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La previdenza complementare in Italia: analisi quantitativa e confronto internazionale

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Academic year: 2021

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Indice

Elenco delle tabelle e delle figure...3

Introduzione...5

1. La previdenza in Italia...6

1.1 La previdenza: tratti generali...6

1.1.1 Il rischio demografico...8

1.1.2 Il rischio politico...9

1.1.3 Il rischio del rendimento nel mercato dei capitali...10

1.2 Il sistema previdenziale pubblico italiano...12

1.3 Il sistema previdenziale pubblico italiano: evoluzione storica...13

1.3.1 La riforma Amato (legge delega n.421 del 1992)...15

1.3.2 La riforma Dini (legge 335/1995)...16

1.3.3 La riforma Prodi (legge 449/1997)...17

1.3.4 La riforma Maroni (legge delega 243/2004)...18

1.3.5 Legge 102/2009...19

1.3.6 La riforma Monti-Fornero (Legge 214/2011)...20

1.4 Metodi di calcolo delle pensioni...21

1.4.1 Metodo retributivo...21

1.4.2 Metodo contributivo...22

1.4.3 Il metodo misto (o "pro rata")...23

1.5 Effetti delle riforme: i tassi di sostituzione e le spesa pensionistica...24

1.6 La previdenza italiana: un sistema multipilastro...26

2. Il secondo pilastro: la previdenza complementare...28

2.1 Nascita del sistema privato...28

2.1.1 Il pilastro privato: come viene adottato nel mondo...28

2.2 La previdenza complementare in Italia: nascita ed evoluzione...31

2.2.1 Decreto Legislativo 124/93...31

2.2.2 Decreto Ministeriale n.703/1996...33

2.2.3 Decreto Legislativo n.47/2000...35

2.2.4 Decreto Legislativo n. 252/2005...35

2.3 Il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare...38

2.3.1 La tassazione in fase di contribuzione...39

2.3.2 La tassazione in fase di accumulo...40

2.3.3 La tassazione in fase di erogazione delle prestazioni...42

2.4 Il Trattamento di fine rapporto (TFR)...42

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2.4.2 TFR : anticipazioni e caso di morte...45

2.5 Le forme di previdenza complementare...46

2.5.1 Il meccanismo di funzionamento di una forma di previdenza complementare...47

2.5.2 I fondi chiusi...48

2.5.3 I fondi aperti...49

2.5.4 I piani pensionistici individuali (PIP)...50

2.6 Le reazioni del settore privato alle normative: i dati sulle adesioni alla previdenza complementare...52

2.7 La gestione degli investimenti dei fondi pensione in Italia...58

2.7.1 I fondi negoziali: gestione degli investimenti...58

2.7.2 I fondi aperti: gestione degli investimenti...60

2.7.3 I piani individuali pensionistici (PIP) : la gestione degli investimenti...61

3. La previdenza complementare nel mondo. L'Italia e i Paesi OCSE...63

3.1 I fondi pensione dei Paesi OCSE: una panoramica generale...63

3.2 Australia...70

3.2.1 I fondi pensione australiani...72

3.2.3 Educazione finanziaria...74

3.3 Canada...77

3.3.1 Il Canada Pension Plan (CPP)...78

3.3.2 Il pilastro privato: Registered Retirement Savings Plan (RRSP)...78

3.3.3 Gli investimenti in infrastrutture dei fondi pensione canadesi e australiani...81

3.3.4 Finanziamento alle infrastrutture: il Partenariato Pubblico Privato (Public-Private Partnership, PPP)...83

3.4 Cile...84

3.4.1 Come funziona il modello cileno...84

3.4.2 Gli Administradoras de Fondos de Pensiones (AFP)...86

3.4.3 Gli investimenti degli AFP...87

3.4.4 Educazione finanziaria...90

3.4.5 I risultati...90

3.5 Germania...91

3.5.1 Il secondo pilastro della previdenza tedesca : i piani pensionistici aziendali...92

3.5.2 Il secondo pilastro tedesco: gli investimenti...94

3.5.3 Il terzo pilastro : piani pensionistici individuali...96

3.6 Confronti tra il sistema italiano e i Paesi analizzati...98

Conclusioni...101

Bibliografia e Sitografia...103

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3 Elenco delle tabelle e delle figure

Tab. 1.1 Tipi di sistemi e metodi previdenziali...8

Tab. 1.2 Rendimenti del mercato azionario tra il 1920 e il 1996...10

Tab. 1.3 Spesa per prestazioni sociali (% PIL) tra il 2001 e il 2010...19

Tab. 1.4 Esempio di calcolo contributivo per un lavoratore dipendente...23

Tab. 1.5 Il sistema multipilastro italiano attuale...27

Tab. 2.1 Criteri e limiti d'investimento per i fondi pensione...34

Tab. 2.2 Agevolazioni fiscali in fase di contribuzione...39

Tab. 2.3 Il trattamento fiscale dal 1° gennaio 2007...42

Tab. 2.4 Calcolo e rivalutazione del TFR...44

Tab. 2.5 Le tre fasi della previdenza complementare e requisiti dei fondi...47

Tab. 2.6 Differenze tra fondi chiusi e fondi aperti...50

Tab. 2.7 Fondi pensione in Italia: dati di sintesi nell'anno 2002...54

Tab. 2.8 I fondi pensione in Italia nell'anno 2009...55

Tab. 2.9 I lavoratori italiani iscritti alla previdenza complementare...56

Tab. 2.10 Composizione del portafoglio dei fondi negoziali...59

Tab. 2.11 Rendimenti dei fondi pensione negoziali...59

Tab. 2.12 Composizione del portafoglio titoli per area geografica dei fondi pensione aperti....60

Tab. 2.13 Rendimenti del "PIP" nuovi...62

Tab. 3.1 Contribuzione obbligatoria del sistema pensionistico australiano...71

Tab. 3.2 Il regime di tassazione per il pilastro privato australiano...72

Tab. 3.3 Il numero dei fondi pensione presenti in Australia dal 2004 al 2013...73

Tab. 3.4 Asset allocation nei fondi pensione australiani...74

Tab. 3.5 Limite per la deducibilità delle contribuzioni dei lavoratori canadesi...79

Tab. 3.6 Sistema canadese di imposta sul reddito...79

Tab. 3.7 Sistema di tassazione per i fondi pensione canadesi...79

Tab. 3.8 Rendimenti dei principali investimenti dei fondi pensione australiani dai 3 mesi ai 10 anni...81

Tab. 3.9 Sistema cileno di imposte sul reddito...85

Tab. 3.10 Asset allocation dei fondi pensione cileni...89

Tab. 3.11 Sistema di tassazione per le forme pensionistiche complementari tedesche...94

Tab. 3.12 Regime fiscale tedesco per le imposte sul reddito...94

Tab. 3.13 Limiti quantitativi e qualitativi per l'asset allocation delle forme pensionistiche complementari tedesche...95

Tab. 3.14 I sistemi pensionistici italiani e tedeschi: analogie e differenze...99

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Tab. 3.16 I sistemi pensionistici australiani e cileni: analogie e differenze...100

Fig. 1.1 Andamento della spesa pensionistica in rapporto al PIL (valori percentuali) dal 1975 al 1993...15

Fig. 1.2 Spesa pensionistica in rapporto al PIL nell'anno 2013 nei paesi UE...20

Fig. 1.3 Tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria per figure di lavoratori...25

Fig. 1.4 Andamento previsto della spesa previdenziale in rapporto al PIL dopo la legge Monti-Fornero...26

Fig. 2.1 Rendimenti del fondi pensione gestiti dal settore pubblico nel 2000 (%)...29

Fig. 2.2 Rendimenti dei fondi pensione gestiti privatamente (%)...30

Fig. 2.3 I fondi pensione in Italia nel 1998...52

Fig. 2.4 Gli iscritti alla previdenza complementare in Italia nel 1998...53

Fig. 2.5 Tassi di adesione alla previdenza complementare per classi di età...57

Fig. 3.1 Rapporto degli attivi dei fondi pensione sul PIL...64

Fig. 3.2 Distribuzione geografica dei fondi pensione in rapporto agli attivi...65

