sta il cibo, la loro fame non è amplificata da nevrosi o da comportamenti sociali ob-bligati. Mangiano secondo natura: quan-do la fame cessa, smettono di mangiare e vanno a giocare.

Oggi cosa succede? I giovani fanno meno attività fisica, di fatto sono sedentari come gli adulti. Durante l’attività fisica il giovane non ha fame, ma se al posto di correre sta davanti alla TV, la fame gli viene. E non mangia carote o mele: mangia merendine (la pubblicità non lo educa in tal senso e nemmeno i genitori). E ingrassa, fin da piccolo.

(43)
(44)

FOCUS

Di seguito riporto una breve intervista fatta dalla giornalista Tulia Fabiani alla psicolo-ga dell’età evolutiva Anna Oliverio. “Insieme a un’educazione alimentare ser-ve un’educazione al consumo”. La profes-soressa Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva, ne è convinta: i ragazzi, per imparare ad avere cura di sé, devono sapere cosa mangiano ma anche cono-scere i meccanismi del marketing e della pubblicità.

Professoressa Ferraris, perché questa convinzione?

“Perché la pressione della società dei con-sumi è grande. In molti casi i giovani sono visti dal mercato solo come target. Ven-gono omologati e appiattiti e tutto ciò va contro la creatività individuale, ma anche contro il loro benessere. C’è chi ha una maggiore consapevolezza, ma si tratta di una minoranza”.

Ma in che modo si possono difendere i ragazzi?

“Cominciando a ragionare sui meccani-smi pubblicitari ad esempio. Se gli inse-gnanti facessero questo tipo di esercizio a scuola i bambini diventerebbero molto consapevoli. Anche per quel che riguarda l’uso dell’alcol e per ciò che riguarda il fumo, l’educazione deve essere precoce. Parlarne durante l’adolescenza e già trop-po tardi”.

C’è chi parla di un cattivo esempio dato dai genitori: troppi permessi per andare al fast food e troppi cibi precotti o surge-lati in casa...

“Non credo sia sempre colpa dei genito-ri. Bisogna infatti anche contestualizzare: i ragazzi sin da piccolissimi passano molte ore davanti alla tivù e vedono tanti spot. I genitori oggi devono avere la forza di andare contro corrente. Inoltre, tutti i giorni c’è un messaggio latente teso a promuove-re l’autonomia dei giovani e a dimostrapromuove-re che ne sanno più dei genitori”.

Tullia Fabiani, intervista alla psicologa dell’età evolutiva Anna Oliviero (www.repubblica.it/ scuola e giovani)

(45)

In qualche modo i consumi diventano il mezzo della ribellione adolescenziale?

“La trasgressione e rito di passaggio in quella età e i pubblicitari sono bravissimi a cogliere questi aspetti e a usarli per lan-ciare un messaggio e un prodotto. Oggi, ad esempio, i ragazzi devono molta birra, più che in passato e bere per poi lasciare la bottiglia per terra è come lasciare un segno di sé. Un modo per segnare il terri-torio. In questo caso il messaggio è legato fortemente al prodotto. Mentre i ragazzi dovrebbero riconoscere che l’autonomia non passa esclusivamente attraverso il consumo, ma attraverso la capacita di scelta”.

E il contributo della scuola in tal senso quale potrebbe essere?

“La scuola su questi temi dovrebbe essere rinnovata per riuscire a occuparsi anche di questi aspetti formativi, dall’alimentazio-ne al consumo, altrimenti lo scarto con la società e con i messaggi che vi si trovano diventa sempre più forte. Va detto anche che oggi il rapporto tra scuola e famiglia è complicato. Spesso infatti la famiglia è iper indulgente: pur di difendere i ragazzi si pone in rapporto di opposizione alla

scuola, rendendo maggiormente difficile il lavoro di un insegnante”.

(46)
(47)
(48)

Parliamo della nostra era, l’era di internet e dei social media, l’era della comunicazione di massa interattiva, in cui l’utente svolge un ruolo attivo e non più passivo, l’era della condivi-sione, in cui i contenuti si moltiplicano e si spostano alla velocità della luce attraverso canali digitali, l’era degli smartphone e dei tablet, in cui qualunque utente medio può generare, visualizzare, editare, commentare, condividere, contenuti digitali senza necessariamente esser fermo in un luogo.

È l’era dei videogames social e multiplayer, in cui i giocatori non si sentono più soli pur trovandosi isolati dal resto del mondo .

