SOMMARIO
1.
INTRODUZIONE
2
1.1 Produzione dei fanghi di depurazione e trattamento delle acque reflue 4
1.2 Trattamento dei fanghi di depurazione 8
1.3 Utilizzazione dei fanghi di depurazione 14
1.4 Inquadramento normativo 17
2.
SCOPO DELLA TESI
21
3.
MATERIALI
E
METODI
22
3.1 Piano sperimentale generale 22
3.2 Determinazione attività enzimatiche del suolo 24
3.2.1. Deidrogenasi 24 3.2.2. Catalasi 25 3.2.3 Ureasi 26 3.2.4 Fosfatasi 26 3.2.5 Proteasi 27 3.2.6 Arilsolfatasi 28
3.3 Determinazione biomassa microbica 29
3.4 Determinazione degli indici biologici del suolo 30 3.5 Identificazione e caratterizzazione microbica (Biolog) 30
3.6 Analisi statistica dei dati sperimentali 31
4.
RISULTATI E DISCUSSIONE
32
4.1 Attività enzimatiche 32
4.2 Biomassa microbica del suolo 40
4.3 Indici biologici del suolo 41
4.4 Test di valutazione della funzionalità biologica e della biodiversità
(biolog) 48
5. CONCLUSIONI
51
BIBLIOGRAFIA
53
1.
INTRODUZIONE
La crescente quantità di materiale biologico, prodotto dalla depurazione dei reflui civili, comporta una serie di problematiche di ordine socio/economico e ambientale.
I fanghi che derivano da tali processi, spesso, sono considerati dei rifiuti inquinanti, ma possono essere valutati come una risorsa potenzialmente utile, dato l’elevato contenuto in elementi nutritivi e di sostanza organica. Tali sostanze rientrano nella categoria dei “rifiuti speciali”, in particolare ai “rifiuti prodotti durante il processo di trattamento rifiuti” o “ rifiuti speciali secondari”.
In Italia, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), la quantità di rifiuti speciali ammonta a 121 milioni di tonnellate, dato in aumento del 6% rispetto agli anni precedenti, imputabile all’aumento dei rifiuti speciali non pericolosi. La produzione di rifiuti speciali pericolosi, rimane invece pressoché invariata, con un +0,3% (corrispondente a circa 9 milioni di tonnellate) rispetto al 2015.
A livello di macroaree geografiche, i valori elevati della produzione di rifiuti speciali corrispondono, al nord Italia al 60% circa del complessivo nazionale (quasi 78,2 milioni di tonnellate), al centro Italia al 17,9% del totale (equivalenti a 23,4 milioni di tonnellate) e al sud al 22,2% (pari a circa 29 milioni di tonnellate)(Tabella 1).
Analizzando la produzione dei rifiuti speciali non pericolosi per attività prodotta, possiamo notare che i rifiuti speciali secondari si trovano al secondo posto (27,4%) dopo le attività di costruzione (Figura 1), mentre per quanto riguarda la produzione di rifiuti speciali pericolosi, questa ammonta a 29,9%, con circa 2,6 milioni di tonnellate (Figura 2) (Aragona & D'alessandro, 2016). Questo comporta un notevole costo economico per quanto concerne la gestione e soprattutto lo smaltimento, stimato approssimativamente 1 miliardo di Euro (Lanz , 2015).
Attualmente i fanghi di depurazione assumono un aspetto rilevante e particolare in una proiezione moderna di sviluppo sostenibile e, soprattutto, di salvaguardia ambientale.
* Esclusi i rifiuti con CER non identificato
Tabella 1. Produzione totale dei rifiuti speciali a livello regionale (Fonte: ISPRA).
Figura 1. Ripartizione percentuale della produzione dei rifiuti speciali non pericolosi
per attività economica (fonte: ISPRA).
Regione Totale RS NP Totale RS P Totale RS * % RS NP % RS P Tonnellate
Piemonte 10.004.836 945.927 10.950.763 91,4 8,6
Valle d'Aosta 392.895 17.259 410.154 95,8 4,2
Lombardia 26.305.229 2.859.451 29.164.680 90,2 9,8
Trentino Alto Adige 3.950.683 88.800 4.039.483 97,8 2,2
Veneto 13.189.206 925.537 14.114.743 93,4 6,6
Friuli Venezia Giulia 3.026.638 194.565 3.221.203 94,0 6,0
Liguria 2.515.954 142.586 2.658.540 94,6 5,4 Emilia Romagna 12.747.212 876.759 13.623.971 93,6 6,4 Toscana 9.552.305 444.031 9.996.336 95,6 4,4 Umbria 2.062.914 141.254 2.204.168 93,6 6,4 Marche 2.592.295 124.980 2.717.275 95,4 4,6 Lazio 8.078.054 431.006 8.509.060 94,9 5,1 Abruzzo 2.338.747 95.351 2.434.098 96,1 3,9 Molise 320.385 35.120 355.505 90,1 9,9 Campania 6.124.378 332.018 6.456.396 94,9 5,1 Puglia 8.628.594 304.642 8.933.236 96,6 3,4 Basilicata 1.185.416 48.323 1.233.739 96,1 3,9 Calabria 1.483.430 123.166 1.606.596 92,3 7,7 Sicilia 4.878.496 431.746 5.310.242 91,9 8,1 Sardegna 2.332.395 277.935 2.610.330 89,4 10,6 Italia 121.710.062 8.840.456 130.550.518 93,2 6,8 Estrazione
minerali, 0,80% Agricoltura, caccia, silvicultura e pesca, 0,30% Attività manifatturiera, 20,50% Energia elettrica,
gas, vapore e aria, 2,50% Acqua, gestione reti fognarie, 3,50% Costruzioni, 39,70% Pubblica amm., istruzione e sanità , 0,30% Servizi, commercio e traspoto, 5,00% Trattamento ri[iuti e attività di
risanamento , 27,40%
Figura 2. Ripartizione percentuale della produzione di rifiuti speciali pericolosi per
attività economica (Fonte: ISPRA).