Fig. 3.3 Attivi dei fondi pensione nel 2012 comparati alla differenza tra il tasso medio di crescita dei fondi e il PIL...66

Fig. 3.4 L'asset allocation dei fondi pensione dei paesi OECD...67

Fig. 3.5 Attivi dei fondi pensione dei paesi OCSE comparati con il tasso di sostituzione dei pilastri pubblici...68

Fig. 3.6 Spesa pubblica e privata dei sistemi pensionistici dei paesi OCSE...69

Fig. 3.7 Risorse presenti nei fondi pensione australiani...73

Fig. 3.8 Guida per la "sopravvivenza finanziaria" pubblicata dalla ASIC...75

Fig. 3.9 Distribuzione percentuale degli investimenti dei fondi pensione canadesi tra il 1990 e il 2011...82

Fig. 3.10 Investimenti in infrastrutture in Canada tra il 1980 e il 2011...83

Fig. 3.11 Distribuzione percentuale delle adesioni dei lavoratori cileni alle linee multicomparto dei fondi pensione...87

Fig. 3.12 Distribuzione percentuale dell'asset allocation dei fondi tedeschi...96

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5 Introduzione

Sin dalla nascita del Welfare State (o Stato Sociale), la sicurezza sociale e in particolare la pensione di vecchiaia è stata sempre considerata come il tipo di intervento statale più importante e più discusso. Ogni Stato industrializzato ha deciso come affrontare questo tipo di problema, inteso ormai come un vero e proprio diritto legittimo del lavoratore. Negli ultimi trent'anni però il Welfare State è andato in crisi, specialmente per motivi di eccessiva spesa pubblica a fini previdenziali e a causa di uno scenario demografico che sta mutando: un calo delle nascite ed un aumento dell'aspettativa di vita costringe così gli Stati a rivedere i propri programmi di sicurezza sociale e a ricorrere a vie alternative per garantire ai propri cittadini lavoratori un'adeguata copertura al momento del pensionamento. Molti paesi iniziano quindi ad adottare dei sistemi multipilastro, dove al sistema pubblico si affianca la previdenza complementare, gestita da istituzioni private. Questo studio tratta l'evoluzione della previdenza italiana dal punto di vista del pilastro pubblico e la nascita e l'evoluzione del pilastro privato, con un occhio particolare rivolto alle normative, al ruolo del Tfr, alle novità proposte nell'ambito fiscale e una panoramica sui tipi di fondi pensione presenti attualmente in Italia compresa di dati recenti riguardanti l'adesione degli italiani alla previdenza complementare e i rendimenti delle rispettive macroclassi di fondi. Viene effettuata un'analisi di tipo quantitativo dei paesi OCSE e in particolare di quattro paesi mondiali (Australia, Canada, Cile e Germania) scelti dall'autore sulla base delle caratteristiche dei sistemi previdenziali da questi adottati, concludendosi con un confronto tra il sistema italiano e quello dei paesi proposti specialmente per quanto riguarda il pilastro privato. Si fa particolare attenzione a come i paesi proposti hanno impostato l'assetto previdenziale (quindi a come nei programmi di sicurezza sociale il settore privato si lega allo Stato), nonchè ai regimi di tassazione previsti nella previdenza complementare e all'asset allocation impiegata dai fondi pensione.

L'obiettivo preposto non è quello di determinare se l'Italia ha a propria disposizione una struttura pensionistica migliore di un'altra, ma di mettere in luce le differenze tra i sistemi adottati al fine di trovare possibili accorgimenti che nei paesi analizzati si sono rivelati efficaci e che possano essere utili per il nostro paese non solo ai fini puramente previdenziali, ma che siano anche d'impatto positivo per l'economia nazionale: il fine quindi è quello di valorizzare il pilastro privato attraverso esempi di successo nel Mondo.

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1. La previdenza in Italia

1.1 La previdenza: tratti generali

Prima di esaminare i tratti tipici e l'evoluzione normativa del sistema pensionistico italiano, è opportuno descrivere le caratteristiche essenziali della previdenza, e le ragioni per cui i governi nel tempo hanno deciso di intervenire in questo ambito, introducendo nella maggioranza dei casi sistemi previdenziali obbligatori. La teoria economica si è espressa più volte sul perchè esistono i sistemi previdenziali. Il punto di partenza è l'evidente fatto che gli individui desiderano mantenere un livello di consumi costante nel tempo, e per fare questo è necessario che accumulino annualmente una quota del reddito guadagnato che, capitalizzato a un certo tasso d'interesse, fornirà in futuro la ricchezza necessaria per perseguire l'obiettivo iniziale di consumo costante. Un sistema pensionistico di tipo pubblico, se introdotto obbligatoriamente, può essere uno strumento che può aiutare la popolazione a risparmiare, migliorandone dunque il benessere nel periodo di riposo. Ciò per due motivi di ragioni. Innanzitutto la miopia degli individui nell'individuare le risorse necessarie per la vecchiaia è una motivazione che nel tempo ha perso sempre più consenso tra i teorici, visto il crescente sviluppo dei mercati finanziari. L'altro motivo consiste nell'atteggiamento da "free-rider" degli individui che, adottando comportamenti rischiosi, sono sicuri che lo Stato li sostenga con aiuti in caso di povertà in età anziana. Storicamente, possiamo collocare la nascita della previdenza verso la fine del XIX secolo nella Germania del cancelliere Bismarck, la quale introduce un sistema che si pone come obiettivo l'erogazione di una prestazione monetaria verso i soggetti che fuoriescono dal mercato del lavoro sia per motivi anagrafici, sia al presentarsi di eventi che annullano o riducono la capacità lavorativa, ma anche al verificarsi di particolari situazioni di indigenza. Il modello previdenziale negli anni seguenti viene applicato anche negli altri paesi industrializzati, tanto da divenire nel tempo un vero e proprio diritto per i lavoratori. Negli anni seguenti, con la nascita del Welfare State, il ruolo della previdenza assume un ruolo centrale delle politiche sociali degli Stati industrializzati, ma ad un aumento dell'importanza

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corrisponde inevitabilmente un peso maggiore in termini di spesa pubblica, tanto che, da qualche decennio, gli enti previdenziali pubblici sono sotto i riflettori degli organismi economici internazionali, i quali hanno chiesto ai governi sia una gestione più virtuosa dei sistemi previdenziali in termini di peso nei bilanci pubblici, sia di valutare la possibilità di adottare dei "sistemi multiplastro", con una gestione integrata della previdenza pubblica e privata. Le modalità di funzionamento dei sistemi pensionistici derivano dell'interazione di due aspetti, vale a dire le modalità di finanziamento e il metodo di calcolo della pensione. Le modalità di finanziamento possono essere a

ripartizione oppure a capitalizzazione. Nel primo caso (detto anche pay-as-you-go o PAYG), la generazione attiva versa una quota del proprio reddito da lavoro ad una

gestione pensionistica che utilizza i contributi per finanziare il pagamento delle pensioni agli anziani che hanno raggiunto l'età pensionabile. Nel secondo caso, ogni individuo nel proprio periodo attivo versa una quota del suo reddito da lavoro in un fondo pensione, e nel periodo di pensionamento riceve una rendita per la durata residuale della vita sotto forma di benefici previdenziali. Il metodo di calcolo della pensione può essere

a prestazione definita, nel quale l'individuo riceve una pensione che rappresenta una

percentuale fissa del suo reddito medio e il numero degli anni di contribuzione, oppure

a contribuzione definita, dove viene fissato il rapporto tra la contribuzione ed il salario,

e nel periodo di pensionamento si avranno benefici previdenziali che dipenderanno dal rendimento realizzato dalla gestione dei contributi. Dalla integrazione dei metodi di finanziamento e di calcolo, è possibile formare quattro tipi di sistemi previdenziali.

