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SURRENECTOMIA LAPAROSCOPICA VERSUS SURRENECTOMIA ROBOTICA: STUDIO PROSPETTICO RANDOMIZZATO

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Academic year: 2021

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Sommario

2.1. CENNI DI ANATOMIA NORMALE ... 11

2.2. CENNI DI ANATOMIA CHIRURGICA ... 17

4.1. MATERIALI E METODI ... 27

... 29

4.1.1. Tecniche chirurgiche ... 30

4.1.1.1. SURRENALECTOMIA LAPAROSCOPICA75 ... 30

4.1.1.1.1. Surrenalectomia laparoscopica sinistra ... 32

4.1.1.1.2. Surrenalectomia laparoscopica destra ... 36

4.1.1.2. SURRENALECTOMIA ROBOTICA ... 39

4.1.1.2.1. Surrenalectomia laparoscopica sinistra robot assistita ... 39

4.1.1.2.2. Surrenalectomia laparoscopica destra robot assistita ... 42

4.1.2. Il sistema chirurgico da Vinci® ... 44

4.2. RISULTATI ... 50

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1. Introduzione

Le ghiandole surrenali furono descritte e disegnate su lastre di rame, per la prima volta, nel 1552 da Bartolomeo Eustachio nella sua Opuscula anatomica come “glandulae renis incumbentes” (ghiandole sdraiate sui reni). Nonostante la pubblicazione, Galeno, Da Vinci e Vesalio trascurarono l’esistenza delle ghiandole. Nel 1629 il parigino Jean Riolan introdusse il termine “suprarenales capsulae” (capsule soprarenali), che venne usata per molti anni. Nel 1805, Cuvier definì con precisione anatomica la divisione in corticale e midollare, senza però suggerire alcun ruolo funzionale delle ghiandole surrenali. Per tutto il XIX secolo, la funzione delle ghiandole surrenali fu oggetto di numerosi dibattiti che portarono a conclusioni alquanto lontane dalla realtà. Alcune ipotesi suggerivano che i surreni potessero rilasciare “un

tipo particolare di sangue” o viceversa “assorbire essudati dai vasi circostanti”. La fondamentale ma controversa proposta che le ghiandole

surrenali potessero produrre “secrezioni interne” fu avanzata dal fisiologo

parigino Claude Bernard nel 1855. Sorprendentemente, nello stesso anno,

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presentavano caratteristiche cliniche attribuibili ad insufficienza surrenalica (anemia, debolezza, diminuzione della forza contrattile cardiaca e alterazioni del colore della pelle). Gli studi autoptici dimostrarono una distruzione del surrene unilaterale o bilaterale dovuta alla tubercolosi, a carcinomi metastatici o a semplice atrofia. La monografia pubblicata da Addison sugli effetti costituzionali delle ghiandole surrenali fu oggetto di interesse e polemiche da parte della comunità scientifica e non fu universalmente accettata per molti anni, nonostante ancora oggi la suddetta sindrome porti ancora il suo nome. L'anno successivo, Charles Edouard Brown-Séquard iniziò ad eseguire surrenectomie monolaterali e bilaterali in animali da esperimento, fornendo la prima conferma sperimentale di Addison sulla teoria che le ghiandole surrenali potessero essere essenziali per la vita, in quanto gli animali surrenectomizzati morivano a poche ore dall’intervento. Quaranta anni più tardi iniziarono i tentativi di trattamento dell’insufficienza surrenalica con estratti di ghiandole surrenaliche suine, da parte di William Osler.

Nel 1895 i fisiologi londinesi George Oliver ed Edward Sharpey-Schafer descrissero la presenza di una sostanza nella midollare surrenale, denominata poi adrenalina, in grado di elevare i valori di pressione sanguigna nel cane, il che poteva confermare la morte degli animali da esperimento sottoposti a surrenectomia. La loro osservazione fu poi comprovata nel 1897 da John Abel, professore di farmacologia presso la Johns Hopkins, il quale isolò il principio attivo e lo chiamò epinefrina. Nel 1901, l'adrenalina venne purificata ed estratta dalla ghiandola surrenale; successivamente, epinefrina e norepinefrina

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vennero sintetizzate da Frank Stolz in Germania nel 1904. A seguito di queste scoperte nel 1920 l’adrenalina venne utilizzata per la prima volta alla clinica Mayo, nella terapia di un paziente con sintomi di malattia di Addison dopo nefrectomia e surrenectomia. Sebbene la somministrazione della sostanza avesse comportato sollievo temporaneo al paziente, egli morì nelle ore successive. Altri ricercatori, date le evidenze sperimentali, giunsero alla conclusione che le sostanze isolate erano ormoni di origine midollare e che quindi la sindrome di Addison interessava solo la corteccia surrenalica. Nel 1926, furono estratte le prime sostanze di origine corticale, utilizzate con successo in animali surrenalectomizzati, ma non si raggiunsero ottimi risultati fino al 1940, anno in cui il cortisone fu isolato e sintetizzato da parte di Edward Kendall della clinica Mayo e di Tadeus Reichstein di Basilea, in seguito premiati con il premio Nobel per la fisiologia e la medicina per i loro notevoli successi.

Dopo il fermento degli studi della prima metà del ‘900 ci si rese conto della produzione di diversi ormoni da parte della corteccia, tra cui il deossicorticosterone, il primo a essere stato sintetizzato. L’aldosterone, inizialmente chiamato elettrocortina, fu scoperto successivamente a Londra per merito di James Tait e Sylvia Simpson, i quali associarono all’ormone la funzione di influenzare i flussi elettrolitici.

Nonostante il fervore suscitato dalle scoperte del XIX secolo per la crescente comprensione dell’anatomia e della fisiologia del surrene, l’approccio chirurgico alle neoplasie surrenali rimase ancora di grado molto elementare,

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come dimostra il fatto che, solo nel 1905, si ebbe la prima diagnosi preoperatoria di tumore surrenalico. Si pensa che il primo ad effettuare una surrenectomia con successo fu Knowsley Thornton nel 1889 a Londra. Il paziente operato fu una donna di 36 anni con irsutismo secondario ad adenoma, che sopravvisse 2 anni fino a che la malattia non recidivò. Il tumore asportato pesava 9 kg.

Nel 1912, Harvey Cushing definì il ruolo fondamentale delle cellule basofile ipofisarie nello sviluppo di una sindrome che poi prese il suo nome; altri autori specificarono, poi, la fondamentale importanza della corticale surrenalica nella stessa sindrome. Pertanto, il passo successivo nella terapia della malattia di Cushing fu la surrenectomia. Furono pubblicati da Walters e Prietsley, nel 1934, studi su 10 surrenectomie per la sindrome di Cushing, che dimostrarono, all’esame istologico, la presenza di 4 carcinomi, 1 adenoma, 3 casi di iperplasia e 2 ghiandole apparentemente normali. Questo confermò, anche su dati statistici, le ipotesi che la suddetta sindrome interessava i surreni. Le prospettive di vita dei pazienti surrenectomizzati rimasero comunque basse, per la mancanza di terapia sostitutiva fino al primo utilizzo, nel 1949, di cortisone in fase perioperatoria, evento che portò il tasso di mortalità a zero nei successivi 18 casi riportati. Questa scoperta ebbe un impatto fondamentale non solo rendendo la surrenectomia una procedura sicura, ma anche facilitando gli interventi di ipofisiectomia totale.

Nel 1955, due anni dopo la scoperta dell’aldosterone, fu riportata da Jerome Conn la prima sindrome da iperaldosteronismo primitivo caratterizzata da

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ipertensione e ipokaliemia. Il paziente in studio era una donna di 34 anni affetta da tetania, paralisi transitorie, parestesie, poliuria, polidipsia e ipertensione. Si ipotizzò la presenza di iperplasia surrenale bilaterale, ma l’esplorazione del surrene destro rivelò un adenoma corticale di 4 cm, la cui asportazione portò all’immediata scomparsa delle anormalità metaboliche della paziente. In seguito, Conn pubblicò in dettaglio uno studio su 108 pazienti con adenomi secernenti aldosterone. Tra questi, 79 andarono incontro ad intervento chirurgico, il 66% dei quali non mostrò più sintomi, il 14% ebbe un miglioramento moderato e nel 20% il quadro clinico rimase invariato. Con l’iniziale entusiasmo per la nuova rivelazione di Conn, si pensò che la sindrome potesse rappresentare una buona percentuale dell’eziologia dell’ipertensione, ma alcuni studi degli anni ’80 dimostrarono che meno dell’ 1% della popolazione ipertesa soffriva di un disturbo trattabile chirurgicamente.