1.1 Produzione dei fanghi di depurazione e trattamento delle acque reflue I fanghi di depurazione sono una miscela di acqua, sostanze organiche e inorganiche provenienti da insediamenti esclusivamente civili, esclusivamente produttivi o civili e produttivi, i quali siano sottoposti a trattamento biologico, chimico o termico a deposito a lungo termine, in modo da ridurre il potere fermentescibile e gli inconvenienti sanitari (art. 2 D.Lgs. 27/01/1992, n.99).
Il processo di produzione dei fanghi prevede l’uso di sistemi impiantistici che simulano il naturale andamento di depurazione (in particolare quelli biologici), in modo da ottenere un effluente, acqua chiarificata, idoneo per l’immissione nei corpi idrici.
Pertanto, in qualsiasi impianto di depurazione, sono distinguibili:
• Una “linea acque”, dove si concentrano le componenti indesiderate in una fase liquida, il fango di supero;
• Una “linea fango”, in cui si concentra l’estratto delle fasi precedenti fino allo smaltimento finale.
Estrazione
minerali, 0,30% caccia, silvicultura Agricoltura, e pesca, 0,20%
Attività manifatturiera,
39,00%
Energia elettrica, gas, vapore e aria,
2,00% Acqua, gestione reti fognarie, 2,00% Costruzioni, 4,00% Pubblica amm., istruzione e sanità , 1,90% Servizi, commercio e traspoto, 20,70% Trattamento
ri[iuti e attività di risanamento ,
Nella Figura 3 sono riportate, in maniera schematica, le fasi successive che interessano le acque reflue e i trattamenti che vengono eseguiti sui fanghi ottenuti dalla “linea acqua”.
Figura 3. Trattamenti previsti sulla “linea acqua” e sulla “linea fango” di un impianto
di depurazione. Acque reflue
Fasi
preliminari
Sedimentazione
I
Ossidazione
biologica
Sedimentazione
II
Trattamento
finale
Effluente chiarificato Riciclo del “fango attivo”Ispessimento
Stabilizzazione
Smaltimento fango“LINEA ACQUA”
“LINEA FANGO”
La “linea acqua” inizia con i trattamenti preliminari elencati di seguito, in ordine di esecuzione (Masotti & Verlicchi, 2009):
1. Grigliatura: ha la semplice funzione di separare meccanicamente i materiali grossolani (ciottoli, pietrisco, pezzi di vetro, materiale vegetale grossolano, ecc.) tramite barre parallele, in genere di acciaio, opportunamente orientate (solitamente in senso verticale) e distanziate. In base alla distanza tra le barre vengono classificate in grigliatura grossolana, fine e finissima. In seguito il materiale grossolano è rimosso meccanicamente tramite appositi macchinari. Lo scopo di questo trattamento è di rimuovere la frazione voluminosa che potrebbe ostruire le successive fasi dell’impianto o addirittura danneggiarle. 2. Dissabbiatura: elimina le sabbie e le particelle con caratteristiche simili
attraverso apposite apparecchiature, dette dissabbiatori. Ne esistono diverse tipologie come i dissabbiatori a canale, aerati e a vortice, secondo la metodologia utilizzata. Lo scopo è eliminare i materiali abrasivi presenti nei liquami, che possono provocare fenomeni erosivi e intasamenti ai macchinari e alle tubazioni, accumulo sul fondo e riduzione della capacità utile nelle vasche.
3. Disoleatura: consiste nella rimozione degli oli e dei grassi presenti nei reflui. Tali processi sfruttano la tendenza dei composti ad affiorare in superficie e flottare nell’acqua, dopo di che sono utilizzati vari sistemi di raccolta e allontanamento. La disoleatura è una fase importante per tutti gli impianti depurativi, poiché le sostanze oleose e grasse interferiscono con i processi biologici ostacolando l’assunzione dei nutrienti e la respirazione dei microrganismi.
4. Sollevamento: tramite l’ausilio di pompe, il liquame viene trasferito nelle vasche di sedimentazione, in cui avverranno le successive fasi depurative.
Dopo i trattamenti preliminari, inizia il processo di sedimentazione o decantazione primaria caratterizzata, al contrario degli altri trattamenti, da bassi costi energetici per lo sfruttamento della semplice forza di gravità. La sedimentazione si effettua in vasche realizzate in modo da facilitare al massimo la separazione delle particelle dal mezzo liquido, la raccolta delle particelle, la loro concentrazione e l’allontanamento sottoforma di fango.
caratterizzati da un peso specifico maggiore dell’acqua e distinguibili in particelle granulose o fioccose. Le prime manifestano proprietà inerti, mentre le seconde sono in grado di interagire e agglomerarsi.
Il procedimento di sedimentazione delle particelle sfrutta la legge di Stokes, quindi è facilmente determinabile sia la velocità che assumono sia il tempo necessario a farle precipitare:
Ove:
v è la velocità di sedimentazione (cm/s); R è il raggio delle particelle (mm);
de è il peso specifico delle particelle (1,40);
di è il peso specifico del liquido relativo all’acqua (1,0); g è l’accelerazione gravitazionale;
V è la viscosità cinetica del liquido (g/cms).