E’ l’era del videosharing in cui la maggior parte dei filmati vengono prodotti e condivisi da-gli utenti e non dai grandi produttori, l’era dello streaming in cui i video vengono trasmessi in tempo reale con o senza copyright.

LA CONDIVISIONE E’ DIVENTATA UN NUOVO MEZZO DI COMUNICAZIONE

Attraverso la condivisione, riusciamo a far capire a tutti il nostro pensiero, le nostre idee. Oggi , tramite internet condividere un pensiero, un’idea è diventato molto più semplice. I social network ci permettono di condividere con tutti ciò che pensiamo. Il termine condivide-re ormai viene associato dicondivide-rettamente al mondo dei social network… condividecondivide-re una foto, uno stato. La condivisione sta diventando l’affermazione di quel contenuto, condividere è dare e ricevere, scambiarsi qualcosa, creare nuove relazioni attraverso un modo veloce ed efficace.

Attraverso la condivisione, riusciamo a trasmettere a tutti la nostra appartenenza ad un pen-siero, ad un’ideologia, a un gruppo. Un bisogno che nasce dalla necessità di comunicare per confrontarsi, per migliorarsi. Tutto questo oggi, acquista ancora più senso attraverso internet, dove è molto più facile mettere insieme idee e condividerle , con un meccanismo tanto semplice quanto eccezionale.

La comunicazione tradizionale prima di internet, è sempre stata impersonale, non modifica-bile e quindi di conseguenza non condivisimodifica-bile.

(49)
(50)

Oggi con la diffusione dei social network, la comunicazione è diventata personalizzabile e ha fatto si che ognuno di noi diventasse regista e attore di questo o quel fatto. Quindi di conseguen-za chi legge e condivide quell’informazione, o quella foto, o quello stato, ne diventa anche lui protagonista.

Questa possibilità è collocabile all’interno del “design delle opzioni”, un ramo del design che ne esprime il carattere strategico.

Coniato dal Professor Francesco Zurlo, durante l’ultimo corso universitario “Sintesi finale”, il de-sign delle opzioni, come suggerisce il nome stesso, offre una scelta fra possibili soluzioni e non è più fine a se stesso ma implica una serie di possibilità.

Perciò anche l’utilizzo dei social network rientra in questa definizione per la sua vasta scelta di azioni, a tal punto che l’utilizzatore diventa a sua volta progettista fautore di nuovi output. Al giorno d’oggi questa inversione di parti accade molto spesso, ed è una situazione ironica perchè è come se il progettista cedesse i suoi strumenti agli utenti per rendere loro stessi

(51)

IL TREND DEL SOCIAL FOOD

Un fenomeno importante sviluppatosi in questi anni del boom smartphone è la moda di condividere ciò che si mangia. Dal pasto cucinato con cura con le pro-prie mani al piatto pulito e elegante ser-vito al ristorante, l’impulso di fotografare il cibo prende spesso sopravvento. Ba-sta sbirciare piattaforme di condivisione come instagram e facebook cliccando su hashtag come #pornfood o #instafood e verremo probabilmente sommersi da mi-liardi di scatti amatoriali e non.

Cosa spinge gli individui a comportarsi in questo modo?

A tavola sono di moda ricette low-cost in chiave etica, e sopratutto, estetica: le nuo-ve tendenze in tema di alimentazione, di cui tanto si sente parlare in previsione di Expo 2015, sembrano escludere il cibo di massa, verso una nuova consapevolez-za sul cibo e per il cibo. Non solo nella scelta di una dieta individuale calibrata in base al proprio fabbisogno, ma anche in una nuova forma di “identificazione socia-le” a seconda di ciò che si mangia, come lo si fa, dove si compra e da chi.

(52)

presen-tazione dei piatti ha diffuso una percezio-ne del cibo quasi “pornografica”, diffusa non solo dalle riviste patinate o dai libri di cucina ma anche dalle numerose tra-smissioni televisive di cui ho parlato nei capitoli precedenti.

“FOOD PORN”

Il termine “food porn”, tanto di moda sui social network, è stato coniato per la pri-ma volta nel 1984 nel libro “Fepri-male Desi-re-Women’s. Sexuality today”, della scrit-trice femminista Rosalind Coward e indica la rappresentazione “libidonosa” dei piatti con lo scopo, più o meno dichiaratamente commerciale, di “far venire l’acquolina in bocca” e stimolare il desiderio paragona-bile a quello sessuale.