L’adrenalina fu il primo ormone surrenalico a essere scoperto, ma il suo ruolo cruciale nello sviluppo della sindrome clinica causata dal feocromocitoma non venne definito per molti anni. Per primo, Frankel, nel 1886, fornì una relazione su una paziente di 18 anni affetta da tumore surrenalico bilaterale, con un quadro clinico caratterizzato da palpitazioni intermittenti, tachicardia e attacchi d’ansia. Questa paziente morì dopo un grave episodio di dolore toracico e dispnea; l’autopsia rivelò la presenza di due masse surrenaliche altamente vascolarizzate. Nel 1912, il patologo Pick propose il nome, ancora oggi utilizzato, di feocromocitoma (dal greco φαιοϛ [scuro, nero] e χρϖμα

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[colore]) per le caratteristiche anatomopatologiche del tumore stesso. Dopo l’evidenza di questo “nuovo” tipo di tumore, si aprì la strada anche per la chirurgia, che vide come pionieri dell’intervento di asportazione di un feocromocitoma, il chirurgo Caesar Roux nel 1926 e, l’anno successivo Charles Mayo. Divenne ben presto evidente come l’intervento per questa patologia fosse estremamente pericoloso, per un alto tasso di mortalità legato alle crisi ipertensive in fase intraoperatoria, dovute alla manipolazione del tumore e alle crisi ipotensive in fase postoperatoria. Con il miglioramento delle tecniche anestesiologiche, con una maggiore comprensione della fisiopatologia della malattia e con l’uso di agenti come la fentolamina e la noradrenalina, Prietsley nel 1956 fu in grado di segnalare una serie di 51 pazienti, sottoposti a chirurgia per feocromocitoma, senza alcuna mortalità. Ulteriori progressi nell’utilizzo di tecniche diagnostiche e terapeutiche come l’HPLC (high pressure liquid cromatography, cromatografia liquida ad alta pressione) per il dosaggio delle catecolemine, la localizzazione delle lezioni con TC, RM o MIBG (meta-iodobenzilguanidina), il controllo farmacologico della pressione arteriosa, la continua evoluzione delle tecniche chirurgiche e l’approccio multidisciplinare al problema, resero il trattamento del feocromocitoma un evento relativamente sicuro con bassa morbilità e mortalità.

Nel 1960 divenne evidente che il feocromocitoma potesse associarsi con altri tumori endocrini, tra cui il carcinoma midollare della tiroide, nel contesto di alcune sindromi familiari denominate MEN (multi endocrine neoplasia) IIa e

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IIb. La ricerca del difetto genetico alla base di queste sindromi poliendocrine culminò con l’identificazione del proto-oncogene RET sul cromosoma 10. Questi sviluppi spianarono così la strada per lo screening genetico in familiari predisposti a forme ereditarie della patologia.

La crescente applicazione di metodiche diagnostiche, come TC e RM, portò alla scoperta di numerosi tumori o lesioni surrenaliche quando le indagini venivano eseguite per motivi estranei alla patologia surrenalica (iniziò la diagnosi dei cosiddetti incidentalomi). La gestione di queste masse risulta ancora oggi controversa nonostante le avanzate tecnologie diagnostiche.

Anche per quanto riguarda le tecniche chirurgiche, il cammino che portò agli attuali metodi fu lungo. La prima surrenectomia fu eseguita con un’incisione sottocostale a T, simile a quella descritta da Carl von Langenbuch per la colecistectomia. La maggior parte di questi primi interventi riguardò la rimozione di grandi tumori ma, essendo usate tecniche essenzialmente simili a quelli per la chirurgia renale, ci si accorse che gli accessi risultavano troppo bassi sia per la via transperitoneale anteriore, sia per quelle laterali o retroperitoneali. I chirurghi iniziarono perciò a eseguire incisioni a livelli progressivamente più alti, resecando di solito la dodicesima o l’undicesima costa.

Nel 1932, Lennox Broster mise a punto un intervento molto simile al definitivo accesso al surrene, utilizzando un approccio pleurico e trans-diaframmatico, attraverso una lunga incisione posteriore. Nel 1927, Charles

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Mayo sperimentò un’incisione al fianco con la quale portò a termine la prima surrenalectomia per feocromocitoma negli Stati Uniti. Incisioni anteriori, sottocostali bilaterali o mediane permisero una completa esplorazione della cavità addominale, molto importante nel caso di feocromocitoma, data la possibilità di lesioni multiple o ectopiche cagionate dalla scarsa qualità dell’imaging dell’epoca. L’approccio anteriore si rende ancora molto utile oggi nel caso di tumori maligni come il carcinoma corticosurrenalico. Anche l’approccio sottocostale con rimozione dell’undicesima costa può risultare sempre un ottimo accesso, ma nei casi di sindrome di Cushing o di iperplasia si rende necessaria la rotazione del paziente per consentire l’accesso controlaterale.

Huth Young progettò un accesso posteriore, con asportazione della dodicesima costa, che avrebbe permesso anche l’esposizione bilaterale simultanea di entrambi i surreni. Sebbene potesse essere un metodo eccellente per la rimozione di piccole masse come gli adenomi di Conn, l’accesso risultò difficoltoso e totalmente inadeguato per lesioni delle dimensioni maggiori di 5 cm di diametro.

L’approccio con la chirurgia open rimase il gold standard fino al 1992 quando Gagner descrisse un approccio laparoscopico transperitoneale. Questo nuovo metodo fu accolto con entusiasmo dalla comunità di chirurgia endocrina, tanto che negli anni successivi furono sperimentate altre tecniche, come l’approccio laparoscopico retroperitoneale. Questi metodi ebbero una vasta gamma di applicazioni soprattutto nel tumore di Conn, nella sindrome di Cushing e

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persino nel feocromocitoma, garantendo al paziente reali vantaggi rispetto alla chirurgia open, in relazione al dolore postoperatorio, alla velocità di recupero e naturalmente al risultato estetico. La tecnica laparoscopica non risultò, tuttavia, appropriata per la rimozione di tumori con diametro maggiore di 8 cm e per neoplasie maligne. Ancora oggi esiste una zona grigia, con opinioni controverse sulla questione delle dimensioni e della malignità del tumore. Le associazioni internazionali rimangono infatti a favore dell’utilizzo della chirurgia laparoscopica mininvasiva per lesioni piccole e benigne, proponendo questo intervento come il gold standard.

Con il passare degli anni, iniziò a prendere campo nella chirurgia generale l’utilizzo della chirurgia laparoscopica robot-assistita. La prima surrenalectomia robot assistita venne eseguita da Piazza et al. nel 1999, su un paziente con sindrome di Conn, con l’utilizzo del sistema ZEUS AESOP. Nel 2001 Horgan e Vanuno eseguirono invece surrenalectomia robot assistita con

il nuovo sistema da Vinci® e da quel momento vennero riportati diversi casi in

letteratura, dimostrando ottimi risultati in relazione a perdita di sangue, durata

della degenza, tasso di complicanze e tempi operatori. L’applicazione del

robot fu però sempre limitata a casi di lesioni benigne; la prima surrenectomia robotica per carcinoma venne eseguita da Zafar et al. nel 2008 e tre anni dopo Giulianotti et al. ne riportarono altri 3 casi. Nonostante i numerosi studi di comparazione tra la tecnica laparoscopica classica e la robotica, l’opinione sulla surrenalectomia robot assistita rimane ancora oggi al centro di numerosi dibattiti.