 Capitalizzazione a contribuzione definita. I lavoratori hanno delle linee d'investimento individuali nelle quali giungono i contributi sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, e al raggiungimento dell'età pensionabile avranno una rendita che riflette il valore delle attività detenute nel conto;

 Capitalizzazione a prestazione definita. In questo caso vengono accumulati i contributi in fondi pensione che possono essere gestiti sia da enti pubblici che da compagnie private, e i benefici vengono distribuiti ai pensionati a seconda del numero di anni in cui gli individui hanno lavorato e in base ai redditi guadagnati. I benefici che verranno distribuiti vengono determinati nel momento in cui il lavoratore aderisce al fondo e non tiene conto delle performance relative alla attività comprese in esso;

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 Ripartizione a contribuzione definita. Sono i cosiddetti "piani nozionali": i contributi versati attraverso la contribuzione obbligatoria da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro vengono accumulati e capitalizzati ad un tasso d'interesse implicito nozionale. La rendita che l'individuo riceverà alla pensione quindi, non dipenderà necessariamente dal rendimento nel mercato finanziario, ma dal tasso nozionale adottato;

 Ripartizione a prestazione definita. Sono i tipi di piani previdenziale PAYG più popolari nel mondo. I lavoratori versano i contributi al fine di pagare le pensioni alla generazione anziana dello stesso periodo. Non c'è una vera e propria accumulazione in un fondo ma un trasferimento dai lavoratori agli anziani.

Tabella 1.1 Sistemi e metodi previdenziali

Fonte : F.Vallacqua, La previdenza complementare per i lavoratori pubblici e privati

La scelta di quale sistema previdenziale adottare deve tener conto di alcuni fattori di rischio che descriveremo nei paragrafi che seguono.

1.1.1 Il rischio demografico

il rischio demografico riguarda quelle che sono le variazioni della numerosità della generazione attiva e della popolazione in pensione. E' un rischio più accentuato nei sistemi a ripartizione, poichè è implicito lo scambio generazionale, ma anche i sistemi a capitalizzazione, pur in maniera più lieve, non ne sono immuni. In un sistema a ripartizione a contribuzione definita, il rischio demografico è sopportato dai giovani, poichè un rallentamento della crescita della popolazione porterà ad una riduzione del tasso di rendimento dei contributi, e quindi ad una riduzione della pensione che percepiranno in futuro. In un sistema a ripartizione a prestazione definita il rischio

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demografico invece viene sopportato dalla fiscalità generale presente e futura, a causa dell'aumento delle fonti di finanziamento necessarie per mantenere le promesse pensionistiche in caso di invecchiamento della popolazione. Una riduzione del tasso di crescita della forza lavoro infatti, fa sì che le risorse raccolte sotto forma di contributi siano inadeguate per finanziare le pensioni correnti e le uscite in termini di benefici pensionistici, originando così un deficit di bilancio che può essere coperto ricorrendo alla fiscalità generale (onere sulla generazione attiva corrente), o ricorrendo al debito pensionistico, con un'obbligazione futura (onere sulle generazioni attive future).

1.1.2 Il rischio politico

Si tratta del rischio che le regole che determinano i benefici siano modificate prima o durante il pensionamento attraverso il processo politico, avendo come conseguenza una riduzione del valore delle prestazioni previdenziali o un trattamento iniquo delle diverse generazioni. Come per il rischio demografico, il rischio politico è presente soprattutto nei sistemi pubblici a ripartizione, ma in realtà colpisce, seppur in misura meno grave, anche i sistemi a capitalizzazione. Nei sistemi a ripartizione, il potere politico può modificare le regole che determinano l'importo delle prestazioni a vantaggio della generazione di pensionati attuali, e a discapito di quelle future. In particolare, può accadere che il sistema politico, per ottenere il consenso dell'elettore mediano, sempre più anziano e quindi sempre più "sensibile" alle questioni di carattere previdenziale, propenda per un sistema pensionistico che risulti particolarmente generoso per i pensionati attuali, ma questo a danno dei lavoratori correnti, i quali pagano dei contributi più onerosi di quelli di cui usufruiranno una volta pensionati. Nei sistemi a capitalizzazione, uno shock negativo nel mercato dei capitali porterà il settore politico a intervenire per fermare la diminuzione del consumo dei pensionati attuali, nata da una diminuzione della ricchezza previdenziale. Tutto questo avviene con un trasferimento intergenerazionale dai lavoratori attivi agli anziani e, una volta introdotto, sarà difficile riuscire a smantellarlo anche una volta superato lo shock nei mercati finanziari.

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1.1.3 Il rischio del rendimento nel mercato dei capitali

Questo è un rischio tipico dei sistemi a capitalizzazione. In questi schemi occorre monitorare attentamente la volatilità dei mercati e la variabilità dei rendimenti. In particolare, se nel fondo non sono previste garanzie minime di rendimento, sul lavoratore grava l'incertezza legata alla pensione privata, che si manifesta nella variabilità dei tassi nominali di rendimento delle attività finanziarie, nel tasso d'inflazione, e nell'entità degli oneri di gestione del fondo. Confrontando i tassi di rendimento reali di diversi paesi mondiali, si nota come nelle economie più avanzate i rendimenti siano ragionevolmente bassi. Superano una media del 4% solamente gli Stati Uniti (4,32%) e Svezia (4,29%) nel periodo tra il 1921 e il 1996, e la Germania (6%) ed il Giappone (5,52%) nella seconda metà del XX secolo. L'Italia in un periodo di tempo tra il 1928 ed il 1996 ha un rendimento reale dello 0,15%, causa elevati tassi inflazionistici.

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11 Fonte : M. Bonasia, La riforma dei sistemi previdenziali nel dibattito teorico e politico

Un'analisi diversa occorre per i paesi sudamericani, i quali hanno realizzato nel ventennio tra il 1975 e il 1996 importanti riforme previdenziali, introducendo programmi privati a capitalizzazione. Il Cile (15,52%) e il Perù (30,45%) sono stati i Paesi che maggiormente hanno tratto beneficio da queste riforme.

Concludendo, sulla carta non esiste uno schema pensionistico migliore di un altro. Ogni sistema è soggetto a dei particolari rischi, mentre ne è relativamente immune da altri. Sta al governo vigente la scelta di quale schema utilizzare, e per una scelta corretta occorre tenere conto della tendenza all'invecchiamento della popolazione e della volatità del mercato azionario nazionale per fare sì che il sistema adottato non risulti nel lungo periodo eccessivamente oneroso per il bilancio pubblico, e che allo stesso modo non crei iniquità tra le generazioni di lavoratori. La teoria del portafoglio ottimo suggerisce in un certo senso quella che può essere una configurazione ottimale per un sistema previdenziale: un portafoglio pensionistico differenziato è superiore a un altro contenente un solo rischio di quelli definiti in precedenza. Come vedremo in seguito, è questa la strada sponsorizzata delle principali istituzioni economiche internazionali: un sistema "multipilastro", formato da quello pubblico e quello privato.

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12 1.2 Il sistema previdenziale pubblico italiano

Il sistema pensionistico italiano ha vissuto nel tempo una complessa evoluzione, in un susseguirsi di diverse leggi e normative in materia. Il sistema pensionistico pubblico (detto anche obbligatorio) viene gestito con un metodo di finanziamento a ripartizione, vale a dire un meccanismo in cui i contributi versati dai lavoratori attivi finanziano le pensioni correnti. E' un sistema che realizza di fatto un rapporto di solidarietà tra generazioni diverse (infatti i lavoratori attivi attuali saranno i futuri pensionati, che riceveranno le pensioni dai contributi dei lavoratori futuri) e che si mantiene in equilibrio se i lavoratori attivi riescono a finanziare quelli in pensione. Qualora non venga raggiunta questa condizione, allora interviene lo Stato attraverso la fiscalità generale. Il metodo di calcolo attuale è il cosiddetto metodo contributivo, che mette in stretta correlazione i contributi versati con le prestazioni erogate.