Dal primo processo di sedimentazione dei liquami grezzi si originano i fanghi primari, dall’aspetto grigiastro, maleodoranti e con un elevato grado di putrescibilità. Terminati i processi di tipo fisico ha inizio la fase più importante del processo depurativo, cioè quelli di tipo biologico, caratterizzati da un’elevata diversità di microrganismi (batteri aerobi e anaerobi, protozoi, funghi, ecc.) adibiti alla biodegradazione delle sostanze organiche presenti nel liquame. Tali sostanze possono trovarsi disciolte o sotto forma colloidale nel mezzo liquido e, grazie alla presenza dei microrganismi, saranno assorbite diventando così solidi sospesi sedimentabili o comunque di dimensioni tali da poter precipitare nel secondo processo di sedimentazione, oppure essere utilizzate per il loro metabolismo diventando materiale biologico inerte.
I fattori ambientali svolgono un ruolo fondamentale sia nella cinetica degradativa sia nel metabolismo microbico. Ad esempio la temperatura, al cui crescere si riscontra un aumento della velocità di reazione, influenzerà la permanenza del liquame negli impianti. Anche l’ossigeno svolge un ruolo chiave garantendo la crescita della popolazione microbica e favorendo le reazioni di
ossidazione.
Le tipologie di trattamenti biologici possono essere classificate in filtri percolatori, a biomassa adesa e a biomassa sospesa.
Terminata la fase ossidativa, il liquame è sottoposto a una seconda sedimentazione, volta a far precipitare le particelle sedimentabili formate in precedenza. Da qui si originano i fanghi secondari o fanghi attivi, chiamati in tal modo per l’elevato contenuto di microrganismi biologicamente attivi, i quali sono in parte riutilizzati come starter nella fase di ossidazione biologica e in parte inviati, assieme ai fanghi primari, alla sequenza di trattamenti a loro destinati nella “linea fango”.
L’acqua chiarificata derivante dalla sedimentazione secondaria è poi destinata al trattamento finale, in cui subisce processi di denitrificazione, defosfatazione e disinfezione, per diminuire rispettivamente il contenuto di nitrati, fosfati e patogeni entro valori previsti dalla legge ed essere in seguito immessi nell’ambiente.
1.2 Trattamento dei fanghi di depurazione
Come premesso, i fanghi primari e quelli attivi sono destinati a una serie di trattamenti, chiamata “linea fango”, rappresentati schematicamente nella Figura 4, eseguiti separatamente o, in alternativa, realizzati in contemporanea in un un’unica vasca.
In generale i parametri di particolare importanza sono il contenuto in solidi, i quali sono in parte non volatili (o minerali) e in parte volatili (o organiche), il tenore in acqua e il peso specifico, leggermente superiore a quello del mezzo. I fanghi presentano parametri completamente differenti secondo le loro caratteristiche, le quali dipendono dal sistema di trattamento depurativo originario e dalla tipologia di refluo immesso nel sistema depurativo.
La prima fase, chiamata “ispessimento dei fanghi”, ha lo scopo di diminuire notevolmente il contenuto di umidità del fango rispetto allo stato iniziale, formando il cosiddetto fango ispessito o fango addensato. Questo comporta, di conseguenza, una riduzione dei costi di trasporto del prodotto e i volumi di materiale da trattare. L’acqua allontanata da tale processo sarà reimmessa negli impianti depurativi per acquisire la qualità idonea per essere integrata nei bacini idrici.
Figura 4. Trattamenti eseguiti durante la “linea fango”.
Esistono varie tecniche d’ispessimento, tra cui la flottazione, la centrifugazione e la gravità, la più utilizzata per i costi contenuti di gestione.
L’attrezzatura utilizzata per l’ispessimento per gravità è un normale sedimentatore, il quale sfrutta la forza di gravità per far precipitare le particelle solide contenute nel fango e la rimozione dell’acqua da chiarificare dalla parte superiore (Figura 5).
Nel fango viene insufflata aria per mantenere elevati livelli di ossigeno, in modo da evitare l’instaurarsi di processi anaerobici. Uno svantaggio di questa tecnica sono i tempi lunghi di sedimentazione. Perciò è stata sviluppata una tecnica innovativa, “l’ispessimento continuo per gravità”, il quale sfrutta la stessa metodologia ma con tempi di lavoro sufficientemente ridotti.
Postispessimento
Acqua grezzaProcesso
depurativo
Fango di supero Effluente finaleIspessimento
Stabilizzazione
Disidratazione
Smaltimento finale
Figura 5. Sedimentazione discontinua per gravità.
La differenza consiste nell’attivazione di un sistema di agitazione lento (5-‐15 giri/h), costituito da aste metalliche verticali che garantiscono la fuoriuscita dell’acqua e delle bolle di gas inglobate nei fiocchi e nella parte inferiore, delle palette raschiatrici atte a convogliare il fango verso il centro della vasca (tramoggia di raccolta) da dove poi verrà estratto (Figura 6).
Figura 6. Ispessimento continuo a gravità.
Nella fase successiva, detta di “stabilizzazione”, continuano i processi degradativi e assimilatori della sostanza organica da parte dei microrganismi, al fine di rendere i componenti stabili, non putrescibili e con odore non sgradevole.
Col termine di stabilizzazione si intende una “stabilizzazione tecnica”, cioè un trattamento capace di rendere i fanghi facilmente manipolabili e smaltibili senza causare lo sviluppo di odori sgradevoli e senza comportare pericoli per il personale addetto alle lavorazioni. Un fango si considera tecnicamente stabilizzato quando il consumo di ossigeno, legato alla putrescibilità, è inferiore a 0,1 kg di O2 al giorno per ogni kg di solidi volatili contenuti.