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2. Anatomia delle ghiandole

surrenali

2.1. CENNI DI ANATOMIA NORMALE

Le ghiandole surrenali occupano una posizione retroperitoneale nel mezzo della cavità addominale, in posizione supero mediale, poste a guisa di cappuccio o cappello frigio sul polo superiore di ciascun rene, subito al di sotto delle cupole diaframmatiche. Le due strutture risultano racchiuse, con il rene corrispondente, all’interno della fascia di Gerota e incorporate nel grasso perirenale. Una lamella trasversale di connettivo separa, inferiormente, le ghiandole dai reni, rappresentando un valido piano di clivaggio nell’asportazione della ghiandola stessa. Per mezzo del grasso perirenale e della fascia perirenale, le ghiandole surrenali prendono contatto con il diaframma consentendo di adeguarsi ai movimenti del muscolo. Queste strutture separano le due ghiandole dalla riflessione pleurica, dalle coste, e dai muscoli sottocostali, sacrospinali e dai lunghissimi del dorso. Posteriormente, le ghiandole si trovano in prossimità del ligamento arcuato del diaframma. Lateralmente, il surrene destro risiede di fronte alla dodicesima costa mentre la ghiandola sinistra, avendo una posizione più elevata, viene a trovarsi al davanti dell’undicesima e dodicesima costa (figura 1.2).

Ogni ghiandola surrenale pesa circa 3-6 grammi e misura circa 5x2,5x0,5 cm. Il peso può aumentare di quasi il 50% durante i periodi di stress e in gravidanza; surreni patologici possono raggiungere anche i 700 g.

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Il surrene destro, a forma piramidale, a volte chiamato il "cappello della strega", si ritrova posterolateralmente alla vena cava inferiore, andando a prendere spesso contatto con la cupola diaframmatica destra e con l'area nuda del fegato. Il surrene sinistro, semilunare, è più largo e più piatto rispetto al controlaterale e si ritrova lateralmente all’aorta, subito al di dietro del margine superiore del pancreas e medialmente al polo superiore del rene.

Figura 2.1

Le ghiandole sono avvolte in una spessa capsula di collagene che invia trabecole nella profondità del parenchima corticale e contiene un plesso arterioso che fornisce rami alle ghiandole stesse. Dal punto di vista morfologico, la corteccia surrenale è di un colore giallo cromo lucido, con una superficie finemente granulare e di consistenza duro-elastica, consentendo di

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differenziarla facilmente dal circostante tessuto adiposo. La sostanza corticale, che rappresenta l’80-90% del volume della ghiandola, è costituita da cordoni di cellule epiteliali intramezzati da lamelle connettivali e da vasi che modificano la loro disposizione procedendo verso l’interno. Si riconoscono così tre zone o strati: glomerulare (con i cordoni di cellule disposti ad anse o gomitoli), fascicolare (i cordoni sono disposti a raggiera dalla periferia verso il centro), reticolare (i cordoni si anastomizzano tra loro a rete). La suddivisione della corticale in zone riflette la produzione di diversi ormoni. La zona glomerulare secerne il mineralcorticoide aldosterone, deputato alla regolazione dell’omeostasi di acqua e sali. La zona fascicolata secerne il glucocorticoide cortisolo, deputato alla regolazione del metabolismo dei carboidrati e alla risposta a stimoli stressogeni; questa zona comprende il 75% della regione corticale. La terza e più profonda, la zona reticolare, è deputata alla secrezione di steroidi sessuali (progesterone, precursori degli estrogeni, e androgeni). Dal punto di vista embriologico, la corteccia surrenale deriva dalla porzione urogenitale del mesoderma celomatico.

La parte centrale di ciascun surrene, definita midollare, appare di colore rosso scuro o grigio perla a seconda del contenuto di sangue e risulta piuttosto friabile al tatto. Questa zona secerne catecolamine (adrenalina e noradrenalina) che modulano la risposta allo stress. Embriologicamente, deriva dalle creste neurali e rappresenta circa un decimo della ghiandola. Essa rimane completamente racchiusa all’interno della corteccia surrenale, tranne che a livello dell’ilo.

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In condizioni rare, si possono ritrovare ghiandole surrenali accessorie che, nella maggior parte dei casi, rispettano le caratteristiche delle ghiandole normali con la presenza di una midollare e una corticale. Tuttavia, noduli di tessuto corticale non sono insoliti, situati all’interno del grasso perirenale, oppure ectopie di tessuto corticale possono ritrovarsi all’interno della milza, sotto i reni, oppure in prossimità dei testicoli o delle ovaie. Il 3% della popolazione generale ha noduli surrenali macroscopici.

Le ghiandole surrenali sono riccamente vascolarizzate: il flusso ematico per grammo di tessuto è tra i più elevati dell’organismo. La fornitura arteriosa è data da 12 piccole arterie, rami di aorta, frenica inferiore, renale e intercostali. I rami principali, deputati alla vascolarizzazione della ghiandola sono tre: l’arteria surrenalica superiore, media e inferiore. L'arteria surrenalica superiore è un ramo dell’arteria frenica inferiore e si ritrova lungo il margine supero mediale della ghiandola. L’arteria surrenalica media origina direttamente dall’aorta. L’arteria surrenale inferiore origina dall’arteria renale e si trova lungo il margine infero mediale della ghiandola. Questi vasi si anastomizzano sulla superficie della ghiandola formando un plesso dal quale originano capillari che si approfondano all’interno del parenchima, lungo i tralci connettivali originati dalla capsula surrenale. Il surrene destro riceve il maggior apporto sanguigno dalle arterie surrenali superiori e inferiori, mentre il sinistro, è in gran parte alimentato dalla surrenalica media e inferiore. Arterie e capillari venosi all'interno della ghiandola integrano la funzione tra corticale e midollare: flussi ematici ad elevate concentrazioni di cortisolo

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scorrono dalla corticale alla midollare, andando a stimolare la sintesi e l'attivazione dell’enzima Feniletanolamina-N-metil transferasi, deputato alla conversione di noradrenalina in adrenalina. Nei tessuti cromaffini extrasurrenalici manca questo meccanismo e ciò spiega la maggiore secrezione di noradrenalina da parte di questi tessuti.

In contrasto con la complessa rete arteriosa, il drenaggio venoso è a carico di una singola vena centrale che fuoriesce a livello dell’ilo ghiandolare. Il sangue discende all'interno della ghiandola dalla corticale al sistema midollare, generando la grande vena surrenalica. Altre vene accessorie seguono il decorso delle arterie svuotandosi all’interno della vena frenica inferiore, della vena renale o in un arco venoso connesso con il sistema azygos e con le vene gastriche posteriori. Questi vasi collaterali formano un eventuale shunt portale o cavale che può evidenziarsi in presenza di masse tumorali di dimensioni significative.

L’innervazione delle ghiandole surrenali è data da fibre viscerali afferenti derivanti dal ganglio celiaco, aortorenale, e renale. Queste fibre si mettono in connessione con nervo vago posteriore, con il nervo frenico e con altri numerosi nervi splancnici. Queste fibre forniscono innervazione sensoriale e vasomotoria indiretta passando attraverso la corteccia. Essi terminano nel midollo, come fibre pregangliari simpatiche. Va ricordato che la midollare del surrene è una stazione postsinaptica del simpatico e appartiene al sistema nervoso come tale.

