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DISCOVERING THE PERSONAL DAMAGE WITH MELCHIORRE GIOIA ALLA SCOPERTA DEL DANNO CON MELCHIORRE GIOIA
Dr. Angelo Bianchi*, Dr. Lorenza Morello**
ABSTRACT
The authors describe the work and the thoughts of Melchiorre Gioia, a philosopher of the Italian Enlightenment. Melchiorre Gioia can be considered a precursor in the theory of the right compensation of the personal damage. In fact he asserted that a person shouldn’t be considered only for his working capacity but for all the activities of the day-life, and for the general wellness, regarding which aspects of the previous life has been damaged, just as stated by the present Italian law.
* Neuropsicologo forense. Dipartimento Salute Mentale USL 8 Arezzo
** Dottoranda di ricerca in diritto privato presso l’Università di Torino
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203 Sommario: 1- Introduzione; 2- L’uomo al centro; 3- L’uomo produttore; 4- Che cos’è il corpo?; 5-Un’antropologia audace: la dimensione morale del danno; 6- L’agenda del detenuto innocente: la dimensione esistenziale del danno; 7- Una perla rara: il danno da seduzione; 8- Conclusioni
In La responsabilità civile, UTET Giuridica, n 6/2008, pp. 558-562.
1 Introduzione.
Si può leggere l’opera di Melchiorre Gioia con lo sguardo dello storico, ammirandone l’ampiezza e la profondità, e rendere così omaggio ad un grande interprete dell’Illuminismo italiano, al pari del Beccaria. Con Beccaria nell’ispirazione ideale di fondo, oltre Beccaria nell’attenzione rivolta agli aspetti civilistici della giustizia, quelli più legati – come vedremo - alla vita concreta della gente. Come non vedere la perfetta simmetria, evidentemente intenzionale, tra il Dei delitti e delle pene del Beccaria ed il Del merito e delle ricompense del nostro?
Si può leggere il Gioia anche da un punto di vista più interiore, meditando sulle complesse vicende biografiche ed umane di un uomo se non tormentato, di certo insonnemente inquietato dalla passione per la libertà e la giustizia. Sacerdote ed
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204 empirista (fu influenzato, oltre che da Bentham, da Condillac e da Locke), fine scienziato (soprattutto nel campo della statistica economica, di cui è unanimemente considerato un fondatore) ed umanista profondo, fedele e suddito devoto ma anche pronto a denunciare gli abusi dell’autorità, a schierarsi pubblicamente (si ricordano le sue collaborazioni a numerose riviste di opposizione) ed a rischiare in prima persona (subì ben tre incarcerazioni, da parte di tre diverse Autorità: ecclesiastica, napoleonica ed austriaca). Si può ragionevolmente ritenere che la sua attenzione ai temi dell’ingiusta detenzione – come vedremo – affondi le radici proprio nella sua autobiografia politica.
Noi leggeremo il Gioia, limitatamente all’ opera che qui ci interessa, Dell’ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili (pubblicata nel 1821, otto anni prima della morte) con un taglio diverso, decisamente attualizzante:
Gioia alla luce del dibattito attuale in tema di danno alla persona, ed il danno stesso – come oggi lo intendiamo – alla luce delle riflessioni, suggestive e precorritrici, del Gioia stesso.
Tutte le citazioni sono tratte dalla ristampa postuma del 1829, pubblicata da Giovanni Silvestri a Milano, con un elogio dell’Autore scritto da Giovanni Domenico Romagnosi, nell’anno della morte di Melchiorre Gioia.
Questa edizione riporta, come esergo, un verso di Salvator Rosa:
L’invendicata ingiuria
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chiama da lungi le seconde offese.
2 L’uomo al centro.
Il motivo di partenza della riflessione di Gioia è costituito dalla polemica, serrata e pungente, contro la nozione di risarcimento in voga ai suoi tempi, che egli considera angusta ed inadeguata. Come spesso avviene, l’insoddisfazione per lo stato delle cose, la coscienza infelice, muove il pensiero verso nuove conquiste.
