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Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 25 (2006)

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Attualità

Aiuti di Stato: al via il piano delle riforme

La pubblicazione, nel giugno del 2005, del Piano di Azione europeo in materia di Aiuti di Stato, ha avviato un processo di revisione e di semplificazione della materia. Numerose sono le implicazioni sulla politica di sviluppo rurale. L’articolo, fa il punto delle novità introdotte e del loro impatto sui Programmi di Sviluppo Rurale 2007-2013.

Il Quadro Comune di Monitoraggio e

Valu-tazione del FEASR

Monitoraggio e valutazione sono strumenti chiave per una gestione ottimale delle politiche pubbliche. Con la riforma della politica di sviluppo rurale, la Commissione europea ha voluto rafforzare il ruolo di tali strumenti ed orientarlo ad una funzione sempre più di carattere gestionale delle politiche pubbliche. Nell’articolo si presenta il Quadro Comune di Monitoraggio e Valutazione predisposto dalla DG Agricoltura di concerto con i 27 Stati membri dell’Unione.

Biomasse, ambiente e agricoltura: dalla

politica energetica alla politica di sviluppo

rurale

La valorizzazione a fini energetici delle biomasse di ori-gine agro-forestale rappresenta non solo una fonte alternativa di energia e un uso sostenibile delle risorse, ma un’opportunità di diversificazione del reddito e di sviluppo per le aree rurali. L’articolo effettua una rico-gnizione delle politiche comunitarie e nazionali in materia, evidenzia le criticità del settore in Italia e le possibilità di valorizzazione energetica delle biomasse.

Il punto sul negoziato

Lo stato dell’arte del negoziato FEASR

BPSA inaugura una nuova rubrica tesa a seguire l’e-voluzione del negoziato tra Regioni, Stati Membri e Commissione Europea per l’approvazione dei Programmi di intervento 2007-2013 cofinanziati dall’UE. In questo numero si fa il punto sul negoziato FEASR.

Monitoraggio e valutazione: da obbligo a

strumento di informazione per la gestione.

Il caso dei cruscotti decisionali in Piemonte

Il panorama dei metodi e degli strumenti per il monitoraggio e valutazione delle politiche pubbli-che è vasto e diversificato. Alcune metodologie di analisi, come quella utilizzata dalla Regione Piemonte per il PSR 2000-2006, si sono dimostrate particolarmente rispondenti alle finalità di “accoun-tability” e di “learning by doing” proprie di questi strumenti.

L’innovazione e le criticità nella

progetta-zione integrata in Calabria. Le prime

rifles-sioni di un’indagine in corso

La programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006 ha visto l’introduzione e l’utilizzo, da parte delle Regioni Ob.1, di uno strumento innovativo, la progettazione integrata, teso ad aumentare l’efficacia delle politiche adottate. L’articolo fa un bilancio dei Progetti Integrati di Filiera utilizzati dal POR Calabria, evidenziandone le opportunità ma anche i punti di

de-bolezza. n u m e r o

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IIN

NE

EA

A

Istituto Nazionale di Economia Agraria

Direttore responsabile Francesco Mantino Responsabile di redazione Laura Viganò Comitato di redazione Giuseppe Blasi, Emilio Gatto, Alessandro Monteleone, Alessandra Pesce,

Andrea Povellato, Daniela Storti, Paolo Zaggia

Il presente numero è a cura di Roberto Murano e Serena Tarangioli Progetto grafico Benedetto Venuto

Impaginazione Pierluigi Cesarini e Laura Fafone Elaborazioni statistiche Stefano Tomassini Supporto informatico Massimo Perinotto Foto Serena Tarangioli e David Mastrecchia Segreteria Laura Guidarelli

Registrazione Tribunale di Roma n.671/97 del 15/12/1997 Sped. abb. post. art.2 Comma 20/C Legge 662/96 filiale Roma

Stampa Stilgrafica s.r.l. Via I. Pettinengo, 31 - Roma Finito di stampare nel mese di Luglio 2007

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Strumenti della programmazione

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Regioni

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Aiuti di Stato: al via il piano delle

riforme

di Stefania Luzzi Conti - INEA

La complementarietà, ai diversi livelli di compe-tenza, tra le politiche comunitarie e quella sugli aiuti di Stato sta assumendo un ruolo di rilievo nella definizione delle politiche da porre in atto per lo sviluppo di diversi settori dell’economia. La politica per gli aiuti di Stato e il rispetto delle norme sulla concorrenza, infatti, hanno assunto ormai da tempo un ruolo centrale nelle scelte di sviluppo del Paese.

L’esperienza maturata nel corso di questi ultimi anni ha spinto la Commissione a pubblicare, a giugno 2005, il Piano di Azione nel settore degli aiuti di Stato, dando avvio alla consultazione pubblica. Il Piano delinea i principi guida della profonda riforma delle regole sugli aiuti di Stato, che sarà attuata nell’arco dei prossimi cinque anni. Nella proposta della Commissione è evi-dente l’intenzione di procedere verso una mag-giore coerenza e uniformità della normativa in materia di aiuti di Stato, ma anche la modalità con cui la Commissione intende utilizzare le norme del Trattato CE in materia di aiuti di Stato per incoraggiare gli Stati membri a contribuire alla strategia per la crescita e l’occupazione (Stra-tegia di Lisbona), riducendo il livello complessivo degli aiuti e concentrandoli sul miglioramento della competitività dell’industria europea, sulla creazione di posti di lavoro duraturi, sulla coesio-ne sociale e regionale e sul miglioramento dei servizi pubblici.

La Commissione ha presentato, inoltre, le proposte che mirano a semplificare e a razionalizzare le attuali regole e a ridurre la burocrazia, in modo da diminuire il numero di aiuti da notificare e accelerare l’assunzione delle decisioni.

In particolare, il lavoro della Commissione si è focalizzato su:

– la revisione delle regole di applicazione sugli aiuti di Stato in favore della ricerca, dello svi-luppo e dell’innovazione;

– la definizione di un regolamento generale d’e-senzione nel caso di specifiche categorie di intervento, che autorizzi aiuti di Stato senza che sia necessaria una loro notifica;

– la revisione del regolamento che fissa la soglia sotto la quale una sovvenzione non si conside-ra aiuto di Stato (regola de minimis);

– le nuove regole sui servizi di interesse economi-co generale e sugli aiuti regionali.

Parte della normativa è stata recentemente approvata dalla Commissione, e risponde all’esi-genza di garantire la massima coerenza tra gli interventi di sviluppo rurale e la normativa sugli aiuti di Stato in campo agricolo, nell’ottica della semplificazione perseguita da diversi anni a livello comunitario. In particolare, recentemente sono stati approvati:

– il Regolamento (CE) n.1998/2006 della Com-missione relativo al de minimis, che modifica il Reg. (CE) n.69/2001;

– il regolamento di esenzione, Reg. (CE) n.1857/2006 della Commissione, relativo all’ap-plicazione degli art. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione di prodotti agri-coli recante modifica del Reg. (CE) n.70/2001; – gli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato

nel settore agricolo e forestale.

Aiuti di Stato “de minimis”

Sino ad oggi gli aiuti de minimis sono stati discipli-nati da due regolamenti, uno generale (Reg. (CE) n.69/2001) e uno specifico per il settore agricolo e per la pesca (Reg. (CE) n.1860/2004). A seguito delle novità introdotte dalla riforma i due regola-menti sono stato rivisti: il regolamento generale, che ora regolerà anche le attività delle PMI attive nel settore della trasformazione e commercializza-zione dei prodotti agricoli; il secondo continuerà a disciplinare gli aiuti al settore primario, mentre non regolerà più il settore della pesca, per il quale è in corso di definizione una specifica regolamen-tazione.

Il regolamento (CE) n.1998/2006, che modifica il Reg. (CE) n.69/2001, prevede l’esenzione degli aiuti di minore entità finanziaria dall’obbligo di notifica previsto dalle norme del Trattato CE sugli aiuti di Stato e raddoppia, innalzando a 200.000 euro in tre anni, la soglia degli aiuti de minimis. Coerentemente con la scelta di fondo di equipara-re le piccole e medie impequipara-rese di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli a quelle operanti in campo industriale, il nuovo regola-mento de minimis sarà applicabile anche a tale settore di attività.

Il regolamento sul de minimis in agricoltura, molto probabilmente subirà ulteriori modifiche, infatti è in discussione con gli Stati membri il progetto di portare da 3.000 a 6.000 euro il limite individuale per beneficiario nel triennio e il massimale per Stato membro dallo 0,3% allo 0,6% del valore della produzione agricola, che fissa il plafond per

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l’Italia a circa 274 milioni di euro. Sebbene sia stata accolta la richiesta degli Stati membri di ele-vare il limite dei 3.000 euro per beneficiario, la proposta in discussione continua ad essere inade-guata in relazione ad una sua reale efficacia per lo sviluppo del settore. Tuttavia la Commissione ritiene che le caratteristiche degli investimenti nel settore agricolo (generalmente micro investimenti) siano tali da non consentire un aumento significa-tivo di tale importo, al fine proprio di evitare di fal-sare la concorrenza.

