• Non ci sono risultati.

I driver di cambiamento della governance sanitaria

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I driver di cambiamento della governance sanitaria"

Copied!
114
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

Capitolo 1 L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE 1.1 Breve introduzione sui principali passaggi legislativi che hanno portato all’attuale

organizzazione del SSN

1.2 Principali modelli regionali di erogazione dei servizi

Capitolo 2 I DRIVER DI CAMBIAMENTO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

2.1 La sanità, un potenziale volano per l’economia ma ricco d’interdipendenze

2.2 Le Relazioni sulla performance nella Asl: monitoraggio e comunicazione dei risultati raggiunti

2.3 Il finanziamento dei fondi sanitari regionali, tra federalismo e risanamento

2.4 Le risorse umane: strategie organizzative e prospettive per il futuro

2.5 Il processo di aziendalizzazione

Capitolo 3 I MUTAMENTI DIMENSIONALI DELLE ASL REGIONALI 3.1 Il sistema lombardo

3.2 Il nuovo modello sanitario sardo

3.3 Le riforme sanitarie liguri

3.4 Conclusioni

Capitolo 4 CASO PRATICO – LA RIFORMA TOSCANA 4.1 La legge regionale n.84 del 28 dicembre 2015

4.2 I risultati raggiunti

(2)

2

CAPITOLO 1: L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

1.1: Breve introduzione sui principali passaggi legislativi che hanno portato all’attuale organizzazione del SSN

Ripercorrendo le tappe fondamentali che ha seguito l’evoluzione del sistema sanitario nazionale dall’emanazione della Costituzione, si evidenziano due articoli vitali per la creazione del welfare state italiano. Infatti, l’articolo 32 dichiara il diritto all’assistenza sanitaria con queste parole “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, mentre con l’articolo 38 si afferma il diritto all’assistenza sociale per le persone inabili al lavoro e sprovviste di mezzi, legittimando anche l’assistenza privata. Ai lavoratori viene garantito il diritto alla previdenza per disoccupazione involontaria, l’assistenza in caso di malattia, infortuni, vecchiaia e morte.

Il Decreto del Presidente della Repubblica 616/77 “Attuazione della legge di cui art. 1 della legge 22 luglio 1975 n. 382” diviene il punto di partenza imprescindibile per l’introduzione nel nostro paese di nuove misure socio-sanitarie:

❖ assistenza sanitaria ed ospedaliera, assistenza sociale e

beneficenza pubblica, rientrano nel concetto di servizi sociali;

❖ le competenze legislative e programmatiche, sono riassegnate

secondo le nuove regole del decentramento amministrativo, lasciando allo Stato il potere di emanare le leggi quadro, alle Regioni l’applicazione delle politiche locali, ai Comuni ed alle Province le mansioni prettamente operative;

❖ la grandezza territoriale diventa l’architrave per organizzare i

servizi sociali e l’assistenza sanitaria. In particolare, l’articolo 25 del decreto è andato a regolare lo svolgimento associato dei servizi sociali e sanitari al fine di assicurare quella integrazione sociosanitaria che rinforza il messaggio di tutela della salute, non intendendola solamente come assenza di malattia, ma anche come miglioramento del benessere psicologico e relazionale;

(3)

3

❖ vengono abolite le Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e

beneficienza) e di tutti gli Enti nazionali che prestano assistenza sanitaria e sociale, come gli enti mutualistici, le loro mansioni sono transitate sotto la competenza dei Comuni, per portare ad un unico livello orizzontale, cioè i confini comunali, tutte le erogazioni relative ai servizi socio - sanitari;

In coerenza coi contenuti del DPR 616/77 e del decentramento istituzionale in atto, il Parlamento emana una legge a livello nazionale per il settore sanitario, così da definire ruoli e compiti delle diverse unità governative al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale il diritto all’assistenza sanitaria e pari accesso ai servizi.

L’anno seguente viene approvata la legge 23 dicembre 1978 n. 833 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”, che da’ inizio, dopo trent’anni dall’articolo 32 della Costituzione, al passaggio dai principi emanati alla loro messa in pratica. Questa legge si basa su due idee cardini innovative: universalità del diritto alla salute e l’unitarietà/globalità dei bisogni dell’individuo.

Questa visione innovativa risalta già nei primi due articoli della legge proprio dove vengono citate come punti chiave per la cura del paziente, la prevenzione e la riabilitazione, due metodologie nuove e non trattate precedentemente nella cura della malattia. Così viene evidenziata la fondamentale importanza della salute sia fisica che psichica: non viene più intesa solamente come assenza di malattia, ma il concetto si allarga a diversi aspetti della vita del paziente.

La legge introduce il principio dell’integrazione funzionale degli interventi di base sanitari e sociali, fondamentale per assicurare risposte non in contrasto l’una con l’altra, in modo da poter rispettare ed esaltare sia i bisogni universali che particolari del paziente. Fondamentale per comprendere appieno queste disposizioni è l’articolo 1 comma 4 che afferma “Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività”.

Questa normativa vuole innescare un nuovo modo di pensare, di intendere le necessità e le problematiche, ed un nuovo modo di approcciarsi, a cui tutti gli operatori sanitari devono saper adattarsi.

(4)

4 L’articolo 10 della legge dichiara che per ottenere una gestione unitaria della tutela della salute, in maniera eguale su tutto il territorio nazionale, si provveda alla creazione delle Unità Sanitarie Locali; le quali rappresentano il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, che in una determinata area geografica, assumono i compiti del Servizio Sanitario Nazionale.

Le amministrazioni comunali sono chiamate ad articolare le Usl in Distretti sanitari, erogatori dei servizi di primo livello e pronto soccorso. Il Distretto viene presentato come il mezzo ideale per riunificare le tante attività socio-sanitarie.

Durante gli anni Novanta viene messa in atto la regionalizzazione del sistema sanitario attraverso una serie di decreti di riordino, che mutano radicalmente le disposizioni alla base della legge 833/78.

In particolare col decreto legislativo 502/1992 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.421” e la seguente riforma del d. lgs. 517/1993 vengono introdotte alcune novità nel sistema sanitario dando risalto ai principi di razionalizzazione e responsabilizzazione economica rispetto ai servizi offerti. Il fine è la messa a punto di sistemi competitivi, dove la concorrenza porti ad un incremento della qualità, dell’efficacia e dell’efficienza nell’erogare le prestazioni.

Il decreto legislativo 502/1992 introduce all’articolo 1 i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), cioè il ventaglio dei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato ad erogare a tutti i cittadini a titolo gratuito o chiedendo una contribuzione alla spesa. Questi livelli sono specificati e garantiti dalle Regioni attraverso le ASL. Il decreto precedentemente citato ha, infatti, mutato le USL in Aziende Sanitarie Locali con forma di “azienda pubblica” e personalità giuridica, mentre non prevedeva i compiti di pianificazione e di controllo per l’Ente Locale. Il testo normativo dichiarava che l’USL potesse gestire le attività o erogare servizi socio-assistenziali se autorizzati dai singoli enti locali, con i costi integralmente a carico di questi ultimi.

Il decreto legislativo 229/1999 “Norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419” ha mutato e perfezionato la precedente norma 502/1992, facendola passare da decreto di riordino a vera e propria riforma sanitaria.

(5)

5 Questa rafforza i principi fondanti e le finalità della legge 833/78, apportando nuove condizioni al fine di facilitarne il raggiungimento. Per fare ciò vengono enunciati con precisione i diversi livelli di responsabilità che competono alle Regioni, alle Aziende sanitarie e degli Enti locali facendoli rientrare, con questa riforma, nelle procedure decisionali e programmatiche. In particolare questi organi assumono grande rilevanza nel dare il via libera all’attuazione dei piani sanitari e nel controllare la loro messa in pratica. Inoltre attraverso questa norma viene posto un particolare accento sulla qualità, adeguatezza ed efficacia dei servizi erogati, grazie alla dichiarazione del principio di contestualità tra individuazione dei livelli di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale e la designazione del fabbisogno.

Dopo più di vent’anni dalla costituzione del Servizio Sanitario Nazionale, viene promulgata la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” che rappresenta la prima legge organica riguardante i servizi sociali.