Tale risultato è raggiungibile sia per via biologica che per via chimica. Nel primo caso si parla di digestione del fango, in cui si ha l’inertizzazione delle componenti per via aerobica, sfruttando l’azione dei microrganismi aerobi che vivono e si sviluppano con l’ossigeno presente nei fanghi, oppure per via anaerobica.
L’efficienza nella riduzione del contenuto di solidi volatili durante la digestione del fango dipende dal tempo di permanenza del fango nella fase di digestione (età del fango) e dalla temperatura di esercizio (Figura 7).
L’età del fango nella fase di digestione è compresa fra 15 e 40 giorni mentre, per quanto concerne la temperatura, la tendenza è quella di lavorare fra 32 e 38 °C; ciò permette di ottenere una riduzione dei solidi sospesi volatili del 40% nella digestione aerobica e del 50% nella digestione anaerobica, valori ottimali per considerare un fango sufficientemente stabilizzato.
La stabilizzazione aerobica si svolge in maniera simile al processo a fanghi attivi, attraverso il deposito in vasche a cui viene insufflata aria tramite pompe per garantire una buona ossigenazione. Tecniche innovative di stabilizzazione aerobica prevedono l’insufflazione di ossigeno puro in vasche chiuse, consentendo di raggiungere concentrazioni di 6 o 8 volte superiori a quella dell’aria, per la realizzazione di un efficace depurazione tramite ossidazione. Inoltre, tali tecniche permettono di ottenere un fango ben stabilizzato che, per essiccamento, fornisce un prodotto privo di odori e del tutto innocuo dal punto di vista sanitario.
Figura 7. Relazione tra la riduzione dei solidi sospesi e il prodotto età del fango per la
temperatura.
La digestione anaerobica del fango avviene sfruttando microrganismi in grado di svilupparsi ed accrescersi in ambienti privi di ossigeno, degradando la sostanza organica con la conseguente produzione di una miscela gassosa costituita prevalentemente da metano e anidride carbonica. All’interno del bio-‐digestore (vasca chiusa superiormente) avvengono una serie di complesse reazioni biochimiche concatenate che possono essere riassunte in tre fasi: liquefazione, fermentazione acida (acidificazione) e fermentazione alcalina (gassificazione). Questa tipologia di trattamento permette di ottenere un sottoprodotto il biogas, utile per la produzione di energia termica impiegabile nell’impianto stesso o da vendere sul mercato.
A seconda del contenuto idrico del fango ottenuto nelle fasi precedenti, può seguire una ulteriore fase di post-‐ispessimento, dove si incrementa ulteriormente il contenuto di sostanze solide nei fanghi stabilizzati.
La fase successiva a carico del fango stabilizzato è il “condizionamento”, un trattamento preliminare alla disidratazione. La funzione è di indebolire le interazioni fra le particelle (sia dei fiocchi veri e propri che di quelle colloidali) e l’acqua legata, per facilitarne la fuoriuscita. Può essere condotta per via chimica, attraverso
l’aggiunta di additivi inorganici o organici, o per via termica. La prima alternativa, maggiormente diffusa, consiste nell’aggiunta di additivi FeCl3, Ca(OH)2 in grado di coagulare le particelle colloidali e la loro successiva flocculazione con riduzione della fase finemente dispersa.
L’ultimo processo di depurazione è la “disidratazione”, tesa a ridurre il peso e il volume dei fanghi tramite la separazione della componente liquida, al fine di renderli compatibili con lo smaltimento finale. Ciò permette di ottenere un prodotto finale palabile, cioè in grado di essere movimentato con mezzi meccanici. La disidratazione è ottenibile tramite l’essiccamento, oppure con la centrifugazione o la filtrazione. L’essiccamento sfrutta il naturale passaggio dell’acqua allo stato di vapore e la rimozione tramite drenaggio grazie all’ausilio di appositi letti di essiccamento. La diffusione di tale trattamento è limitata a impianti di piccole dimensioni, data l’elevata richiesta di superficie e le notevoli spese gestionali. Nel caso della centrifugazione l’acqua viene rimossa tramite l’applicazione della forza centrifuga dovuta alla rotazione di una coclea centrale (circa 5000 giri/minuto) che causa l’addensamento del fango. L’operazione di filtrazione consiste nel passaggio del fango attraverso dei filtri in grado di trattenere la parte solida e far passare la frazione liquida.
Terminata la sequenza di trattamenti riservati al fango in uscita dai processi depurativi della linea acqua, il materiale presenterà le caratteristiche idonee per essere destinato alle varie tipologie di smaltimento (Figura 8).
Figura 8. Composizione e volume del fango prima e dopo il trattamento “linea fango”.
1.3 Utilizzazione dei fanghi di depurazione
I fanghi, ottenuti dai processi descritti nella linea fanghi, hanno subito un notevole cambiamento delle caratteristiche sia fisiche che chimiche, tali da renderli idonei alle successive destinazioni.
Le varie tipologie di utilizzazione o smaltimento cui può andare in contro un fango sono:
• Incenerimento; • In discarica;
• Spandimento sul suolo adibito a uso agricolo; • Compostaggio;
• Produzione di laterizi, asfalti e calcestruzzi.
L’incenerimento dei reflui provenienti dagli impianti depurativi prevede la combustione completa del rifiuto di scarto al fine di produrre energia sotto forma di calore (teleriscaldamento) o energia elettrica. Tale processo, però, produce un effluente gassoso, ceneri e polveri potenzialmente inquinanti.