Inoltre, la Commissione ha presentato un nuovo regolamento de minimis concernente la pesca. Secondo la nuova proposta il tetto degli aiuti de minimis è fissato a 30.000 euro per beneficiario su un arco di tre anni, a condizione che la cifra totale erogata non rappresenti più del 2,5% del valore della produzione annuale del settore a livello nazionale. In considerazione dell’elevato valore capitale delle imprese attive nel settore della pesca, la Commissione ha ritenuto che il tetto massimo di 3.000 euro fosse insufficiente. Il regola-mento del 2004 rappresentava una sorta di speri-mentazione da parte della Commissione, trattan-dosi della prima volta in cui gli aiuti de minimis si applicavano al settore. Alla luce dell’esperienza acquisita, quindi, è emersa l’esigenza di modifica-re le misumodifica-re applicabili.

Nuovo regolamento di esenzione

La Commissione europea ha recentemente appro-vato il nuovo regolamento di esenzione (Reg. (CE) n. 857/2006), relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produ-zione di prodotti agricoli, volto a semplificare la gestione degli aiuti di Stato nel settore agricolo e a rendere più rapida la procedura per la concessio-ne dell’aiuto agli agricoltori, individuando alcuconcessio-ne tipologie di aiuto di Stato per le quali non è previ-sto l’obbligo di notifica.

Come già detto, una delle principali modifiche della riforma sugli aiuti di Stato riguarda la sepa-razione tra PMI attive nella produzione primaria e quelle attive nella trasformazione e commercializ-zazione di prodotti agricoli; da qui l’applicazione del regolamento di esenzione soltanto alla produ-zione primaria di prodotti agricoli.

In linea generale, tra gli aspetti qualificanti del nuovo regolamento di esenzione, sebbene, come anticipato, riduca il novero delle piccole e medie imprese beneficiarie, emerge chiaramente l’am-pliamento del campo di applicazione della disci-plina con l’inserimento degli indennizzi per danni

da maltempo, epizoozie e fitopatie e quelli desti-nati alla eliminazione di carcasse animali.

Resta, tuttavia, il punto critico di non contemplare la possibilità di concedere aiuti in esenzione per le imprese «intermedie» (meno di 750 dipendenti e/o un fatturato inferiore ai 200 milioni di euro), previ-ste invece nello sviluppo rurale. La possibilità di concedere aiuti a tali imprese è quindi rimandata a quanto disciplinato dagli Orientamenti comuni-tari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e fore-stale, con il conseguente obbligo di notifica previ-sto dall’art. 88, par. 3 del Trattato.

Sul piano delle novità introdotte a livello di cate-gorie di aiuto, invece, particolare attenzione meri-ta quella degli Investimenti nelle aziende agrico-le. Infatti, con il nuovo regolamento la Com-missione fissa a 400.000 euro l’importo globale degli aiuti concessi per singola impresa, erogati su un qualsiasi periodo di tre esercizi ed a 500.000 euro nel caso di un’impresa collocata in zona svantaggiata. Coerentemente con le disposizioni previste dal FEASR in tema di investimenti azien-dali, l’intensità lorda dell’aiuto resta invariata: 50% degli investimenti ammissibili nelle zone svantag-giate e 40% in tutte le altre, portati al 60% e 50% in caso investimenti effettuati da giovani agricoltori entro 5 anni dall’insediamento.

Orientamenti comunitari per gli aiuti di

Stato nel settore agricolo 2007-2013

Per quanto riguarda i nuovi Orientamenti per gli aiuti di Stato nel settore agricolo 2007-2013, appro-vati ai primi di dicembre 2006, la Commissione, nella sua stesura, ha tenuto conto di quanto defi-nito dalla Strategia di Lisbona, soprattutto alla luce della richiesta di ridurre il numero degli aiuti in vigore e dell’esigenza di trasferire l’interesse da specifici settori e imprese a misure di sostegno oriz-zontale, come l’occupazione, lo sviluppo regiona-le, l’ambiente, la formazione e la ricerca.

Coerentemente con quanto previsto dalla riforma sugli aiuti Stato, i nuovi Orientamenti oltre a incor-porare le semplificazioni inserite nel quadro della modifica del regolamento di esenzione n.1/2004, riuniscono in un unico testo le precedenti discipli-ne relative agli aiuti alla pubblicità e agli aiuti TSE (Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili). Non saranno più compatibili, invece, gli aiuti per i pre-stiti a breve termine.

In relazione agli investimenti nel settore della tra-sformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, i nuovi Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale fanno

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numero 25

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un chiaro riferimento agli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, fis-sando l’intensità massima dell’aiuto, nel caso delle PMI, al 50% degli investimenti ammissibili nelle regioni di cui all’art. 87, par 3, lett. a) del Trattato ed al 40% degli investimenti ammissibili in altre regioni, in base alla mappa degli aiuti a finalità regionale approvata dagli Stati membri per il periodo 2007-2013. L’intensità dell’aiuto si dimezza (25% e 20%) se il beneficiario è un’impresa inter-media (meno di 750 dipendenti e/o un fatturato inferiore a 200 mio EUR).

Per coerenza con le regole previste dal FEASR in tema di trasformazione e commercializzazione, le imprese definite intermedie possono beneficiare di un aiuto fino al 20% degli investimenti ammissibili previsti dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, seppur collo-cate in regioni non ammesse a beneficiare di aiuti a finalità regionale.

Rimangono escluse da tale possibilità le grandi imprese, per le quali sono autorizzati aiuti a patto che soddisfino tutte le condizioni degli Orientamenti e con i massimali stabiliti dalla mappa degli aiuti.

Tra le altre novità contenute negli Orientamenti non potranno essere concessi aiuti per impianti e opere per l’irrigazione, a meno che tali interventi permettano di ridurre di almeno il 25% il prece-dente consumo di acqua. Gli aiuti per l’acquisto dei terreni sono stati limitati al 10% del valore complessivo dell’investimento, mentre nei prece-denti orientamenti era prevista la concessione di aiuti per l’acquisto di terreni al 100%. Per tale ragione e per venire incontro alle richieste soprat-tutto dell’Italia, sono stati prorogata sino al 31/12/2009 i regimi di aiuto esistenti che prevede-vano l’acquisto di terreni.

Gli aiuti per l’acquisto di animali, piante, diritti di produzione non sono più contemplati, mentre riguardo a quelli per adattarsi ai nuovi standard ambientali, sarà fornita una definizione più chiara di standard “nuovamente introdotto”, oltre a pre-vedere una graduale riduzione dei tassi d’aiuto, al fine di incentivare gli Stati membri a effettuare una rapida implementazione.

Dal 2010 in poi gli aiuti volti a compensare le per-dite per condizioni climatiche sfavorevoli saranno limitati agli agricoltori che hanno stipulato un’assi-curazione. L’obiettivo, alla luce delle discussioni sulla migliore gestione dei rischi e delle crisi in agricoltura, è quello di incentivare la stipulazione di polizze assicurative nel settore.

Fra le nuove categorie di aiuti figurano gli aiuti

volti al rispetto delle norme, gli aiuti «Natura 2000» e quelli connessi ai pagamenti previsti dalla Direttiva 2000/60/CE (politica in materia di acque), gli aiuti connessi alle esenzioni dalle accise previ-ste dalla Direttiva 2003/96/CE (tassazione dei pro-dotti energetici e dell’elettricità) e quelli a favore del settore forestale.

Gli aiuti di Stato in agricoltura nei nuovi

Programmi di sviluppo rurale

Numerosi sono i collegamenti tra la disciplina dello sviluppo rurale e quella sugli aiuti di Stato e pongono numerosi problemi di coordinamento, nell’ottica della semplificazione perseguita ormai da diversi anni a livello comunitario.

La distinzione tra PMI attive nella produzione pri-maria e quelle attive nella trasformazione e com-mercializzazione di prodotti agricoli, e l’equipara-zione di queste ultime alle PMI industriali, è riscon-trabile anche nei regolamenti sullo sviluppo rura-le, dove è indicata la distinzione tra misure rica-denti nel campo di applicazione dell’articolo 36 del Trattato (misure cosiddette agricole) e misure fuori da tale campo di applicazione (misure non agricole).

Il regolamento sullo sviluppo rurale (Reg. (CE) n.1698/2005) disciplina al titolo VIII, agli artt. 88 e 89, le modalità di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato alle misure di sviluppo rurale che beneficiano del sostegno comunitario, preveden-done in caso di presentazione contestuale al Piano, l’esenzione dall’obbligo di notifica.