La legge 328/2000 prospetta la creazione di un sistema attivo di protezione sociale, pari opportunità e diritti di cittadinanza, per mezzo di:

➢ l’esaltazione di tutte le capacità e la messa in pratica delle potenzialità proprie della persona, del nucleo familiare e delle reti comunitarie;

➢ la valorizzazione del Terzo settore, anche grazie ad una sistemazione delle relazioni col sistema pubblico sociale;

➢ la precisazione su scala nazionale di una serie di servizi essenziali, superando le differenze regionali, al fine di assicurare ai cittadini servizi di base dello stesso livello qualitativo;

➢ la connessione fra le diverse reti: sociale, sanitaria, scolastica e lavorativa, ai fini di una risposta completa ai bisogni della persona, soprattutto a quella più debole;

➢ la definizione a regime di una misura per combattere la povertà fino a quel momento non individuata nel sistema assistenziale italiano;

(6)

6 ➢ la progettazione del cosiddetto “progetto personalizzato” per assicurare percorsi integrati e controllare continuamente la qualità degli interventi pianificati;

➢ la complementarietà degli assegni economici con gli interventi di aiuto all’individuo;

➢ la creazione di un organo istituzionale che guidi le politiche sociali superando la sovrapposizione di compiti fra i diversi enti, per giungere ad una sussidiarietà verticale ed orizzontale che tenga conto delle spinte federalistiche e delle responsabilità di tutte le persone coinvolte.

Un modello integrato di interventi e servizi sociali si crea attraverso programmi ed operazioni pianificati per i diversi ambiti della vita sociale, integrando servizi alla persona ed alle famiglie, prevedendo anche, in alcuni casi, interventi di natura economica e la programmazione di misure per efficientare l’uso delle risorse evitando di creare confusione fra le varie competenze.

Queste prestazioni devono essere disponibili su tutto il territorio nazionale, per difendere il principio dell’uniformità all’accesso. Proprio per difendere tutto questo il comma quarto prevede che le Regioni, rispettando le loro scelte di carattere organizzativo, devono garantire in ogni ambito territoriale, con le dovute differenze distributive a seconda se si tratti di un’area urbana o rurale, la fruibilità prestazioni/servizi di:

a) servizio sociale professionale e segretariato sociale;

b) servizio di pronto intervento sociale;

c) assistenza domiciliare;

d) strutture residenziali e semi-residenziali per soggetti con fragilità

sociale;

e) centri di accoglienza residenziale o diurna a carattere

comunitario;

Sono i Comuni chiamati, individualmente o in maniera consociata, a dirigere l’intera rete d’interventi ed assistenza all’individuo, mentre è di competenza regionale la pianificazione in accordo con le autonomie locali e le organizzazioni sociali.

(7)

7 Con l’approvazione della riforma costituzionale n. 3 / 2001 “Modifiche al titolo V della parte seconda della costituzione”, si è mutato radicalmente il piano di ripartizione delle competenze e delle funzioni fra lo Stato e le Regioni, stravolgendo l’articolo 117 della nostra carta costituente.

I nuovi punti chiave previsti dalla Costituzione riguardanti questi temi si possono così schematizzare:

A. lo Stato mantiene in via esclusiva alcune materie puntualmente

previste all’articolo 117, secondo comma, della carta costituzionale, su cui poter legiferare;

B. alle Regioni vengono assegnate due tipologie di competenze

legislative:

❖ quelle indicate all’art. 117, terzo comma della

Costituzione, da svolgere nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle leggi statali (quindi le leggi regionali sono concorrenziali);

❖ quelle sempre presenti nel medesimo articolo, ma al comma

successivo, su tutte quelle tematiche non riservate allo Stato od alla competenza concorrente, da regolare in maniera “esclusiva”. Quest’autorità in campo legislativo di natura residuale è da esercitare nel rispetto delle limitazioni generali previste sempre nell’art. 117 (si parla di competenze residuali delle Regioni).

Questa riforma della Costituzione rende la materia sanitaria concorrenziale. Infatti, le Regioni hanno potere legislativo in materia osservando le linee guida dettate dallo Stato, che si realizzano nei Livelli Essenziali di Assistenza, viceversa la dimensione dei servizi sociali viene conferita esclusivamente alle Regioni.

Altra novità importante apportata alla sfera delle competenze è prevista dalla legge n. 42/2009 riguardante il federalismo fiscale; su questo tema è stato promulgato il decreto delega n. 68/2011 sull’autonomia di entrate delle regioni a statuto ordinario. Proprio in questo decreto sono individuati i campi della sanità e dei servizi sociali come quelli in cui devono essere assicurati le prestazioni basate sui livelli essenziali.

(8)

8 In questi campi è definita l’implementazione di un modello economico al fine di valutare il fabbisogno standard e dei costi connessi per la definizione della cifra ideale necessaria per mantenere le prestazioni sui livelli essenziali, oppure quale sia il loro costo nei diversi territori e quali finanziamenti siano di competenza in relazione al fabbisogno standard.

Le previsioni sui costi standard diventano di conseguenza il nuovo modello economico da prendere da esempio e sul quale sviluppare un piano di finanziamento integrato dell’attività pubblica riguardante l’erogazione dei servizi socio-sanitari ai cittadini.1

Figura 1. L’Evoluzione del Sistema Sanitario Nazionale

Fonte: D. Biselli, L’organizzazione del sistema sanitario, 2013, www.miopharmablog.it

1.2: Principali modelli regionali di erogazione dei servizi

Il mio elaborato vuole identificare quali sono stati i più significativi driver di cambiamento del sistema sanitario nazionale e quale impatto abbiano avuto sulle dimensioni dei principali modelli regionali. Proprio per questo ho ritenuto doveroso inserire questo paragrafo, al fine di chiarire quali fossero state le scelte organizzative prese dalle amministrazioni regionali in ambito sanitario dopo la riforma del D.lgs. 502/1992 e definire così uno scenario di partenza per la mia analisi. Infatti, a seconda del modello sanitario adottato dalle Regioni, i fattori di cambiamento hanno avuto impatti diversi e, quindi, vi sono state trovate soluzioni differenti.

1Advancing Integration for a Dignifie dAgeing (AIDA), Sintesi dei modelli organizzativi dei distretti

(9)

9 Fondamentali nell’organizzazione di un modello competitivo di mercato, come lo è oggi quello della sanità, sono senza dubbio la separazione dei compiti fra ASL e ospedali e la libera scelta di cui i cittadini possono avvalersi per recarsi nella struttura sanitaria che ritengono più idonea a soddisfare le loro necessità cliniche.

Le Aziende Sanitarie Locali assicurano i bisogni assistenziali ai degenti e, a tal fine, ricevono finanziamenti di trasferimento in base a delle assegnazioni regionali stabilite per singolo paziente ed a seconda del livello di assistenza regolati dal Piano sanitario nazionale.

Per garantire tutto ciò erogano prestazioni preventive, diagnostiche o terapeutiche, in regime di ricovero o ambulatoriali, grazie alle proprie strutture operative, o altrimenti pagandole ad altre unità sanitarie, in corrispondenza di tariffe, se il paziente decide di recarsi ad una realtà esterna rispetto all’ASL di appartenenza (anche privati). Infatti, la più grande novità contenuta nel D.lgs. 502 del 1992 è stata l’abrogazione dell’istituto del convenzionamento, permettendo quindi ad ogni paziente di recarsi liberamente presso qualsiasi struttura sanitaria, pubblica o privata, ed istituendo, di fatto, un mercato concorrenziale.

Di fronte a questa nuova condizione del mercato alle regioni venne concessa ampia libertà nell’impostare i modelli di finanziamento delle strutture sanitarie regionali, creando così le basi per un sistema sanitario federale.

Per semplificare l’esposizione di un argomento così complesso possiamo ricondurre i modelli applicati nelle varie regioni, fondamentalmente, a due schemi competitivi: quello Lombardo e quello Tosco-Emiliano.

In Lombardia si è preferito limitare la funzione erogatrice delle Asl, separando nettamente i soggetti acquirenti e quelli erogatori di servizi. Secondo questa prospettiva le Asl lombarde gestiscono il mercato sanitario acquisendo le prestazioni per i propri clienti-pazienti, mentre agli ospedali pubblici ed alle altre strutture private accreditate viene accreditata la funzione di fornire i servizi sanitari che i distretti delle Asl non erogano. Proprio questi bisogni soddisfatti direttamente dalle Asl attraverso i propri presidi servono a garantire i livelli essenziali di assistenza, previsti dalla programmazione sanitaria.