Anche l’immissione in discarica dei fanghi, regolamentata dal D.lgs. 36/03 e D.M. 3 agosto 2005, comporta una serie di problemi legati alla composizione chimica del prodotto, l’impiego di superficie di terreno da destinare all’accumulo di rifiuti pericolosi, l’impatto ambientale e i notevoli costi di gestione.
Una valida alternativa può essere l’impiego dei fanghi di depurazione in ambito agricolo, come tali o previo essiccamento, oppure tramite un precedente compostaggio con altri residui organici, in modo da ridurre i quantitativi destinati in discarica o agli inceneritori. Il recupero in agricoltura, oltre a contenere l’impatto ambientale dovuto all’impiego di tali sostanze, se vengono rispettati i limiti imposti dall’apposita normativa, comporta minori spese rispetto alle altre tipologie di smaltimento, come confermato da stime condotte da Hall (2000) riportate nella Tabella 2.
Tabella 2. Relazione tra costi e tipologia di impiego.
Tipologia di utilizzazione Costo (€/t SS)
Spandimento su suolo agricolo 150 -‐ 400 Smaltimento in discarica 200 -‐ 600 Essiccamento termico 300 -‐ 800 Incenerimento 450 -‐ 800
I fanghi di depurazione sono caratterizzati dal possedere un elevato contenuto di macronutrienti, micronutrienti e sostanza organica utile alle varie componenti biologiche del terreno. Inoltre l’elevato contenuto di sostanza organica permette un aumento della riserva di carbonio nel suolo, mitigando le conseguenze causate dai gas serra, preserva dall’erosione e dalla desertificazione causate dall’intensificazione delle pratiche agricole.
La frazione organica svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento delle proprietà fisico-‐chimiche, in particolare la densità, la porosità e la ritenzione dell’acqua (Ramulu, 2002), caratteristiche che si riflettono sulla popolazione microbica e le proprietà enzimatiche del terreno. Infatti, Henis (1986) sostiene che ci sia una stretta relazione tra livello di microrganismi e contenuto di sostanza organica, e la loro attività appare favorita proprio da quest’ultima (Saviozzi et al., 1999).
L’attività microbica, pure cosi come gli enzimi a essa associati, svolge un ruolo importante nell’habitat suolo, poiché responsabili di numerosi processi metabolici che coinvolgono gli elementi dei cicli biogeochimici. Tali proprietà biochimiche possono essere utilizzate come indicatori della qualità dei suoli, essendo molto sensibili alle alterazioni dovute alla gestione delle pratiche agricole al pari delle proprietà fisiche e chimiche (Nannipieri et al., 2002) (Tabella 3).
Tabella 3. Enzima e corrispettivo indicatore di attività microbica.
Inoltre, sono responsabili della mineralizzazione della sostanza organica, nella formazione di humus e la solubilizzazione di elementi, come il fosforo, rendendoli disponibili e assimilabili dalle piante. Di conseguenza l’apporto di sostanza organica al terreno determina una serie d’interazioni dirette o indirette tra suolo, pianta e microflora, mantenendo o addirittura incrementando la qualità dei suoli stessi.
Enzima Reazione enzimatica Indicatore di attività microbica
Deidrogenasi Sistema trasporto elettroni Ciclo carbonio β-‐glucosidasi Idrolisi cellobiosio Ciclo carbonio
Ureasi Idrolisi urea Ciclo azoto
Fosfatasi Rilascio PO42-‐ Ciclo fosforo Arilsolfatasi Rilascio SO42-‐ Ciclo zolfo
Concettualmente, la qualità del suolo è definita come la capacità di sostenere la produttività biologica, mantenere la qualità dell’ambiente e promuovere la salute delle piante e degli animali (Doran & Parkin, 1994).
Oltre a favorire la proliferazione della microflora presente nel suolo, l’aggiunta dei fanghi di depurazione comporta l’immissione di microrganismi utili sviluppatisi nei processi depurativi, che andranno a incrementare gli effetti positivi legati appunto alla qualità.
L’utilizzo dei fanghi non possiede unicamente proprietà ammendanti ma anche correttive, legate alla presenza di acidi umici, e concimanti, apportando elementi minerali d’importanza primaria per la nutrizione vegetale. La composizione chimica dei fanghi è molto eterogenea, legata soprattutto all’origine del materiale di partenza, ma in generale presentano sia macronutrienti (N, P e K) che micronutrienti (Mg2+, Ca2+, ecc.). Secondo prove condotte da Sabey (1980), la composizione chimica del fango è caratterizzata da valori compresi tra 0,1 % e 17,6% per l’azoto, 0,1% e 14,3% per il fosforo e 0,02% e 2,6 % per il potassio. Solo una piccola frazione di tali nutrienti è in forma inorganica, quindi prontamente utilizzabile dalle piante, mentre la restante si trova in una forma stabilizzata e rilasciata gradualmente durante i processi di mineralizzazione. Grazie alle caratteristiche concimanti dei fanghi sono stati riscontrati, da molti autori, aumenti sostanziali della produzione. Ad esempio, Özyazici (2013) ha ottenuto su frumento tenero incrementi del 21% con una distribuzione di 20 t/ha di fango. L’incremento della dose, però, ha provocato un aumento della quantità di biomassa vegetale a discapito della produzione granellare. Risultati simili sono stati riscontrati da Al Zoubi et al. (2008) su prove condotte con mais, che riportano aumenti della produzione di granella del 18 e del 71% tramite applicazioni pari a 17 e 34 t/ha di fango rispetto alla concimazione minerale. Le evidenze sperimentali promettono dei buoni risultati con l’utilizzo dei fanghi, tuttavia l’impiego in agricoltura, comporta molteplici limitazioni legate principalmente alla presenza di metalli pesanti. L’applicazione per periodi prolungati dei fanghi può causare accumuli di tali elementi e quindi potenziali rischi per l’ambiente e per la salute umana a causa del loro ingresso nella catena alimentare.