L’art. 56 del regolamento applicativo (Reg. (CE) n.1974/2006) prevede la possibilità di inserire risor-se finanziarie aggiuntive su tutte le misure previste dal piano di sviluppo rurale, disciplinandone le modalità di concessione.

Tali modalità cambiano a seconda che si tratti di aiuti integrativi previsti su misure ricadenti o meno nel campo di applicazione dell’articolo 36 del Trattato. Infatti, per le misure cosiddette agricole gli aiuti aggiuntivi dovranno essere giustificati secondo le modalità previste dall’allegato II, punto 9 A del regolamento applicativo, che rimanda di fatto alla normativa sugli aiuti di Stato applicata al settore primario; si dovrà, quindi: – inserire una tabella dove indicare se si tratta di

un aiuto giustificato sulla base del regolamento de minimis agricolo (Regolamento (CE) n.1860/2001);

– in alternativa se l’aiuto aggiuntivo è concesso sulla base di un regolamento di esenzione e, nel caso, fornire anche il numero di protocollo

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nonché il riferimento specifico al regolamento di esenzione;

– un’ulteriore alternativa, nel caso di aiuto già autorizzato dalla Commissione, è quella di indi-care il numero della decisione e gli estremi della lettera di notifica;

– infine, è prevista la possibilità di notificare l’aiuto contestualmente alla presentazione del Piano; in questo caso si dovrà allegare la scheda di notifica contenuta nel Reg. (CE) n.1935/2006.

Come già detto, il regolamento applicativo indivi-dua anche misure che non rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 36 del Trattato (misure cosiddette non agricole) per le quali sarà necessa-rio giustificare non solo gli aiuti addizionali, ma anche la parte pubblica attivata dal cofinanzia-mento.

Le modalità sono indicate al punto 9 B dell’allega-to II del regolamendell’allega-to applicativo, e richiamano la normativa sugli aiuti di Stato applicata al settore industriale. Quindi, si dovrà indicare se il sostegno è concesso sulla base del regolamento de minimis n.1998/2006, oppure se è concesso sulla base di un regolamento di esenzione e nel caso fornire anche il numero di protocollo nonché il riferimen-to specifico al regolamenriferimen-to di esenzione oppure nel caso di aiuto già autorizzato dalla Commissione, si dovrà indicare il numero della decisione e gli estremi della lettera di notifica. In alternativa, se e sulla base di quali elementi l’aiu-to sia da considerarsi «esistente» ai sensi dell’artico-lo 1, lettera b, del Regolamento di procedura n.659/1999.

Nel dettaglio le misure cosiddette non agricole sono quelle previste all’articolo 25 – Avviamento di servizi di assistenza alla gestione, di sostituzione e di consulenza aziendale, articolo 27 – Accre-scimento del valore economico delle foreste, arti-colo 52 – Asse III Qualità della vita nelle zone rura-li e diversificazione dell’economia rurale.

Infine, per le misure previste agli articoli 28 – Ac-crescimento del valore aggiunto dei prodotti

agri-coli e forestali – e 29 – Cooperazione per lo svilup-po di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei set-tori agricolo e alimentare e in quello forestale – va fatta una distinzione a seconda che il prodotto tra-sformato sia o meno un prodotto dell’allegato I del Trattato.

In caso di trasformazione di un prodotto in allega-to I, l’operazione si considera «agricola» e quindi sarà assoggettata alla normativa sugli aiuti di Stato solo il finanziamento integrativo e non la quota di finanziamento pubblico attivata dal cofi-nanziamento.

La presenza di queste informazioni è necessaria per la presentazione dei PSR alla Commissione. Infatti, anche la parte sugli aiuti di Stato è oggetto di valutazione da parte dei competenti uffici di Bruxelles ai fini della ricevibilità dei Programmi. Le difficoltà maggiori si sono riscontrate nella scel-ta della base giuridica con cui giustificare la quota del cofinanziamento nazionale per le misu-re “non agricole”. Al fine di non rallentamisu-re in pro-cesso di approvazione dei Programmi le regioni hanno deciso di giustificare gli aiuti sulla base del regolamento de minimis, evitando così rallenta-menti procedurali che sarebbero derivati da una nuova notifica e/o dall’applicazione del regola-mento di esenzione.

Rimane il fatto che, seppure nell’immediato, il de minimis consenta un’applicazione immediata degli aiuti di Stato, nel medio-lungo periodo esso richiede invece una visione più strategica degli interventi da realizzare e dei suoi effetti, in coeren-za soprattutto con la politica dello sviluppo rurale. La mancanza di strategia nell’applicazione di tale strumento, non tenendo conto in particolare del limite imposto dalla normativa di 200.000 euro per beneficiario, per triennio, potrebbe portare ad un suo non efficace utilizzo.

Da qui il grande sforzo che il Mipaaf e le Regioni stanno facendo per cercare di coordinare quanto più possibile le strategie da mettere in atto per pre-vedere una corretta ed efficace applicazione della politica per gli aiuti di Stato all’interno dei PSR.

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numero 25

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Il quadro comune di

monitoraggio e

valu-tazione del FEASR

di Serena Tarangioli - INEA

La politica di sviluppo rurale 2007-2013 presenta numerosi elementi innovativi, non solo in termini di strategie ma anche di strumenti, procedure di attuazio-ne ed organizzazioattuazio-ne delle atti-vità. Sotto il profilo strategico, la riforma dello sviluppo rurale si inserisce nella discussione che ha visto diversi Paesi ed Istituzio-ni fortemente critiche nei con-fronti della Politica Agraria Comunitaria. In questo contesto il futuro stesso della PAC è sem-pre più legato agli effetti concre-ti che essa contribuirà ad appor-tare in termini di crescita e svi-luppo dell’Unione L’adozione di un approccio strategico alla pro-grammazione e la ricerca di una crescente trasparenza sull’o-perare della politica di sviluppo rurale per il 2007-2013 vanno appunto nella direzione di ren-dere conto dei risultati ottenuti. In tale ottica, il nuovo regola-mento costruisce un sistema di programmazione che, a casca-ta, coinvolge nella definizione della strategia, la Commissione europea, gli Stati membri e, nel caso italiano, le regioni e neces-sita, quindi, di un quadro comu-ne di indicatori capace di quan-tificare i risultati raggiunti. Risponde a tale esigenza l’istitu-zione di un Quadro Comune di Monitoraggio e Valutazione (QCMV) prevista dall’art. 80 del Reg. (CE) n.1698/05, che defini-sce gli elementi comuni e le linee guida sulla cui base orga-nizzare e gestire le attività di monitoraggio e valutazione nel-l’ambito dei programmi di svi-luppo rurale.

Il QCMV, presentato dalla Com-missione europea e condiviso

con gli Stati Membri, si presenta come un manuale che oltre a chiarire e descrivere i concetti legati ai temi del monitoraggio e della valutazione e del proces-so finalizzato alla sua implemen-tazione, introduce diversi ele-menti volti a rinnovare il ruolo di tali attività.

Partendo da uno schema di lavoro ampiamente sperimenta-to nel corso della programma-zione 2000-2006, l’intento della Commissione è quello di supera-re la visione di monitoraggio e valutazione come strumenti di controllo e verifica dei program-mi e gestire, in maniera sisteprogram-mi- sistemi-ca, queste attività, quali stru-menti attraverso cui aumentare la conoscenza su quello che gli interventi di sviluppo rurale pro-ducono e, da essi, sviluppare una base conoscitiva finalizzata prima di tutto a migliorare la programmazione e poi alla gestione dei programmi.

Dato che tutti i programmi nazionali devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi individuati nei Regolamenti e negli Orientamenti strategici comunitari, la misurazione del raggiungimento degli stessi, nonché la valutazione dell’effi-cienza e dell’efficacia delle sin-gole azioni intraprese è affidata ad un sistema di monitoraggio e valutazione, che seguendo le indicazione del QMCV, deve essere in grado di restituire infor-mazioni chiare, confrontabili, aggregabili oltre che finalizzate allo scopo.

Queste esigenze sono ben espli-citate nel QCMV che prevede, rispetto al passato, una serie di novità orientate principalmente a migliorare la qualità e l’utilizzo delle informazioni prodotte dalle attività di monitoraggio e valu-tazione, attraverso:

– una migliore definizione degli indicatori all’inizio del periodo di programmazione

per valutare la situazione di partenza e creare le basi per lo sviluppo della strategia del programma;

– l’aggregazione dei dati di monitoraggio fisici, finanziari, di risultato e di impatto a livello comunitario per valu-tare il raggiungimento degli obiettivi definiti dagli Orien-tamenti Strategici Comunitari (OSC);

– l’introduzione della valutazio-ne on-going finalizzata ad accompagnare l’intero cesso valutativo del pro-gramma;

– la creazione di una Rete Europea di Valutazione. In linea con gli obiettivi del Re-golamento sullo sviluppo rurale, monitoraggio e valutazione devono essere in grado di evi-denziare, a partire dal contesto di riferimento, lo stato dell’arte e i risultati raggiunti. Il tutto in un quadro ben definito (strutturato) che, nelle intenzioni della Com-missione, accompagni passo dopo passo le diverse fasi di gestione dei Programmi. Non a caso, il QCMV dopo aver stabili-to i principi base di monistabili-torag- monitorag-gio e valutazione, descrive gli obiettivi strategici degli assi, delle misure e delle azioni per poi approfondire, misura per misura, la loro ratio, i fabbisogni che esse soddisfano (in termini di beneficiari e tipologie di inter-venti) gli indicatori (di input, out-put, risultato) e i criteri di valuta-zione dei risultati.