Complici i nuovi strumenti digitali, i social media e le App con le quali gli utenti con-dividono creazioni culinarie più godurio-se, il porn food nell’ultimo decennio è di-ventato un vero e proprio fenomeno. Una sovraesposizione mediatica che scimmiot-ta la cultura gastronomica francese della “Nouvelle cuisine”, diffusasi a partire da-gli anni ’60 ed erede della cucina futurista del trentennio precedente, unita a nuove e creative influenze digitali.

(53)

LE PIATTAFORME SOVRANE

Qualsiasi gruppo di individui connessi fra loro da diversi legami sociali rappresenta una rete sociale.

Dal 2004 con Facebook, il padre dei so-cial network, le reti soso-ciali hanno comin-ciato a configurarsi sul web sostituendo nel tempo i rapporti interpersonali reali con rapporti virtuali.

Oggi i social network detengono diversi primati, tra tutti, hanno il merito di riuscire a tenere gli utenti “incollati” per più tem-po rispetto a tutti gli altri siti. Ogni utente rappresenta una potenziale fonte di gua-dagno per il sito: maggiore è il tempo che trascorre sul sito, più alta è la probabilità che la sua permanenza si traduca in pro-fitti

.

Da ormai quattro anni il social network preferito per la condivisione delle proprie foto è Instagram, una piattaforma con la quale è possibile scattare e condividere solo ed esclusivamente foto, rendendole popolari grazie agli hashtag.

Gli hashtag saranno uno strumento molto utile per il progetto perché agiscono come parole chiavi di popolarità, permettendo

a chiunque nel mondo, di vedere i conte-nuti dei singoli individui.

Questi piccoli strumenti di popolarità ven-gono utilizzati in un’altra piattaforma social atrettanto importante che è Twitter.

Twitter viene utilizzato maggiormente da personaggi famosi per condividere posizio-ne, foto e pensieri; molto simile a questo per facebook, ma , a contraddistinguerlo è la piccola dimensione della frase da condivi-dere, così breve da esser chiamata appun-to “tweet”.

(54)
(55)

GENERAZIONI A CONFRONTO

Le nuove tecnologie e l’avvento di Internet nella vita di tutti i giorni hanno radicalmen-te modificato il modo in cui cresciamo, ci informiamo e comunichiamo: se è vero che non ha senso fare di tutta l’erba un fascio, è altrettanto vero che capire come come le varie generazioni si comportano e si differenziano tra loro può aiutarci, sia per relazionarci che lato business.

Nel nostro particolare caso occorre fare una distinzione tra le due tipologie di uti-lizzatori del prodotto.

Noi andremo a rivolgerci ai genitori e ai ragazzi, perciò parlerò rispettivamente di “baby boomers”, “millenial generation” e “z generation”.

I BABY BOOMERS:

INDIPENDENTI E GRANDI LAVORATORI

I Baby Boomers fanno parte del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondia-le, in cui si registrò non solo una crescita economica importante ma anche un vero e proprio boom di nascite.

I Baby Boomers sono fortemente orientati al lavoro, alla carriera e sono indipenden-ti anche in virtù delle maggiori possibilità economiche e di istruzione rispetto alla ge-nerazione precedente.

I MILLENIAL

Chi sono i ragazzi della Generazione Millennium? Si tratta della generazione del nuovo millennio, quella dei ragazzi che nei primi anni del 2000 terminano la scuola per entrare nel ‘mondo del lavoro‘, sono i ragazzi che all’alba del terzo mil-lennio hanno smesso di essere solo figli per intraprendere la propria strada e di-ventare persone parte di un sistema anco-ra tutto da costruire.

‘I millennium sono consapevoli di esse-re cesse-resciuti in un’economia disfunzio-nale e proprio per questo non possie-dono tutte le caratteristiche dell’homo economicus classico gli manca l’egoi-smo, il bisogno di possesso e l’indivi-dualismo dei genitori. Spontaneità, improvvisazione e fiducia nel prossi-mo ne descrivono i comportamenti … intorno a questi valori i millennium stanno costruendo un’economia alter-nativa’.4

(56)

I Millenial sono stati plasmati dalle nuove tecnologie e vivere connessi anche 24 h su 24 fa parte del loro DNA: hanno avuto un infanzia più agevolata rispetto ai loro genitori e sono a volte descritti come narci-sisti, pigri e inclini a cambiare lavoro con facilità.

Addirittura, alcuni studi ci descrivono (sì, ne faccio parte anch’io!) come meno in-teressati a questioni politiche e civili delle generazioni precedenti e più orientati ai beni materiali ed effimeri (soldi, immagi-ne, fama), dall’altro lato, veniamo descritti anche come più aperti mentalmente, più ricettivi a idee nuove e anche più liberi nell’espressione di noi stessi.