“Le ingiurie, i danni, il soddisfacimento si rinnovano tutti i giorni, e sono tuttora incerte le basi per calcolarli”1
Il suo bersaglio polemico, in realtà, è duplice:
da una parte, gli epigoni del sistema equitativo puro, eredi del diritto romano, che per non voler stimare il valore dell’ingiuria (non è chiaro se per eccesso di devozione verso il corpo o per tenere alla larga imbroglioni e parassiti) finiscono per lasciare spazio ad
1 Così M. GIOIA, Dell'ingiuria…, Milano, 1829, p. 1
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ogni sorta di arbitrio e, alla fine, di ingiustizia sostanziale. Al tempo dei Romani, riassume sarcasticamente il Gioia, le cose andavano più o meno così:
“Giusta l’editto del pretore, l’offeso giurava che, piuttosto di soggiacere a tale ingiuria, avrebbe amato meglio di perdere tale somma. A questa esposizione del risentimento o dell’interesse il giudice apponeva quelle modificazioni che gli dettava il capriccio, ed ecco l’affare ultimato.”2
Dall’altra, la nascente scienza del risarcimento, erede del diritto barbarico, che potremmo chiamare prototabellare. Gioia intravede in questa posizione, che pur apprezza decisamente, una sorta di “frammentazione” dell’uomo, che si esprime nella minuziosa elencazione di ogni possibile tipo di menomazione, ognuna corredata del relativo corrispettivo economico: l’uomo, in questa prospettiva, vale in quanto lavoratore, ed il suo danno unicamente in quanto diminuzione della capacità di produrre reddito.
“Col doppio scopo di torre al giudice ogni occasione d’arbitrio, all’ingiuriato ogni occasione d’inganno, fecero quei legislatori ogni sforzo per prevedere ed indicare tutti i casi possibili. (…) Essi vollero specificare tutti i punti più minuti del corpo che potevano
2 Ibidem, p.1
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essere colpiti da ferite, indicarne l’estensione e la profondità in pollici e linee, e porvi sott’occhio, quasi come in un trattato d’anatomia, ossa, tendini, muscoli, vene, nervi e cartilagini.”3
L’unione, spesso confusa, di queste due tradizioni non trova composizione nella prassi giudiziaria vigente al tempo di Gioia, che così la sintetizza:
“1. Mancano le basi precise per calcolare il soddisfacimento in ogni generazione d’ingiurie;
2. Si fa uso di alcune basi erronee ed ingiuste;
3. Si lascia senza soddisfacimento gran parte dei danni;
4. E’ tutt’ora incerta, confusa, oscura l’idea del danno nella mente de’ commentatori curiali. Essi restringono il danno all’oggetto materiale diminuito o distrutto, e non veggono danno ove non possono applicare il compasso, la squadra o il trabucco”4
Vedremo ora come Gioia articoli, in un crescendo ben concatenato, le sue argomentazioni a favore di un concetto più ampio e comprensivo – che oggi chiameremmo integrale – di risarcimento.
3 L’uomo produttore
3 Ibidem, p. 2
4 Ibidem, p.7
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E’ già un grande merito che Gioia sia per così dire “passato alla storia” per la sua enunciazione cristallina delle regole risarcitorie in tema di danno patrimoniale: danno emergente, lucro cessante, riduzione della capacità lavorativa. La regola del calzolaio, così spesso ricordata in ambito medico legale5, merita di essere citata per esteso:
“Un calzolaio, per es., eseguisce due scarpe e un quarto al giorno: voi avete indebolito la sua mano in modo che non riesce più a fare che una scarpa: voi gli dovete il valore della fattura di una scarpa, e un quarto moltiplicato pel numero de’ giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi. Il numero de’ giorni che restano ad ogni individuo, allorché è nota la di lui età, risulta dalle tavole di mortalità che ormai tutti conoscono”6
L’attenzione odierna è tutta concentrata sui danni non patrimoniali, e non senza ragione. Questo spostamento, del tutto coerente con il mutare della sensibilità sociale, non deve tuttavia far dimenticare l’austera concretezza del danno patrimoniale. L’uomo che lavora, che mangia e veste panni – per dirla con Marx – non deve minimamente
5 A Melchiorre Gioia, giova ricordarlo, è intitolata una delle più prestigiose Associazioni italiane di medicina legale e discipline forensi, con sede a Pisa, alla quale si deve uno degli appuntamenti congressuali più importanti per i tortmen europei, quest’anno giunto alla sua XVII edizione.