Gli indicatori

Monitoraggio e valutazione devono restituire informazioni precise riferite a quanto ci si aspetta, in termini di realizzazio-ni, risultati e impatti, dall’appli-cazione di una politica. Pertanto i Programmi sono tenuti a quan-tificare, con opportuni indicatori

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le aspettative che si intende rag-giungere attraverso l’intervento da essi previsti.

Su questo tema la Commissione, attraverso il QCMV, ha introdot-to una serie di elementi che oltre ad essere innovativi possono rivelarsi estremamente funziona-li al processo programmatorio. Il Reg. (CE) n.1698/05 all’art.81 elenca le tipologie di indicatori da utilizzare nel processo di pro-grammazione quali strumenti necessari per conoscere i pro-gressi, l’efficienza e l’efficacia d e i P r o g r a m m i d i S v i l u p p o Rurale.

Guardando alle novità:

– accanto ai tradizionali indi-catori finanziari, di realizza-zione, di risultato e di impatto vengono introdotti i baseline indicators, ossia indicatori attraverso cui descrivere la situazione di partenza territo-riale e settoterrito-riale su cui agisce il programma in termini di punti di forza e debolezza; – la Commissione, in

collabora-zione con EUROSTAT e i vari uffici statistici delle Direzioni Generali, ha prodotto un data base nel quale ha descritto con precisione i singoli indi-catori e li ha quantificati a livello comunitario, nazionale e, dove possibile, a livello regionale e provinciale. Rispetto alla passata program-mazione, gli Stati Membri dispon-gono, quindi, di una serie di informazioni minime relative alla situazione di partenza dei com-parti/territori su cui agisce il pro-gramma e rispetto alla quale costruire le valutazioni. Nello stesso tempo la Commissione Europea potrà gestire un feed-back informativo comune e con-frontabile tra i 27 Stati Membri. I baseline indicators, opportuna-mente valorizzati a livello di area di intervento, vanno utiliz-zati nella valutazione ex-ante

del programma, a supporto del-l’analisi SWOT (punti di forza e di debolezza della realtà su cui agisce il programma; opportu-nità e rischi che l’intervento determina), e sono la chiave di giustificazione degli obiettivi e delle priorità proposte.

I baseline indicators sono colle-gati agli indirizzi generali del programma e agli ai suoi obietti-vi e sono diobietti-visi in due categorie: – Objective related baseline

indicators, relativi agli obietti-vi del programma, rispetto ai quali valutare i risultati e l’im-patto del programma;

– Context related baseline indi-cators, relativi al contesto su cui agisce il programma, utili per interpretare gli interventi rispetto ad aspetti più gene-rali dell’economia locale. I primi descrivono le variabili su cui agiranno le misure degli assi, i secondi il contesto socio economico su cui si manifeste-ranno i risultati delle politiche, entrambi prendono in conside-razione i molteplici ambiti della politica di sviluppo rurale. Alcu-ni di essi serviranno alla Com-missione per le proprie attività di sorveglianza della politica di svi-luppo rurale e, pertanto, sono obbligatori. Naturalmente, gli Stati Membri possono utilizzare le proprie fonti statistiche per la quantificazione e l’aggiorna-mento delle variabili e aggiun-gere tutti gli indicatori ritenuti più opportuni a quantificare i risultati della propria program-mazione.

Le altre tipologie di indicatori sono, invece, quelle tradizionali: – da una parte quelli necessari

alle attività di monitoraggio e di competenza delle Auto-rità di gestione: Indicatori finanziari o di input destinati a misurare i progressi degli interventi in termini di impe-gni e pagamenti e indicatori

di realizzazione o di output, per finalizzati a misurare i progressi in termini di realiz-zazioni effettive (beneficiari delle misure o risorse erogate per beneficiario);

– dall’altra gli indicatori utiliz-zabili nella valutazione e quantificati dagli stessi valu-tatori indipendenti: indicatori di risultato destinati a misura-re gli effetti immediati dei programmi e indicatori di impatto per misurare gli effet-ti di lungo periodo derivaneffet-ti dall’applicazione delle politi-che di sviluppo rurale previ-ste nei programmi.

Gli indicatori finanziari e di rea-lizzazione, opportunamente adattati ai nuovi obiettivi della politica di sviluppo rurale, rispondono ad un impostazione già sperimentata nelle passate fasi di programmazione.

Gli indicatori di risultato e impat-to sono invece stati razionalizza-ti, rispetto agli obiettivi strategici della politica di sviluppo rurale, e ridotti nel numero, in maniera tale da cogliere l’essenza degli interventi sulle questioni chiave della strategia politica prevista per il prossimo sessennio di pro-grammazione. L’idea è quella di misurare il contributo dello svi-luppo rurale rispetto agli obietti-vi prioritari e non a quelli specifi-ci, come avveniva nel passato. Pertanto gli indicatori si limitano a considerare gli effetti su que-stioni macro: valore aggiunto, occupazione, produttività del lavoro, effetti ambientali delle politiche.

In generale, riguardo agli indi-catori non mancano, comun-que, alcune perplessità, sulle quali conviene soffermarsi. Infat-ti, essi si prestano ad alcune cri-tiche, mosse peraltro dai rappre-sentanti nazionali durante la costruzione del QCMV. Prima tra tutte quella della rappresentati-vità degli indicatori di base i

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quali, spesso, sono o troppo spe-cifici rispetto agli obiettivi della misura che può assicurare effetti più generici o, al contrario, trop-po generici rispetto alla specifi-cità della misura.

Per quanto riguarda gli indicato-ri di impatto, va da se che l’in-tervento di un Programma di Sviluppo Rurale per quanto ricco dal punto di vista finanzia-rio ed efficace in termini di azio-ne, può agire solo marginal-mente sulle dinamiche econo-miche generali di un area. Men-tre poMen-trebbe avere evidenti impatti sulle dinamiche settoriali e su quelle microeconomiche, per fare un esempio è più facile che l’azione della politica di svi-luppo rurale si manifesti sulla

redditività aziendale piuttosto che sul valore aggiunto dell’a-gricoltura in generale. Al pro-blema di rappresentatività si aggiunge quello della misurabi-lità nel caso degli indicatori di impatto più spiccatamente ambientali. Anche se, in questo caso, il problema è di tipo meto-dologico e richiede l’avvio della raccolta di informazioni ad hoc e l’adozione di appropriate chia-vi di lettura.

Altra questione è quella delle fonti utili per la costruzione degli indicatori che presenta diverse problematiche. Infatti, molti sono i casi in cui l’indicatore pro-posto non è contemplato da sta-tistiche ufficiali e ha come fonte studi o ricerche specifiche che

non sono in grado di assicurare la rappresentatività territoriale o la ricostruzione temporale. Rien-trano in questa categoria gran parte degli indicatori previsti dall’asse 2 e gli indicatori relativi alle misure forestali presenti in tutti e tre gli assi.

Per molti indicatori si riscontra anche una carenza di rappre-sentatività territoriale. Questo è un problema particolarmente sentito per l’asse 3 e 4, i cui inventi spesso prevedono una ter-ritorializzazione, la cui unità di riferimento è il comune, mentre la loro disponibilità, sia nelle fonti comunitarie sia in quelle nazionali si ferma ad un livello regionale (NUTS 2) e, in rari casi, arriva alle province (NUTS 3).

Figura 1 - I set di indicatori previsti dal QCMV

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Altro problema è quello della discontinuità temporale nella raccolta del dato. La Commissio-ne prevede un monitoraggio annuale, pertanto i dati sugli indicatori di base andrebbero aggiornati con tale frequenza. In realtà gran parte degli indi-catori strutturali vengono aggiornati con frequenze diver-se. In questo caso sarebbe opportuno mettere a punto delle stime di trend che permettano tale aggiornamento.

Ultima questione quella dei further broken down indicators ossia delle ulteriori suddivisioni tematiche e territoriali degli indi-catori, rispetto alle indicazioni del QCMV.

Naturalmente esistono metodo-logie di lavoro in grado di risol-vere, anche se parzialmente, alcune delle problematiche sopra citate, comportando però problemi di tipo organizzativo e di costo.