LA GENERAZIONE Z: IPERCONNESSI E SMART

La definizione “Generazione Z” abbrac-cia i nati dopo il 2000.

Questi ragazzi sono cresciuti a pane, In-ternet e Tablet, facendo di loro individui iperconnessi che “preferiscono scrivere un messaggio anziché parlare con qual-cuno”. Sono nati sospesi tra il terrore del riscaldamento globale e la crisi economi-ca imperante, questo li ha fatti crescere

più in fretta e più sensibili verso i problemi “del mondo” rispetto alle generazioni pre-cedenti.

Proprio perché cresciuti con l’ausilio della tecnologia in ogni campo della loro vita, sono più propensi a trovare una rapida soluzione che a lavorare duramente per risolversi in autonomia i propri problemi: “il loro istinto è di mirare più alla rapidità che all’accuratezza”.

D’altra parte, la continua mole di informa-zioni con cui sono bombardati ogni giorno pare faccia sì che la loro mente venga co-stantemente allenata nel processare molti contenuti e ne faccia individui più intelli-genti rispetto alle generazioni precedenti.

(57)
(58)
(59)
(60)

Questo capitolo è importantissimo per la tesi poiché il visual design è lo strumento di comu-nicazione che utilizzerò per rivestire il progetto.

Dato che parlare di visual design è un discorso molto generico e ampio in questi capitoli stringerò la cerchia parlando solo di alcuni casi di design comunicativo come quello icono-grafico, pittorico , illustrativo e strategico.

A mio avviso la realizzazione di un designer grafico avviene quando il suo segno viene riconosciuto e ricondotto a lui, creando così un’identità grafica.

Oggi sono tanti i designer che hanno abbracciato il mondo del food con il design grafico realizzando nuove forme di comunicazione che alle volte non hanno bisogno di parole scritte per essere lette.

La cucina dopotutto è uno dei luoghi più creativi, dove l’arte nasce e si sviluppa, perciò la preparazione di un piatto, la narrazione di una ricetta diventano oggetto d’arte.

Se parlassimo di tutti i casi studio interessanti che sono stati utili per la creazione del proget-to servirebbe uno smisuraproget-to numero di pagine perciò mi limiterò a menzionare unicamente quelli che mi hanno colpita dritto al cuore.

(61)
(62)

ICONOGRAFIA INTUITIVA E “ISOTYPE”

Se parliamo di riconoscimento di identità a livello visivo, di riconducibilità di signi-ficato non possiamo non accennare al si-stema Isotype.

Nel graphic design e in sociologia, Isot-ype è un sistema basato su pittogrammi, progettato dall’insegna te e filosofo austria-co Otto Neurath e dall’illustratore Gerd Arntz per comunicare le informazioni in modo semplice e visuale, senza l’utilizzo (o con un uso limitato) della lingua scritta e parlata.

OTTO NEURATH

(1882-1945), filosofo viennese, econo-mista e scienziato sociale, da bambino era affascinato dalla funzione di egiziani geroglifici-loro forme e capacità degli egi-ziani di comunicare una storia attraverso i geroglifici.

Questa precoce influenza è stata poi fon-damentale nel lavoro della sua vita, lo svi-luppo di un sistema per organizzare pitto-ricamente significati.

Isotype è stato sviluppato per diffondere informazioni quantitative con obiettivi so-ciali: nelle intenzioni originarie di Neu-rath, Isotype avrebbe dovuto essere

utilizzato dagli insegnanti per facilitare la comprensione ai bambini, ma, alla fine, ha rivoluzionato la segnaletica pubblica, l’iconografia e la rappresentazione dei dati quantitativi moderne.

Attraverso un’immagine si esprimono mi-gliaia di parole: per questo viene definito “linguaggio internazionale per immagini” o “linguaggio visivo ausiliario”.

Le caratteristiche di ogni segno del siste-ma sono: semplicità, riconoscibilità, im-mediatezza, esattamente ciò di cui vorrei vestire il progetto. I segni non dovrebbero essere troppo dettagliati, dovrebbero essere comprensibili senza l’aiuto di pa-role e dovrebbero consentire un utilizzo simile a quello dei caratteri tipografici.