(10)

10 L’aspetto sicuramente più interessante di questo schema competitivo è che le aziende ospedaliere, una volta corrisposte le necessità del servizio sanitario lombardo, possono erogare aggiuntivi contro pagamento a terzi oppure a istituti accreditati ed ai gestori delle forme integrative di assistenza sanitaria. Questo modello non è privo di difetti, primo fra tutti quello dei vincoli imposti dalla regione alle Asl sull’individuazione dei fornitori dei servizi solamente se accreditati dal SSN; sul calcolo del tariffario delle prestazioni; sulla definizione dei criteri di fornitura delle prestazioni.

Figura 2. Schema dal modello sanitario lombardo

Fonte: Università degli Studi di Milano, www.unimi.it

Nel secondo modello, quello applicato in Toscana ed Emilia Romagna, viene ancora di più rafforzato il ruolo regolatore assunto dalla Regione, che può imporre limitazioni ai processi di erogazione volti alla competizione fra i soggetti accreditati. In questo schema competitivo alle aziende sanitarie locali viene affidata l’assistenza di primo grado, invece le aziende ospedaliere autonome dovrebbero fornire soprattutto prestazioni ad elevata specializzazione. Tutti i soggetti pubblici possono negoziare contratti di fornitura a livello regionale, mentre quelli privati accreditati svolgono principalmente una funzione integrativa dell’offerta. Nello schema toscano le aziende ospedaliere autonome rappresentano i poli maggiormente attrattivi per quei pazienti che richiedono attività specialistiche di rilevanza regionale, ma anche nazionale. I difetti principali che colpiscono questo modello, oltre a possibili casi di poca chiarezza dovuti alla sovrapposizione dei compiti fra pagatori/finanziatoti e fornitori di servizi, nel forte accentramento regionale e nella mancanza di un sistema d’incentivazione collegato al mantenimento di standard qualitativi superiori.

(11)

11 La supervisione delle erogazioni ed il controllo della spesa in ambito sanitario sono gestiti attraverso iniziative concordate dette di “area vasta” pianificate a livello regionale che hanno come tema l’attività delle ASL e ospedali riguardanti la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei loro servizi, proponendo per area vasta la grandezza operativa di misura interaziendale individuata come ottimale per gli atti che vi sono compresi. Proprio alla pianificazione regionale spetta il compito di definire i bacini di utenza delle aziende ospedaliere, cioè i confini territoriali entro i quali queste struttureagiscono come polo di riferimento per l’offerta delle prestazioni specialistiche.

Risulta abbastanza chiaro come il legislatore abbia tentato di organizzare un modello competitivo nel quale gli attori del sistema sanitario non cercano di massimizzare i guadagni, ma puntano a razionalizzare il “sistema” che le aziende pubbliche regionali formano nel loro complesso. In quest’ottica va vista la concertazione, cioè come il mezzo con cui le aziende sanitarie formano relazioni con l’obiettivo di pianificar contratti coi produttori e sviluppare i servizi.

Figura 3. Schema del modello sanitario toscano

(12)

12 Dalle descrizioni di entrambi gli schemi competitivi risulta chiaramente il tentativo di razionalizzare l’erogazione dei servizi sanitari, per mezzo di negoziazioni che hanno la finalità di abbassare la spesa sanitaria, e di allocare le risorse per consentire, attraverso la stabilità economica delle diverse unità sanitarie, il raggiungimento dell’equilibrio economico all’intero sistema regionale.

La contrattazione risulta fondamentale perché disciplina e regolamenta la concorrenza fra le unità sanitarie ed impedisce un rialzo della spesa pubblica a causa dei comportamenti opportunistici tipici della libera concorrenza.

Esiste anche un terzo modello, quello delle Asl - sponsor, anche se trova un’applicazione più ridotta. Le Asl firmano contratti di fornitura e definiscono gli ambiti negoziali, ma anche le verifiche ex-post sui risultati sono svolte dalle aziende sanitarie locali, le quali, quindi, occorrono di capacità e di sistemi informativi adeguati. I pazienti possono recarsi anche da erogatori che non hanno firmato gli accordi contrattuali, però è permesso solamente in caso di assistenza indiretta ed avranno rimborsi al massimo eguali alle tariffe pagate ai fornitori selezionati. La problematica principale di questo schema competitivo è rappresentata dalla necessità di competenze specifiche e flussi informativi spesso deficitarii nelle Asl. 2

Figura 4. Schema del modello sanitario veneto (Asl sponsor)

Fonte: www.regione.veneto.it

2Luca Anselmi e Massimo Saita, La gestione manageriale nelle aziende sanitarie, pp. 4-11, Milano, Il

(13)

13

CAPITOLO 2: I DRIVER DI CAMBIAMENTO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

In questo capitolo cercherò di approfondire quali sono stati gli elementi che, nel corso degli ultimi vent’anni, hanno costretto le Regioni a mutare quegli assetti organizzativi dei modelli sanitari precedentemente illustrati. Essendo una tematica molto vasta ed in continua evoluzione mi sono dovuto informare su molti testi di natura diversa; dai più tradizionali libri, alle riviste economico-sanitarie, anche sui più recenti ed aggiornati articoli e rapporti on-line disponibili su siti specializzati. Per approfondire al meglio ogni singolo driver di cambiamento, ho deciso di dedicare a ciascuno di essi un paragrafo.

2.1: La sanità, un potenziale volano per l’economia ma ricco di interdipendenze

Alla fine del 2015, nel nostro paese, l’ammontare complessivo di risorse che il settore sanitario era riuscito a impegnare, in termini di spesa corrente, aveva toccato la cifra di 149 miliardi di Euro. Scendendo nel particolare, si può notare come non tutta la spesa corrente sia stata finanziata dal Sistema Sanitario Nazionale, infatti ben 34 miliardi di Euro di erogazioni sanitarie private sono stati prevalentemente pagati direttamente dalle famiglie e, solo una piccola parte, sopportata da spesa intermediata. I dati forniti da ISTAT sull’anno 2014 mostrano come la spesa socio-sanitaria si sia attestata intorno alla cifra di 149 miliardi di Euro e quindi rappresenti il settimo settore dell’economia nazionale per prodotto lordo, il sesto se si considera anche la produzione del farmaco, che pesa 24 miliardi. Da un confronto con altre realtà portanti della produttività del nostro paese emerge che l’assistenza socio-sanitaria è leggermente inferiore al segmento più importante della manifattura, cioè quello della realizzazione di macchinari e apparecchiature (152 miliardi), ma risulta avere un peso maggiore di molti altri come per esempio quello finanziario ed assicurativo (142 miliardi), l’agro-alimentare (129 miliardi) ed il tessile - moda (81 miliardi).

Rispetto agli altri settori pubblici, come l’istruzione, circa il 70 % dei finanziamenti stanziati nel Fondo Sanitario Nazionale finisce ad imprese private come pagamento per beni o servizi (case farmaceutiche ed aziende produttrici di materiale sanitario) o per la fornitura di assistenza in nome del SSN (realtà sanitarie private accreditate, farmacie e presidi convenzionati).

(14)

14 Solo il restante 30 % degli esborsi del Fondo è, quindi, impiegato per il pagamento degli operatori pubblici, si arriva al 36 % se consideriamo anche la medicina convenzionata. Considerando questo giro d’affari, si può senza dubbio affermare che la spesa sanitaria pubblica rappresenti una potente leva per la politica industriale del nostro paese; poiché consente, grazie agli acquisti di prodotti e servizi, di influenzare i tassi di crescita di settori ad alto contenuto tecnologico e conoscenze specialistiche. L’indotto collegato alla sanità, come il settore farmaceutico, quello dei medical device e le grandi strutture di cui gli ospedali necessitano s’influenza fra loro e rispecchiano ampiamente gli andamenti del settore e del Sistema Sanitario Nazionale. Parimenti, la ricerca in campo scientifico e il miglioramento della formazione universitaria per quanto riguarda le carriere in ambito sanitario sono garantiti in larga parte dalle politiche intraprese nello SSN. La sanità stessa rappresenta un settore labor intensive, ad elevato tasso tecnologico e che impiega alcune fra le risorse umane più preparate nell’economia del Paese. Proprio per questa serie di caratteristiche la sanità rappresenta una realtà produttiva difficilmente delocalizzabile. Se queste riflessioni oramai sono in larga parte conosciute e prese in considerazione dagli addetti ai lavori, quello che ora diventa opportuno è un cambio di rotta da parte del legislatore. Sono, infatti, sempre più evidenti le interdipendenze fra lo sviluppo generale dell’economia ed il settore della sanità. I livelli di crescita della spesa sanitaria nazionale, e soprattutto, quello degli investimenti privati, si mostrano sempre più connessi a quello del Prodotto Interno Lordo (Figura 5). È chiaro che, considerando i nessi causali, sia in larga parte la disponibilità di investimenti pubblici e privati a caratterizzare l’ammontare della spesa nel settore sanitario; con l’opportunità di dare avvio a tutta una serie di interdipendenze virtuose per rilanciarla crescita economica del paese se la spesa porta a scoperte scientifiche, innovazioni in campo clinico, nuove tecnologie e modelli gestionali. Si deve dunque comprendere come l’ambito sanitario non sia, oppure non sia più, una nicchia che non risente delle fasi di sviluppo o di crisi dell’economia. All’opposto, alla sanità servono investimenti importanti e strategie condivise e specifiche per ogni suo settore, al fine di metterla in condizione di dispiegare tutte le sue potenzialità e renderla finalmente un volano per l’economia.