La valutazione

La valutazione è un processo di analisi della capacità di un intervento di soddisfare i bisogni su cui è calibrato e degli effetti da esso prodotti. Questa defini-zione di tipo generale si arricchi-sce di significati e connotazioni rispetto ai momenti in cui viene svolta e agli interventi che ana-lizza. La valutazione della politi-ca di sviluppo rurale 2007-2013 (art.84 del Reg. (CE) n.1698/05) oltre a dare informazioni sugli effetti deve accompagnare la gestione dei programmi dando informazioni sui fabbisogni effet-tivi, sui meccanismi di gestione e sull’allocazione delle risorse. Per rendere questa operazione più efficace continua e accessi-bile il Reg. (CE) n.1698/05, accanto alla valutazioni ex-ante, in itinere ed ex-post, stati-che dal punto di vista tempora-le, introduce la valutazione

on-going, ossia un processo valuta-tivo continuo da avviare conte-stualmente all’inizio dell’operati-vità dei programma.

In fase di definizione come per il passato, ogni programma deve avvalersi di una valutazione ex-ante che descriva, attraverso una analisi per punti di forza e debolezza (SWOT Analysis) e con l’utilizzo di indicatori di base, l’area d’intervento e le sue principali caratteristiche socio-economiche, elementi da cui discendano le problematiche e le peculiarità su cui costruire gli obiettivi e la strategia del pro-gramma. La valutazione ex-ante deve quantificare i para-metri dell’analisi per offrire una sponda alle successive fasi di valutazione del programma. Essa dovrà essere realizzata da un valutatore indipendente e esplicitare:

– i bisogni di medio e lungo periodo;

– gli obiettivi da raggiungere e i risultati attesi;

– la quantificazione degli obiettivi, soprattutto in termi-ni di impatto in relazione alla situazione di base;

– il valore aggiunto comunita-rio e come sono state prese in considerazione le priorità strategie comunitarie;

– i risultati e l’esperienza del precedente programma di intervento;

– la qualità delle procedure di implementazione, monitorag-gio, valutazione e di gestione finanziaria;

– inoltre, deve verificare come il programma di sviluppo rurale sia coerente con i più generali obiettivi della Coe-sione economica e sociale, con lo strumento d’intervento per il settore della pesca e con le politiche di pari oppor-tunità.

Inoltre, il valutatore provvederà a quantificare gli indicatori di impatto per le successive fasi valutative. Infine, e questa è una assoluta novità almeno per i PSR, deve integrare la Valuta-zione Ambientale Strategica (VAS) così come previsto dalla Direttiva 2001/42/EC.

La VAS deve riferirsi a tutto l’im-pianto programmatico del PSR (non solo alle misure di carattere ambientale) e a tutto il territorio interessato dallo stesso. Essa deve rispondere a tre esigenze strategiche:

1. identificare i bisogni per defi-nizione della strategia e quin-di basarsi su un’attenta anali-si della anali-situazione di partenza; 2. analizzare e anticipare gli effetti ambientali del pro-gramma, sia rispetto alle esi-genze del programma sia rispetto alle questioni più generali di carattere ambien-tale;

3. analizzare la conformità o i conflitti che l’attuazione di alcune misura può generare rispetto alle esigenze di carattere ambientale.

Contestualmente all’avvio del p r o g r a m m a l e A u t o r i t à d i G e s t i o n e d e i P S R d o v r a n n o a v v i a r e l a v a l u t a z i o n e on-going, ossia un processo conti-nuo nel tempo, flessibile rispetto alle esigenze conoscitive del programmatore e della pubbli-ca opinione, funzionale al rap-porto tra Autorità di Gestione dei Programmi e valutatore. Naturalmente la valutazione on-going è complementare e di s u p p o r t o a t u t t e l e a l t r e i n quanto continua ed attenta a valutare il programma durante tutto il suo corso, oltre che a for-nire informazioni utili per le valutazioni di metà periodo e finale.

La valutazione on-going è fina-lizzata, quindi, a seguire il

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gramma passo per passo, supe-rando l’ottica del mero monito-raggio, indagando sui molteplici aspetti che caratterizzano l’azio-ne di intervento finanziata dalla politica di sviluppo rurale. Per-tanto deve essere interattiva, rispetto a tutte le attività di valu-tazione, ed includere la raccolta e la messa a punto degli indica-tori e dei dati ad essi riferiti. Si concretizza quindi, in attività strumentali al buon funziona-mento del programma, in studi tematici sull’azione e il funziona-mento del PSR.

In particolare, la Commissione prevede che la valutazione on-going venga organizzata in quattro fasi: la strutturazione, l’osservazione, l’analisi e il giudi-zio. Per accompagnare questo processo viene suggerito di isti-tuire uno steering group che supporti l’Autorità di gestione nel confronto con il valutatore nel corso delle sue attività. Le attività di on-going dovranno

essere avviate già nel 2007, secondo un programma di atti-vità elaborato dalle AdG dei Programmi e, a partire dal 2008, dovranno essere descritte all’in-terno delle Relazioni annuali. Nel 2010 e nel 2015 i risultati della valutazione continua dovranno confluire, rispettiva-mente, nella Valutazione inter-media e in quella finale. Ciò non toglie che periodicamente i valutatori realizzino dei rapporti intermedi o tematici finalizzati alle esigenze di gestione e di informazione dei singoli pro-grammi.

La Commissione prevede, inol-tre, che tali attività siano funzio-nali a quelle previste dalla Rete Europea di Valutazione quali individuazione e scambio di metodologie e buone prassi. Valutazione intermedia e finale seguono lo schema già utilizzato nelle precedenti fasi di program-mazione, ossia devono dar rispo-sta a quesiti di valutazione in

grado di verificare l’efficienza del programma e l’efficacia degli strumenti predisposti rispet-to al contesrispet-to di applicazione e quantificare i risultati raggiunti in termini di impatto.

La Commissione ha predisposto i propri quesiti di valutazione sia rispetto agli assi del regolamen-to sia rispetregolamen-to alle questioni più generali; ai quesiti comunitari gli Stati Membri possono aggiungere domande specifi-che legate alle proprie esigenze strategiche. I quesiti, rispetto al passato, sono stati semplificati, oltre che razionalizzati coerente-mente alle novità della politica di sviluppo rurale. La grande dif-ferenza con la programmazione 2000-2006, sta nel significato del quesito valutativo che non è più funzionale all’individuazione dell’indicatore, ma è finalizzato a supportare il valutatore nella ricerca di “spiegazioni”, anche qualitative, sull’andamento degli indicatori. 2006 V alutazione ex ante - V A S Inizio pr og rammazione V a lutazione inter media Fine pr og rammazione V a lutazione finale 2007 Valutazione on going 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Figura 2 - Le fasi e i tempi della valutazione dei programmi di sviluppo rurale 2007-2013

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Il monitoraggio

Il monitoraggio, per quanto complementare alle attività di valutazione, si configura come uno strumento di governo della spesa e delle realizzazioni da esse derivanti a livello di singolo progetto. Esso è basato su infor-mazioni di tipo quantitativo e va interpretato come uno strumen-to di verifica dell’andamenstrumen-to della gestione delle misure in grado di restituire informazioni sulle problematiche legate all’ef-ficienza degli interventi e con-sentire, quindi, correzioni imme-diate.

Le attività di monitoraggio fanno capo, come quelle di valutazione, all’Autorità di gestione del programma (AdG), che ha il compito di creare uno strumento informatico, adegua-to alle esigenze del QCMV, per la raccolta e la conservazione dei dati riguardanti l’attuazione. In tale attività deve essere coin-volto anche il Comitato di Sorve-glianza che insieme alla AdG deve assicurare la qualità del-l’attuazione del programma e monitorarla attraverso indicatori finanziari, di prodotto e di risulta-to (art.79 Reg. (CE) n.1698/05). A cominciare dal 2008, il 30 giu-gno di ogni anno le Autorità di gestione devono trasmettere alla Commissione, nell’ambito della Relazione annuale, un Rapporto di monitoraggio del programma che contenga: – informazioni, per misura,

sul-l’avanzamento finanziario del programma e dei paga-menti effettuati ai beneficiari finali;

– tabelle di monitoraggio con informazioni di tipo

quantita-tivo basate sugli indicatori di realizzazione e risultato; – un resoconto delle attività di

valutazione on-going.

Il Rapporto di monitoraggio, così come avviene nell’attuale pro-grammazione1, prevede la

com-pilazione di una serie di tabelle standardizzate pre-costruite dalla Commissione e compilate tramite un’applicazione informa-tica per la gestione di banche dati inclusa nel Sistema Informa-tivo sullo Sviluppo Rurale (RDI-DIM)2. Queste saranno

organiz-zate per la raccolta degli indica-tori di input e di output delle misure e permetteranno il con-fronto diretto con le previsioni di realizzazione fisica e finanziarie dei singoli PSR.