La tavolozza cromatica viene limitata, sug-gerendo l’uso di solo 7 colori, sufficiente-mente differenti tra loro da essere sempre identificati dall’osservatore: bianco, blu, verde, giallo, rosso, marrone e nero. Neurath per realizzare il suo programma di divulgazione, studiò una teoria (il co-siddetto “metodo viennese”) per la rappre-sentazione visiva di dati complessi, come quelli statistici, basata sul fatto che l’ap-prendimento avviene in modo più

(63)

imme-diato e intuitivo tramite immagini semplici, rispetto alle parole.

Prendendo spunto dalle teorie di Wittgen-stein sul linguaggio, immaginò un linguag-gio visivo composto da icone che potes-sero combinarsi tra loro secondo regole stabilite, per dar vita a un sistema di co-municazione visiva universale.

(64)
(65)
(66)

CASI STUDIO

Come accennato in precedenza, anche stavolta è necessario fare una cernita dei casi studio.

Durante questa fase di ricerca ho avuto modo di prendere visione di numerosi lavori di graphic design traendone un ar-ricchimento personale che mi ha aiutato nella crescita professionale.

FOREIGN JAPANESE

Come caso studio basato sulla

comunicazione e rappresentazione del cibo vorrei citare il giapponese designer

Moé Takemura che ha realizzato un libro

di cucina dove gli ingredienti sono visua-lizzati come campioni di tessuto per aiuta-re i lettori occidentali a ricaiuta-reaaiuta-re dolci giap-ponesi tradizionali con alimenti comuni. Moè Takemura ha realizzato “Foreign

Japanese Sweets” come una guida per

principianti per fare spuntini dall’Estremo Oriente, con ingredienti che si trovano nei paesi occidentali.

Mi sembra importante citare questo caso studio, pochè trovo interessante l’estensio-ne dell’oggetto del ricettario all’idea di campionario.

Ho trovato interessanti tutti i casi simili a questo, tutte le rivisitazioni del classico li-bro di ricette con risultati spesso totalmente astratti.

(67)
(68)

SPOLLO KITCHEN

Tra i casi studio che ho analizzato c’è

Spollo kitchen, ricettario visivo realizzato

da CTS grafica in collaborazione con Aiap, risultato di un processo di contami-nazione tra grafica e cucina.

Questo libro consiste in una raccolta di illu-strazioni di ricette scelte da 100 designer italiani.

I loro piatti preferiti sono rappresentati in un manifesto culinario realizzato da 5 pro-fessionisti della grafica editoriale.

Come nel caso precedente, ho trovanto in-teressante l’intrepretazione della semplice ricetta in chiave artistica.

Spollo kitchen offre output differenti: in al-cuni casi la ricetta viene interpretata con un manifesto grafico, altre volte con una foto.

Quasi sempre l’immagine realizzata per rappresentare la ricetta comunica un sen-so di casereccio e di rustico che avvicina il lettore all’umanità di chi racconta. Infine c’è da dire che Spollo kitchen, a dif-ferenza di altri libri di ricette raccontati in chiave artistica, che spesso danno più rile-vanza all’astratto rendendo le ricette poco realizzabili, ha un’ottima funzionalità nel senso che, seguendo la guida, cucinare un’ottima pietanza non è difficile.

(69)
(70)

I TRADIZIONALI

Un altro caso studio estremamente inte-ressante è I Tradizionali, realizzato da due designer Marina Cinciripini e Sarah Richiuso.

“I Tradizionali” sono illustrazioni di ricette che possono essere applicati sul proprio avambraccio essendo tatuaggi trasferibili. Il tatuaggio non solo sottolinea il gesto co-mune del “rimboccarsi le maniche” prima della cottura, ma aiuta anche il cuoco a ricordare l’ordine in la ricetta deve essere preparata.

Questo progetto grafico ha unito la cultura dei tatuaggi alla cultura culinaria produ-cendo un vasto range di ricette tradiziona-li, buone e sane.

Il prodotto è stato inizialmente concepito per un concorso: il Premio Lissone design 2013.

Nonostante, rispetto ai casi studio prece-denti, non abbiamo più il libro di ricette anche stavolta ritengo di poter archiviare questo progetto come ricettario pensato in modo diverso dal solito.

Le ricette non sono scritte più sulle pagi-ne ma vengono stampate sulle braccia in modo assolutamente strategico.

Inoltre le ricette non sono scritte ma sono raccontate con disegni che aiutano la comprensione della preparazione.

Quest’ultima particolarità mi aveva colpito tanto da pensare di realizzare qualcosa di simile ed è stato proprio questo caso studio a darmi il primo imput per la realiz-zazione del progetto.

