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Tra positivismo e tecnica. La critica allo scientismo di Jürgen Habermas

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Academic year: 2021

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(1)Quae mihi tunc fuerint solacio dicam, si prius hoc dixero, haec ipsa quibus adquiescebam medicinae vim habuisse; in remedium cedunt honesta solacia, et quidquid animum erexit etiam corpori prodest. Studia mihi nostra saluti fuerunt; philosophiae acceptum fero quod surrexi, quod convalui; illi vitam debeo et nihil illi minus debeo. Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, IX, 78, 3..

(2) INDICE Elenco delle abbreviazioni delle opere di Habermas…………………...………….p. 7 Introduzione………………………………………………………………………….p. 9 CAPITOLO PRIMO Coordinate storico-concettuali di un problema: la “questione scientismo” all’interno delle scienze sociali……………………………………………………...p.17 §. 1. Sociologia dialettica e sociologia empirica. La prospettiva di Th. W. Adorno...p. 19 §. 2. Più in profondità nel dibattito Adorno-Popper: due relazioni a confronto……..p. 31 CAPITOLO SECONDO L’ampliarsi del dibattito: l’ingresso di Habermas nella controversia sul positivismo e la querelle con Hans Albert……………………………………………………….p.51 §. 1. Epistemologia analitica e dialettica: il tentativo di mediazione di Habermas nella disputa Adorno-Popper………………………………………………………………p. 52 §. 2. Avalutatività: la centralità di fatti e decisioni…………………………………..p. 63 §. 3. La risposta di Hans Albert e l’inasprirsi del dibattito…………………………..p. 77 CAPITOLO TERZO Per una fondazione teoretico-conoscitiva della «Kritische Theorie der Gesellschaft»: il rapporto conoscenza-interesse…………………………………p. 105 §. 1. A partire da Horkheimer. Lo iato tra teoria tradizionale e teoria critica……...p. 107 §. 2. Con Husserl e contro Husserl ovvero la fondazione epistemologica della teoria critica della società…………………………………………………………………p. 117 §. 3. La suddivisione delle scienze e la definizione degli interessi posti alla loro guida………………………………………………………………………………..p. 123 Excursus. Gehlen e la teoria delle istituzioni: la critica di Habermas……………...p. 136. CAPITOLO QUARTO Erkenntnis und Interesse. Lo sviluppo sistematico della connessione di conoscenza e interesse……………………………………………………………………………p. 149 §. 1. Da Hegel a Marx e ritorno. Tentativi di soluzione e nuove oscurità……...…..p. 153 §. 2. Dall’interesse tecnico all’interesse pratico. Il misconoscimento della riflessione…………………………………………………………………………...p. 173 §. 3. Dal modello psicoanalitico alla «scienza critica». Autoriflessione e unione di conoscenza e interesse……………………………………………………………...p. 194. 5.

(3) CAPITOLO QUINTO La difficile traduzione del rapporto di teoria e prassi nella sfera politica…….p. 209 §. 1. Poiesis e praxis. La ripresa della valenza pratica della politica aristotelica…..p. 212 §. 2. Il pensiero politico di Hegel: l’ambiguità del rapporto tra teoria e prassi…….p. 226 §. 3. Materialismo storico come critica…………………………………………….p. 245 Conclusione………………………………………………………………………..p. 259 Bibliografia………………………………………………………………………...p. 267. 6.

(4) ELENCO DELLE ABREVIAZIONI DELLE OPERE DI HABERMAS. Positivismusstreit: Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Luchterhand, Neuwied-Berlin 1969 (tr. it. di A. Marietti Solmi, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino 1972). Erkenntnis und Interesse: Erkenntnis und Interesse, in Technik und Wissenschaft als Ideologie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it. di C. Donolo, Conoscenza e Interesse, in Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari 1967, pp. 3-18). LS:. Zur Logik der Sozialwissenschaften, Mohr, Tübingen 1967, numero speciale della «Philosophische Rundschau», febbraio 1967; (tr. it. di G. Bonazzi, Intr. di A. Santucci, Logica delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 1970).. EI:. Erkenntnis und Interesse, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it. di Gian Enrico Rusconi, Conoscenza e interesse, Laterza, Bari 1970. Terza edizione con l’aggiunta del Poscritto 1973, trad. di Emilio Agazzi, 1983).. TP:. Theorie und Praxis. Sozialphilosophische Studien, Luchterland, NeuwiedBerlin 1963. Quarta edizione, rivista, ampliata e con una nuova introduzione, edita da Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1973; (tr. it. di A. Gajano, Prassi politica e teoria critica della società, Il Mulino, Bologna 1973).. PDM:. Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwolf Vorlesungen, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; (tr. it. di Emilio e Elena Agazzi, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari 1987).. 7.

