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Silvia Curi Nicolardi, Melchiorre Sessa tipografo ed editore (Venezia 1506-1555), Milano-Udine, Mimesis, 2019

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Bibliothecae.it, 9 (2020), 1, 513-516 Recensioni

DOI <10.6092/issn.2283-9364/11141> Silvia Curi Nicolardi, Melchiorre Sessa tipografo ed editore (Venezia

1506-1555), Milano-Udine, Mimesis, 2019, 320 p., ill., isbn 978-88-5755-591-1, € 24.

Quale valore abbiano oggi degli annali tipografici è la finta questio-ne che si ripropoquestio-ne ogni qual volta una simile pubblicazioquestio-ne viequestio-ne po-sta all’attenzione di accademici e studiosi. Che il digitale abbia messo a disposizione una mole considerevole di esemplari digitalizzati e di descrizioni bibliografiche è senz’altro vero, ma la constatazione non è sufficiente per escludere a priori l’utilità di un approfondimento che contribuisce a posizione un ulteriore tassello nella macrosfera della storia del libro. Come in altri recenti casi1, il contributo su Melchiorre Sessa e i suoi eredi non vuole a tutti i costi proporsi come un punto definitivo sulla questione (ben sappiamo che i depositi delle nostre biblioteche sono pieni di edizioni ancora da censire), ma piuttosto contribuisce a stimolare approfondimenti che chiariscono legami, sollecitano interrogativi, pongono alla luce nuove questioni anche in ambiti, quello veneziano nello specifico, ampiamente battuti da più fronti della ricerca storiografica.

Il volume di Curi Nicolardi chiude virtualmente un percorso di

1 Fra gli altri: gli annali di Comino Ventura di Savoldelli (2011), quelli di Niccolò

Zoppino di Baldacchini (2011), alla trattazione su editori e tipografi in Capitanata di Ferri (2013), a quelli di Vittorio Baldini ed eredi di chi scrive (2019).

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ricerca pluriennale che ha visto l’autrice confrontarsi con il tema in precedenti contributi, in un approfondimento che nel tempo ha mes-so in luce sia l’attività di Giovanni Battista Sessa (Un tipografo in

Ve-nezia “ad signum gathe”. Giovan Battista Sessa (1489-1505), Verona,

Bonato, 2010), sia le caratteristiche della società di Melchiorre con Pietro di Ravani (Una società tipografico-editoriale a Venezia nel secolo

XVI: Melchiorre Sessa e Pietro di Ravani, 1516-1525, Firenze, Olschki,

1984). Quindi, il volume edito da Mimesis conclude (forse?) una nar-razione che ha sviscerato nel dettaglio le caratteristiche di un’impresa editoriale di lungo corso sotto l’egida sorniona della gatta. Da Giovan Battista che inizia ad operare nel 1489, l’insegna proseguirà la sua attività con gli eredi di Melchiorre fino alla fine del XVI secolo, inter-pretando e reinventando un prodotto di slargo smercio, destinato ad un pubblico dal palato non sopraffino, come, segnatamente, il libro di intrattenimento. La produzione di Melchiorre si pone inevitabilmente in stretta connessione con quella coeva di Manuzio, facendo emergere le differenze e le contiguità fra botteghe dal profilo completamente diverso: l’una, quella del Sessa, rivolta al vasto e variegato pubblico che affollava le città; l’altra, quella di Aldo, rivolta prevalentemente ad una élite di intellettuali che alla ricerca testuale ambiva ad accostare l’estetica del layout.

Di Melchiorre, come giustamente anticipato nel titolo, si analizza non solo la produzione tipografica, ma anche la forse più interessante, e preponderante, attività editoriale che lo ha posto in relazione con numerosi colleghi del tempo (Giovanni Antonio Nicolini da Sabbio – per le edizioni in greco – e Bernardino Bindoni, fra tutti). Que-ste relazioni commerciali – che sono la cifra di un operato, ma che dimostrano anche l’intraprendenza di dinastie che fanno del libro il loro business – sono evidenziate grazie all’enumerazione delle edizio-ni presenti negli annali stampate dal 1506 al 1519, e dal 1528 al 1562 (a cui si aggiungono gli annali dei volumi usciti dalla società del Sessa con Pietro di Ravani), nelle quali si scorge la prevalenza di titoli dedi-cati alla cosmografia e a materie affini.