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Figura 2.2

2.2. CENNI DI ANATOMIA CHIRURGICA

La ghiandola surrenale sinistra (figura 2.3) prende rapporto con

l'emidiaframma sinistro, la coda del pancreas, l'arteria splenica e la vena renale sinistra. I rapporti visibili della ghiandola surrenale sinistra durante un approccio laparoscopico, contrastano con quelli che si ritrovano durante un approccio chirurgico aperto. Il margine superiore è tagliente mentre il margine inferiore è arrotondato. Al contrario del surrene destro, la metà superiore della superficie anteriore della ghiandola surrenale sinistra risulta coperta anteriormente dal peritoneo. Questo separa la ghiandola dal cardias e dal polo posteriore della milza. Inferiormente, dove il surrene sinistro prende rapporto con il pancreas e con arteria splenica, non c'è peritoneo. La vena surrenalica sinistra si rende visibile in corrispondenza con l’ilo della ghiandola. Posteriormente, una cresta divide la superficie in una zona laterale ampia,

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adiacente al rene, e una più piccola mediale in rapporto con la cupola sinistra del diaframma. Il margine mediale è convesso e rimane in rapporto con il ganglio celiaco infero-mediale sinistro, con le arterie freniche inferiori e con la gastrica sinistra che risalgono sulla cupola diaframmatica. La superficie ventrale della ghiandola surrenale sinistra è in rapporto con la faccia dorsale dello stomaco, con il margine mediale della milza e con il corpo del pancreas. Sia la vena splenica che l'arteria splenica si ritrovano inferiormente alla ghiandola surrenale sinistra. Il ligamento gastrocolico, che viene a trovarsi al davanti della ghiandola surrenale sinistra, impedendone l’esplorazione chirurgica, viene sezionato durante le manovre operatorie. La ghiandola surrenale sinistra si trova lateralmente all’origine del tronco celiaco, ma è separata dall’aorta da uno spazio di alcuni millimetri. La vena surrenalica sinistra è lunga circa 2-3 cm e ciò permette un pronto controllo vascolare durante la surrenectomia sinistra. Il vaso decorre inferiormente al polo inferiore della ghiandola, ricevendo la vena frenica inferiore, per poi prendere una direzione obliqua verso il basso per poi sboccare all’interno della vena renale sinistra. In alcuni casi si svuota nella vena frenica inferiore sinistra per poi entrare nella vena renale sinistra oppure scavalca l’aorta per gettarsi

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Il surrene destro è situato posteriormente alla vena cava inferiore e al lobo epatico destro e anteriormente al diaframma e al polo superiore del rene

destro. I rapporti anatomici della ghiandola surrenale destra appaiono

abbastanza diversi a seconda della tecnica chirurgica utilizzata (laparoscopica e open). La superficie anteriore ha una stretta area verticale mediana, posteriormente alla vena cava inferiore, che risulta priva di peritoneo mentre il resto è quasi interamente coperto dall'area nuda epatica.

Anche la porzione supero laterale è sprovvista di peritoneo e prende rapporto con l'angolo inferomediale dell’area nuda del fegato. Al di sotto dell’apice, in prossimità del bordo anteriore della ghiandola, è presente l’ilo dal quale emerge la vena surrenalica destra per sboccare nella vena cava inferiore. La zona anteromediale del surrene destro viene a trovarsi dietro la vena cava inferiore che separa la ghiandola dal forame epiploico anteriormente e dalla terza porzione del duodeno e pancreas posteriormente. Il corpo del pancreas separa la ghiandola surrenale dalla borsa omentale (retrocavità degli epiploon) e dallo stomaco. La superficie posteriore è divisa in una zona superiore e una inferiore da una cresta trasversale: la parte superiore, leggermente convessa, poggia sul diaframma, mentre la zona inferiore, concava, prende contatto con il polo superiore e con la superficie anteriore del rene destro. Il sottile margine mediale è in rapporto con il ganglio celiaco destro e con l’arteria frenica inferiore e, in alcuni casi, può andare a nascondersi dietro la vena cava inferiore. Se il legamento coronarico destro viene a trovarsi in posizione più elevata, la ghiandola surrenale destra può, in

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parte, andare a risiedere nella loggia paracolica destra (tasca di Morrison), dove entra in contatto con il peritoneo. La vena surrenalica destra emerge dall’ilo sulla superficie anteromediale con un decorso trasversale per circa 1 cm e poi assume una direzione trasversale, con un angolo di 45° fino a svuotarsi nella faccia posteriore della vena cava inferiore. Durante la visualizzazione chirurgica, lo sbocco della vena surrenalica destra in cava non può essere esposto fino a quando la ghiandola surrenale non risulta mobilizzata. L'origine di questa vena può essere nascosta a causa di un ingrossamento della ghiandola. Questo è estremamente importante per evitare danni iatrogeni alla vena cava che possono causare emorragie anche fatali. Ulteriori piccoli vasi si possono trovare nel 5-10% dei casi. Raramente, le vene aberranti defluiscono nella vena epatica destra o nella vena renale destra. La conoscenza di tali anomalie è fondamentale al fine di evitare legature accidentali della vena renale.

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3. Revisione della letteratura

La prima pubblicazione riguardante la surrenalectomia robotica fu fatta da Piazza et al. nel 1999; nello studio si prendeva in esame una surrenectomia robotica destra utilizzando il sistema ZEUS AESOP in un paziente con

sindrome di Conn. Nello stesso anno, Hubenset al. riportarono un altro caso,

questa volta una surrenalectomia sinistra, sempre utilizzando il sistema AESOP. Dal luglio 2000, dopo l’approvazione all’uso nella chirurgia generale

da parte della FDA (Food and Drug Administration) del sistema Da Vinci®,

Horgan et al. riportarono una serie di 34 casi (inclusa una surrenectomia bilaterale) eseguiti con il nuovo sistema robotico. Da quel momento vennero pubblicati numerosi studi riguardo la surrenectomia robotica (tabella 3.1). Il primo caso di surrenectomia robotica per l’asportazione di un cancro surrenalico fu riportato da Zafar et al. nel 2008 e tre anni dopo Giulianotti et al. ne riportarono altri 3 casi (fino a quel momento i tumori asportati erano tutti di natura benigna); diversi studi hanno preso in considerazione l’uso della robotica anche nelle metastasi. Nonostante la letteratura non offra una lunga serie di esperienze sull’utilizzo della tecnica robotica in caso di carcinoma, gli studi disponibili indicano che la tecnica può essere utilizzata con estrema sicurezza in questi casi, offrendo anche una maggiore ergonomia per il chirurgo. Alcuni studi riportano l’utilizzo della surrenectomia robotica in donne gravide e bambini con ottimi risultati.

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A u to re d e llo s tu d io N u me ro d i c a si D ia g n o si T e cn ic a c h ir u rg ic a a D ime n si o n i me d ie T e mp o ch ir u rg ic o (p re p a ra zi o n e + in te rv e n to ) D e g e n za ( g io rn i) C o n v e rs io n i b C o mp lic a n ze C h o i 65 2, 00 Fe o cr o m o cit o m a (1 ); a d e n o m a n o n se ce rn e n te ( 1) R -L ES S 2, 5 167 3, 5 0 0 G iu li an o tt i 45 42 A d e n o m a co rt ic ale (1 9) ; fe o cr o m o cit o m a (9 ); c is ti e m o rr ag ic a (6 ) M o rb o d i C o n n ( 2) ; ip e rp la sia b il at e ra le (2 ); c ar cin o m a (1 ); ga n gli o n e u ro m a (1 ); m ielo li p o m a (1 ); m e ta st as i ( 1) R A A 5, 5 118 4 0 Sa n gu in am e n to ca p su la re B e rb e r 66 8, 00 A d e n o m a n o n s e ce rn e n te ( 3) ; m o rb o d i C o n n ( 2) ; f e o cr o m o cit o m a (1 ); sin d ro m e d i C u sh in g (1 ); li n fa n gio m a (1 ) R P R A 2, 9 21 4, 8 1 0 0 B o ris 58 13 Fe o cr o m o cit o m a (1 1) ; ip e rp la sia co rt ic ale (2 ) R A LP A 2, 7 200 NR 1 (C O A ) V e rs am e n to b il ia re ; st e n o si u re te ra le f B ru n au d 61 10 0, 00 A d e n o m a n o n s e ce rn e n te ( 19 ); c is ti (2 ); f e o cr o m o cit o m a (2 4) ; m o rb o d i C o n n ( 39 ); s in d ro m e d i C u sh in g (1 1) ; ip e rp la sia ( 5) R A A 2, 9 171 6, 4 1 (C LA ); 4 ( C O A ) R o tt u ra d e ll a cis ti (1 ); sa n gu in am e n to ( 3) ; in fe zio n e d e ll a fe rit a (1 ); in fe zio n e d e ll e v ie u rin ar ie (1 ); e d e m a fa cc ia le (1 ); p o lm o n it e (1 )