(5) INTRODUZIONE. Nell’arco di quasi cinquant’anni, il filosofo e sociologo tedesco Jürgen Habermas ha sviluppato un complesso percorso teoretico che, già negli anni Ottanta, è notoriamente approdato alla sistemazione definitiva del nucleo più innovativo e, del resto, più fecondo del suo pensiero: la teoria dell’agire comunicativo1. Nei decenni successivi, la sfera d’interesse delle riflessioni habermasiane si è infatti ulteriormente ampliata a. temi cruciali per l’epoca, quali, ad esempio, la questione dell’etica. normativa2, della modernità3, del multiculturalismo4 e, più di recente, del rapporto tra scienza e fede5. Consapevole della complessità tematica che definisce l’intera produzione di Habermas, il lavoro di ricerca qui presentato va soprattutto a rileggere i suoi testi giovanili, nell’intento di comprendere la genesi degli snodi problematici che hanno impresso alle riflessioni habermasiane una svolta fondamentale verso la tematizzazione dell’interazione dialogica quale paradigma concettuale decisivo del suo pensiero. La ricerca si concentra quindi su quella fase della formazione habermasiana che può essere definita di «transizione», ossia sul passaggio dagli anni di collaborazione con l’Institut für Sozialforschung – sotto l’influenza diretta di Adorno e Horkheimer – fino al definitivo distacco dall’impostazione dialettica e all’elaborazione autonoma del modello 1. J. HABERMAS, Theorie des kommunikativen Handelns, 2 Bdd, Suhrkamp, Frankfurt a. M 1981; (tr. it. di P. Rinaudo, Teoria dell’agire comunicativo, 2 voll., Il Mulino, Bologna 1986). 2 HABERMAS Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1983; (tr. it. A cura di E. Agazzi, Etica del discorso, Laterza, Roma-Bari 1985), Id., Erläuterungen zur Diskursethik, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991; (tr. it. di V. Tota, Teoria della morale, Laterza, Roma-Bari 1994) e Id., Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992; (tr. it. di L. Ceppa, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e Associati, Milano 1996). 3 HABERMAS, Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwölf Vorlesungen, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; (tr. it. di Emilio e Elena Agazzi, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari 1987). 4 HABERMAS, Lotta di riconoscimento nello Stato democratico di diritto, in J. HABERMAS, CH: TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano 1998 (CONTROLLA!!), Id., Die Einbeziehung des Anderen. Studien zur politischen Theorie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1996; (tr. it. di L. Ceppa, L’inclusione dell’altro, Feltrinelli, Milano 1998) e Id., Die Postnationale Konstellation. Politische Essays, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1998; (tr. it. di L. Ceppa, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Feltrinelli, Milano 1999). 5 HABERMAS, Zwischen Naturalismus und Religion. Philosophische Aufsätze, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2005; (tr. it. di M. Carpitella, Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006).. 9.