(71)
(72)

IDENTITA’ VISIVA

Ancora, un caso studio cui vorrei accenna-re è lo studio del food design del gruppo

KeuKenconfessies i quali hanno

progetta-to un’identità visiva sul cibo.

“Ci è stato chiesto di progettare un ‘logo’ che potrebbe cambiare, per questo sia-mo arrivati a diverse forme indipendenti provenienti da cibo e cucina, alcuni più astratti di altri. Con queste forme si posso-no mescolare infinite combinazioni. Per i biglietti da visita abbiamo aggiunto un livello con il timbro, per rendere l’identi-tà un po‘ più leggera e giocosa. L’identil’identi-tà è basata su un linguaggio di forme sem-plici e definite. Per il testo abbiamo scelto un lettering nero e audace, che dà una sensazione forte e decisa accanto alle for-me colorate.”

Questo progetto è molto interessante nell’ambito del visual design.

Le icone, pur essendo astratte, riescono a comunicare facilmente l’alimento che rap-presentano e combinandoli tra loro dan-no vita a forme nuove che comunicadan-no qualcosa di diverso da ciò che comunica-vano in precedenza.

Trovo il design visivo estremamente effi-cacie quando pur essendo minimale può essere versatile e rappresentativo di più significati.

(73)
(74)
(75)
(76)

Per avvalorare le ricerche di cui ho parlato nei capitoli precedenti ho deciso di svolgere dei questionari, dei sondaggi e delle interviste finalizzate ad avere dei dati reali.

Non è stato difficile ottenere queste informazioni, eccetto nel caso in cui la ricerca riguar-dava più da vicino bambini e ragazzini, laddove la delicatezza e la privacy hanno un’im-portanza maggiore.

Suddividerò questo capitolo in due parti per mostrare rispettivamente le tre diverse raccolte di dati che ho svolto.

Nel primo caso ho realizzato un sondaggio riguardante l’utilizzo dei social network e l’ho sottoposto ad un campione di 65 persone.

I risultati hanno mostrato una conoscenza delle piattaforme social da parte dei campioni molto approfondita.

Nel secondo caso ho scelto di realizzare una piccola intervista presso il museo MUBA dove si è svolto un programma di progetti per bambini. Le domande ho potuto sottoporle ai dirigenti responsabili delle attività che si sono rivelati molto disponibili.

I risultati di tutte e due le indagini sono stati preziosi per la comprensione del meccanismo sociale legato al mio prodotto.

(77)
(78)

PRIMA INDAGINE: SONDAGGIO ONLINE

Il primo test e stato fatto per capire, in base a un numero di 65 campioni, quale sia il livello di utilizzo delle piattaforme sociali e quale sia il motivo che li spinge a condividere elementi fotografici sul web.

I risultati non sono stati così lontani da ciò che era stato ipotizzato prima dell’esperimento.

Campione:

Contesto:

Il test è stato sottoposto su facebook.

Le persone che hanno svolto il test sono stati amici e conoscenti. tra i 16 e i 60 anni

Età:

(79)
(80)
(81)
(82)
(83)

Riferimenti

Documenti correlati

Vengo ora al merito di ciò che si sta faticosamente (e lentamente) delineando nei lavori parlamentari. Vari profili mi paiono promettenti e interessanti. Ad esempio: la delega

Da persona che soffre di attacchi di panico posso dire che il lavoro proposto qui sopra, oltre che l’essere seguita da un supervisore, mi ha molto aiutata, perché non solo mi

Proposta operativa: lezione motivazionale con esperti su uno dei principi costituzionali legati ai temi della giustizia sociale, della pace, del diritto internazionale, la

Nel caso limite la particella arriva nel punto più alto della pedana avendo la stessa velocità orizzontale V di quest’ultima, e velocità

Avere fiducia è un atto di coraggio, dobbiamo proprio affidarci a qualcuno e questo ragionamento vale anche quando dall’altra parte ci siamo noi stessi.. Avere fiducia in noi,

Per quanto riguarda il sito propongo di valorizzare di più le attività caratterizzanti e “trainanti” : opportunità di impegno/lavoro/volontariato, il servizio civile, i campi

didattici per euro 50.700, che spaziano dal- le attrezzature multimediali (si prosegue nell’incremento delle aule medigliesi dota- te di LIM) a iniziative di educazione alla

Una delle categorie più cospicue di sussidi ambientalmente dannosi è rappresentato dai sussidi ai combustibili fossili (fossil fuel subsidies) ed è su questo tema che si