Attualmente, le prestazioni pensionistiche erogate dal sistema previdenziale pubblico sono:

 pensione di vecchiaia, ottenuta alla cessazione dell'attività lavorativa al raggiungimento di particolari requisiti di età e di tipo contributivo;

 pensione di anzianità (poi pensione anticipata), in corrispondenza di una età anagrafica inferiore rispetto la pensione di vecchiaia e con determinati requisiti contributivi;

 pensione di invalidità, ottenuta quando la capacità lavorativa dell'individuo si riduce in modo permanente di almeno un terzo del totale;

 pensione di inabilità, in caso di assoluta e permanente impossibilità di svolgere ogni tipo di attività lavorativa;

 pensione ai superstiti di lavoratori o pensionati, suddivisa a sua volta in pensione di reversibilità, erogata quando il familiare era già titolare di una pensione, oppure la pensione indiretta, spettante al coniuge e ai figli del lavoratore scomparso.

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Le prestazioni della previdenza pubblica sono finanziate attraverso i contributi versati dai lavoratori. Le modalità di contribuzione sono di quattro tipi:

 contribuzione obbligatoria, determinata in rapporto tra la retribuzione e il reddito convenzionale, diverso a seconda delle diverse tipologie dei lavoratori;

 contribuzione volontaria, versata in via volontaria dal lavoratore per raggiungere i requisiti minimi per l'ottenimento della pensione qualora i contributi versati non siano sufficienti;

 contribuzione da riscatto, a titolo oneroso, ha la funzione di colmare i periodi non coperti da contribuzione sia per il diritto che per l'entità della pensione;  contribuzione figurativa, riconosciuta contabilmente in modo gratuito nei periodi

in cui il lavoratore non ha potuto svolgere attività lavorativa non per sua volontà.

1.3 Il sistema previdenziale pubblico italiano: evoluzione storica

Il sistema previdenziale in Italia muove i primi passi nel 1898, con l'emanazione della legge n.80 contro gli infortuni sul lavoro, riservata sostanzialmente ai lavoratori nelle industrie, miniere e imprese edili, ed esclusa agli agricoltori e i lavoratori a domicilio. Nel periodo fascista nasce l'INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) e vengono introdotte indennità di licenziamento, assegni familiari, assicurazione contro le malattie. Il sistema di assicurazione era fondato su un principio a capitalizzazione, tale da garantire un accantonamento di riserve e consentire il pareggio tra entrate e uscite. Nel 1943, per effetto di una iperinflazione dovuta alla guerra, il sistema a capitalizzazione va in crisi. Nel dopoguerra, con la stesura della Costituzione, viene definito l'articolo 38, che tutela di fatto la previdenza e l'assistenza.1

1

<< Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.L'assistenza privata è libera.>>

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Le altre tappe fondamentali della seconda metà del Novecento riguardano: il passaggio dal sistema a capitalizzazione al sistema a ripartizione; l'introduzione della pensione di anzianità; il passaggio dal modello contributivo a quello retributivo; la fissazione dell'età pensionabile di vecchiaia a sessant'anni per gli uomini e a cinquantacinque anni per le donne. Nel 1982 viene introdotto il TFR. Negli anni ottanta il sistema previdenziale italiano va incontro a difficoltà dovute sia a fattori demografici (l'allungamento della vita media ha portato all'invecchiamento della popolazione) sia economici (fenomeni di disoccupazione), ma anche a causa dell'introduzione del metodo retributivo, rivelatosi eccessivamente "generoso". La spesa pensionistica nel 1990 risultava pari al 13,4% del PIL, molto lontana rispetto la media OCSE del 9,2%, e per le cause sopra citate le previsioni riguardo questo indicatore mettevano in evidenza un peggioramento negli anni seguenti. E' all'inizio degli anni novanta che nella previdenza italiana si avvia un coraggioso processo di riforma, processo tuttora in via di definizione. I problemi da risolvere erano sostanzialmente di quattro specie. Il problema dell'equità distributiva, il quale risiedeva nell'iniquità del tasso di rendimento sui contributi versati nel sistema previdenziale. Infatti il periodo di riferimento per il calcolo della pensione tendeva a favorire le carriere più dinamiche (i criteri per il calcolo della pensione erano basati sull'ultima retribuzione per i dipendenti pubblici e sulle retribuzioni degli ultimi 5 anni per i privati), accentuando di fatto quelle che erano le disuguaglianze. Il problema della sostenibilità finanziaria vedeva la necessità di contenere la spesa pensionistica, aumentata in trenta anni di 2 punti percentuali del PIL (dal 5% del 1960 al 14% del 1992). Le misure per far fronte a questo problema riguardano o l'aumento delle aliquote contributive di equilibrio (che secondo le previsioni del Ministero del Tesoro sarebbero potute salire al 50% nel 2010, un livello a dir poco insostenibile per i lavoratori) oppure concorsi sempre più ingenti del bilancio pubblico, strada anche questa difficile da praticare per lo Stato. La mancanza di

incentivi alla prosecuzione del'attività lavorativa si rifletteva sui bassi tassi di

partecipazione alla forza lavoro degli anziani: questi erano incentivati viceversa alla pensione anticipata a causa dell'elevata tassazione implicita sul proseguimento dell'attività lavorativa. Infine, il problema politico-istituzionale dovuto alla possibilità per l'elettore mediano, di età sempre più avanzata, di modificare a suo piacimento il sistema previdenziale, scaricando di fatto gli oneri alle generazioni più giovani.

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15 Figura 1.1 Andamento della spesa pensionistica in rapporto al PIL (valori percentuali) dal 1975 al 1993

Fonte: L.Spataro (2001) Rivista italiana scienze sociali

1.3.1 La riforma Amato (legge delega n.421 del 1992)

Gli obiettivi di questa riforma erano proiettati sia in un'ottica di breve periodo (fermare la crisi valutaria dell'autunno del 1992) sia in un'ottica di medio-lungo periodo (la sostenibilità economico-finanziaria della previdenza).

I provvedimenti posti in essere riguardano:

 innalzamento graduale dei requisiti anagrafici e contributivi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia (da cinquantacinque a sessant'anni per le donne e da sessanta a sessantacinque anni per gli uomini; vent'anni di contribuzione);

 modifica della base di calcolo per il computo della pensione per un massimo di dieci anni per i lavoratori dipendenti, quindici per i lavoratori autonomi e per

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l'intera vita lavorativa per i neoassunti dal 1993. In sostanza si dà meno peso alle retribuzioni nella determinazione dell'importo finale della pensione, aumentando di fatto il numero degli anni che entrano nella media usata per il calcolo della pensione;

 rivalutazione delle pensioni agganciata solamente al tasso d'inflazione e non più ai salari;

 inizio del processo di armonizzazione tra i lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato.

La riforma non ebbe un grande impatto in termini di riduzione della spesa previdenziale, ma ebbe l'effetto di ridurre nettamente la ricchezza pensionistica netta dei lavoratori attivi, e in particolare delle classi di età più giovani. Il risultato fu una riduzione dell'età attesa di pensionamento, e il motivo riesiede nella paura dei lavoratori attivi che, temendo misure future ancora più restrittive, hanno scelto di sfruttare la normativa sulla pensione di anzianità anticipando di fatto l'età di pensionamento e uscendo dal mercato del lavoro.

1.3.2 La riforma Dini (legge 335/1995)

Questa legge rispetto la precedente fu molto più incisiva. Gli obiettivi principali erano il taglio dell'incidenza della spesa pensionistica rispetto al PIL ed una riduzione degli effetti distorsivi del sistema pensionistico sul mercato del lavoro.

I tratti salienti della riforma si possono sintetizzare nel modo seguente:

 l'introduzione di un nuovo metodo di calcolo dei benefici, passando di fatto dal retributivo al contributivo (le nuove pensioni si basano sul totale dei contributi accreditati e rivalutati durante la vita lavorativa. La rata pensionistica viene determinata applicando al montante un coefficiente di trasformazione costruito in funzione della vita attesa della rendita da liquidare);

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 l'introduzione del requisito anagrafico di cinquantasette anni ai fini della pensione di anzianità;

 un'accelerazione del processo di armonizzazione tra il settore pubblico e quello privato;

 l'introduzione del TFR anche per i dipendenti pubblici.