(6) dell’intesa comunicativa. Si tratta, com’è noto, di anni cruciali - nel periodo compreso tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta – durante i quali l’attenzione di Habermas si polarizza sulla cosiddetta critica allo scientismo, da lui definito come “l’orientamento secondo cui una filosofia scientifica deve procedere, al pari delle scienze stesse, intentione recta, ossia deve avere innanzi a sé il suo proprio oggetto (e non può invece accertarsi di se stessa in via riflessiva)”6. Anche per ragioni biografiche, la sua formazione giovanile si situa direttamente nell’alveo delle scienze sociali e del dibattito ad esse inerente. Dopo gli studi universitari a Bonn, Habermas giunge all’Istituto di ricerca sociale di Francoforte in qualità di Forschungsassistent di Adorno. In quegli stessi anni, il maestro francofortese è impegnato nella discussione sullo statuto epistemologico delle scienze sociali e nella contrapposizione diretta con Karl Popper, secondo la suddivisione ormai celebre tra epistemologi dialettici e analitici o – per usare una definizione che diventerà usuale – positivisti. I tratti salienti della presa di posizione habermasiana contro lo scientismo emergono precisamente entro questa cornice che, oltre a fungere da circostanza, lo vede partecipare in modo attivo al dibattito sociologico in corso. Ricostruirne in dettaglio lo sfondo e lo svolgimento, dando l’attenzione dovuta ai suoi maggiori protagonisti, è quindi il punto obbligato da cui la ricerca prende avvio. L’impostazione adottata per lo svolgimento della ricerca stessa – come sembra doveroso confessare in questa sede introduttiva – risente tuttavia, e soprattutto, del colloquio che Jürgen Habermas mi ha gentilmente concesso, nel gennaio 2007. Dalle risposte alle domande da me poste – che, su richiesta dell’autore, non posso riportare integralmente sotto forma di intervista – sono emersi gli snodi teoretici fondamentali connessi alla critica allo scientismo, e si è così rischiarato anche l’andamento metodologico seguito nella ricostruzione storico-tematica di questa fase del suo pensiero. Per la sua esposizione, si rende innanzitutto necessaria una suddivisione del campo d’indagine in due aree principali: la prima afferente all’ambito sociologico e la seconda attinente al contesto più propriamente filosofico. Lo scopo di questa ripartizione è quello di evidenziare, da un lato, la scansione cronologica secondo la quale i temi dell’analisi habermasiana – sotto l’aspetto storico-genetico – si susseguono tra loro e, 6. HABERMAS, Erkenntnis und Interesse, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it. di G. E. Rusconi, Conoscenza e interesse, Laterza, Roma-Bari 1983, traduzione della terza edizione col Proscritto 1973).. 10.

(7) dall’altro, di mostrare come le questioni emergenti all’interno della discussione sociologica costituiscano l’ineludibile e costante riferimento di Habermas, anche nel confronto interno alla filosofia. Nel primo capitolo viene preso in esame il dibattito, sviluppatosi negli anni Cinquanta tra Adorno e Popper, sullo statuto epistemologico delle scienze sociali. La disputa, che va sotto il nome di Positivismusstreit, ha il suo culmine nel congresso La logica delle scienze sociali della Società Tedesca di Sociologia, svoltosi a Tubinga nel 1961, che vede nelle personalità di Adorno e Popper i due interlocutori principali. Le loro relazioni – assieme ad alcuni saggi successivi miranti ad argomentare con maggior precisione le rispettive posizioni – sono perciò esaminate con l’obiettivo di enucleare soprattutto i punti di divergenza tra l’impostazione «dialettica» (Adorno) e quella «positivistica» (Popper). I concetti a cui si rivolge qui l’attenzione sono soprattutto quelli di «totalità» (Totalität) e di «avalutatività» (Wertfreiheit), poiché essi, oltre a qualificare i due diversi approcci alle scienze sociali, costituiscono anche due dei termini centrali attorno ai quali si snoda il discorso habermasiano. La definizione di totalità sociale costituisce, in effetti, un aspetto fondamentale per l’orientamento dialettico. Detto in sintesi, suo presupposto fondamentale è che si possa condurre lo studio sulla realtà sociale come su un tutto unitario, all’interno del quale non è possibile operare astrazioni attraverso un’osservazione asettica, mirante a separare la componente umana dall’ambiente in cui è naturalmente inserita. Ciò spiega, fra l’altro, perché la connotazione di avalutatività - attribuita da Popper alle scienze sociali nel suo intento di omologarle alle scienze empiriche - rappresenti un ulteriore terreno di confronto tra dialettici e positivisti. In questo preciso orizzonte si inscrive, non a caso, anche la critica habermasiana contro la pretesa di condurre l’indagine sulla società, presupponendo la possibilità di una separazione tra fatti e norme, In questo campo polemico, nel periodo immediatamente successivo, si colloca la querelle tra Habermas e Hans Albert, sociologo di orientamento positivistico, allievo di Popper. E’ questo un punto decisivo per la tesi sostenuta nella ricerca. Analizzando in dettaglio i termini della contrapposizione, essa infatti si sforza di portare alla luce i tratti innovativi – e già in un certa misura indipendenti dalle posizioni adorniane – che contraddistinguono la posizione di Habermas nel dibattito sociologico. I testi presi in considerazione – che, insieme a quelli relativi disputa Adorno-Popper, sono compresi. 11.