Le attività di monitoraggio riguarderanno anche il Program-ma Strategico Nazionale infatti, ogni due anni a partire dal 2010, gli Stati Membri dovranno invia-re alla Commissione un Rappor-to di MoniRappor-toraggio strategico del PSN che descriva:

– i progressi in termini di imple-mentazione della strategia nazionale e il contributo degli stessi al raggiungimen-to degli obiettivi comunitari; – i risultati delle attività di

valu-tazione on-going di ciascun PSR.

La predisposizione del Rapporto di monitoraggio strategico deve contenere i progressi raggiunti dalla programmazione in termi-ni di realizzaziotermi-ni, risultato ed impatto e un aggiornamento, nel caso sia necessario, dei baseline indicators.

Il sistema di monitoraggio pro-posto, introduce pochissime novità, alcune di carattere

gestionale e altre legate alla razionalizzazione degli indicatori rispetto alle esigenze di sorve-glianza, riproponendo schemi di lavoro ampiamente sperimenta-ti nel periodo 2000-2006.

Il sistema nazionale di

monitoraggio e le reti

nazionale ed europea di

valutazione

In Italia il PSN ha previsto la creazione del Sistema Nazionale di Monitoraggio e di quello di Valutazione destinati ad accom-pagnare e supportare le attività di monitoraggio e valutazione a livello nazionale, garantendone il coordinamento procedurale e metodologico.

Il Sistema Nazionale di Monito-raggio (SNM), ripercorrendo l’e-sperienza positiva del Sistema di monitoraggio nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006 dei Fondi strutturali, si inserisce in un più ampio siste-ma inforsiste-mativo ed inforsiste-matico che consentirà la gestione di tutte le informazioni di monito-raggio delle politiche comunita-rie 2007-2013.

Tra i compiti del sistema rientra-no, così come previsto dal Piano Strategico Nazionale, l’indivi-duazione, di concerto con le AdG dei programmi, delle infor-mazioni minime di monitorag-gio, e delle operazioni che pos-sano garantire la qualità del-l’informazione.

Il SNM prevede l’archiviazione delle informazioni a livello di progetto finanziato, con una classificazione che permetta l’aggregazione per misura. Le informazioni di monitoraggio

1 Si fa riferimento al documento del 31/10/2006 “Common indicator tables for monitoring and evaluation of rural development programmes”.

2 RDIDIM sostituirà l’attuale sistema CAP-IDIM.

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riguarderanno aspetti relativi alle caratteristiche anagrafiche e strutturali del soggetto che accede al finanziamento, all’a-vanzamento fisico e finanziario del progetto. Altro compito del sistema nazionale sarà quello di raccogliere informazioni per garantire un efficace monitorag-gio del PSN.

Nell’ambito del SNM verranno, infine, garantite iniziative finaliz-zate allo scambio di esperienze e buone prassi tra Regioni sul tema del monitoraggio.

Il Sistema Nazionale di Valuta-zione (SNV) previsto dal PSN è, invece, finalizzato a supportare l’attività delle AdG, a garantire il coordinamento delle metodo-logie e delle procedure di valu-tazione, in coerenza con le modalità previste dal QCMV, ad assicurare la confrontabilità dei risultati, a confrontarsi e comuni-care con la Rete Europea di Valutazione.

Il Sistema Nazionale di Valuta-zione si pone, in particolare, i seguenti obiettivi:

– orientare e indirizzare le

atti-vità di valutazione a livello regionale, promuovendo l’a-dozione di metodi, tecniche e strumenti condivisi e adegua-ti per l’analisi degli effetadegua-ti degli interventi, ferma restan-do l’autonomia delle Autorità di gestione regionali e dei valutatori indipendenti; – promuovere la diffusione e

l’utilizzo delle attività di valu-tazione, anche attraverso atti-vità di formazione, informazio-ne e scambio di buoinformazio-ne prassi; – costituire la struttura di riferi-mento per un confronto con le AdG dei PSR finalizzato al miglioramento della confron-tabilità, della qualità e dell’u-tilizzabilità delle valutazioni; – svolgere una funzione di

interfaccia con la Commissio-ne per quel che concerCommissio-ne la definizione dei metodi e delle modalità di valutazione, le azioni specifiche di iniziativa della Commissione e la sinte-si delle valutazioni ex-post a livello Comunitario;

– promuovere l’attivazione di valutazioni ad hoc per

inter-venti o temi significativi e strategici a livello Nazionale (es. ambiente, progettazione integrata);

– garantire il confronto con le attività di valutazione dei Fondi strutturali, assicurando il coordinamento con le strut-ture nazionali di riferimento per la valutazione degli inter-venti del FSE e del FESR. Le attività del SNV entreranno a far parte di quelle previste dalla Rete Europea di Valutazione che la Commissione europea creerà di concerto con gli Stati Membri. La Rete Europea di Valutazione, con molta probabilità, verrà inserita tra le attività della Rete Rurale Europea con l’obiettivo di armonizzare le procedure di valutazione in termini di raccol-ta dati, costruzione indicatori, apprendimento metodi e proce-dure di lavoro; inoltre si preoc-cuperà della raccolta e del tra-sferimento di buone prassi tra Stati Membri anche per agevo-lare l’acquisizione di competen-za per i nuovi Stati membri.

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Biomasse, ambiente e agricoltura:

dalla politica energetica alla

politica di sviluppo rurale

di Sabrina Giuca - INEA

L’eccessivo consumo energetico mondiale, che nell’Unione europea si traduce in un fabbisogno annuo di oltre 1.750 milioni di tonnellate equiva-lenti di petrolio (Mtep), sta portando all’esaurimen-to delle fonti fossili e all’emissione di gas che alte-rano il clima e provocano il surriscaldamento del pianeta, con gravi ripercussioni sugli ecosistemi. Per realizzare gli obiettivi di sostenibilità che discendono dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 e, in particolar modo, quello della riduzione dei gas a effetto serra, approvato nell’ambito del Pro-tocollo di Kyoto1 del 1997, la UE ha adottato un

approccio strategico che coinvolge le politiche direttamente correlate a quella energetica – politi-ca ambientale, politipoliti-ca dei trasporti, politipoliti-ca agri-cola –, impegnandosi a limitare o a ridurre, entro il 2012, le emissioni di gas a effetto serra dell’8% rispetto al 1990 (6,5% per l’Italia). Tra gli obiettivi comunitari vi è quello di ricavare il 21% del fabbi-sogno di energia elettrica annua da fonti rinnova-bili: eolica, geotermica, idroelettrica, fotovoltaica e da biomasse. Fra queste le biomasse dovrebbe-ro garantire almeno l’8% dell’energia pdovrebbe-rodotta, mentre attualmente esse contribuiscono al fabbi-sogno energetico comunitario per il 3,9%, pari a 69 Mtep (2,1% in Italia, pari a 4,2 Mtep)2.

Pur essendo abbastanza lontani dal raggiungi-mento di questi obiettivi, la Commissione europea ha recentemente proposto, una politica ancora più ambiziosa, finalizzata a ridurre del 20% le emis-sioni responsabili dei cambiamenti climatici entro il 2020, e a rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell’UE. Il pacchetto di proposte, pre-sentato a Bruxelles il 10 gennaio 2007, ha valore non vincolante – anche perché gli Stati membri sono i soli competenti in materia d’energia –, e si snoda su tre direttrici: contrastare il cambiamento climatico creando un’economia a bassa emissione di carbonio, ridurre la dipendenza energetica comunitaria dal resto del mondo e rafforzarne, allo stesso tempo, la competitività a livello globa-le, creando un mercato interno dell’energia. In meno di tre lustri, in sostanza, l’UE potrebbe conta-re su un mix energetico proveniente per il 20% da fonti rinnovabili, in particolare da biomasse e bio-carburanti, fissando per questi un minimo obbliga-torio per l’utilizzo, pari al 10% del mercato dei car-buranti, e promuovendo biocarburanti di “secon-da generazione”, provenienti “secon-da materiale foresta-le e graminacee, e maggiormente ecocompatibili rispetto a quelli tradizionali.

Nel marzo 2007, sulla base delle proposte della Commissione, il Consiglio europeo di Primavera ha posto obiettivi altrettanto ambiziosi nel campo dell’energia e dei cambiamenti climatici, assu-mendosi una serie di impegni con il Piano d’azio-ne 2007-2009 “Politica ed’azio-nergetica per l’Europa”, tra cui l’incremento dell’uso di fonti rinnovabili e, in particolare, delle biomasse.

1 Il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, è stato ratificato dalla UE e da oltre 160 Paesi, tra cui l’Italia, in rap-presentanza di più del 90% della popolazione mondiale; gli Stati Uniti, maggiore produttore a livello mondiale di emissioni di gas a effetto serra non lo hanno sottoscritto.