Il nuovo metodo di calcolo dei benefici viene applicato a tutti i neoassunti dal 1° gennaio 1996. Ai lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano meno di diciotto anni di anzianità contributiva, la pensione viene calcolata secondo il metodo misto, o "pro rata". I lavoratori che alla stessa data avevano diciotto anni di anzianità contributiva, mantenevano i requisiti di calcolo previsti nella Riforma Amato del 1992. La riforma costruisce un sistema previdenziale obbligatorio che risponde a due punti cardine: realizzare un equilibrio finanziario tra i contributi versati e i benefici previdenziali erogati, cercando il mantenimento nel lungo periodo; l'applicazione di regole di equità nel nuovo sistema previdenziale, che si riflettono sostanzialmente nella reintroduzione del metodo contributivo. Secondo Gronchi (1998) il peggior difetto è la mancata indicizzazione reale delle pensioni. Infatti il calcolo della pensione annua avviene applicando un coefficiente che tiene conto dell'inflazione, che da un lato permette al pensionato di mantenere nel tempo il suo potere d'acquisto, ma dall'altro dà origine alla cosiddetta "pensione d'annata", vale a dire a una riduzione del periodo di quiescienza del rapporto tra pensione media e salario medio corrente, venendosi così a creare annate di pensionati con redditi tanto più bassi quanto più lontano è l'anno di pensionamento.

1.3.3 La riforma Prodi (legge 449/1997)

I punti fondamentali di questa legge sono:

 un inasprimento dei requisiti anagrafici per il raggiungimento della pensione di anzianità;

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 aumento delle aliquote contributive per i lavoratori parasubordinati non coperti da ulteriori forme di assicurazione;

 interventi per incentivare la previdenza complementare per i dipendenti pubblici (destinazione dell' 1.5% dell'aliquota contributiva per l'indennità di fine servizio).

Questi interventi, come previsto da Giarda (1998), avrebbero portato a due fondamentali risultati, vale a dire una stabilizzazione della spesa previdenziale rispetto al PIL, e una riduzione dell'avere a carico gli enti previdenziali grazie ad un aumento dei contributi previdenziali.

1.3.4 La riforma Maroni (legge delega 243/2004)

Con l'obiettivo di dare una continuità alle riforme precedenti, questa riforma cerca di consolidare la sostenibilità del sistema previdenziale nel medio-lungo periodo.

Le misure principali contenute in questa riforma sono:

 l'aumento dell'età pensionabile per la pensione di anzianità, fino ad arrivare dal 2014 a 35 anni di contribuzione e 62 anni di età, oppure solamente 40 anni di contribuzione senza alcun requisito anagrafico;

 l'introduzione del cosiddetto "super bonus", vale a dire un incentivo alla permanenza al lavoro per chi ha già maturato i requisiti per la pensione di anzianità. Il salario, previo accordo con il datore di lavoro, prevedeva un aumento del 32,7%, pari ai contributi previdenziali che avrebbe dovuto versare all'ente previdenziale;

 la tutela dei diritti pensionistici acquisiti attraverso la cosiddetta "certificazione del diritto pensionistico"

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1.3.5 Legge 102/2009

Questa legge è stata emanata per adeguare la normativa italiana alla sentenza della Corte di Giustizia Europea. In particolare la pensione pagata ai dipendenti pubblici, riguardo i requisiti anagrafici, contrasta con i principi del Trattato UE che vieta espressamente ogni tipo di discriminazioni basate sul sesso. Di conseguenza, la suddetta legge prevede un aumento graduale dell'età pensionabile delle lavoratrici del settore pubblico a partire dal 2010, per arrivare a quota 65 anni nel 2018, con un aumento di un anno per ogni biennio.

Tabella 1.3 Spesa per prestazioni sociali (% PIL) tra il 2001 e il 2010

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1.3.6 La riforma Monti-Fornero (Legge 214/2011)

Gli obiettivi della riforma sono:

 l'affermazione del metodo di calcolo contributivo, in un'ottica di equità finanziaria, mediante il meccanismo del "pro rata" per tutti i lavoratori;

 la convergenza del trattamento previsto per uomini e donne: l'armonizzazione delle norme riguarda l'età, le aliquote e le modalità di calcolo delle prestazioni, e i requisiti minimi per accedere ai previdenziali sono in linea con le speranze di vita e coerenti con gli altri ordinamenti europei;

 flessibilità nell'età di pensionamento, che consente al lavoratore maggiori possibilità nell'anticipare o nel posticipare il ritiro dal mercato del lavoro.

Figura 1.2 Spesa pensionistica in rapporto al PIL nell'anno 2013 nei paesi UE

Fonte: Ministero dell'Economia e Finanza, Documento di economia e finanza 2013

L'articolo 24 in particolare si occupa delle disposizioni in tema pensionistico. I provvedimenti riguardano:

 l'introduzione, dal 1° gennaio 2012, del meccanismo "pro rata" per coloro che, all'emanazione della riforma Dini, avevano almeno 18 anni di contribuzione, e che quindi rientravano nel vecchio metodo di calcolo retributivo;

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 la sostituzione delle pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità con la "pensione di vecchiaia e dalla pensione anticipata"

 l'equiparazione dell'età per le lavoratrici autonome a quella degli uomini, fino ad arrivare a 66 anni nel 2018.

1.4 Metodi di calcolo delle pensioni

Come visto in precedenza, nelle riforme previdenziali degli ultimi trent'anni le pensioni erogate risultano calcolate sulla base di tre metodi:

- metodo retributivo, che eroga una pensione agganciata alle retribuzioni e ai redditi percepiti, oppure ad una media di questi;

- metodo contributivo, che lega i contributi versati dai lavoratori con le prestazioni erogate;

- metodo misto, dato dalla somma dei due metodi precedenti.

1.4.1 Metodo retributivo

Questo tipo di prestazione riguarda i lavoratori che al 1° gennaio 1996 avevano versato minimo 18 anni di contributi. E' basato fondamentalmente su tre elementi:

 retribuzione pensionabile;

 aliquota di rendimento, che indica quella percentuale da applicare alla retribuzione pensionabile per ogni annualità;

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Dalla riforma Amato del 1992, la pensione era composta da due quote. La prima, con riferimento ai contributi maturati fino al 31 dicembre 1992, ed è data dalla media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni antecedenti la decorrenza per i lavoratori dipendenti privati (dieci per gli autonomi). La seconda quota, fa riferimento ai contributi versati dal 1° gennaio 1993 ed è ottenuta attraverso la media annua degli ultimi dieci anni per i dipendenti privati (quindici per gli autonomi). Per ottenere la pensione annua occorrerà moltiplicare le retribuzione pensionabile per l'aliquota di rendimento per gli anni di contribuzione.

1.4.2 Metodo contributivo

E' un metodo che mette in stretta correlazione i contributi versati con le prestazioni erogate. I contributi versati durante l'attività lavorativa sono capitalizzati ad un tasso di rendimento legato all'andamento del PIL, quindi legato all'andamento dell'economia italiana. Questo tipo di rivalutazione fa sì che, quando il prodotto interno cresce lentamente, minori sono le risorse a disposizione del sistema previdenziale. Il montante ottenuto, sulla base del coefficiente di trasformazione, verrà trasformato in pensione. Il coefficiente di trasformazione è un parametro introdotto dalla legge Dini 335/1995. Sulla base di rilevazioni demografiche e attuariali, e in base all'andamento effettivo del tasso di variazione del PIL, ogni dieci anni il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale avrebbe dovuto riformulare il coefficiente di trasformazione. Dalla legge 247/2007 la rivisitazione del coefficiente è triennale. Con la riforma Fornero, dal 2019 gli adeguamenti sono biennali. Si tratta di un coefficiente non uguale per tutti i lavoratori. Sono infatti previsti coefficienti più alti sia nell'ipotesi di lavori usuranti, sia per le madri lavoratrici.

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23 Tabella 1.4 Esempio di calcolo contributivo per un lavoratore dipendente

Fonte : F.Vallacqua, La previdenza complementare per i lavoratori pubblici e privati

1.4.3 Il metodo misto (o "pro rata")

Dalla legge 335/1995, il metodo misto si applica ai lavoratori che, al 31 dicembre 1995 avevano un'anzianità contributiva inferiore ai 18 anni. Questa pensione è ottenuta con il metodo retributivo per le anzianità fino al 31/12/1995 e con il metodo contributivo per le anzianità successive al 31/12/1995. A seguito della legge Fornero del 2011, questo metodo viene applicato anche a coloro che all'entrata in vigore della suddetta legge avevano i requisiti per il calcolo pensionistico con il metodo retributivo (vale a dire più di diciotto anni di contribuzione all'entrata in vigore delle riforma Dini del 1996). Per questa categoria di lavoratori, dal 1° gennaio del 2012 i contributi vengono calcolati con il metodo contributivo.