(15)

15

Figura 5. Tassi di crescita % annuali di spesa sanitaria pubblica corrente, spesa privata e PIL (2005 – 15)

Fonte: conti nazionali Istat, 2014

Dopo le interdipendenze fra i diversi settori, bisogna evidenziare anche il rafforzamento dei legami fra sanità privata e quella pubblica. Questo rapporto è naturale, poiché gli investimenti pubblici e la spesa privata delle famiglie rispondono alla medesima domanda di salute della popolazione. Le direttive pubbliche per regolamentare il settore farmaceutico, la formazione specialistica ed il mercato dei liberi professionisti incidono in maniera indiretta, ma anche direttamente gli investimenti privati, che infatti per quelle interdipendenze viste precedentemente, dipendono per un 14 % dal pubblico. Generalmente, in un continuato ed ampio periodo di tagli della spesa pubblica, in cui i livelli di copertura del SSN calano al diminuire della frequenza degli interventi clinici - assistenziali, le strutture dove sono erogati servizi sanitari privati sono sempre più complementari e utili per sostenere i bisogni di salute.

Per questo motivo molti pazienti, durante i loro periodi di degenza, spinti anche dalle lunghe liste di attesa per usufruire dei servizi garanti dal SSN, attraversano spesso i confini di strutture sanitarie pubbliche e private. Le interdipendenze nascono anche dalla numerosità dei soggetti pubblici e privati che formano l’offerta, coi privati che si caricano di un ruolo sempre più rilevante. Le strutture private erogano servizi in nome del SSN per una cifra pari a 24 miliardi di Euro, circa il 21 % dell’intera spesa sanitaria pubblica. Per dimostrare la crescente importanza delle interdipendenze per quanto riguarda l’offerta di servizi sanitari è utile come esempio la mobilità ospedaliera interregionale nel SSN: il calo delle quote di mercato delle aziende pubbliche è stato completamente ripreso dai soggetti privati accreditati.

(16)

16 Un nuovo strumento sta portando al rafforzamento delle relazioni fra strutture private, assicurazioni e sanità pubblica: le assicurazioni sanitarie complementari, che hanno raggiunto 11 milioni di persone alle quali, però, garantiscono delle coperture modeste.

Tabella 1. Andamenti spesa sanitaria pubblica corrente, spesa privata ed incidenza sul PIL (2005-15)

Fonte: dati Istat ed Eurostat

Questi dati (Tabella 1) ci costringono ad osservare la sanità come un settore compatto, composto da soggetti pubblici e privati fortemente connessi. Continuare a utilizzare criteri gestionali a comparti separati rischia di aumentare le disparità, le

diseguaglianze e rendere insostenibile il mantenimento di un buon sistema sanitario.3

2.2: Le Relazioni sulla performance nella Asl: monitoraggio e comunicazione dei risultati raggiunti

L’adozione di un approccio alla gestione delle aziende sanitarie improntato secondo i principi della qualità è stato introdotto nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, anche dal legislatore, che ha legiferato il controllo di qualità per le prestazioni erogate dal S.S.N. in una serie di disposizioni sulla partecipazione e sulla tutela dei cittadini (vedi D lgs 502/1992 e successive modifiche contenute nel 517/1993). Inizialmente il controllo di qualità fu visto sotto una cattiva luce da molti autori, perché si temeva che il ministero della Salute volesse introdurre elementi per tagliare la spesa e non volti ad un reale miglioramento qualitativo dell’assistenza sanitaria.

3SDA e CERGAS Bocconi, a cura di Patrizio Armeni, Lorenzo Fenech, Alessandro Furnari, Francesco Longo,

(17)

17 Cadute le perplessità iniziali che questi decreti legislativi avevano suscitato, sono evidenti i molteplici elementi positivi apportati al sistema sanitario, in particolare, al controllo della qualità, quantità e costo delle erogazioni sanitarie vengono assegnati un ruolo ordinario nell’ambito delle strutture sanitarie. Questo comporta che il controllo di qualità dei servizi erogati non può costituire un’attività realizzata in circostanze uniche durante la gestione operativa ed, in particolar modo, deve essere costituita da organi esterni al presidio sanitario, anzi deve diventare un’abitudine di quest’ultimo. “Attraverso queste regole si rende esplicito e cogente il principio per il quale tutta l’organizzazione (modelli organizzativi, flussi informativi istituti normativi relativi al rapporto di lavoro dipendete, rapporti coi soggetti pubblici e privati) deve risultare coerente e funzionale con il pieno esercizio dei suddetti strumenti del controllo di qualità. Il che implica la necessità di intervenire per modificare, se necessario, gli assetti

esistenti”4. Per quanto riguarda, però, la procedura da impiegare per il controllo, viene

suggerita la Verifica e Revisione della Qualità, che si concretizza in un processo formalizzato e sistematico con la finalità di misurare il livello qualitativo delle cure mediche, individuare eventuali problemi riscontrati, proporre le attività necessarie a risolverli e controllare nel tempo che queste azioni siano state efficaci; così facendo il legislatore ha evitato di imporre metodologie create per contesti lontani da quello sanitario e scelto un approccio, quello di “Verifica e Revisione della Qualità”, proprio dei servizi sanitari e che quindi non dovrebbe creare attriti fra gli operatori.5

In questo contesto, assume rilevanza la redazione della Relazione sulla performance prevista dal D. Lgs. 150/2009. Infatti, la rilevanza che le comunità attribuiscono alla soddisfazione del “bisogno salute” e la grande somma di finanziamenti pubblici investito in ambito sanitario hanno acuito la necessità di misurare le performance degli erogatori non solamente per facilitare la pianificazione ed il controllo di gestione, ma anche per logiche di accountability esterna in termini per l’appunto di performance - based accountability.La logica perseguita è quella della content analysis con i contenuti previsti dalle Relazioni sulla performance 2013 pubblicati online dalle aziende sanitarie locali.

4Verdecchia G., La qualità percepita nel riordinamento del Servizio Sanitario Nazionale, in Trabucchi M.

(a cura di), I cittadini e il Sistema Sanitario Nazionale, pag. 105, Bologna, Il Mulino, 1996.

5Adelaide Ippolito, Le politiche e gli strumenti dell’empowerment dei fruitori nelle aziende sanitarie,

(18)

18 L’accountability è una logica relativa poiché l’attività di rendicontare si adatta in maniera differente a seconda del periodo storico, del contesto culturale, agli attori coinvolti, all’oggetto della misurazione e dai mezzi che si hanno a disposizione. Si parla, quindi, di performance - based accountability se il focus su cui si concentra l’analisi sono i risultati raggiunti all’interno di un ambito definito. Questo sistema di misurazione deve essere inteso come un insieme di procedure, politiche, di criteri e standard che guidino la selezione, l’approfondimento e la rappresentazione dei dati sia qualitativi che quantitativi.