(23)

Wu 67 5, 00 A d e n o m a co rt ic ale (4 ); fe o cr o m o cit o m a (1 ) R A A 5, 1 188 4 0 0 K ra n e 68 4, 00 A d e n o m a n o n s e ce rn e n te ( 2) ; ip e rp la sia ( 1) ; f e o cr o m o cit o m a (1 ) R A A 5, 25 75 ,5 c 1, 25 0 0 W in te r 46 30 ,0 0 fe o cr o m o cit o m a (1 1) ; m o rb o d i C o n n (9 ); s in d ro m e d i c u sh in g (5 ) ad e n o m a n o n s e ce rn e n te ( 1) ; a d e n o m a a se cr e zio n e m is ta (a ld o st e ro n e /c o rt is o lo ) ( 1) ; ip e rp la sia m ac ro n o d u la re ( 1) ; m e ta st as i ( 1) ; an gio m io li p o m a (1 ) R A A 2, 4 185 2 0 Ileo p o st o p e ra to rio ( 1) ; at e let ta sia ( 1) M iy ak e 69 3, 00 M o rb o d i C o n n ( 2) ; s in d ro m e d i C u sh in g (1 ) R A A 1, 9 188 8, 7 0 0 C o rc io n e 70 2, 00 NR R A A NR NR 2, 2 e 0 NR M o rin o 62 10 ,0 0 A d e n o m a n o n s e ce rn e n te ( 3) ; m o rb o d i C o n n ( 3) ; f e o cr o m o cit o m a (4 ) R A A 3, 3 169 5, 7 4 (C LA ) 0 H an ly 71 30 ,0 0 M as se n o n id e n tif ic at e ( 18 ); fe o cr o m o cit o m a (9 ); m o rb o d i C o n n (3 ) R A A NR NR NR 0 NR U n d re 72 2, 00 M o rb o d i C o n n ( 2) R A A NR 11 8, 5 4 0 Em b o lia p o lm o n ar e ( 1) Ta la m in i 73 6, 00 NR R A A NR 188 d 1 d NR NR D e sa i 74 2, 00 Le io m io sa rc o m a (1 ); f e o cr o m o cit o m a (1 ) R A A 3, 75 13 7, 5 2, 5 0 Sa n gu in am e n to ca p su la re ( 1) B e n ta s 47 4, 00 Fe o cr o m o cit o m a (2 ); m o rb o d i C o n n (1 ); m e ta st as i ( 1) R A A 3, 7 220 5 0 0

(24)

Podolskyki et al. conclusero che il sistema robotico offriva numerosi vantaggi, dovuti soprattutto al maggiore ingrandimento e nitidezza delle immagini fornite dall’endoscopio e alla maggiore facilità di dissezione negli spazi molto stretti causati dall’aumento di dimensioni dell’utero in cavità addominale; Fechner et al. riportarono gli stessi vantaggi emersi nello studio precedente. Rogers et al. pubblicarono uno studio sull’utilizzo del robot in un bambino affetto da sindrome di Von Hippel-Lindau sottolineando che la precisione durante la dissezione rese semplice l’esecuzione della surrenectomia cortical-sparing, utilizzata su questo paziente. In seguito, Alqahtani et al. confermarono i dati di Rogers eseguendo una serie di 134 surrenectomie su pazienti in età pediatrica.

Riguardo la surrenectomia parziale, mentre nel caso della tecnica laparoscopica la letteratura vanta una lunga serie di studi, sono riportati solo tre serie di casi di surrenalectomia parziale con tecnica robotica. I primi casi furono riportati da Julien et al. e da Kumar et al. rispettivamente in un paziente con sindrome di Von Hippel-Lindau e in un paziente con metastasi isolate al surrene da carcinoma renale a cellule chiare.

Analizzando i dati sulle conversioni da tecnica robotica a laparoscopica o a cielo aperto si possono identificare come cause principali il mal posizionamento dei trocars, la difficoltà all’esecuzione dell’emostasi e alla visualizzazione della vena surrenalica, l’allungamento del tempo operatorio e le lesioni viscerali. Tuttavia, il confronto tra le due modalità operatorie, effettuato da Brunaud et al. non trovò nessun dato obiettivo dimostrante la

(25)

superiorità della tecnica robotica rispetto all’approccio laparoscopico nella surrenectomia monolaterale. Il primo studio prospettico randomizzato, eseguito da Morino et al., dimostrò che l’approccio laparoscopico classico risultava superiore in termini di praticabilità, morbilità, tempi operatori e costi. Nello stesso anno Brunaud pubblicò un nuovo studio su una serie di 20 pazienti confermando la sua precedente affermazione, concludendo che non esistevano differenze tra le due tecniche in termini di morbilità, incidenza delle conversioni, durata della degenza e tempi operatori. Nel 2011, Giulianotti et al. riportarono uno studio condotto su 42 pazienti sottoposti a surrenectomia robotica che diede come risultati una perdita ematica media di

27 cm3, un’incidenza di morbilità e mortalità del 2,4% e un tempo di degenza

media di 4 giorni.

Secondo le attuali esperienze si può concludere che la surrenectomia robotica risulta una tecnica sicura e praticabile ma ad oggi si necessita di un maggior numero di casi per poter affermare la superiorità di questa tecnica chirurgica rispetto all’approccio laparoscopico in caso di surrenectomia monolaterale con approccio laterale transperitoneale. L’uso del robot risulta invece vantaggioso in caso di approccio posteriore per questioni relative all’ergonomia della procedura.

(26)

4. Analisi della casistica

4.1. MATERIALI E METODI

L’obiettivo della tesi è di mostrare i benefici e gli svantaggi della surrenalectomia laparoscopica robot-assistita in termini di praticabilità, sicurezza, tempi operatori e di preparazione del paziente, e di degenza ospedaliera rispetto alla surrenectomia laparoscopica.

Tra il Gennaio 2012 e il Febbraio 2014, è stato effettuato uno studio prospettico randomizzato che ha interessato 22 pazienti, sottoposti a surrenalectomia monolaterale con approccio laterale transperitoneale, presso l’UO Chirurgia Generale II°. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: il primo comprendeva i pazienti candidati all’intervento di tipo laparoscopico e il secondo quelli candidati all’intervento robotico.

L’inserimento dei pazienti nella casistica dello studio è stato effettuato considerando alcuni criteri di esclusione quali:

 Sospetto per malignità della neoformazione in fase preoperatoria  Età dei pazienti minore di 18 anni e superiore a 75

 Diametro della lesione maggiore di 8 cm  Presenza di lesioni bilaterali

 Pregressi interventi di chirurgia addominale

(27)

(cardiovascolari, polmonari)

Sono stati esclusi dallo studio 6 pazienti, 4 dei quali per necessità di interventi associati a quello di surrenectomia monolaterale (colecistectomia in 3 pazienti e tiroidectomia, paratiroidectomia e svuotamento linfonodale del comparto centrale e laterocervicale nell’altro); un paziente per età superiore ai criteri di inclusione (76 anni) e uno per la presenza di sospetto carcinoma corticale. I pazienti di entrambi i gruppi sono stati sottoposti allo stesso trattamento farmacologico preoperatorio così come per i protocolli anestesiologici.

Le variabili prese in considerazione sono state età, sesso, lateralità (destra o sinistra), dimensioni e istologia della lesione, comorbidità, complicanze, tempi operatori e giorni di degenza ospedaliera. Riguardo ai tempi operatori questi sono stati divisi in un tempo effettivo di intervento (skin-to-skin) e in un tempo di preparazione del paziente, che includeva sia la preparazione anestesiologica, sia il tempo di posizionamento del paziente in flank position (utilizzata in entrambi i gruppi).

L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il test t di Student considerando significativi valori di P <0.01.