(8) nel volume Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie – permettono di seguire da vicino la nascita di due aspetti fondamentali delle successive riflessioni del giovane Habermas. Il primo concerne l’idea che alla base delle scienze empirico-analitiche vi sia un interesse di tipo tecnico, mirante al controllo della natura attraverso processi oggettivanti: a questo Habermas contrappone un interesse prescientifico di tipo pratico, che orienta all’azione gli uomini nel mondo in cui vivono. Strettamente connesso al primo, si palesa il secondo aspetto, relativo al linguaggio: contro i vincoli grammaticali di teorie miranti alla produzione di sapere tecnico-scientifico, viene portata all’attenzione la rilevanza del linguaggio ordinario quale unica dimensione – nella prospettiva habermasiana – che permette il raggiungimento di un accordo intersoggettivo, non solo nella vita quotidiana, ma anche all’interno della comunità scientifica. A partire dalla centralità che le espressioni “precomprensione ermeneutica” e “naturale ermeneutica del linguaggio quotidiano” acquistano all’interno del contesto sociologico, la ricerca va poi ad indagare il versante – probabilmente il più innovativo in questi anni – del tema degli interessi guida della conoscenza. Per economia argomentativa, viene così operata una breve parentesi cronologica che tralascia – seppur momentaneamente – il testo Theorie und Praxis, ma permette tuttavia di ricostruire con una certa chiarezza il percorso che connette l’ambito sociologico con quello filosofico, secondo il denominatore comune della critica al positivismo. L’analisi della prolusione Erkenntnis und Interesse – scritta da Habermas nel 1965 in occasione del suo insediamento a Francoforte come successore alla cattedra di Horkheimer – segna il passaggio alla seconda delle due aree in cui si suddivide la ricerca. La Antrittsvorlesung dischiude il nuovo orizzonte delle riflessioni del filosofo, sempre più rivolto all’elaborazione della centralità degli interessi posti alla guida della conoscenza. Nel discorso sullo statuto delle scienze empirico-analitiche e di quelle storico-ermeneutiche, ha così modo di venire in primo piano il grande rilievo che Habermas attribuisce alle scienze critiche, e all’interesse emancipativo posto alla loro base, secondo il progetto della fondazione di una nuova teoria critica della società. Il medesimo contesto fa del resto emergere anche il ruolo del linguaggio – tema, a dir poco, cruciale per il programma habermasiano nei suoi futuri sviluppi –. Nella prospettiva antropologico-trascendentale che si viene qui delineando, il linguaggio è. 12.

(9) infatti già il solo strumento, naturalmente posseduto dall’uomo, a permettere l’intesa intersoggettiva, configurandosi al contempo come elemento caratterizzante di un interesse emancipativo capace di porre le basi per una società libera da costrizioni ideologiche. La ricerca si sforza di evidenziare come la prolusione, pur nella sua brevità, offra un’occasione anche per elaborare un confronto tra Habermas e alcuni dei filosofi più autorevoli del XX secolo. Il primo raffronto chiama in causa Max Horkheimer e, in particolare, il testo Traditionelle und kritische Theorie che, secondo la nostra lettura, costituisce il principale riferimento habermasiano sia per la tematizzazione degli interessi guida della conoscenza, sia per l’attribuzione del carattere contemplativo alla teoria tradizionale. Il secondo confronto – direttamente connesso all’idea di teoria tradizionale come contemplazione – chiama invece in causa Edmund Husserl e il testo – coevo a quello horkheimeriano sopra citato – Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. In questa circostanza – a partire dall’assunto che la teoria tradizionale e il positivismo condividono un’attitudine contemplativa che nega la loro connessione con l’interesse – emergono, da un lato, i limiti dell’approccio fenomenologico per la soluzione della crisi delle scienze sotto il dominio positivistico e, dall’altro, le linee guida per la proposta terapeutica habermasiana di ripristino del rapporto innegabile tra conoscenza e interesse. Infine, viene proposto il confronto con Arnold Gehlen e la teoria delle istituzioni da lui elaborata, con l’obiettivo di enucleare la possibile origine della proposta gnoseologica habermasiana all’interno della cornice dell’antropologia filosofica e, al contempo, di mostrare il motivo del rigetto habermasiano del concetto di istituzione – quale strumento in grado di ricondurre all’ordine il caos, cui il genere umano in quanto tale è naturalmente destinato – a favore della centralità di una filosofia della storia capace di orientare l’uomo nel mondo. Di tre anni successiva è la pubblicazione del volume Erkenntnis und Interesse, che riprende, non solo nel titolo, il tema degli interessi guida della conoscenza. Il testo rielabora da un punto di vista sistematico i concetti esposti nella prolusione del 1965 e si propone di ricostruire il processo di dissoluzione della teoria della conoscenza a vantaggio della teoria della scienza, giunto al suo culmine con il neopositivismo. Nel ripercorrere la genesi di questa trasformazione – attraverso il pensiero di Hegel e Marx,. 13.