Con specifico riferimento agli erogatori dei servizi sanitari di uno Stato, il dettaglio d’analisi delle performance può essere approfondito a livello di:

• sistema sanitario nazionale, rappresentando così tutti i servizi

sanitari offerti sul territorio nazionale;

• sistema sanitario regionale, presentando l’attività delle aziende

sanitarie presenti su un preciso ambito territoriale;

• singola azienda sanitaria;

• ciascun dipendente (dottore, tecnico amministrativo);

Nell’ultimo periodo, pure nel nostro paese, è stata messa in risalto la necessità della performance measurment, anche se è doveroso precisare come nella sanità italiana già da anni si siano diffusi sistemi di misurazione sui servizi erogati ed i risultati raggiunti. Facendo un breve excursus storico possiamo notare come nel 1993 era stata istituita l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), che fra i suoi compiti doveva procedere alla valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi sanitari resi ai pazienti. Nel 1995, il Ministero ha, poi, richiesto che le aziende sanitarie gli indicassero un insieme di indicatori sanitari per verificare lo stadio di attuazione del Piano sanitario nazionale. Sempre il Ministero, a partire dal 1997, ha cominciato a rendere disponibili diverse banche dati contenenti informazioni di diverso tipo (report sulle schede di dismissioni dei pazienti, dati sul personale e rapporti economici). Fra il 2001 ed il 2005 sono stati impostati il Nuovo Sistema Informativo Nazionale (NSIS) ed il Sistema Nazionale di Verifica e Controllo sull’Assistenza Sanitaria (SIVeAS) per formare una nuova banca dati a livello nazionale e controllare la qualità dei servizi sanitari forniti e l’impiego efficiente dei fattori produttivi.

(19)

19 Ulteriori novità sono presenti nel Patto per la Salute 2007-2009 ed in quello successivo, valido per il biennio 2010-2012, che infatti introducono il principio dell’auto-valutazione da parte delle Regioni per le attività svolte dalle Aziende sanitarie presenti sul proprio territorio, attraverso indicatori predeterminati di adeguatezza, efficacia ed efficienza. Infine, nell’ultimo Piano per la Salute 2014-2016 vengono previste punizioni come l’incremento automatico delle aliquote di certe imposte per fronteggiare il buco nei bilanci delle aziende sanitarie, evidenziando con forza la necessità di controllare periodicamente le performance economico-finanziarie.

Nell’ultimo decennio, oltre alla necessità di misurare i risultati degli erogatori sanitari, è cresciuta la domanda di accountability esterna e di chiarezza a cui la “riforma Brunetta” (L. 15/2009 e D. Lgs 150/2009) ha provato a rispondere. Tuttavia bisogna sottolineare come questa normativa non abbia trovato immediata attuazione a causa dell’autonomia riconosciuta alle regioni nell’ambito della regolamentazione della sanità. La fase di adeguamento da parte delle regioni si sta dimostrando più lunga del previsto, anzi ad oggi solo la regione Lombardia ha recepito le disposizioni contenute nel D. Lgs. 150/2009. Questi ritardi da parte delle amministrazioni regionali non devono essere visti solamente con una visione critica, perché molte regioni (Emilia-Romagna, Basilicata, Liguria, Toscana, Umbria, …) risultano essere già in possesso si strumenti di misurazione e di comunicazione delle performance dei propri sistemi sanitari. Da un’indagine comparsa sulla rivista specializzata MecoSanè emerso come nel periodo fra il 2012 ed il 2014, cioè il primo triennio in cui è stata applicata la Riforma, le 145 Asl italiane hanno realizzato e reso disponibili solamente 110 Relazioni sulle performance rispetto alle 433 che avrebbe dovuto predisporre (Tabella 2). Unica nota positiva emersa è il costante aumento, sia numerico che qualitativo, dei report pubblicati durante questo triennio.

(20)

20

Tab. 2. Relazioni sulle performance pubblicate online (2011-13)

Fonte: Banca dati del Ministero della Salute. www.salute.gov.it

Gli studiosi hanno provato ad approfondire questi numeri attraverso due variabili come la dimensione (intesa come numero dei residenti, dei dipendenti e dei posti letto) e la localizzazione geografica delle Asl (con annesso modello organizzativo) che hanno fornito i report. Così, più grande è il bacino dell’Azienda sanitaria locale, maggiori saranno: la visibilità esterna, le richieste degli stakeholder, la complessità organizzativa e la mole delle informazioni.

Regioni N di Asl Relazioni sulle performance riferite all’anno 2011 2012 2013 Totale documenti Abruzzo 4 0 2 2 4 Basilicata 0 0 2 2 4 Calabria 5 0 0 2 2 Campania 7 1 0 1 2 E. -Romagna 11 1 1 3 5 F. V. Giulia 6 0 0 1 1 Lazio 12 0 4 5 9 Liguria 5 0 1 3 4 Lombardia 15 0 12 10 22 Marche 1 0 0 0 0 Molise 1 0 0 0 0 Piemonte 13 0 2 2 4 P.A. Trento 1 0 0 0 0 P.A. Bolzano 1 0 0 0 0 Puglia 6 0 0 1 1 Sardegna 8 0 4 5 9 Sicilia 9 2 8 8 18 Toscana 12 0 2 4 6 Umbria 4 0 0 0 0 Val d’Aosta 1 0 0 0 0 Veneto 21 0 2 17 19 Totale 145 4 40 66 110

(21)

21 Le Aziende sanitarie che presentano, quindi, un numero maggiore di ricoveri, di dipendenti, di dirigenti e di posti letto dovrebbero essere spinte ad adottare gli strumenti di misurazione ed esposizione delle performance previsti dalla Riforma Brunetta, rispetto a quelle con dimensioni minori.

Per la localizzazione geografica è stata adottata la classica suddivisione in tre macro-aree: Nord - Italia, Centro - Italia e Sud ed Isole e il collegamento allo schema organizzativo regionale (regionale accentrato, Asl erogatrice, Asl sponsor). A seconda de posizionamento geografico, infatti, si avranno fattori economici e culturali che influenzeranno la propensione all’innovazione. Nel nostro paese le maggiori difficoltà nel reperire relazioni performance delle Asl sono emerse nelle Regioni meridionali, dove tradizionalmente ci sono difficoltà nell’introdurre strumenti di accountability. Se questa supposizione è avvalorata dai numeri, perché di 66 relazioni ben 36 sono pubblicate su siti di regioni settentrionali, solo 21 da quelli della macro-area “sud e isole” e di restanti 9 sono disponibili per il “Centro”, non vale lo stesso per la dimensione. Infatti, secondo i dati ministeriali, il numero del bacino d’utenza delle asl risulta a livello nazionale con una media di circa 431.000 abitanti, mentre quella delle 66 aziende che hanno reso disponibile i report è pari 402.000 abitanti. Questo potrebbe portare a considerare la complessità organizzative ed un gran numero di dipendenti e pazienti come punti deboli per avere chiarezza sulla performance erogate.

Il sistema organizzativo sanitario regionale seguito, invece, non rappresenta una discriminante perché sono presenti tutti e tre, con una prevalenza di quello accentrato (41 su 66).

Purtroppo è praticamente impossibile fare un confronto fra i contenuti delle Relazioni sulla performance perché i contenuti sono molto eterogenei, nonostante le Regioni siano chiamate a rispettare le linee guida dettate a livello Nazionale. L’unico fattore che accomuna i report è la forma espositiva; cioè la tabella con indicati le descrizioni degli obbiettivi raggiunti, le risorse umane, tecnologiche e finanziarie impiegate.

Una criticità di questi report è che le performance sono decontestualizzate, cioè non viene dato sufficiente rilievo alle condizioni socio-economiche, demografiche ed epidemiologiche del bacino d’utenza in cui sono state raggiunte.

(22)

22 È inoltre emerso che, tranne in rari casi,accanto al servizio erogato ed ai risultati raggiunti vengono riportati anche strategie, obbiettivi, indicatori e target attesi. Questo permette agli stakeholder di paragonare rapidamente e facilmente il conseguimento o meno degli obbiettivi programmati ed un bilanciamento fra le informazioni quantitative e qualitative.

Le informazioni di carattere economico emergono anche grazie a quei documenti contabili sui costi sostenuti e le rimanenze a disposizione, che le Asl redigono per dimostrare la sostenibilità’ dei servizi sanitari che erogano.

Purtroppo una dimensione d’analisi poco strutturata è l’efficacia qualitativa, infatti temi come la mobilità attiva e passiva dei cittadini-pazienti, le liste d’attese e le opinioni dei degenti sui servizi sanitari vengono, generalmente, poco approfondite (presente solo nell’8% dei report).