L’equipe chirurgica è stata sempre la stessa sia per il gruppo sottoposto a surrenectomia laparoscopica, sia per i 6 casi di surrenectomia robotica. Questo ha permesso anche l’analisi della learning curve sugli interventi robotici essendo stato avviato solo a partire dall’Ottobre 2012 il programma di surrenalectomia laparoscopica robot-assistita.

(28)

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(29)

4.1.1.

Tecniche chirurgiche

4.1.1.1. SURRENALECTOMIA LAPAROSCOPICA75

La tecnica laparoscopica è considerata, a oggi, il gold standard per l’intervento di surrenalectomia. Risultati di numerose surrenectomie laparoscopiche dimostrano un migliore recupero e un ricovero ospedaliero più breve rispetto alla surrenectomia open. Questo successo non è sorprendente considerando le somiglianze tra la surrenectomia laparoscopica e la colecistectomia laparoscopica, dati gli esiti positivi della colecistectomia laparoscopica. Entrambi gli approcci evitano grandi incisioni sulla parete addominale, entrambi risultano ablativi e beneficiano dell’ingrandimento e della nitidezza delle immagini fornite dal laparoscopio (regioni anatomicamente pericolose, altrimenti di difficile esposizione, vengono raggiunte con estrema facilità).

Nella surrenectomia, l’approccio transaddominale continua a fornire la migliore visione d'insieme sulle aree di dissezione e sulle strutture circostanti. Tra gli approcci transaddominali, quello laterale offre numerosi vantaggi rispetto a quello anteriore e perciò rimane la tecnica di scelta per molti chirurghi. L'approccio transperitoneale laterale prevede il posizionamento del paziente in decubito laterale, permettendo un’esposizione ottimale dei surreni, facilitato anche dalla gravità che porta i visceri verso il basso. In questo modo, tessuti e organi sovrastanti le ghiandole surrenali non hanno bisogno di essere manipolati con gli strumenti laparoscopici (fanno eccezione milza e rene che, nella maggior parte dei casi, necessitano di essere spostati), in modo tale da

(30)

evitare sanguinamenti ed eventuali complicanze associate alla manipolazione. Le indicazioni alla surrenectomia laparoscopica includono tumori benigni secernenti e non secernenti, lesioni cistiche di natura indeterminata, lesioni solitarie metastatiche e incidentalomi. Gli adenomi surrenalici secernenti aldosterone e cortisolo sono tra le indicazioni più comuni per l'asportazione chirurgica della ghiandola surrenale. Queste lesioni benigne hanno caratteristiche ottimali per l'asportazione laparoscopica a causa della loro posizione e delle loro piccole dimensioni. Riguardo alle dimensioni massime di lesioni asportabili per via laparoscopica esistono opinioni controverse nonostante la maggior parte dei chirurghi prenda come cut-off il diametro di 6

cm (lesioni di dimensioni maggiori hanno più probabilità di malignità)76.

Le controindicazioni relative della surrenectomia laparoscopica includono la presenza di estese aderenze per interventi chirurgici pregressi, obesità patologica, coagulopatia non corretta, e malattie cardiopolmonari (in relazione all’impossibilità ad eseguire uno pneumoperitoneo).

(31)

4.1.1.1.1. Surrenalectomia laparoscopica sinistra

1. Preparazione e posizionamento (figura 4.1) del paziente in decubito laterale sinistro in modo tale da rendere possibile un’eventuale conversione in tecnica open.

Figura 4.

2. Inserimento dei trocar come

mostrato in figura 4.2.

(32)

mediante ago di Verress posizionato lungo la linea emiclaveare sinistra, al di dietro del margine costale sinistro (questa sarà poi l’accesso usato per il laparoscopio).

4. Incisione del ligamento

splenorenale (figura 4.3) con un dissettore o con le forbici laparoscopiche in modo tale da mobilizzare lateralmente la milza. Il decubito facilita la dissezione allontanando medialmente la milza dalla faccia anteriore del rene.

5. Accurata dissezione della coda del pancreas e del polo renale superiore effettuata su piani avascolari

6. Esposizione della ghiandola surrenale di sinistra

7. Continuare la dissezione lungo la faccia anteriore del rene e del surrene fino alla completa esposizione del margine mediale della ghiandola. È importante continuare la mobilizzazione fino al diaframma, in prossimità della grande curvatura dello stomaco e dei vasi gastrici brevi. Questa

(33)

manovra è paragonabile all’apertura di un libro con le pagine del libro che vanno a corrispondere alla milza e alla coda del pancreas da un lato e alla faccia anteriore di rene e surrene dall’altro e il dorso del libro ad una ipotetica linea subito a lato del margine mediale del surrene. Risulta importante non mobilizzare il surrene lungo il suo margine laterale, in modo tale da evitare la caduta per gravità della ghiandola e rendere così difficoltoso l’accesso al margine mediale e inferiore, dove viene a trovarsi, nella maggior parte dei casi, la vena surrenalica.

8. Isolamento (figura 4.4)

e posizionamento di clip in titanio sulla vena surrenalica sinistra. In questa manovra il rischio di danno alla vena renale sinistra è minimizzato se i margini di dissezione sono più vicini alla ghiandola surrenale.

9. Sezione della vena surrenalica sinistra

10. Dissezione e mobilizzazione finale del surrene partendo dai

(34)

11. Posizionamento del pezzo operatorio in un sacchetto e rimozione dello stesso attraverso l’accesso per la telecamera.

12. Lavaggio con acqua e aspirazione del liquido dal campo

operatorio così da garantire una visione migliore per l’emostasi.

13. Rimozione dei trocar permettendo l’uscita di tutto il diossido di

carbonio dalla cavità addominale.

14. Chiusura della fascia a livello dell’incisione utilizzata per

l’ingresso della telecamera.

15. Sutura della cute con nylon 4-0.

4.1.1.1.2. Surrenalectomia laparoscopica destra

1. Preparazione del paziente come per la surrenalectomia sinistra ma con decubito laterale destro.

2. Inserimento dei trocar come in figura 4.5; posizionamento di un quarto trocar a livello dell’epigastrio, necessario per la retrazione del lobo destro del fegato.

(35)

3.

4. Pneumoperitoneo come per la surrenectomia sinistra.

5. Posizionamento del retrattore epatico ed esposizione del rene destro e della vena cava inferiore.

6. Mobilizzazione del lobo destro del fegato con una dissezione a livello della riflessione peritoneale, esponendo la ghiandola surrenale. In alcuni casi risulta necessaria la dissezione della flessura epatica o l’esecuzione di una manovra di Kocher.

7. Dissezione del margine laterale della vena cava fino al ritrovamento della vena surrenalica destra. Solitamente la vena surrenalica è corta e sbocca in vena cava posteriormente.

(36)

8.

9. Apposizione sulla vena surrenalica (figura 4.6) destra di tre clip al titanio, due prossimali e una distale (data la breve lunghezza della vena, le clip prossimali devono essere posizionate allo sbocco in vena cava).

10. Sezione della vena surrenalica destra.

11. Rimozione della ghiandola surrenalica come nella surrenectomia

sinistra.

4.1.1.2. SURRENALECTOMIA ROBOTICA

La surrenalectomia robotica risulta oggi indicata in lesioni surrenaliche incidentali, tumori surrenalici iperfunzionanti, casi selezionati di iperplasia surrenalica bilaterale. Il primo caso di surrenectomia robotica è stato riportato

in un modello animale da Gill et al. nel 2000 e, solo da qualche anno,

l’approccio robotico alla surrenectomia è risultato essere una valida alternativa alla tecnica laparoscopica. Questa tecnica garantisce un ridotto tasso di morbilità, minor tempo di degenza ospedaliera, minor perdita di sangue e minore disconfort per il paziente.

(37)

I sei gradi di libertà nel movimento, la sottile taratura e le ottiche

tridimensionali, offerti dal sistema da Vinci®, rendono la dissezione attorno ai

grossi vasi e la dissezione dei visceri attorno al surrene molto più semplice e sicura.

4.1.1.2.1. Surrenalectomia laparoscopica sinistra robot assistita

1.