La concentrazione dei metalli pesanti nei fanghi di depurazione dipende da più fattori, fra cui l’origine del fango, le fasi di trattamento sottoposte al fango e dalla tipologia di depurazione delle acque reflue (Hue & Ranjith, 1994). In generale, l’applicazione di limitati quantitativi di metalli pesanti svolge effetti positivi sulla
quantità di biomassa microbica, sul contenuto di sostanza organica e sull’attività microbica, mentre dosi eccessive determinano effetti opposti (Knight et al., 1997). Inoltre, prove condotte da McGrath et al. (1994) hanno evidenziato una diminuzione della fissazione dell’azoto atmosferico da parte dei batteri azotofissatori e una diminuzione nella colonizzazione radicale dei funghi arbuscolari micorrizici, dovuta alla presenza di elevate concentrazioni di tali elementi.
La presenza dei metalli pesanti non è l’unico problema per l’utilizzo dei fanghi in agricoltura, ma necessita di una particolare considerazione anche il contenuto di agenti patogeni presenti nel materiale organico. Sebbene durante le fasi di trattamento dei fanghi si verifichi un decremento notevole della carica batterica e virale, sia nella digestione aerobica che in quella anaerobica, non si raggiunge mai la completa inattivazione. A tal proposito il Decreto Legislativo 99 del 27/01/1992 indica le colture più adatte a ricevere i fanghi per diminuire il rischio di contaminazione dei prodotti e ridurre al minimo il pericolo per la salute umana, imponendo i quantitativi massimi applicabili sui suoli in grado di accettare il fango. 1.4 Inquadramento normativo
In Italia l’utilizzo nei suoli agricoli dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue domestiche o industriali è disciplinato dal D. Lgs. 27 gennaio 1992 n. 99, in attuazione della direttiva 86/278/CEE, regolandone l’applicazione in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e l’uomo (Art. 1).
Il decreto descrive le condizioni di ammissione all’utilizzo in agricoltura solo se ricorrono le seguenti condizioni (Art. 3):
• Sono stati sottoposti a trattamento;
• Sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno;
• Qualora le concentrazione di uno o più metalli pesanti del terreno e del fango non superino i valori limite (Tabella 4).
Tabella 4. Valori limite dei metalli pesanti imposti dal D.Lgs. n.99 27 gennaio 1992.
Sui terreni destinati all’utilizzazione dei fanghi è inoltre richiesta l’esecuzione di un test rapido, (test di Bartlett e James) volto all’identificazione della capacità del suolo di ossidare il Cr III a Cr VI. I terreni che producono quantità uguali o superiori a 1 μM di Cr VI non possono ricevere fanghi contenenti il metallo.
I fanghi impiegati in agricoltura devono inoltre presentare caratteristiche agronomiche e microbiologiche secondo i valori riportati nella Tabella 5.
Tabella 5. Valori limite delle caratteristiche del fango imposti dal D.Lgs. n.99 del 27
gennaio 1992.
Il comma 4 dell’articolo 3 recita: “I fanghi possono essere applicati su e/o nei terreni in dosi non superiori a 15 t/ha di sostanza secca nel triennio, purchè i suoli presentino le seguenti caratteristiche: CSC superiore a 15 meq/100g e pH compreso tra 6,0 e 7,5. In caso i terreni presentino pH inferiore a 6 e CSC inferiore a 15, per tenere conto dell’aumentata mobilità dei metalli pesanti e del loro maggiore assorbimento da
Metallo pesante
Valori limite (mg/kg SS)
Suolo agricolo Fango di depurazione
Cadmio 1,5 20 Mercurio 1 10 Nichel 75 300 Piombo 100 750 Rame 100 1000 Zinco 300 2500
Caratteristiche del fango Valori limite
Carbonio organico % SS (min.) 20 Fosforo totale (P) % SS (min.) 0,4 Azoto totale % SS (min.) 1,5 Salmonelle MPN/g SS (max.) 10
parte delle colture sono diminuiti del 50% i quantitativi di fango. Nel caso in cui il pH sia superiore a 7,5 si possono aumentare i quantitativi di fango utilizzato del 50%”.
L’articolo 4 (comma 1-‐3) impone i divieti stabiliti dalla normativa se i materiali non rispettano i parametri descritti nell’articolo 3 e i terreni soggetti a sversamento si trovano nelle seguenti condizioni:
• Allagati, soggetti a esondazione e/o inondazioni naturali, acquitrinosi o con falda acquifera affiorante, o con frane in atto;
• Con pendii maggiori del 15% per fanghi con contenuto in SS inferiore al 30%;
• Destinati a pascolo, a prato pascolo, a foraggiere;
• Destinati all’orticoltura e alla frutticoltura i cui prodotti sono a diretto contatto con il terreno;
• Quando è in atto una coltura, ad eccezione delle coltivazioni arboree. Il comma 4 vieta l’applicazione di fanghi liquidi con la tecnica della irrigazione a pioggia, sia per i fanghi tal quali che per quelli diluiti con acqua.
Nei successivi articoli vengono specificate le competenze dello Stato, delle Regioni e delle Province (articoli 5-‐6-‐7), le autorizzazioni per le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento (articolo 8) e l’autorizzazione allo spandimento nei suoli agricoli (articolo 9). L’articolo 12 prescrive le norme tecniche di gestione del materiale fino all’applicazione in pieno campo, precisando (comma 6) che l’utilizzo dei fanghi deve seguire le buone pratiche agricole che prevedono l’interramento immediato mediante una lavorazione del terreno. In ogni caso l’applicazione dei fanghi deve essere sospesa durante o subito dopo abbondanti precipitazioni.