6 Ibidem., p.217
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209 essere messo da parte. In effetti, leggendo le carte di molti processi moderni, sembra proprio che questa severa lezione stia lentamente cadendo nell’oblio.
4 Cos’è il corpo?
Se il corpo rilevasse solo in quanto mezzo per procurare reddito, la questione potrebbe dirsi conclusa. Non siamo poi tanto lontani da quanto accadeva prima del danno biologico: patrimoniale e morale (ma solo se l’illecito perpetrato era davvero odioso),
“ed ecco l’affare ultimato”…
Ma sentite Gioia, 1821:
“Ne’ casi d’indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell’offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come
Mezzo di sussistenza (A).
Mezzo di godimento (B).
Mezzo di bellezza (C) Mezzo di difesa (D)
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Rendendo paralitico, per es., l’altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi”7
In queste parole, così moderne da ricordare da vicino le analisi fenomenologiche di oltre un secolo successive, si fa strada una percezione del corpo – il corpo in carne ed ossa, quello con cui soffriamo godiamo ed agiamo, senza inutili contrapposizioni dualistiche – come modalità originaria della presenza umana nel mondo. Sussistenza, godimento, bellezza, difesa: quasi un catalogo di ciò che oggi chiameremmo attività realizzatrici della persona umana…
Da Vesalio8, e poi da Cartesio, il corpo era stato ridotto (necessaria riduzione, altrimenti la scienza – in particolare l’anatomia - non avrebbe potuto neppure sfiorarlo) a semplice supporto materiale dell’anima individuale, impalcatura neutra priva di valore proprio, se non addirittura gravata dall’ombra di antichi sospetti. Il corpo: un meccanismo
7 Ibidem ,p. 218-219
8 L’anatomia umana è uno dei doni più eccellenti, e sconosciuti, del Rinascimento italiano al mondo intero. Di certo, senza di essa neppure l’arte michelangiolesca avrebbe mai potuto dispiegarsi appieno. Il sapere anatomico nasce nelle università italiane, in particolare a Padova, dove si era trasferito Vesalio, a partire dai primi decenni del ‘500.
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211 scomponibile in parti, come un automa, di cui l’anatomia, scienza dell’inanimato, avrebbe potuto - senza timore di empietà - svelare i più intimi segreti.
Separandosi dal proprio corpo, come già aveva fatto dalla natura circostante, l’uomo del Rinascimento certamente si affrancava da una schiavitù millenaria, ed entrava trionfalmente nell’epoca della tecnica e della moderna economia globale (le scoperte, i traffici, i mercati coloniali, …), ma al prezzo di una solitudine la cui ferita, forse, non sarà più rimarginata. La pittura del Seicento olandese, più d’ogni altra, testimonia di questa melanconica compresenza di abbondanza e disagio.