2 Dati della Commissione europea e del Ministero delle Sviluppo Economico, Bilancio energetico nazionale, 2006.

Prospetto 1 - Dalla biomassa al biocombustibile

Tipo di biomassa Processo di trasformazione Prodotto Utilizzo finale Materiali legnosi e residui Combustione Calore

agricoli (paglia, potature, ecc.) Riscaldamento, elettricità Liquami e residui zootecnici Digestione anaerobica Biogas Riscaldamento, elettricità Piante oleaginose Esterificazione degli olii Biodiesel Motori diesel

(colza, girasole, soia)

Piante zuccherine e amidacee Fermentazione degli zuccheri Bioetanolo Motori a benzina (barbabietola, sorgo, mais) in alcool etilico

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Ma cosa sono le biomasse? La direttiva 2003/30/CE sulla promozione dell’uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti, definisce biomassa la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, com-prendente sostanze vegetali e animali, dalla silvi-coltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Attraverso trattamenti e processi di trasformazio-ne, le cui tecnologie si sono notevolmente evolute negli ultimi anni, la biomassa diventa biocombu-stibile (prospetto 1), utilizzabile in impianti per la produzione di energia elettrica e/o termica, men-tre i materiali legnosi, come ad esempio i residui da lavorazione del legno o la paglia, vengono bruciati direttamente per ricavarne calore.

All’art.2, inoltre, la direttiva definisce biocarburan-ti tutbiocarburan-ti i carburanbiocarburan-ti liquidi o gassosi per i trasporbiocarburan-ti ricavati dalla biomassa, elencandoli come segue: 1) Bioetanolo - etanolo. 2) Bio-ETBE (etil-tertio-butil-etere) - prodotto da bioetanolo. 3) Biodiesel - estere metilico ricavato da olio vegetale o animale. 4) Bio-metanolo - Bio-metanolo. 5) Bio-MTBE (metil-terziario-butil-etere) - prodotto da biometanolo. 6) Olio vegetale puro - prodotto da piante oleaginose mediante pressione, estrazione o processi

analo-ghi, greggio o raffinato ma chimicamente non modificato. 7) Biocarburanti sintetici - idrocarburi sintetici o miscele di idrocarburi sintetici. 8) Biodi-metiletere - etere di metilico. 9) Biogas - gas com-bustibile. 10) Bioidrogeno - idrogeno. Va comun-que ricordato che, nella definizione estensiva di biomassa sono compresi anche i rifiuti “non agri-coli” che, tra l’altro, rappresentano una parte con-sistente dell’attuale produzione energetica da bio-masse.

Le biomasse nella politica comunitaria

La dipendenza esterna per le forniture di petrolio e gas e il forte consumo di energia, hanno indotto la Commissione europea a ripensare le proprie stra-tegie (prospetto 2), non solo in termini di riduzione della domanda di energia ma, anche, di diversifi-cazione degli approvvigionamenti, ricorrendo a fonti di energia che si rigenerano attraverso pro-cessi naturali. Allo stesso tempo, le politiche di sostegno alla produzione di energia da biomassa, i cui costi continuano ad essere maggiori rispetto alle fonti fossili, si sono tradotte nella necessità di programmare interventi che portino ad azioni auto-sostenibili e all’abbattimento dei costi.

Principali documenti di riflessione, di proposte e di azione Principali riferimenti legislativi

Direttiva 2001/77/CE - promozione dell’elettricità pro-dotta da fonti energetiche rinnovabili

Direttiva 2003/30/CE - incorporazione progressiva di una quota di biocarburanti nei combustibili fossili usati per i trasporti

Direttiva 2003/96/CE - autorizza gli Stati membri a defi-scalizzare le miscele contenenti biocarburanti fino al 100%

Direttiva 2004/8/CE - promozione della cogenerazione (produzione congiunta di energia elettrica e calore) Direttiva 2006/32/CE - efficienza degli usi finali dell’e-nergia e servizi energetici

Direttiva 2006/112/CE - autorizza gli Stati membri ad applicare un'aliquota IVA ridotta sulla fornitura di tele-riscaldamento

Decisione 2007/74/CE - promozione della cogenerazio-ne - valori di rendimento di riferimento armonizzati 1996 - Libro Verde “Energia per il futuro: le fonti

ener-getiche rinnovabili”

1997 - Libro Bianco sulle fonti rinnovabili

2000 - Libro Verde sulla sicurezza degli approvvigiona-menti

2005 - Piano d’azione per la biomassa 2006 - Strategia dell’UE per i biocarburanti

2006 - Libro verde - Una strategia europea per un’ener-gia sostenibile, competitiva e sicura

2006 - Piano d’azione dell’UE per le foreste

2007 - Comunicazione della Commissione: “Una politi-ca energetipoliti-ca per l’Europa”

2007 - Comunicazione della Commissione “Limitare il sur-riscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius - La via da percorrere fino al 2020 e oltre” 2007 - Piano d’azione del Consiglio europeo (2007-2009) ”Politica energetica per l’Europa (PEE)”

2007 - Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale ed energetica

Prospetto 2 - La valorizzazione delle biomasse ai fini energetici nel sistema comunitario

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Nel “Piano d’azione per la biomassa” (7 dicembre 2005), la Commissione si propone di ricavare 150 Mtep annue da biomasse entro il 2012, promuo-vendone l’utilizzo per il riscaldamento domestico, per la produzione di elettricità e di biocarburanti (biodiesel e bioetanolo). Riguardo ai carburanti “verdi”, già a partire dal 2000 l’Unione europea si è orientata all’introduzione progressiva negli Stati membri di una quota percentuale nell’impiego di biocarburanti di origine agricola sull’insieme di gasolio e benzina utilizzati per i trasporti e ad auto-rizzare misure di ordine fiscale volte a coprire il dif-ferenziale di prezzo tra i biocarburanti e i prodotti concorrenti di origine fossile. La riduzione dei con-sumi energetici nel settore dei trasporti (responsa-bile del 21% di tutte le emissioni di gas serra nel-l’UE) è una delle priorità a breve termine della Commissione che, nel febbraio 2006, ha lanciato un ambizioso piano per incentivare la produzione dei biocombustibili da materie prime agricole, attraverso un ampio ventaglio di strumenti di mer-cato e di ricerca, e il riesame o l’adozione di prov-vedimenti legislativi (prospetto 2).

L’interesse dell’Unione europea sulle opportunità di valorizzare a fini energetici le biomasse agricole e silvicole si è andato rafforzando negli ultimi anni, tanto da riconoscere alle attività agro-fore-stali un ruolo importante nelle politiche di tutela ambientale e di risparmio energetico. L’agricoltura e le foreste rappresentano, infatti, un serbatoio di fonti di energia rinnovabile fatto di prodotti e sot-toprodotti: dalle colture erbacee e legnose, ai resi-dui agricoli, forestali e agro-industriali, alle deiezio-ni degli allevamenti zootecdeiezio-nici. A questo si aggiungono ragioni di opportunità, infatti, da una parte il mercato sta penalizzando le coltivazioni tradizionali con prezzi sempre meno remunerativi e, dall’altra, l’aumento vertiginoso del prezzo del

petrolio fa intravedere opportunità di sviluppo nelle energie alternative da coltivazioni no food. La riforma della Politica agricola comune (PAC) rende il sostegno al reddito non più vincolato alla produzione agricola e incoraggia i produttori a cogliere le opportunità di mercato, con la possibi-lità di coltivare qualsiasi materia prima agricola – comprese le colture a rotazione breve – sulle superfici oggetto dell’aiuto. Le colture no food per fini energetici (prospetto 3) offrono, dunque, la possibilità di diversificare le produzioni e incre-mentare il reddito agricolo. L’apertura del mercato dell’energia agli operatori agricoli e l’instaurazione di attività imprenditoriali dedicate alla raccolta, alla trasformazione e alla commercializzazione delle biomasse agro-forestali, possono tradursi in importanti ricadute economiche e sociali, dirette e indirette, sul territorio.

Le biomasse nella politica nazionale

L’approvvigionamento energetico del nostro Paese è ancora fortemente basato sui combustibili fossili ed è fortemente dipendente dall’estero (tabella 1). Ciononostante, le recenti disposizioni programmatiche e legislative (prospetto 4) testi-moniano l’impegno delle istituzioni nell’orientare il consumo e lo sviluppo di tecnologie e di prodotti da fonti rinnovabili che, nonostante trovino il mer-cato ancora impreparato hanno un grande valore aggiunto in termini di bassi costi e di benefici ambientali.