Un altro tema che non viene assolutamente studiato da chi realizza i report sulla performance sono le cause del mancato raggiungimento degli obbiettivi, rischiando di trasformare questo documento in un semplice mezzo comunicativo privo di qualsiasi impatto sulla seguente fase di programmazione degli obbiettivi e che permette agli stakeholder di comprendere solo parzialmente ragioni del mancato conseguimento del target. Emergono, infatti, molti dubbi su una circostanza: questi report indicano quasi sempre il completamento totale degli obbiettivi o comunque percentuali di successo vicine al 100%. Questo comporta un rischio,che questi report diventino autoreferenziali, a causa di obbiettivi e di target definiti su livelli troppo prudenziali.

In conclusione, da questo studio emerge come, a partire dal 2012, solamente il 50% delle Asl ha reso disponibile online almeno una relazione sulle performance. Stiamo parlando di aziende sanitarie con dimensioni ridotte rispetto alla media nazionale e questo sottolinea l’assenza di un’influenza positiva fra la propensione alla chiarezza e la numerosità del bacino d’utenza e la conseguente complessità organizzativa. Dietro queste cifre potrebbe esserci la mancata collaborazione delle regioni, le quali hanno spesso delegato alle singole Asl la predisposizione della riforma, senza fornirli un adeguato aiuto. Questa mancata collaborazione fra erogatori di servizi sanitari e Regioni potrebbe essere ricondotta ai sistemi di misurazione e comunicazione delle performance che le regioni avevano già introdotto prima della riforma.

(23)

23 Oppure, più semplicemente, le amministrazioni regionali non capiscono l’utilità di creare dei report sulla performance, ma ne colgono solo eventuali rischi. Ad oggi, quindi, possiamo affermare che l’obbligo normativo di predisporre una performance measurment e della trasparenza non ha portato a migliorare il livello di accountability verso gli stakeholder, infatti solamente 72 Asl su 145 hanno pubblicato almeno una relazione sulla performance nel triennio considerato. Probabilmente per migliorare questa situazione le Regioni dovrebbero collaborare maggiormente con le Asl, le quali dovrebbero proporre obiettivi realmente sfidanti, riservare più attenzione alla soddisfazione del paziente e coinvolgere nel processo decisionale tutti i livelli dirigenziali. Per rendere attuabile tutto questo servirà modificare l’assetto organizzativo, introducendo un sistema di negoziazione degli obiettivi in fase di pianificazione, di controllo costante e degli scostamenti a consuntivo6.

2.3: Il finanziamento dei fondi sanitari regionali, tra federalismo e risanamento.

Il sistema sanitario di quasi - mercato è basato su una logica di finanziamento mista, che somma le quote da trasferimento a quelli ottenuti attraverso le imposte ai pazienti, volto ad orientare la spesa sanitaria ai livelli di domanda, invece che a quelli dell’offerta, ed a portare incentivi volti ad incrementare la qualità dei servizi e ad un uso efficiente delle risorse.

Con le riforme approvate durante gli anni Novanta, si è inaugurato un periodo di incisivi e continui cambiamenti aventi lo scopo di attivare un progressivo passaggio di poteri e di responsabilità per il controllo della spesa dallo Stato centrale a quello regionale. Infatti, se consideriamo che il decennio precedente, gli anni Ottanta, era stato contraddistinto da un sostanziale accentramento del finanziamento e della distribuzione del Fondo Sanitario Nazionale da parte del governo centrale alle Unità Sanitarie Locali attraverso il criterio della spesa storica, i decreti di riordino hanno permesso alle regioni l’autonomia finanziaria grazie alle leve dei contributi sanitari, delle tasse locali e della compartecipazione alla spesa, per assicurare livelli assistenziali maggiori rispetto ai LEA e per coprire eventuali deficit di bilancio.

6E. Bonollo e M. Zuccardi Merli, Le Relazioni sulla performance nelle aziende della sanità pubblica:

verso una maggiore trasparenza dei risultai raggiunti. Un’analisi empirica, Milano, MECOSAN, FrancoAngeli, 2016.

(24)

24 La sottostima del fabbisogno finanziario rispetto alle necessità assistenziali causava gravi disavanzi nei bilanci regionali, ripianati attraverso trasferimenti mirati da parte dello Stato o direttamente dalle Regioni con l’accensione di mutui. Di fronte a questo scenario, le Regioni chiedevano con sempre più forza maggiore autonomia e questo porta ad avviare l’iter legislativo per il federalismo fiscale col D.lgs. 56/2000. Questo decreto, per evitare che l’autonomia finanziaria provocasse gravi squilibri nell’assistenza sanitaria fra le Regioni più virtuose e quelle più indigenti, istituiva un fondo perequativo nazionale, per finanziare le realtà territoriali più povere. L’8 agosto 2001 Governo e Regioni siglarono il primo Patto di Stabilità per la salute, col quale l’amministrazione centrale forniva a quelle regionali risorse finanziare per azzerare i disavanzi pregressi ed assegnava ad esse la responsabilità di ripianare quelli futuri, grazie a mezzi di controllo della domanda e politiche di finanziamento per incrementare le entrate. Questo schema di finanziamento basato sulla negoziazione fra Stato e Regioni è stato, poi, riproposto nelle leggi finanziarie del 2003 e del 2005, con quest’ultima che ha previsto per la prima volta i “Piani di Rientro”. L’intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009 ha introdotto, fra le varie misure adottate per il triennio 2010-2012, i costi standard come parametri di riferimento per il finanziamento dei LEA. “L’obiettivo dei Piani di Rientro è la realizzazione, entro tre anni dalla sottoscrizione, del pareggio di bilancio, attraverso una razionalizzazione stringente dei programmi di spesa, un intervento strutturale sull’offerta complessiva dei servizi sanitari e l’introduzione di sanzioni per le Regioni inadempienti. In particolare questi piani presentano programmi per la riorganizzazione della rete ospedaliera, dell’assistenza territoriale e di quella socio-sanitaria, per l’accreditamento delle strutture private, per il controllo dell’assistenza socio-sanitaria, per la gestione degli acquisti dei beni e dei servizi e per la gestione delle risorse umane”.7

Ad oggi il sistema di finanziamento risulta composto da tre stadi.

1. Al primo lo Stato stabilisce i LEA e contemporaneamente la cifra

del FSN che allocca alle Regioni secondo dei parametri rappresentanti la necessità di assistenza prospettica della popolazione;

7G. Zuccatelli, C. Carbone, F. Lecci, Trent’anni di Servizio Sanitario Nazionale, p.133, Il mulino, Milano,

(25)

25

2. le Regioni hanno il compito di allocare i Fondi Sanitari Regionali

alle Asl, seguendo sempre quei parametri basati sul bisogno di assistenza in prospettiva della popolazione, ma non obbligatoriamente identici a quelli stabiliti a livello centrali;

3. al terzo ed ultimo livello troviamo le ASL, che assumono il ruolo

di fundholder, sovvenzionando i servizi erogati dalle aziende sanitarie o dalle cliniche private in regime di ricovero e di ambulatorio ai degenti in base di tariffe stabilite dalle regioni.

Abbiamo visto che l’allocazione del FSN alle regioni, e da queste alle ASL, è vincolata a dei parametri che rappresentano la variabilità del consumo da parte delle diverse popolazioni, in accordo coi principi di suddivisione su base capitaria ponderata. Proprio i parametri scelti per ponderare la quota capitaria differenziano i metodi distributivi regionali da quelli nazionali. Oltre alla numerosità della popolazione, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha stabilito, come pesi per ponderare la quota capitaria, fattori demografici (densità della popolazione, età media, …), epidemiologici (ad es. infantile e perinatale), sociali (reddito pro-capite, tasso di disoccupazione, …), geografici (kmq collinari, pianeggianti, …), le dimensioni quantitative e le caratteristiche qualitative dell’ambiente sanitario (numero posti letto, presenza di Università, . . .).