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I rapporti con circa una ventina di stampatori italiani restituiscono l’attenzione rivolta da Melchiorre e dagli eredi alla definizione del ca-talogo, nella visione più ampia di uno sviluppo aziendale che andasse incontro alle esigenze e alle richieste del pubblico. Un catalogo mode-sto se raffrontato – come sottolinea l’autrice a p. 12 – con quello, per esempio, dei Giolito, ma significativo dell’orientamento delle letture coeve: testi per chi si affacciava all’apprendimento della scrittura, testi grammaticali ed umanistici.

È proprio il catalogo, nella sua lettura diacronica, a fornirci la chiave di lettura di questi, e dei molti altri annali presenti nella nostra letteratura: il rendere fruibile, in un unico contributo, il segno delle relazioni, il perché delle scelte editoriali, il lavorio della bottega dove l’ingegno tipografico si accosta all’investimento editoriale e allo smercio del prodotto. Il catalogo è lo strumento attraverso il quale raccontare una storia personale e locale (per quanto nel Cinquecento Venezia fosse al centro di una dimensione internazionale) che si trasforma in una narrazione più ampia e, in questo caso, corale.

Riprendendo in parte l’attività del padre Giovan Battista, Mel-chiorre nei primi anni ristampa testi di astronomia e, fra gli altri titoli,

Il Milione di Marco Polo. Chiusa la società con Ravani, la sua attività

di editore e mercanti di libri si fa più intensa e disinvolta, rivolta pre-valentemente allo smercio del materiale prodotto verso un pubblico vasto e poco selezionato. Predilige pertanto gli ottavo di facile diffu-sione, ristampando l’Ariosto, poemi cavallereschi, letteratura d’intrat-tenimento, raccolte poetiche, commedie e opere teatrali, dizionari. A partire dagli anni Cinquanta del Cinquecento, la collaborazione con terzi lo porta ad estinguere quasi totalmente il suo impegno artigianale per concentrarsi unicamente sull’investimento e la vendita, predili-gendo le collaborazioni con i tipografi disponibili ad intraprendere per lui, secondo un piano editoriale preciso, le stampe dei volumi che intendeva mettere tempestivamente in commercio.

L’autrice sottolinea in più parti la vision di un imprenditore che progressivamente inserisce i figli nell’impresa che aveva contribuito

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a far prosperare, al punto da diventare un riferimento in un conte-sto tipografico ricco di proposte e di stampatori autorevoli. Quando Melchiorre si spegne, nel 1565, la tipografia è saldamente in mano alla vedova Veronica coadiuvata dai figli. Vale la pena non trascurare il dato che è proprio sotto la direzione della vedova che i primi anni di produzione degli eredi risultano essere anche quelli più interes-santi sotto il profilo degli autori rappresentati (a riprova di un coin-volgimento femminile nient’affatto di contorno, e di una vocazione commerciale attenta della quale Veronica non fu la sola testimone in ambito italiano).

Gli annali presentano, per ogni opera censita, l’istituzione presso la quale è reperibile l’edizione in oggetto. Il lettore è facilitato nel recupero delle informazioni da un apparato indicale per autori, opere anonime, autori secondari commentatori curatori e traduttori, tipo-grafi in società. Il censimento delle marche editoriali di Melchiorre e le tabelle e i grafici che tratteggiano la sua produzione chiudono il poderoso volume. L’ampia introduzione iniziale colloca l’editore e i suoi eredi nel contesto storico e tipografico dell’epoca, soffermandosi ampiamente sulle tipologie di materiale prodotto, e non esitando a far emergere i preziosi cammei di un catalogo volto a soddisfare i gusti di una larga parte di quei lettori che ormai affollavano i centri culturali del Cinquecento.

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