5 Un’antropologia audace: la dimensione morale del danno
“L’uomo infatti non è, come i bruti, limitato all’esistenza fisica ed attuale nel godere e nel soffrire; ma, suscettibile d’estesa previsione, egli vive in tempi che non giunsero ancora, ravvisa perdite tuttora lontane, vagheggia eventi non anco usciti dal seno del futuro, è sensibile a vicende che succedono a mille miglia lungi da lui; quindi le speranze e i timori s’avvicendano nel di lui animo, ed or d’allegrezza or di mestizia lo colmano, secondo che il sentimento della sicurezza a tutti i punti della sua ideale esistenza si estende, o ad alcuni soltanto. (…) Il credito e il discredito, le speranze e i timori, le
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affezioni sociali piacevoli e dolorose, costituiscono l’esistenza morale, e presentano una sfera di sensibilità più estesa, più irritabile, più durevole dell’esistenza fisica”9
Che dire? Se la riflessione sul corpo richiamava la fenomenologia, questa acuta consapevolezza del carattere intrinsecamente morale – oggi diremmo affettivo - dell’umana esistenza richiama da vicino l’esistenzialismo filosofico e la grande psicopatologia novecentesca.
Lungi dall’essere un semplice fattore accidentale, l’affettività costituisce l’esistenza umana in quanto temporale e finita. Fragile, vulnerabile, in precario equilibrio tra l’essere e il nulla, costantemente minacciato nella propria integrità e sicurezza, il soggetto umano esperimenta quotidianamente una “sfera di sensibilità” infinitamente più estesa e complessa di quella puramente fisica. Magari potessimo soffrire solo per le minacce reali, e non anche per quelle soltanto temute o immaginate. Magari il passato passasse veramente, e non tornasse – ossessivo – a gravare sul presente, come se tutto accadesse sempre di nuovo, qui ed ora, incessantemente. Magari potessimo fare a meno del dolore, del rimpianto, della vergogna, del disonore, della colpa… Chi di noi,
9 Ibidem, p. 16
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tortmen a volte frettolosi, non ha avvertito questa soffocante “estensione, irritabilità e permanenza” dell’umana sensibilità?
6 L’agenda del detenuto innocente: la dimensione esistenziale del danno
Ma c’è ancora dell’altro. Non ci crederete, un caso Barillà ante-litteram.
Posto che il diritto al risarcimento in caso di illegittima privazione della libertà individuale è già pacificamente presente nel diritto fin dai tempi di Giustiniano, Gioia si domanda:
“Ma su quali basi calcoleremo noi il pieno soddisfacimento? I commentatori, sì fecondi di inutili ciance sopra altri articoli, qui osservano altissimo silenzio”10
Ecco la sua risposta:
“Siccome possono sorgere eccessive pretese che ledano la giustizia e si possono esibire meschine indennizzazioni che non saldino tutto il debito, perciò conveniva ricercare le basi del soddisfacimento per libertà illegittimamente tolta, come le abbiamo ricercate per la distruzione o diminuzione degli altri beni.
10 Ibidem, p. 339
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Non si può riuscire in questa scabrosa indagine se non si svolge la somma dè beni di cui ci priva la detenzione e la somma dè mali cui ci assoggetta ”11
Attenzione al punto centrale dell’argomentazione: per poter equamente calcolare il risarcimento – oggi diremmo: per evitare sia le ingiuste duplicazioni che i meri indennizzi – occorre considerare “la somma de’ beni di cui ci priva la detenzione e la somma de’mali cui ci assoggetta”. Noi diremmo, con la giurisprudenza di oggi: occorre gettare lo sguardo sulla vita concreta del danneggiato, sulle “abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri”.
Eccola, l’agenda del carcerato innocente, divisa in due sezioni.
Sezione prima: il non poter più fare (privazioni):
“La prigionia priva il detenuto de’ seguenti piaceri o beni:
Piaceri della facoltà locomotiva (caccia, equitazione, bagni, passeggi, aria salubre, ecc) Piaceri della facoltà sensitiva
Piaceri risultanti dai comodi (mancanza ordinaria di mezzi convenevoli pel riposo della notte)
11 Ibidem, p. 339-340
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Piaceri domestici (compagnia de’ figli, della moglie, degli amici)
Piaceri della società (conversazioni, accademie, teatri, balli, unioni piacevoli qualunque) Piaceri politici (esercizio delle funzioni civili, magistrature, preminenze, onori, ecc)
Sezione seconda: l’essere costretti a fare (costrizioni):
“La prigionia assoggetta il detenuto ai seguenti danni:
Deteriorazione di salute per aria corrotta
Assoggettamento a regime incomodo e spiacevole Noia
Deterioramento delle facoltà industri per mancanza d’allenamento Affari propri in mano altrui (…)
Dispiacere pel dispiacere che prova la famiglia”12
Esiste anche, ed occupa tutta la parte seconda del volume, una teoria implicita di ciò che oggi chiameremmo danno estetico, danno psichico, danno al pudore, alla libertà personale, all’immagine, all’onore. Una prototavola dei valori/interessi della persona, più di un secolo prima della Costituzione!