Gli erogatori presenti sul quasi - mercato, quindi i presidi interni alle Asl, le aziende ospedaliere e le cliniche private accreditate, ricevono pagamenti per mezzo di un sistema basato sul numero delle prestazioni realmente fornite ai malati, i quali hanno la libertà di recarsi presso qualsiasi struttura sanitaria sul territorio nazionale per ricevere le cure necessarie. Il mercato interno che si viene a creare è unito dai sistemi di tariffe stabiliti a livello regionale, che rende possibile ancorare i finanziamenti degli erogatori ai volumi dei servizi forniti e, quindi, anche alla domanda stessa. La lacuna principale che emerge dalle relazioni fra le istituzioni statali e le aziende pubbliche sta nel dover mantenere un equilibrio economico, seppur precario, nelle realtà aziendali che dipendono dai servizi pubblici e, proprio per questo, optano per soluzioni che spesso finiscono per proteggere gli interessi della comunità più del bilancio. Infatti, i tariffari non compensano i costi, perché questi ultimi sono calcolati in condizioni del tutto teoriche di efficienza operativa media, provocando una cifra di finanziamento più bassa rispetto alle soglie considerate fisiologiche, con possibili e pesanti conseguenze sulla

(26)

26 tenuta economica. Gli schemi di finanziamento prospettico a prestazione utilizzano il ricovero come unità di misura dei servizi erogati dai presidi ospedalieri. Visto che i ricoveri richiedono spesso servizi eterogenei, vengono usualmente concentrati in classi omogenee: i Diagnostic Related Group (DRG, ne sono stati individuati circa 500 nella sanità italiana). I DRG possono nascere dall’applicazione di diversi parametri: gravità delle condizioni in cui versa il malato (due ricoveri dovuti a patologie diverse sono posti all’interno del medesimo DRG perché i degenti mostrano il solito profilo di urgenza); in relazione alla gravità della malattia; in relazione a diagnosi omogenee alle quali sono prescritte cure molto simili (c.d. sistemi iso-risorse). Per ogni suddivisione viene stabilita una tariffa unica con la quale remunerare eventuali ricoveri.

Negli schemi iso-risorse i tariffari indicano un obiettivo di efficienza ottimale in relazione alle singole prestazioni e dovrebbero incentivare un percorso di standardizzazione delle procedure diagnostiche, ma anche delle terapie e delle attività di supporto necessarie alle cure. Le tariffe non ricompensano, infatti, i costi realmente accollati, ma quelli standard che dovrebbero essere stati sostenuti.

Da un punto di vista esclusivamente gestionale, il sistema DRG iso-risorse è impiegato per realizzare due incentivi basilari:

a) Il contenimento dei processi di erogazione, volto ad eguagliare

l’efficienza operativa rispetto alle tariffe;

b) L’incremento dei livelli qualitativi, dal quale dovrebbe dipendere

una maggiore forza attrattiva della domanda.

Bisogna, però, anche sottolineare il rischio di risultati imprevisti e dannosi, causati dal comportamento opportunistico dei presidi sanitari e spesso dovuti alla necessità di contenere i costi, che possono provocare un calo della qualità del servizio o alla sovrapproduzione connessa alla saturazione della capacità produttiva.

La tenuta economica di un sistema di finanziamento misto è inoltre basata sull’adeguatezza dei trasferimenti a quota capitaria destinati all’assistenza ospedaliera e le tariffe. Perché la quota sostiene ex ante il sistema in corrispondenza di livelli assistenziali predefiniti e raggruppati nei DRG. La mancata corrispondenza fra quote capitarie e tariffe provoca una differenza fra l’ammontare delle risorse finanziarie introdotte nel sistema ed i flussi finanziari che avvengono grazie agli scambi di prestazione all’interno del quasi mercato.

(27)

27 Il primo tariffario fu introdotto nel 1994 attraverso un decreto ministeriale al quale si sarebbero dovute adattare le Regioni in ritardo nel definire le proprie tariffe. Questo tariffario è stato più volte ritoccato negli ultimi anni, fino alle nuove tariffe predisposte dal d. m. del 18 ottobre 2012.

L’approfondimento di alcune voci di costo ospedaliere, come una differente complessità organizzativa, gli investimenti in Ricerca, il numero del personale, … hanno convinto le amministrazioni regionali a differenziare i propri tariffari (per un range di variabilità massimo concesso dal Ministero del 20%) a seconda del tipo di erogatore, considerando gli eventuali scostamenti del costo di erogazione rispetto alla media. La cifra pagata per i ricoveri ordinari rimane invariata all’interno di un tetto espresso in giorni, oltre il quale il ricovero diventa anomalo. Così la cifra corrisposta viene incrementata pro die per i giorni di degenza non previste. L’immutabilità della tariffa spinge gli operatori sanitari a contenere la durata della degenza, per aumentare il margine di guadagno, ed incentiva la competizione fra essi nell’efficientamento dei costi all’interno dei livelli contenuti nel tariffario.8

Il Sistema Sanitario Nazionale ha messo in sicurezza e rafforzato nel 2015 il conseguimento dell’equilibrio di bilancio, che possiamo così finalmente valutare come strutturale e non più eventuale. Infatti, a partire dal 2012 il SSN segna un piccolo avanzo di amministrazione, valutando l’aumento automatico delle aliquote fiscali regionali per i territori che risultavano ancora dei buchi di bilancio. Nel 2015, l’avanzo era pari a 346 milioni di Euro, pari allo 0.3 % del Fondo Sanitario Nazionale cui vanno sommati ricavi ed entrate proprie delle strutture sanitarie. I meccanismi per riequilibrare eventuali deficit rappresentano un insieme strutturato di incentivi volti a sostenere i singoli Sistemi Sanitari Regionali, responsabilizzando le amministrazioni regionali ed i loro mezzi di rappresentanza.

A proposito di questo tema, una notizia importante è la raggiunta convergenza all’equilibrio finanziario di quasi tutti i sistemi sanitari regionali. La Figura 6 indica gli andamenti dei deficit registrati annualmente dai Sistemi Sanitari Regionali, suddividendoli nelle tre classiche macro-aree del nostro paese: Nord, Centro e Sud-Isole.

8L. Marinò, L’azienda pubblica nel quasi- mercato. Il management sanitario tra autonomia formale ed

(28)

28

Figura 6. Andamento dei disavanzi regionali registrati annualmente, divisi per macro-area geografica, mln €, 2001-2015

Fonte: elaborazioni OASI su dati Ministero della Salute

Il dato che risalta subito è il rapido calo dei disavanzi del Centro-Sud a partire dalla metà degli anni Duemila. I deficit più gravi che sono rimasti da risanare gravano, tuttavia, su tre regioni fra le meno popolate: Sardegna con 340 milioni di rosso; Liguria con 110 milioni ed il Molise con 23 milioni.

Il raggiunto equilibrio di bilancio e il corrispondente buon andamento della finanza regionale sono ancora più rilevanti se pensiamo durante quale grave crisi economica sono stati conseguiti, in cui gli investimenti pubblici ed i livelli di spesa privata non sono aumentati ed i trend epidemiologici sono in peggioramento. Pure il saldo dei debiti pregressi, almeno per quanto riguarda i fornitori del Servizio Sanitario Nazionale, si evidenziano numeri positivi. A livello nazionale, nell’arco temporale 2012-2016, le tempistiche di pagamento degli erogatori sanitari pubblici sono state dimezzate, scendendo da 307 giorni a 161 come segnalato da Assobiomedica in un rapporto del 2016. Naturalmente questo deve essere un punto di partenza, infatti è possibile ridurre ancora queste tempistiche, ma sicuramente sono ancora più incoraggianti dati che riportano quelle regioni contraddistinte da sempre da ritardi nei pagamenti come la Calabria, che ha dimezzato i giorni medi di pagamento (passando dai 1010 giorni registrati nel 2012 ai 532 del 2016), il Molise li ha ridotti di oltre 200 giorni (da 934 a 706) e la Campania li ha più che dimezzati (da 805 a 276). In questo ambito, i finanziamenti arrivati dallo Stato centrale hanno svolto un ruolo chiave (D.L. 35/2013 e D.L. 66/2014).

Infine possiamo affermare che l’iter di risanamento economico finanziario è stabilmente iniziato ed ha già conseguito traguardi importanti.