I produttori e gli utilizzatori devono registrare i quantitativi smaltiti e impiegati, come annotato negli articoli 14–15, in un apposito registro. Nel caso non siano rispettate le limitazioni imposte dal Decreto Legislativo n .99 27/01/1992 il trasgressore sarà punito come indicato nell’articolo 16.
I fanghi di depurazione tal quali, secondo il D.Lgs. n. 75 del 29 aprile 2010, non sono considerati né concime, né come matrice organica per la preparazione di concimi organo-‐minerali. Il 17 settembre 2013 è stata compiuta una modifica del decreto in cui appare che i fanghi siano utilizzabili per la preparazione di un “Ammendante torboso composto” e di un “Ammendante compostato con fanghi”, in cui il prodotto finale presenti determinate caratteristiche chimiche (umidità
massima del 50%, pH 6-‐8,8, carbonio organico minimo sulla sostanza secca pari al 20%, C/N massimo di 25, contenuto massimo di fanghi del 35% di sostanza secca). In alternativa, può essere utilizzato per la produzione di correttivi quali il gesso di defecazione (titolo minimo sul secco CaO:20%, SO3:15%) e il carbonato di calcio di defecazione (titolo minimo sul secco CaO:28%).
2.
SCOPO DELLA TESI
L’applicazione in agricoltura dei fanghi di depurazione, provenienti dal trattamento delle acque reflue, eseguita nel rispetto delle limitazioni imposte dalle normative, rappresenta una valida possibilità di smaltimento del rifiuto mitigando, così gli impatti ambientali dovuti alle altre eventuali destinazioni.
E’ ormai accertato che sono molti gli effetti positivi indotti dal loro sversamento sui terreni agricoli, soprattutto grazie a un potere fertilizzante tale da poter ridurre i costi d’investimento degli agricoltori sull’acquisto dei concimi.
Sono tuttavia necessari ulteriori studi volti a valutare gli effetti complessivi dei fanghi sull’ecosistema suolo, quali l’influenza sulle attività enzimatiche, i fenomeni di accumulo e disponibilità dei metalli pesanti, la possibile contaminazione da parte degli agenti patogeni, la mineralizzazione della sostanza organica con conseguente rilascio di elementi eutrofizzanti, l’andamento della popolazione microbica.
La presente tesi si propone di valutare gli effetti indotti dall’applicazione di due dosi di fanghi di depurazione mediante il monitoraggio di alcuni aspetti dell’attività biologica del suolo. Saranno pertanto esaminati gli andamenti delle attività di alcuni tra i principali enzimi.
Saranno inoltre seguite l’attività e la biodiversità della biomassa microbica e valutato l’impatto dei fanghi di depurazione sulla qualità del suolo attraverso indicatori di natura biologica.
3. MATERIALI
E
METODI
3.1 Piano sperimentale generale
La sperimentazione è stata condotta al Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-‐ambientali Enrico Avanzi, situato a una distanza di 4 km dal mare (43° 40’ N, 10° 19’ E) e a 1 metro sopra il livello del mare.
Sono state eseguite quattro tesi di sperimentazione:
a) Controllo (C), terreno tal quale senza aggiunta né di azoto minerale né di sostanza organica;
b) Concimazione azotata a base di urea (U), alla dose ottimale della produzione di frumento (equivalente a 120 kg N/ha);
c) Dose bassa di fango di depurazione (D1), equivalente a 22,5 q/ha di sostanza secca;
d) Dose elevata di fango di depurazione (D2), equivalente a 45 q/ha di sostanza secca.
Le dosi applicate D1 e D2 rispettano i quantitativi dettati dal DL. 99 27/01/1992, GU Supplemento 15/02/1992.
Le tesi sono state condotte in 24 vasi costituiti in PVC, i quali sono stati riempiti rispettivamente con 35 kg di terreno.
Nella seguente Tabella 6 sono riportate le caratteristiche principali del terreno utilizzato nella sperimentazione.
Tabella 6. Caratteristiche del suolo.
Parametri Suolo Sabbia (%) 54,9 Limo (%) 33,5 Argilla (%) 11,6 pH 8,1 TOC (g/kg) 5 N totale (g/kg) 0,7 P assimilabile (mg/kg) 4,4 K scambiabile (mg/kg) 69,3 CSC (cmol(+)/kg) 10,3
Nella seguente Tabella 7 è riportata la composizione del fango di depurazione utilizzato nella sperimentazione.
Tabella 7. Caratteristiche del fango di depurazione.
Dopo l’aggiunta dei fanghi è seguita una miscelazione del suolo, allo scopo di rendere il substrato omogeneo.
La concimazione a base di urea è stata eseguita tramite due applicazioni: la prima con una dose di 20 kg N/ha, mentre la seconda dai restanti 100 kg N/ha.
Le analisi sono state effettuate in sei prelievi temporali distinti: all’inizio (T0), a 21 giorni (T1), a 41 giorni (T2), a 55 giorni (T3), a 80 giorni (T4) e a 120 giorni (T5) dal trattamento.