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24 1.5 Effetti delle riforme: i tassi di sostituzione e le spesa pensionistica

Gli effetti degli accorgimenti sul sistema previdenziale si possono misurare negli impatti sul tasso di sostituzione e nell'andamento della spesa pensionistica in rapporto al PIL. Il tasso di sostituzione è un parametro che indica il rapporto tra l'importo della prima rata pensionistica erogata e l'ultima retribuzione. Questo indicatore che tiene conto di diversi fattori quali:

 metodo di calcolo considerato;  redditi percepiti;

 crescita delle retribuzioni nel tempo;  tasso di crescita del PIL;

 tasso d'inflazione;  contributi versati.

E'anche vero che questo indicatore non tiene conto di alcuni fattori, quali la successiva evoluzione della pensione e delle retribuzioni di chi, dopo la pensione, continui a svolgere un'altra attività lavorativa.Sulla base delle riforme avvenute, il tasso di sostituzione (al lordo della imposizione fiscale) tenderà a diminuire nel corso degli anni, in special modo per i lavoratori cui viene applicato il metodo contributivo. Inoltre, per i lavoratori autonomi la situazione sarà ancora più critica con delle diminuzioni più accentuate nel tempo rispetto i privati. Con un tasso di sostituzione così basso, e quindi con una futura rata pensionistica non sufficiente e garantire un livello di consumo ed un tenore di vita costante nel momento in cui si lascerà il mondo del lavoro, per l'individuo diventa essenziale prendere in considerazione l'adesione a forme di previdenza complementare o integrativa, specie per i lavoratori autonomi.

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25 Figura 1.3 Tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria per figure di lavoratori

Fonte : F.Vallacqua, La previdenza complementare per i lavoratori pubblici e privati

Per vedere i possibili effetti delle riforme, è necessario visulizzare le proiezioni della spesa pensionistica in rapporto al PIL, visto che tutte gli interventi delle leggi mirano alla stabilizzazione della stessa nel lungo periodo. In particolare, i provvedimenti adottati per perseguire questo obiettivo sono stati:

 l'indicizzazione delle pensioni circoscritta ai soli prezzi invece che alla componente reale;

 il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo;

 l'innalzamento dei requisiti minimi per l'accesso al pensionamento e il loro adeguamento in funzione delle variazioni demografiche e di speranza di vita;  la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione del montante

contributivo in funzione dell'evoluzione della probabilità di morte.

Attualmente la spesa pensionistica copre circa il 16% del PIL. Secondo le previsioni, ci sarà un graduale calo nei prossimi quindici anni fino a raggiungere una diminuzione di un punto percentuale, seguita da un aumento fino al 2045 (ma non tale da raggiungere i livelli attuali). Da lì si riavrà una flessione della spesa fino al raggiungimento di circa il 14% del PIL nel 2060.

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26 Figura 1.4 Andamento previsto della spesa previdenziale in rapporto al PIL dopo la legge Monti-Fornero

Fonte: Ministero dell'economia e Finanze, Documento di economia e finanza 2013

1.6 La previdenza italiana: un sistema multipilastro

Si è visto come, di fronte a problemi di evidente insostenibilità finanziaria, agli inizi degli anni Novanta lo Stato italiano abbia scelto di intraprendere un ambizioso processo di rinnovamento legato alla previdenza obbligatoria. Non si tratta però dell'unico tipo di provvedimento preso nel campo previdenziale. Si sta infatti assistendo alla definizione di un "sistema multipilastro" nel quale, al meccanismo pubblico finanziato dal regime fiscale avente lo scopo di redistribuire i redditi alle classi lavoratrici, si affianca e coesiste un meccanismo di gestione privata di fondi nei quali confluiscono i risparmi della popolazione a scopo pensionistico. Più precisamente, il sistema previdenziale italiano è attualmente così strutturato:

 un primo pilastro rappresentato dal sistema pubblico obbligatorio a ripartizione, con il compito di assicurare un trattamento previdenziale di base;

 un secondo pilastro, caratterizzato da un gestione a capitalizzazione da parte di privati, costituito da una adesione volontaria collettiva a fondi chiusi e aperti, gestiti da privati specializzati;

 un terzo pilastro, basato su una gestione a capitalizzazione gestito da privati, costituito su adesione volontaria e di tipo integrativo individuale.

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Il passaggio da un sistema esclusivamente a ripartizione ad un sistema misto "ripartizione-capitalizzazione" porta con sè alcune problematiche che possono inevitabilmente ricadere sulla popolazione attiva. Nella fase di transizione infatti, le incertezze riguardano essenzialmente la raccolta dei finanziamenti necessari per gli accantonamenti al secondo pilastro, nonchè capire quali siano le risorse che copriranno gli oneri del sistema a ripartizione finchè il nuovo sistema misto non entrerà definitivamente a regime. Nel momento in cui la popolazione attiva versa meno contributi al sistema a ripartizione, il gettito non sarà più sufficiente per erogare le prestazioni del sistema pubblico, lasciando allo Stato tre possibilità: l'emissione di moneta (strada impraticabile dal nostro paese dopo l'introduzione della moneta unica), l'emissione di debito pubblico, oppure il finanziamento delle prestazioni pensionistiche con l'imposizione fiscale, che comporta di fatto un doppio peso per i lavoratori, i quali dovranno garantire il pagamento delle pensioni vigenti con la contribuzione nel sistema a ripartizione, e contemporaneamente dovranno costruirsi la propria pensione attraverso ulteriori versamenti contributivi nel settore privato a capitalizzazione.

Tabella 1.5 Il sistema multiplistro italiano attuale

Fonte : F.Vallacqua, La previdenza complementare per i lavoratori pubblici e privati

Nonostante una base normativa incoraggiante, c'è da dire che il sistema italiano continua a soffrire, e tutto questo a causa di due anomalie, cioè un sovradimensionamento del sistema pubblico ed un sottodimensionamento del sistema privato. Le aliquote pensionistiche, del 33%, risultano infatti troppo onerose per i lavoratori, e le risorse gestite dei fondi pensione non sono ancora ai livelli degli altri paesi industrializzati.

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2.Il secondo pilastro: la previdenza complementare

2.1 Nascita del sistema privato

Rispetto al primo pilastro pubblico, quello privato in Italia è di recente introduzione. Il ricorso alla previdenza privata inizia negli anni Novanta, a seguito anche di incoraggiamenti da parte dei principali organi mondiali. Come già visto in precedenza, negli anni Ottanta si assiste ad una crisi dei sistemi di Welfare State nei paesi avanzati, la quale ha prodotto un aumento della spesa pubblica. La previdenza è il tipo di politica sociale più presente nei paesi sviluppati, quindi è inevitabile che sia il primo punto sulle agende statali in tema di riforme. Nel 1994, un Rapporto della Banca Mondiale suggerisce ai paesi industrializzati, gran parte con sistemi previdenziali ad un unico pilastro di tipo pubblico e che quindi si trovavano a fronteggiare con maggiore urgenza questa crisi sociale, a riformare il più presto possibile il sistema pensionistico al fine di adottare un sistema multipilastro, che permetterebbe una sorta di diversificazione sia nei tipi di gestione, che nelle fonti di finanziamento e nelle strategie d'investimento, senza dimenticarne il "movente" dell'erogazione. Infatti, il pilastro pubblico è tipo redistributivo e garantisce una copertura previdenziale minima, mentre il secondo e il terzo pilastro, entrambi appartenenti al genere privato, hanno finalità di accantonamento del risparmio personale per integrare la pensione pubblica. Negli anni seguenti, la stessa Banca Mondiale ha ribadito il sostegno al sistema multipilastro, definendolo un <<punto di riferimento, piuttosto che un progetto>>.