12 Ibidem, pp 340-1.
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7 Una perla rara: il danno da seduzione
Contrariamente a quanto comunemente si crede, la seduzione non ha valenza esclusivamente nell'ambito della psicologia e del costume ma altresì del diritto: le leggi ateniesi, infatti - come ci ricorda il Gioia - punivano con pena più grave la seduzione che la violenza perché questa
"Non corrompe che il corpo, mentre quella il corpo corrompe e l'animo”13.
Nota il Gioia:
“Basta il senso comune per accorgersi che la seduzione,
1 Viola l’autorità paterna, il che produce un dispiacere come qualunque altra violazione d’autorità;
2 Scredita l’autorità paterna, perché fa supporre che i genitori non abbiano dato alla figlia buona educazione, o non l’abbiano con le debite cure custodita;
3 Abbassa la figlia dallo stato di verginità allo stato di vedovanza, il che da sé solo toglie credito;
13 Ibidem, p.314.
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4 Screditando la fedeltà della figlia, la priva di molte eventualità maritali;
5 Costringe il padre a mantenerla più a lungo tempo in casa e forse per sempre, ovvero ad accrescere la dote per supplire alla mancanza del credito;
6 Estende qualche ombra di discredito su tutti i membri della famiglia (…)”14
Ed ecco che la violazione che forse più di qualunque altra dovrebbe appartenere alla sfera dell’intimo, diventa violazione di potere e di autorità patriarcale; perdita di opportunità per la figlia; danno economico per il pater che dovrà scegliere tra il mantenerla più a lungo o “compensare” la mancata illibatezza della figlia con una maggiorazione nella dote; motivo di discredito per la famiglia tutta.
In questa fine elencazione delle componenti del danno da seduzione – solo in apparenza il più privato dei danni – il Gioia mostra in maniera eminente l’essenza del suo metodo d’indagine, che consiste nel seguire pazientemente tutti i sentieri attraverso cui si dispiega la vasta e ramificata fenomenologia del torto, alternando sensibilità psicologica e calcolo economico, dentro e fuori, turbamenti interiori e quotidianità sconvolta. Così andrà valutata ogni fattispecie di danno ed il conseguente statuto risarcitorio, in merito al quale il nostro conclude la sua trattazione chiosando
14 Ibidem, p.314-15
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“Non parlo dell’obbligo che incombe al seduttore di sostenere tutte le spese del parto e del puerperio, e di soddisfare a tutti gli obblighi di padre, giacché nessuno ne dubita”15.
8 Conclusioni
Dal patrimonio al corpo, dalla sofferenza morale alla considerazione attenta di tutto ciò che impoverisce, altera e compromette l’umana esistenza.
Molti dei temi che occupano oggi il dibattito giuridico in tema di danno alla persona trovano in Gioia, come speriamo di aver mostrato, un acuto precursore.
“Il soddisfacimento dovuto all’offeso è perfetto quando compensa tutti i danni sofferti da esso.”16
Dove trovare un termine di paragone adeguato per il perfetto soddisfacimento?
15 Ibidem., p.316
16 Ibidem, p 182
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“Questo termine di paragone si trova appunto nell’amore della vita. (…) Nel valore della vita si può adunque rinvenire una norma comune”17
17 Ibidem p 10.