2. Posizionamento del paziente in decubito laterale sinistro con inclinazione di 45° e lieve Trendelemburg, posizione simile alla “flank

position” utilizzata per la tecnica open retroperitoneale.

3. Accesso alla cavità addominale con ago di Veress e induzione di pneumoperitoneo

4. Posizionamento di 3 accessi per i bracci robotici (figura 4.7): due per i bracci di lavoro e uno per l’ottica. Può essere confezionato un quarto accesso per il secondo operatore al letto chirurgico. Il primo accesso (12 mm), per l’ottica, approssimativamente al centro di una linea immaginaria

(38)

che congiunge il margine costale all’ombelico. I rimanenti accessi, da 8 mm, vengono posizionati: il primo 2 cm più in basso del margine costale lungo la linea ascellare media e l’altro 2 cm sopra la spina iliaca anterosuperiore, in fossa iliaca. L’accesso per il secondo operatore (10 mm), usato per retrattori, aspiratori o applicatori di clip, è posizionato qualche centimetro sopra l’ombelico in posizione paramediana.

5. Posizionamento del robot sul campo operatorio sulla sinistra del paziente con un angolo di 45° rispetto all’asse lungo del tavolo operatorio. 6. Ispezione della cavità addominale e lisi di eventuali aderenze.

7. Incisione della lamina avascolare di Toldt

8. Incisione dei ligamenti splenorenale, splenofrenico e lienocolico con un uncino cauterizzante o con forbici laparoscopiche.

9. Dissezione della coda del pancreas dalla fascia di Gerota in modo da garantirne la caduta verso il basso ed esponendo così il surrene e il polo renale superiore.

10. Dissezione circonferenziale della ghiandola surrenale a partire

dal margine superiore; posizionamento di clip in titanio su eventuali vasi provenienti dall’arteria frenica inferiore.

11. Dissezione del margine mediale del surrene ponendo attenzione

(39)

12.

13. Mobilizzazione laterale del surrene e identificazione della vena

surrenalica con successivo posizionamento di clip e incisione della stessa (figura 4.8).

14. Incisione della fascia di Gerota tra il polo superiore del rene e la

vena surrenalica, in modo tale da completare la dissezione inferiormente con particolare attenzione a piccoli vasi arteriosi e venosi provenienti rispettivamente dall’arteria o dalla vena renale.

15. Dissezione del margine laterale della ghiandola surrenale.

16. Inserimento del surrene in un sacchetto e successiva estrazione

dalla porta dell’ottica o dall’accesso utilizzato dal secondo operatore.

17. Lavaggio e ispezione del campo operatorio per il controllo

dell’emostasi.

18. Estrazione dei bracci robotici.

(40)

20. Sutura della cute con nylon 4-0.

4.1.1.2.2. Surrenalectomia laparoscopica destra robot assistita

1. Posizionamento del paziente come per la surrenalectomia robot assistita sinistra ma in decubito laterale destro.

2. Accesso alla cavità addominale con ago di Veress e induzione dello pneumoperitoneo.

3. Posizionamento dei trocars come per l’approccio al surrene sinistro e in aggiunta un quinto accesso (5 mm) per l’utilizzo di retrattori epatici da parte del secondo operatore (figura 4.8).

4. Posizionamento del robot sul campo operatorio come per surrenalectomia sinistra.

5. Mobilizzazione del fegato mediante incisione del peritoneo posteriore sulla faccia inferiore e lungo il ligamento triangolare, lateralmente.

6. Retrazione del fegato con l’aiuto del secondo operatore. 7. Identificazione della vena cava inferiore

8. Accurata dissezione lungo la parete laterale della vena cava e identificazione della vena surrenalica destra con posizionamento di clips sulla stessa.

9. Sezione della vena surrenalica destra.

(41)
(42)

4.1.2. Il sistema chirurgico da Vinci

®

Il sistema chirurgico da Vinci® è principalmente costituito dai seguenti

componenti79:

 Consolle chirurgo (figura 4.9) che integra un sistema di visione stereo 3D, due manipolatori detti “master” e una pedaliera per il movimento della telecamera

 Carrello chirurgico (figura 4.10) provvisto del braccio porta-ottica e di tre o quattro bracci porta-strumenti fissati su una colonna che eseguono i comandi del chirurgo. Il sistema consente di muovere gli strumenti utilizzando gli accessi praticati chirurgicamente senza appoggiarsi sul paziente e minimizzando quindi i danni sui tessuti;

 Strumentazione Endowrist® che comprende una gamma completa di

strumenti a supporto del chirurgo e delle procedure disponibili. Tali strumenti sono progettati per consentire sette gradi di movimento che simulano, ampliandoli, quelli del polso e della mano;

(43)

 Sistema di visualizzazione con endoscopi 3D ad alta risoluzione e processori di immagine che forniscono una reale immagine tridimensionale del campo operatorio; le immagini sono potenziate e ottimizzate con l’utilizzo di sincronizzatori e di filtri, di sistemi di illuminazione ad alta intensità e operando sul sistema di controllo della videocamera.

Il sistema consente di articolare in modo continuo tutti i movimenti della mano e del polso umani all’interno del paziente e mette a disposizione del chirurgo una visione stereoscopica ottenuta grazie all’utilizzo di un video-endoscopio a due canali ottici e doppia telecamera ad alta risoluzione. Questo sistema di ingrandimento in tempo reale ad alta risoluzione permette al chirurgo di

(44)

disporre di una notevole qualità di immagine rispetto alla chirurgia tradizionale. Il sistema fornisce più di un migliaio di immagini al secondo e il processore filtra ogni singola immagine eliminando il rumore di fondo. Consente inoltre lo scaling del moto degli strumenti e il filtraggio dei tremolii

delle mani del chirurgo. Il modulo di attuazione del movimento Endowrist®

permette un accurato e fluido movimento della strumentazione nel campo operatorio.

La posizione della consolle che il chirurgo utilizza per operare è al di fuori del campo sterile, e consente principalmente di garantire l’allineamento occhi-mani tramite l’opportuno posizionamento di occhi-manipolatori e oculari. Il chirurgo appoggia gli avambracci sulla consolle, scaricando quindi il peso degli stessi, inserisce la testa in un apposito vano, appoggiando la fronte e direzionando lo sguardo nei due oculari posti al centro del vano stesso. Infila quindi le dita in appositi strumenti il cui modulo di controllo trasforma il segnale da meccanico in elettrico e lo trasmette tramite appositi attuatori ai bracci meccanici. Ulteriori comandi, posizionati sia agli estremi del supporto per gli avambracci, sia sulla pedaliera, completano la funzionalità della consolle. Quest’ultima in particolare risulta dunque composta da:

 manipolatori o master che controllano la movimentazione dei bracci per gli strumenti laparoscopici e consentono di gestire il braccio centrale, che sostiene e posiziona il video-endoscopio;

(45)

richiede l’utilizzo di un video-endoscopio appositamente sviluppato;

 comandi e indicatori: le funzioni del sistema da Vinci® vengono attivate

tramite pulsanti e pedali; le funzioni alle quali il chirurgo deve accedere durante l’intervento sono invece poste sugli interruttori a pedale della consolle.

Le più importanti novità introdotte dal sistema sono:

una maggiore risoluzione introdotta dallo standard High Definition

(HD);

 un campo di visione più ampio (16:9) con tecnologia ad alta

definizione (HD) che consente di avere una visione periferica più ampia del campo operatorio;

 uno zoom digitale a 7 livelli di ingrandimento senza alcuna

necessità di movimento dell’endoscopio, controllato dai manipolatori master e visualizzato sulla finestra di navigazione unitamente al livello di ingrandimento attivo. Tale caratteristica consente di posizionare in modo ottimale l’endoscopio sul campo operatorio riducendo l’eventuale interferenza tra l’endoscopio stesso e la strumentazione chirurgica;

Il carrello chirurgico è costituito da un basamento ad H su ruote e da una colonna che regge i quattro bracci del sistema. Questo ne consente un agevole spostamento nonché il posizionamento, parzialmente entro il campo sterile, subito prima di dare corso alla procedura chirurgica. I bracci sono distinti in:

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bracci principali (setup joints): supportano i bracci strumento e il braccio camera, servono per posizionare i bracci strumento in modo da ottimizzare l’avvicinamento all’anatomia del paziente;

 bracci strumento: i movimenti delle mani del chirurgo sui master

vengono replicati alla punta dello strumento; tali bracci spostano e posizionano adeguatamente gli strumenti per consentire un movimento preciso e corretto della loro parte terminale;

 braccio camera: sostiene e posiziona il video-endoscopio;

 braccio porta-display: sostiene e posiziona un display ad alta

risoluzione touchscreen usato sia come visualizzatore di immagini che come interfaccia tra il secondo operatore e il primo.