2.1.1 Il pilastro privato: come viene adottato nel mondo

L'incentivazione del risparmio del pilastro complementare passa attraverso un sistema completamente a capitalizzazione. L'obbligatorietà, caratteristica che distingue il secondo dal terzo pilastro, trova le stesse origini della motivazione della previdenza pubblica: la miopia degli individui che non riescono a pianificare in maniera adeguata i consumi durante il ciclo di vita. Prendendo in esame un orizzonte mondiale, possiamo evidenziale il fatto che non sempre i paesi hanno scelto la strada dell'obbligatorietà

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dell'adesione al secondo pilastro. Argentina, Perù e Regno Unito lasciano la più totale libertà ai lavoratori nell'adesione a forme pensionistiche complementari, mentre paesi in via di sviluppo come Messico, Bolivia e Kazakistan hanno ultimamente intrapreso questo cammino, imponendolo di fatto a tutti i lavoratori. C'è da dire che nella scelta della volontarietà o dell'obbligatorietà della previdenza privata è fondamentale il ruolo del sistema pubblico, specialmente in termini di peso dell'aliquota contributiva. Negli Stati Uniti e in altri paesi è stata proposta una gestione pubblica del sistema a capitalizzazione, andando incontro a critiche da parte di alcuni teorici2.

Figura 2.1 Rendimenti del fondi pensione gestiti dal settore pubblico nel 2000 (%)

Fonte : M. Bonasia, La riforma dei sistemi previdenziali nel dibattito teorico e politico

2 Feldstein e Ranguelova (2001) sostengono che un sistema in cui si investe in un unico fondo comune

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La maggiore motivazione dietro la scelta della gestione privata risiede nel fatto che il settore pubblico non alloca ottimamente il capitale, spingendo anche gli enti pubblici nell'investire le proprie risorse in titoli di Stato, sostenendo di fatto l'azienda pubblica e garantendo tassi d'interesse bassi, che però, in periodi d'inflazione alti, possono addirittura diventare negativi. Diventa quindi fondamentale basare le proprie strategie d'investimento su obiettivi di tipo economico-finanziario e non meramente politici. Le tabelle riportano le differenze di rendimento tra fondi pensione gestiti da enti pubblici e quelli privati.

Figura 2.2 Rendimenti dei fondi pensione gestiti privatamente (%)

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31 2.2 La previdenza complementare in Italia: nascita ed evoluzione

La prima normativa della previdenza complementare in Italia viene introdotta nel 1993, ma è opportuno dire che prima di questa data erano comunque presenti delle forme di risparmio previdenziale: erano i cosiddetti "fondi preesistenti". Si tratta di fondi pensione a carattere collettivo destinati a determinati tipi di lavoratori, e potevano essere di due tipi, i cosiddetti fondi pensione preesistenti autonomi, dotati di personalità giuridica (perlopiù associazioni o fondazioni), oppure fondi pensione preesistenti interni, costituiti all'interno di intermediari finanziari, in particolare di banche o di assicurazioni, con un patrimonio separato ovvero come posta contabile del passivo, riservato ai dipendenti delle stesse società. Questi fondi erano disciplinati da un regolamento peculiare che, con l'entrata in vigore delle normative trattate nei paragrafi seguenti, subiranno delle modifiche al fine di adeguarsi alle stesse.3

2.2.1 Decreto Legislativo 124/93

A seguito dei tagli operati dalla legge n.503/1992 (nota come "Riforma Amato"), la suddetta legge si pone il doppio obiettivo di disciplinare il settore del risparmio previdenziale e di introdurre e incentivare lo sviluppo della previdenza complementare. Viene ribadito il ruolo centrale della previdenza pubblica, definendo il pilastro privato utile "al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale" (art.1).

I punti centrali della normativa riguardano:

 la possibilità per i dipendenti pubblici e privati e per i soci lavoratori di cooperative di aderire a forme previdenziali complementari esclusivamente in regime di contribuzione definita. I lavoratori autonomi e i liberi professionisti possono aderire invece anche a forme pensionistiche complementari in regine di prestazione definita (art.2);

3 L'adeguamento alle normative riguarda: cambiamenti agli statuti dei fondi dal punto di vista

dell'assetto organizzativo, del finanziamento, delle prestazioni, dei riscatti e dei finanziamenti;

la dotazione di una sezione a contribuzione definita o la costruzione di un patrimonio separato al fine di accogliere il conferimento del TFR (Decreto ministeriale n.62/2007)

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 le fonti istitutive delle forme complementari, che possono nascere da contratti e accordi collettivi, oppure accordi fra lavoratori autonomi e liberi professionisti. (art.3, comma 1);

 la libertà di scelta del lavoratore nell'adesione al fondo pensione, garantita espressamente dal regolamento del fondo4 (art.3, comma 4);

 i requisiti di accesso per l'erogazione delle prestazioni. Per la pensione di vecchiaia, le prestazioni sono consentite qualora l'individuo abbia raggiunto un minimo di cinque anni di partecipazione al fondo pensione. Per la pensione di anzianità, occorrono almeno quindici anni di appartenenza al fondo pensione e un'età di non più di dieci anni inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza. L'entità delle prestazioni viene definita da scelte statutarie e contrattuali effettuate nell'atto costitutivo di ciascun fondo pensione (art.7, commi 2-3-5);

 la possibilità per l'iscritto al fondo, dopo otto anni di partecipazione, di ottenere un'anticipazione dei contributi accumulati, per fini sanitari riconosciuti dalle strutture pubbliche o per l'acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i propri figli (art.7, comma 4);

 la destinazione integrale degli accantonamenti annuali del TFR al fondo pensione su base contrattuale collettiva, per i lavoratori di prima occupazione dall'entrata in vigore del decreto (art.8, comma 3);

 la tassazione dei contributi del 15% in capo al fondo pensione, mentre si ha una tassazione annua per il fondo dello 0,125%. La prestazione erogata sotto forma di capitale è soggetta a tassazione separata, mentre per quella erogata sotto forma di rendita viene applicato un credito d'imposta del 15%;

 i contributi del datore di lavoro vengono ammessi in deduzione solo nella misura del 50% della quota del TFR destinata al fondo, mentre quelli versati dai lavoratori, a partire dal 1994, potevano essere dedotti fino a 3 milioni di lire.

Gli interventi legislativi successivi a quello del 1993 fino alla fine del secolo non sono particolamente significativi, tanto che cercano di tracciare un continuo della legge descritta in precedenza. La Riforma Dini (legge 335/95) elimina il prelievo del 15% sui

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Per i lavoratori occupati prima del 28 aprile 1993 era stabilità la facoltà di scegliere di destinare anche una parte del TFR maturando, mentre per i lavoratori occupati in data successiva era previsto l'obbligo di versare tutto il TFR maturando, pari al 6,91% del salario annuo.

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contributi versati, e prevede per i contributi ai fondi la deducibilità dal reddito fino al 2% della retribuzione per un massimo di 2.5 milioni di lire. Il d.m. 703/96 fissa norme sui criteri e sui limiti d'investimento delle risorse dei fondi pensione, inoltre tratta della disciplina riguardo il conflitto d'interessi. Il d.C.P.M. del 20/12/1999 stabiliva la possibilità per i dipendenti pubblici a tempo indeterminato di poter trasformare, dal 31/12/2000 il Trattamento di fine servizio (TFS) in TFR, aderendo ad un fondo pensione costituito ad hoc. Per i nuovi assunti, si applicava la disciplina del TFR a prescindere da adesioni a fondi pensione.