Parametri Fango di
depurazione
pH 6,4
Carbonio organico totale (TOC) (g/kg) 38,5
N totale (%) 7,94
P totale (%) 1,2
Frazione umificata (g/kg) 1,87
Composti fenolici totali (g/kg) 0,6
Cr VI (mg/kg) < 1 As (mg/kg) < 5,0 Cd (mg/kg) < 2,0 Cr III (mg/kg) 16 Hg (mg/kg) < 0,1 Ni (mg/kg) 25 Pb (mg/kg) 12,5 Cu (mg/kg) 72,4 Zn (mg/kg) 185,1
3.2 Determinazione attività enzimatiche del suolo 3.2.1. Deidrogenasi
La metodica seguita per la determinazione dell’attività deidrogenasica del terreno prevede il dosaggio colorimetrico del 2,3,5 trifenilformazano (TPF) prodotto dalla riduzione del cloruro di 2,3,5 trifeniltetrazolio (TTC) (Casida et al., 1964) da parte della biomassa microbica presente nel campione (Figura 9).
Inizialmente sono pesati 300 mg di terreno cui è aggiunto 0,3 mL di soluzione tampone tris-‐maleato 0,1 M pH 7,0 e 0,075 mL di soluzione TTC 3% in una provetta. Dopo aver agitato per alcuni secondi, sono posti in stufa alla temperatura di 37 °C ad incubare per 24 ore.
Figura 9. Reazione ossidoriduttiva del TTC a TPF per opera della deidrogenasi.
Al termine del periodo d’incubazione si aggiungono 6 mL di metanolo e si estrae in agitatore a 120 colpi al minuto per circa 10’. In seguito si filtra con filtri Whatman n°42, si pone l’estratto in cuvetta e si procede con la lettura allo spettrofotometro alla lunghezza d’onda di 488 nm.
La curva di taratura è realizzata con un solo punto alla concentrazione di 10 ppm di TTF in quanto si è osservato che nell’intervallo preso in considerazione l’assorbanza dei campioni è direttamente proporzionale alla loro concentrazione.
I valori ottenuti dallo spettrofotometro sono espressi in ppm del campione; moltiplicando per la quantità di liquido usata otterremo la quantità di TTF prodotta
da 300 mg di terreno in 24 ore. Quest’ultima divisa per la quantità di terreno secco effettivamente usata e per 24 otterremo la quantità, espressa in µg per grammo di terreno secco per ora (µg TTF /g * h).
3.2.2. Catalasi
Il metodo si basa sulla determinazione volumetrica dell’ossigeno liberato dopo incubazione del suolo con
perossido d’idrogeno per 3 minuti (Beck, 1971).
Inizialmente si pongono 10 g di terreno umido o secco in una beuta da 250 mL, cui sono aggiunti 20 mL tampone fosfato pH 6,8, dopo di che si agita e si attendono 30’. Per ogni campione sono preparati i controlli con l’aggiunta di una soluzione di sodio azide al 6,5%, ad azione battericida, e
20 mL di tampone fosfato.
Al termine del periodo di Figura 10. Apparecchio di Scheibler. incubazione, si pipettano 5 mL
di perossido d’idrogeno (H2O2) al 3% nel becker dello strumento di Scheibler (Figura 10) e si pone all’interno della beuta. Poi si agita la beuta per 3 minuti, in modo tale da far sviluppare l’ossigeno dalla reazione, e si legge il valore nella scala tarata del calcimetro.
Per la determinazione dell’ossigeno potenzialmente presente si aggiungono,
sempre in una beuta da 250 mL, 0.5 g di biossido di manganese (MnO2) e 20 mL di carbonato di sodio (Na2CO3) al 10%. In seguito si segue il procedimento in
precedenza descritto. L’ossigeno che si svilupperà da questa reazione è considerato il 100%.
Infine, con il seguente calcolo, si determina l’attività della catalasi espressa in O2 %/3 min. g-‐1 di terreno: differenza tra il volume in mL di O2 sviluppatosi dal campione e quello del controllo, diviso il prodotto tra il volume in mL di O2
potenzialmente presente e il peso secco del campione analizzato.
3.2.3 Ureasi
Il metodo si basa sulla lettura allo spettrofotometro dell’azoto ammoniacale che si produce dalla reazione tra urea e enzima presenti nel campione (Hoffmann & Teicher, 1961).
Inizialmente si mettono 10 g di suolo in un matraccio da 100 mL, dopo si aggiunge 1,5 mL di toluene e si aspetta per 15’. Al termine si addizionano 10 mL di soluzione di urea al 10% e 20 mL di tampone citrato pH 6,7, allo scopo di stabilire le condizioni migliori per l’azione dell’enzima.
Per ciascun campione si prepara un controllo con acqua distillata al posto della soluzione di urea.
Una volta completata la fase preparatoria si miscela, si tappa e si mantiene in incubazione a 37 °C per 3 h. Alla scadenza del periodo di incubazione si porta a volume il matraccio con acqua deionizzata alla temperatura di circa 38°C, si miscela e si filtra immediatamente con filtri veloci (Whatman n° 41). In seguito, si preleva 1 mL di filtrato, si pone in un matraccio da 50 mL cui si aggiungono 9 mL di acqua, 4 mL di soluzione sodio fenato al 12,5% e 3 mL di soluzione sodio ipoclorito. Si attendono 20’ per ottenere il massimo sviluppo del colore, si porta a volume con acqua deionizzata e si effettua la lettura allo spettrofotometro a 630 nm entro 1 h.
I risultati sono moltiplicati per 10 per avere l’azoto formato dall’attività ureasica in 3 h per grammo di terreno (µg N-‐NH4+/g *3h).
3.2.4 Fosfatasi
La procedura di analisi si basa sull’idrolisi del p-‐nitrofenilfosfato aggiunto al campione che rilascia p-‐nitrofenolo, dosabile colorimetricamente (Tabatabai M.A., Bremner J.M., 1969) (Figura 11).