Gli strumenti specificamente progettati sono caratterizzati dai seguenti gradi di libertà:

 traslazione,

 rotazione,

 primo snodo della testa dello strumento,

 secondo snodo della sola parte applicata della testa dello

strumento,

 capacità di presa della parte applicata della testa dello strumento.

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intercambiabili nel corso della procedura chirurgica; sono riutilizzabili, quindi sterilizzabili solo per un numero di procedure ben determinato e variabile da strumento a strumento.

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4.2. RISULTATI

È stato preso in considerazione un totale di 22 pazienti che sono stati randomizzati in due gruppi: il primo comprende 16 pazienti sottoposti a surrenectomia monolaterale con tecnica laparoscopica con approccio laterale transperitoneale (8 a sinistra e 8 a destra); il secondo è rappresentato da 6 pazienti operati con tecnica laparoscopica robot-assistita (6 a sinistra), anch’essi con approccio laterale transperitoneale.

Tra i 16 che hanno subito l’intervento con tecnica laparoscopica si contano 13 donne e 3 uomini. Le indicazioni all’utilizzo della laparoscopia sono state 4 per adenoma non secernente, 4 per sindrome di Cushing, 3 per feocromocitoma, 3 per morbo di Conn, 2 per formazioni cistiche. Tra i 6 che sono stati sottoposti a surrenectomia con tecnica robot-assistita si contano 2 donne e 4 uomini con diagnosi di 3 adenomi non secernenti, 1 mielolipoma, 1 morbo di Conn e 1 adenoma cistico.

Il confronto tra le variabili è stato eseguito in primo luogo tra le variabili all’interno di ognuno dei due gruppi, prendendo in esame: tempi operatori-tempi di preparazione, operatori-tempi operatori-dimensioni della massa, operatori-tempi operatori-degenza, dimensione della massa-degenza, età-tempi operatori. In secondo luogo sono stati eseguiti i vari test di correlazione tra i due gruppi. L’età media dei pazienti dei primo gruppo risulta essere 50.1 ± 10.7 anni con un range tra 31 e 75 anni, mentre quella del secondo gruppo è di 48.5 ± 9.2 anni con un range tra 33 e 60 anni.

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L’analisi dei tempi operatori ha portato come risultati una media di 61.8 ± 27.6 minuti nel gruppo laparoscopico e di 47.5 ± 6.1 minuti nel gruppo robotico. I pazienti dei due gruppi di studio sono stati divisi secondo 3 fasce di età (31-46; 47-61; 62-76) con 8 pazienti nella prima fascia, 6 nella seconda e 2 nella terza per il gruppo che ha subito intervento con tecnica laparoscopica. Anche il gruppo della robotica è stato diviso nelle stesse fasce di età con 2 pazienti nella prima fascia, 4 nella seconda e nessun paziente nella terza. Questa suddivisione è risultata necessaria nella valutazione delle correlazioni tra le variabili considerate.

Nel confronto, nel gruppo laparoscopico, tra età e tempi operatori è risultata

una certa dipendenza tra le due variabili con P=0.118.

Il grafico 4.3 dimostra infatti questo andamento delle variabili con la possibilità di affermare che per pazienti più anziani sono necessari tempi operatori maggiori.

Questo dato ha reso necessario il confronto dei tempi chirurgici divisi secondo le tre fasce di età con risultati che confermano le precedenti affermazioni:

 Fascia 1 – Fascia 2  P=0.477  Fascia 2 – Fascia 3  P=0.853  Fascia 1 – Fascia 3  P=0.853

Il campione dei dati risulta comunque statisticamente ristretto e con elevata dispersione; nonostante questo si può ipotizzare un andamento teorico in

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aumento dove a pazienti con età più avanzata corrispondono tempi operatori più lunghi.Per quanto riguarda la correlazione tra le età dei pazienti candidati alla chirurgia robotica e i tempi operatori si può invece affermare che non esiste alcuna correlazione tra le due variabili, come dimostra il grafico 4.4 Le dimensioni medie delle lesioni asportate sono di 3.28 ± 1.39 cm, comprese tra 1 e 7 cm per i pazienti del primo gruppo e di 3.5 ± 2.88 cm, comprese tra 1 e 6 cm per i pazienti del secondo gruppo.

L’analisi dei risultati ottenuti dal confronto tra tempi operatori e dimensioni della massa ha portato a dedurre che, anche in questo caso, non esiste correlazione tra le due variabili come mostrato in tabella 4.1, dove si può osservare la distribuzione uniforme dei pazienti nei due gruppi di dimensioni.

GRUPPI DI TEMPO NUMERO DI PAZIENTI DIMENSIONI <=3 DIMENSIONI >3

<1H 9 6 (66%) 3 (34%)

>=1H E <2H 6 3 (50%) 3 (50%)

>2H 1 1 (100%) 0 (0%)

Nel gruppo della robotica i tempi chirurgici sono tutti inferiori ad 1h, non mostrando alcuna relazione con le dimensioni della massa asportata.

I dati relativi alla media dei giorni di degenza sono di 5.25 ± 3.4 giorni per il primo gruppo e di 3.8 ± 0.7 giorni per il secondo gruppo.

I tassi di incidenza di morbilità e mortalità, sia intraoperatoria che postoperatoria sono nulli; non sono stati riportati casi di complicanze né di decessi.

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4.3. DISCUSSIONE

Lo studio ha portato alla conferma dei dati della letteratura. Dall’analisi dei dati relativi ad età dei pazienti e dimensioni delle masse asportate, i due gruppi non mostrano differenze. L’età media del gruppo candidato all’intervento laparoscopico è di 50.1 ± 10 anni, mentre quella del gruppo candidato all’intervento robotico è di 48.5 ± 9 anni; ciò ci dimostra che non ci sono particolari controindicazioni relative e assolute, in riferimento all’età, per l’intervento robotico. Per quanto riguarda le dimensioni della massa non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi (3.28 ± 1.3 cm per il primo gruppo e di 3.5 ± 2.8 cm per il secondo).

Lo studio clinico non ha rilevato la presenza di alcuna complicanza, né intraoperatoria né postoperatoria, in nessuna delle due tecniche, non influendo quindi sulla degenza media né sui tempi operatori dei pazienti nei due gruppi. Dall’analisi dei dati relativi alla degenza media si può notare un netto vantaggio della robotica, con valori medi di 3.8 ± 0.75 giorni, rispetto alla laparoscopica, con valori medi di 5.25 ± 3.4 giorni (P<0.0001), con un effettivo guadagno di 1-2 giorni di degenza ospedaliera.

Riguardo ai dati relativi ai tempi operatori, l’analisi ci permette di affermare che la tecnica laparoscopica ha un netto guadagno sui tempi di preparazione del paziente con valori di 42.5 ± 15 minuti rispetto ai 95.8 ± 4 minuti della tecnica robotica (grafico 4.6). Per i tempi chirurgici, i risultati sono a favore della tecnica robotica, che vede un guadagno di 15 minuti sulla tecnica laparoscopica (grafico 4.7). Nonostante questo risultato, la tecnica

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laparoscopica si rivela essere più veloce rispetto alla robotica che vede, come causa dell’allungamento dei tempi, la preparazione del paziente.

m in 20 40 60 80 100 120 140 t preparazione laparo t preparazione robot m in 40 45 50 55 60 65 70 75 80 t operatori

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