2.2.2 Decreto Ministeriale n.703/1996

Il legistatore decide di definire in maniera dettagliata quelli che sono i criteri di gestione dei fondi pensione, nonchè le modalità d'investimento e i limiti da osservare, passando per i casi di conflitto d'interesse. L'articolo 2 definisce quelli che sono i criteri di gestione del fondo. Viene raccomandata la sana e prudente gestione nel rispetto degli obiettivi del fondo, anche questi fissati in linea di massima dal legislatore5. Le operazioni d'investimento consentite dal decreto sono titoli di debito, titoli di capitale, parti di OICVM (organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari), quote di fondi chiusi, ma è possibile anche investire risorse in pronti contro termine, detenere liquidità e investire in strumenti derivati, ma nel rispetto dei vincoli imposti dall'articolo 56. I limiti agli investimenti riguardano l'ammontare di liquidità detenuto presso il fondo (per un massimo del 20 per cento del patrimonio), e le quote di fondi chiusi (limite massimo del 20 per cento del patrimonio del fondo e per il 25 per cento del fondo chiuso). Per quanto riguarda i casi di conflitto d'interesse definiti, il legislatore specifica che qualora

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L'articolo specifica che gli obiettivi sono: a) diversificazione degli investimenti; b) efficiente gestione del portafoglio;

c) diversificazione dei rischi, anche di controparte;

d) contenimento dei rischi di transazione, gestione e funzionamento del fondo; e) massimizzazione dei rendimenti netti.

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E' possibile investire in contratti derivati qualora:

a) generino un'esposizione al rischio finanziario equivalente a quella risultante dall'acquisto a pronti degli strumenti finanziari sottostanti il contratto derivato;

b) eliminino il rischio finanziario degli strumenti sottostanti il contratto derivato;

c) assicurino il valore degli strumenti sottostanti contro fluttuazioni avverse dei loro prezzi;

d) assicurino maggiore liquidità dell'investimento, senza comportare l'assunzione di rischi superiori a quelli risultanti dall'acquisto a pronti.

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ci siano operazioni nelle quali i gestori di fondo abbiano direttamente o indirettamente interessi in conflitto, allora questi devono specificare le operazioni nella documentazione del fondo pensione.

Tabella 2.1 Criteri e limiti d'investimento per i fondi pensione

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2.2.3 Decreto Legislativo n.47/2000

La sostanziale novità introdotta da questo intervento normativo riguarda l'affiancamento delle polizze individuali pensionistiche (PIP), gestite da compagnie assicurative, ai fondi pensione aperti (art.2).7 Il legislatore inoltre uniforma il trattamento fiscale, equiparando in questo senso il TFR, i fondi pensione aperti e chiusi e le forme di risparmio previdenziale individuali (art.1). Ci sono inoltre novità che riguardano il trattamento fiscale delle forme previdenziali complementare (si veda par. 2.3) nonchè la deduzione dei contributi. Per questi ultimi, si può dedurre fino al 12% del reddito complessivo e non oltre 5.164,57 euro, senza alcuna distinzione tra le forme pensionistiche, e i contributi non dedotti non erano più soggetti ad alcuna imposta al momento dell'erogazione delle prestazioni. I proventi finanziari del fondo sono soggetti ad un'aliquota dell'11%.

2.2.4 Decreto Legislativo n. 252/2005

Questa riforma è fondamentale per lo sviluppo della previdenza complementare. L'entrata in vigore, prevista per il 1° gennaio 2008, è stata anticipata di un anno dalla legge 296/2006. I punti centrali dell'intervento riguardano:

 le modalità di conferimento del TFR;

 un nuovo regime delle prestazioni erogate e nelle anticipazioni;

 un nuovo regime delle tassazioni, sia in fase di accumulo delle contribuzioni, sia in fase di erogazione delle prestazioni.

A partire dal 1° gennaio 2007, i lavoratori di prima assunzione e quelli ancora non iscritti ad alcun fondo pensione hanno sei mesi a disposizione per decidere, con manifestazioni esplicite di volontà, verso quale forma di previdenza complementare conferire il TFR maturando, oppure di mantenerlo presso il proprio datore di lavoro (scelta comunque non definitiva, infatti il lavoratore in seguito potrà scegliere la

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Dopo l'articolo 9 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, sono inseriti i seguenti: "Art. 9-bis (Forme pensionistiche individuali attuate mediante fondi pensione aperti) [...]; Art. 9-ter (Forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita)[...]."

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destazione del TFR presso una forma complementare, scelta che risulterà invece irreversibile). Qualora il lavoratore non abbia intrapreso una decisione nei sei mesi a disposizione, allora il TFR viene tacitamente trasferito per opera del datore di lavoro alla forma pensionistica complementare prevista negli accordi o contratti collettivi che vengono applicati in quell'azienda (possono essere di tipo nazionale oppure territoriali o aziendali). Nel caso in cui non sia possibile procedere nei casi di cui sopra, alla il datore di lavoro sarà tenuto a trasferire il TFR maturando a FondInps8. Per i lavoratori iscritti a forme di previdenza complementare entro il 28 aprile 1993, e che non versano completamente il TFR, possono scegliere se mantenere la residua quota di TFR presso il datore di lavoro oppure, in maniera tacita, dopo sei mesi il TFR verrà trasferito integralmente alla forma di previdenza complementare cui il lavoratore ha già aderito. In merito alla erogazione delle prestazioni, la nuova disciplina ne individua due tipologie: quelle finali e quelle durante il periodo di contribuzione. Le prestazioni pensionistiche finali, possono essere erogate in forma di rendita o di capitale, quest'ultimo per un massimo del 50% del montante9, dal momento in cui il lavoratore abbia raggiunto i requisiti per il diritto al pensionamento per vecchiaia o per anzianità con un minimo di cinque anni di partecipazione al fondo. La riforma cerca anche una maggiore tutela del lavoratore in caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo10 e in caso di inoccupazione: nel caso in cui quest'ultima si protrae per un periodo di tempo superiore ai due anni, allora le prestazioni, su espressa richiesta dell'aderente, saranno consentite con un anticipo di cinque anni rispetto i regimi obbligatori d'appartenenza. La prestazioni durante il periodo di contribuzione sono garantite nelle seguenti modalità:

8 Fondinps, o Fondo Complementare INPS, è una forma pensionistica complementare a contribuzione

definita costituita presso l'INPS in sensi del D.Lgs. 252/2005. Ha carattere residuale e non può essere scelto esplicitamente. L'aderente può decidere di destinare a Fondinps delle contribuzioni a proprio carico, secondo le modalità del regolamento. La posizione individuale costituita presso FondInps può essere trasferita ad un'altra forma pensionistica complementare dopo un anno dall'adesione.

9

Eccetto il caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70 per cento del montante finale sia inferiore al 50 per cento dell'assegno sociale, allora la prestazione può essere erogata in forma di capitale. (Art.11, c.3)

10

In questa situazione, l'aderente può richiedere:

 il trasferimento ad una nuova forma pensionistica;

 il riscatto parziale, per un totale del 50% della posizione maturata nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;

 il riscatto totale per invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi.

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37

 in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75%, per spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative a sé, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

 dopo otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 75%, per l'acquisto o per ristrutturazione della prima casa di abitazione per sé o per i figli;

 dopo otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 30%, per ulteriori esigenze degli aderenti.

Il trattamento tributario delle prestazioni erogate e delle anticipazioni cambia regime. In particolare, le nuove tassazioni vengono applicate per:

 tutte le prestazioni pensionistiche in rendita o in capitale, assoggettate ad un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi mediante ritenuta alla fonte nella misura del 15%;

 l’imposta sostitutiva si riduce a partire dal 16° anno di contribuzione alla forma pensionistica complementare nella misura dello 0,30% per anno, fino al limite minimo del 9%, corrispondente ad una contribuzione di 35 anni di iscrizione;  in caso di prestazione in capitale la tassazione sostitutiva è applicata in via

definitiva al momento di erogazione della prestazione. In caso di prestazione in rendita l’imposta sostitutiva è applicata volta per volta sull’ammontare della prestazione erogata mentre continua ad applicarsi l’imposta del 12,50% sui redditi finanziari maturati successivamente all’erogazione della rendita stessa;  le anticipazioni per spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative a

sé, ai coniugi o ai figli sono assoggettate ad una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 15% che si riduce a partire dal 16° anno di contribuzione alla forma pensionistica complementare nella misura dello 0,30% per anno, fino al limite massimo di riduzione del 6%;

 le anticipazioni per acquisto, per sé o per i figli, o ristrutturazione della prima casa di abitazione e per ulteriori esigenze dell’aderente sono assoggettate ad una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 23%.

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