(10) del positivismo di Comte e Mach, del pragmatismo di Peirce e dello storicismo di Dilthey – la ricerca si propone di mostrare in che cosa consista il nucleo più innovativo delle riflessioni del giovane Habermas. Perseguendo l’obiettivo di costruire una nuova teoria critica della società, svincolata da ogni forma di pressione ideologica, un certo rilievo assume qui, fra l’altro, l’intenzione habermasiana di assumere il modello della psicoanalisi freudiana come paradigma terapeutico-emancipativo sul quale fondare lo statuto della scienza critica sociale. Tale paradigma sarebbe infatti capace di realizzare concretamente il progetto di liberazione, attraverso il principio che intende la critica come unione di conoscenza e interesse. Nell’ultimo capitolo viene finalmente analizzata la raccolta di saggi Theorie und Praxis, prima appunto tralasciata. Dei tre gruppi tematici qui presi in esame da Habermas – manifestazione dei diversi modi in cui si esprime il rapporto tra «teoria» e «prassi» – viene privilegiato quello che più propriamente rimanda alla sfera politica e, in particolare, alla difficoltosa traduzione, al suo interno, della coppia categoriale teoriaprassi. In primo luogo, la ricerca va così a riflettere sulla nota questione della valenza aristotelica della politica, contro l’omologazione, emersa nell’età moderna, dell’agire tecnico con quello pratico, intesi rispettivamente come poiesis e praxis. In secondo luogo, sposta la sua attenzione sugli scritti politici di Hegel, all’interno dei quali la relazione tra teoria e prassi si mostra nella sua ambivalenza, emergente soprattutto nel passaggio dagli scritti più propriamente teoretici e sistematici (Filosofia del diritto) a quelli inerenti all’attività di pubblicista. Infine, prende in esame la peculiare interpretazione habermasiana del materialismo storico come teoria critica della società, concezione che si inserisce ancora nella tradizione dialettica francofortese. Proprio l’eredità francofortese sta, del resto, per essere superata definitivamente e, con essa, l’itinerario che ha portato Habermas fin qui. Per quanto alcuni dei temi trattati – ad esempio, la centralità concettuale del linguaggio e dell’intesa dialogica – anticipino quelli che saranno i nuclei fondamentali delle successive riflessioni, a partire dai primi anni Settanta, l’intero programma fin qui elaborato viene infatti abbandonato dal filosofo. Per comprendere le ragioni che hanno determinato questa rinuncia, nelle sue pagine conclusive, la ricerca tenta appunto di riflettere sui punti che hanno portato a tale esito. L’emblematica svolta del pensiero di Habermas nella direzione della Teoria dell’agire comunicativo si deve, forse, a più di una ragione, non ultime le ragioni di una. 14.