In realtà, l’interesse per le biomasse, in Italia, è maturato già negli anni ’90 sulla scia del Protocol-lo di Kyoto, della strategia ambientale dell’UE e delle direttive comunitarie, prendendo corpo con il “Programma nazionale energia rinnovabile da biomasse” (PNERB). Il suo strumento di attuazione,

Prospetto 3 - Colture energetiche e utilizzo finale

Colture energetiche Utilizzo finale Oleaginose: colza, girasole, soia, ricino Biocarburante (biodiesel) Zuccherine e amidacee: barbabietola da

Erbacee annuali zucchero, sorgo zuccherino, topinambur, Biocarburante (bioetanolo) mais, patata, frumento

Da fibra: kenaf, canapa, sorgo da fibra

Erbacee poliennali Canna comune, miscanto, panico, cardo Biomassa combustibile Legnose a corta rotazione Pioppo, salice, eucalipto, robinia, ginestra

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il “Programma nazionale valorizzazione biomasse agricole e forestali” (PNVBAF), ha finanziato azioni concrete volte ad organizzare le filiere agro-ener-getiche in un contesto di sviluppo sostenibile per l’ottenimento di biocombustibili solidi destinati ad usi elettrici e termici, e di biocarburanti e biocom-bustibili liquidi per autotrazione e riscaldamento. Il successivo “Programma Nazionale Biocombustibili” (PROBIO) del 2000, tuttora attivo, ha aperto il finanziamento a progetti regionali e interregionali a carattere dimostrativo, con il coinvolgimento di Amministrazioni locali e imprenditori agricoli e industriali per lo sviluppo di filiere locali, soprattut-to lignocellulosica (cippasoprattut-to di legno) e biodiesel. I progetti, recentemente attivati, sono rivolti anche alle filiere del bioetanolo e a quella del biogas, lasciate da parte, in un primo momento, a causa delle difficoltà tecniche ed economiche di questi settori.

Le filiere corte, promosse da PROBIO, si sono con-solidate in diverse Regioni, con numerosi impianti termici aziendali o di fabbricato e progetti pilota di impianti di cogenerazione e teleriscaldamento in piccoli centri urbani.

Le filiere lunghe, invece, risentono di equilibri e criticità macro-territoriali e, nonostante la

za di impianti e infrastrutture industriali, si presen-tano incomplete, con la sensibile importazione di biomassa da residui per la produzione di calore ed elettricità e di materie prime (oli vegetali) per la produzione di biocarburanti.

Gli usi finali delle biomasse, in Italia, interessano il riscaldamento domestico, la produzione di elettri-cità e di biocarburanti (biodiesel e bioetanolo). Riguardo alla produzione di energia elettrica da biomasse su larga scala, le peculiarità del merca-to italiano – con la liberalizzazione dal 1° luglio 2007 (si veda al riguardo il d. lgs. n. 26 del 2/2/07) – e l’assenza di informazione e consapevolezza sulle potenzialità delle bioenergie hanno reso diffi-cile l’avvio dell’iniziativa privata e l’interazione tra settori diversi, come quello agricolo e quello ener-getico3, limitando, di fatto, lo sviluppo delle

bio-masse. Solo recentemente, si è passati da una politica di supporto basata su sussidi, attraverso il modello CIP 6/92 (incentivo riconosciuto in tariffa), a un sistema di mercato, legato all’emissione di Certificati Verdi (CV), ovvero di titoli vendibili emessi dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) e con-cessi ai produttori – anche agricoli – di energia da fonti rinnovabili che hanno ottenuto la qualifica IAFR (Impianto Alimentato da Fonti Rinnovabili). I

3 Proprio l’interazione tra settore agricolo ed energetico è alla base delle recenti misure introdotte nel nostro ordinamento; la revi-sione del sistema dei Certificati Verdi (CV), prevista dalla finanziaria 2007, è finalizzata a incentivare l’impiego a fini energetici di: a) materie prime provenienti dai contratti di coltivazione; b) prodotti e materiali residui dell’agricoltura, della zootecnia, delle attività forestali e di trasformazione alimentare, nell’ambito di progetti volti a favorire la formazione di distretti locali agro-energetici; c) materie prime provenienti da coltivazioni a basso consumo energetico che preservano il contenuto di carbonio nel suolo. Mentre le misure del Governo sono volte a differenziare gli strumenti di sostegno e il valore dell’incentivo nell’ambito dei CV in base al tipo di fonte ed alla tecnologia utilizzata e a fissare nuovi criteri per l’assegnazione dei Certificati Bianchi (atte-stazione di risparmio energetico che lo Stato riconosce ai distributori di energia elettrica e gas) anche a nuovi soggetti nell’am-bito della cogenerazione ad alto rendimento (d. lgs. 20/07; d.lgs. 26/07).

Tabella 1 - Bilancio energetico nazionale

Fonte energia, 2005 Consumo interno % su totale Produzione energetica % su produzione lordo (Mtep) fonte energia nazionale (Mtep) nazionale Solidi (carbone ecc.) 17,0 8,6 0,6 2,1

Gas 71,2 36,0 9,9 33,7

Petrolio 85,3 43,1 6,1 20,7 Rinnovabili (circa il 30% costituito

da biomasse) 13,5 6,8 12,8 43,5 Energia elettrica (quota importata) 10,8 5,5 0 0 Totale (approssimato per eccesso) 197,8 100 29,4 100

Fonte: Ministero dello Sviluppo economico - Osservatorio Statistico Energetico, 2006.

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produttori e gli importatori di energia elettrica pro-dotta con fonti convenzionali (petrolio, carbone, gas), devono obbligatoriamente acquistare CV perché hanno l’obbligo di immissione nel sistema elettrico di una quota di energia rinnovabile o di Certificati Verdi Equivalenti; nel 2005, tale quota è stata pari al 2,3% dell’energia prodotta da fonti convenzionali, import incluso.

La produzione di energia elettrica da biogas in unità produttive di dimensioni ridotte, ceduta al sistema elettrico nazionale, si è rivelata un’espe-rienza economicamente vantaggiosa per gli agricoltori. La trasformazione dei reflui zootecnici in biogas si avvantaggia, allo stato attuale, di impianti semplificati di seconda generazione che, a costi interessanti, consentono di ricavare

energia termica ed elettrica per l’autoconsumo o la vendita e di ricavare sottoprodotti solidi e liqui-di (concime). I produttori agricoli, inoltre, benefi-ciano di misure di sostegno e sgravi fiscali (pro-spetto 5).

Riguardo alle colture dedicate (legnose o erba-cee), premesso che in Italia esiste un problema di fondo che è quello della parcellizzazione delle col-ture e delle ridotte dimensioni aziendali, non sono poche le difficoltà nel definire i modelli di calcolo delle superfici coltivabili e delle colture o combi-nazioni di colture a causa dei numerosi fattori che condizionano le rese, sia per quanto riguarda gli aspetti agronomici.

Le coltivazioni oleaginose e quelle amidacee per

Prospetto 4 - La valorizzazione delle biomasse a fini energetici nel sistema nazionale

Principali documenti di riflessione, di proposte e di azione

1998 - Libro Verde per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili 1998 - Programma nazionale energia rinnovabile da biomasse (PNERB) 1999 - Libro Bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili

1999 - Programma Nazionale Valorizzazione Biomasse Agricole e Forestali (PNVBAF) 2000 - Programma nazionale biocombustibili (PROBIO)

2002 - Piano nazionale di riduzione emissione gas serra 2003-2012: utilizzo di biocarburanti e miscelazione gasolio con il biodiesel

2007 - Piano sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sull’eco-industria Principali riferimenti legislativi

Legge 10/91 - Piano energetico nazionale per l’uso razionale dell’energia, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili

d. lgs. n. 79/1999 - meccanismo dei Certificati Verdi

d. lgs. n. 387/2003 - elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili

d.m. 256/2003 per la produzione di biodiesel e leggi finanziarie per le misure fiscali

d.m. 96/2004 per la produzione di bioetanolo e leggi finanziarie per le misure fiscali e lo sviluppo della filiera d.m. 20 luglio 204 - risparmio energetico e sviluppo fonti rinnovabili

legge 23 agosto 2004, n. 239 - riordino del settore energetico

d.m. 24/10/2005 - incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili

d. lgs. 128/2005; legge 81/2006 - obbligo di miscelazione dei biocarburanti nei combustibili fossili usati per i tra-sporti (1% per il 2007)

Legge 266/06 “finanziaria 2007” (commi 367-379) e decreti attuativi - sviluppo della filiera agro-energetica 10 gennaio 2007 - accordo quadro nazionale sulla produzione di biodiesel (ai sensi del d. lgs. 102/05 e del d.m. 30/11/06)

d. lgs. 8/2/07, n. 20 - attuazione direttiva 2004/8/CE promozione cogenerazione

d. lgs. 2/2/07 n. 26 - attuazione direttiva 2003/96/CE revisione tassazione prodotti energetici e dell’elettricità

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Figura

Figura 1 - I set di indicatori previsti dal QCMV
Figura 2 - Le fasi e i tempi della valutazione dei programmi di sviluppo rurale 2007-2013
Tabella 1 - Bilancio energetico nazionale
Figura 1 - Le fasi della programmazione dello sviluppo rurale 2007-2013
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