(29)

29 Questo ripianamento è solo parzialmente dovuto ad un incremento dell’efficienza organizzativa, ma è derivato soprattutto da tagli netti alla spesa, che hanno avuto impatti significativi sui servizi erogati e sulla copertura dei bisogni dei cittadini.9

In occasione del 6°Healthcare summit organizzato dal Il Sole 24Ore tenutosi lo scorso Ottobre, il presidente dell’osservatorio Gimbe, Nino Cartabellotta, ha sottolineato tutti i tagli subiti dal Fondo SSN:

➢ Dicembre 2016: la Legge di Bilancio 2017 definisce il fabbisogno

sanitario nazionale standard di 113 miliardi di Euro per il 2017, 144 miliardi per il 2018 e 115 per il 2019;

➢ Aprile 2017: il Def, documento di economia e finanza, per il 2017

prevede che il rapporto tra spesa sanitaria e Pil calerà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018 ed al 6,4% nel 2019.

➢ Giugno 2017: il decreto “Rideterminazione del livello del

fabbisogno sanitario nazionale” riduce il finanziamento di 423 milioni per il 2017 e di 604 milioni per il 2018.

➢ Luglio 2017: secondo la “Relazione sulla gestione Finanziaria

delle Regioni, esercizio 2015” della Corte dei conti nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di 10, 51 miliardi, rispetto ai livelli programmati.

➢ Luglio 2017: il 4° rapporto sul monitoraggio della spesa sanitaria

pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato attesta che dal 2001 al 2005 la spesa sanitaria è cresciuta ad un tasso medio annuo di circa il 7,5 %. Dal 2006 al 2010 del 3,1% e dal 2010 al 2016 è diminuita in media dello 0,1 % annuo.

➢ Settembre 2017: la nota di aggiornamento al Def 2017 non

prevede alcuna variazione assoluta della spesa sanitaria pubblica, stimando 114.138 miliardi per il 2017, 115.068 nel 2018, 116.105 nel 2019 e 118.570 nel 2020.

9SDA e CERGAS Bocconi, a cura di Patrizio Armeni, Lorenzo Fenech, Alessandro Furnari, Francesco

(30)

30

➢ Mentre, pur certificando una crescita del Prodotto interno lordo

dell’1,5 % per gli anni 2017-2019, il rapporto fra spesa sanitaria e Pil si riduce dal 6,6% del 2017 al 6,4 % nel 2019. Nel 2020 cala di un altro decimale per arrivare al 6,3%.10

2.4: Le risorse umane: strategie organizzative e prospettive per il futuro

In Italia, le ultime rilevazioni disponibili sul sito ministeriale riguardanti il numero del personale delle strutture sanitarie risalgono al 2009, quando si contavano 812.263 unità di operatori sanitari impiegati quotidianamente fra strutture pubbliche, ospedaliere e territoriali e nelle case di cura private convenzionate con le Regioni. In particolare, possiamo segnalare che sono 156.636 i tecnici (assistenti sociali, collaboratori, analisti, …); 94.481 i responsabili amministrativi e 2.574 i professionisti (architetti, avvocati, religiosi). Mentre per quanto riguarda i ruoli sanitari, il personale medico è formato da 144.068 unità e 311.188 infermieri. Quindi il rapporto medico/infermiere è pari a 1:2,2 (Tabella 3).

Tab. 3: Personale operante nelle strutture sanitarie pubbliche, equiparate alle pubbliche e private accreditate (2010)

Fonte: Ministero della Salute – Sistema Informativo Sanitario

10www.aboutpharma.com

(31)

31 Per quanto riguarda la formazione nella Sanità nazionale, la Commissione Nazionale per la Formazione Continua in Medicina (ECM) ha evidenziato, fra gli obiettivi più rilevanti per il SSN e per i SSR, la formazione continua quale punto fermo per aggiornare le competenze dei professionisti. Il Nuovo Sistema di Formazione Continua è stato iniziato in principio come unica tipologia cui sono stati accreditati i nuovi obiettivi già dal 2010 con l’affiancamento dei provider che forniscono la formazione a distanza.

I temi chiave per l’accreditamento dell’offerta formativa ECM sono:

✓ L’umanizzazione delle cure: trattamento del dolore acuto e

cronico; palliazione;

✓ La qualità dei sistemi e dei processi clinico - assistenziali;

applicazione nella pratica quotidiana dei principi e delle procedure dell’Evidence - Based Practice (EBM, EBN, EBP); appropriatezza delle prestazioni sanitarie nei LEA; sistemi di valutazione, verifica e miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia; aspetti relazionali (comunicazione col paziente) e umanizzazione delle cure:

✓ La conoscenza in tema di competenze specialistiche; contenuti

tecnico-professionali (conoscenze e capacità) specifici di ciascuna professione, specializzazione ed attività ultra specialistica.

Connesse alle tematiche sopraindicate, i corsi di aggiornamento riconducibili alle urgenze del SSN, impiegando la formazione a distanza, hanno segnato per il 2011 un buon aumento: dalle 119 domande di accreditamento del 2010 (con una previsione di 180.000 iscritti) sono state proposte, per il 2011, oltre 450 richieste di accreditamento (iscritti previsti all’incirca 880.000).

L’umanizzazione delle cure, la qualità dei sistemi e dei processi clinico - assistenziali e la conoscenza in tema di competenze specialistiche sono state temi di approfondimento da parte degli erogatori dei corsi di formazione per il 2011.

Riguardo alle altre, infatti, ulteriori offerte formative, le opzioni residenziali avanzate sempre per il 2011 sono arrivate, a oggi, a toccare quota seimila eventi residenziali. Vanno sommate le domande fatte attraverso il sistema di accreditamento sperimentale per eventi, ancora in corso, per mezzo del quale sono riusciti ad interfacciarsi all’incirca 480.000 professionisti appartenenti al settore sanitario.

(32)

32 Facendo sempre riferimento alle aree riguardanti all’accreditamento della proposta di aggiornamento ECM, sono da sottolineare i corsi che impiegano la formazione sul campo: compaiono i numeri sull’aggiornamento dei provider per il 2011, a oggi, oltre 100 progetti, con un numero di frequenze che si attesta sulle tremila presenze.

Oggi si parla molto dell’età avanzata raggiunta dai medici di famiglia, infatti, l’attuale suddivisione per età segnala come, attualmente, i due terzi di queste figure risieda nella fascia fra i 50 ed i 59 anni (Figura 7). Ipotizzando che il numero di neolaureati in Medicina e Chirurgia si attesti sulla media annua registrata nell’ultimo periodo (circa 6.800 unità); l’immissione in ruolo annualmente di circa un terzo; il costante aumento dell’età pensionabile (fino a sessantotto anni) si va verso un saldo negativo tra assunzioni e pensionamenti. Tutte queste condizioni hanno comportato una mancanza di medici per il SSN per il periodo 2010 -2017 di circa 30 mila unità.

Figura 7: Distribuzione medici del SSN per età (2010)

Fonte: Ministero della Salute – Sistema Informativo Sanitario

La situazione più critica colpisce i Medici di Medicina Generale, poiché solo 5.800 dei 40.000 iscritti all’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza Medici (ENPAM) per la Medicina Generale ha un’età inferiore a cinquant’anni e, quindi, la quasi totalità dei MMG conseguirà l’età pensionabile nel giro dei prossimi dieci anni. Ipotizzando che il numero di Medici di Medicina Generale formati ogni anno (circa 800 unità) rimanga invariato, si noterà nel prossimo periodo una loro netta riduzione, fino a raggiungere il loro dimezzamento nel 2028.

Riferimenti

Documenti correlati

To highlight the attenuation of the VLFS floating response, due to the integration of OWC devices, the heave motion amplitudes recorded at the leading edge for the cases of

Comprehensive two-dimensional gas chromatography coupled to Time of Flight Mass Spectrometry (GC×GC-TOF MS) featuring Tandem Ionization by varying electron energies

To fix ideas, one may view the initialisation of the service as the start-up of the online shop, the stable join by a seller as the opening of her activity in the online shop,

Un primo dato da sottolineare è che nel 2015 in Toscana i residenti deceduti per scompenso cardiaco o BPCO sono stati una volta e mezzo più numerosi di quelli deceduti per tumore e

indipendentemente dall’età, la mortalità è circa due volte più grande nelle persone con i più bassi livelli di istruzione rispetto a quelle con il più alto livello

[r]

Una capitale europea: società, cultura, urbanistica nella Firenze post-unitaria : atti delle giornate di studio per i 150 anni di Firenze Capitale : Archivio di Stato di

posto per aspettativa di vita in buo- na salute a 65 anni, al 21° per limi- tazioni nelle attività della vita quoti- diana negli adulti ≥65 anni, al 24°. posto per la percentuale