(11) critica, per così dire esterna, che non ha mancato di sottolineare alcuni aspetti della sua teoria ritenuti discutibili o non sufficientemente sostenuti da solide argomentazioni. Come la ricerca si sforza di argomentare, il principale movente del cambiamento è però tutto interno al processo di riflessione che, snodandosi dagli anni giovanili e consumandosi sulle questioni inaugurate dal dibattito sullo scientismo, porta Habermas a scoprire l’obsolescenza di certi temi e la centralità epocale di altri. Non del tutto imprevista o, per lo meno, rintracciabile nei sui percorsi pur tortuosi, questa scoperta lascia nei testi del primo Habermas interessanti sintomi che sono degni di un’attenta considerazione.. 15.

(12) CAPITOLO PRIMO Coordinate storico-concettuali di un problema: la genesi della “questione scientismo” all’interno delle scienze sociali.. Benché sia arduo fornire una descrizione esaustiva del XX secolo, appare chiaro come il termine «tecnica» rappresenti un sostantivo che ben si coniuga con una delle peculiarità del centennio da poco conclusosi, caratterizzato dal rapidissimo progresso tecnico e dallo sviluppo scientifico, responsabili di epocali trasformazioni, in particolare di tipo economico e sociale. Non può dunque stupire il fatto che questioni riguardanti il rapporto dell'uomo con la tecnica siano diventate centrali nelle riflessioni dei più grandi pensatori del Novecento1 e che siano stati posti importanti interrogativi circa il valore da attribuire a tali incommensurabili mutamenti nell'assetto sociale ed economico dell'Europa. È indiscutibile che la tecnica, a partire dalla Rivoluzione Industriale, abbia acquisito un ruolo tale nella vita dell'uomo da non potersi sottrarre allo sguardo indagatore della filosofia2. Molteplici sono le forme in cui la tecnica e la scienza, e più precisamente il ruolo dell'uomo nei loro confronti, sono state analizzate dai filosofi nel corso del secolo scorso; diversi appaiono gli approcci problematizzanti con cui la questione è stata trattata; punti di osservazione talvolta del tutto contrapposti tra loro hanno fatto sì che questa si trasformasse in un topos filosofico, e non solo, del pensiero continentale. Il riferimento di Jürgen Habermas, nel corso degli anni Sessanta, alla sfera del progresso tecnico e scientifico del XX secolo assume dei caratteri del tutto peculiari se 1 Data la mole della letteratura critica sul tema, mi limito qui a segnalare i testi più significativi: J. ORTEGA Y GASSET, Meditación de la técnica, Buenos Aires 1959; M. HEIDEGGER, Die Frage nach der Technik, die Technik und die Kehre; O. SPENGLER, Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Lebens, München 1931; B. RUSSEL, The scientific outlook, London 1931; H. SCHELSKY, Der Mensch in der wissenschaftlichen Zivilisation, Köln 1961; H. FREYER, Über das Dominantwerden technischen Kategorien in der Lebenswelt der industrielle Gesellschaft; H. MARCUSE, Der eindimensionale Mensch, Berlin 1968; E. BLOCH, Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt a. M. 1959; K. JASPERS, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, München-Zurich 1949. 2 “Es ist unbestreitbar, dass die Technick seit der Industrielle Revolution an Bedeutung zugenommen hat – ihr Einfluß auf die Lebenswirklichkeit des Menschen wächst mit exponentieller Geschwindigkeit, so daß eine Philosophie, die Vollständigkeit anstrebt, es sich einfach nicht leisten kann, an dieser Phänomen vorbeizusehen.” in V. HÖSLE, Warum ist die Technik ein philosophisches Schlüsselproblem geworden?, in id, Praktische Philosophie in der modernen Welt, Beck, München 1992, p. 87.. 17.

(13) confrontati con le trattazioni di altri pensatori a lui precedenti o contemporanei. È dunque necessario, ai fini di una comprensione della produzione del filosofo tedesco, tracciare le direzioni lungo le quali si svolge la sua analisi critica, che interessa ambiti diversi e molto specifici di applicazione. Innanzitutto è necessario richiamare l’attenzione sulla controversia generatasi nell’ambito delle scienze sociali tra Th. W. Adorno e K. Popper. Solo in relazione alla disputa, che va sotto il nome di Positivismusstreit, sorta tra questi due pensatori, è infatti possibile rinvenire i motivi strutturali che stanno alla base del dibattito tra Habermas e H. Albert e che costituiscono il nucleo di partenza della critica allo scientismo sviluppata da Habermas per tutto il decennio successivo. Tale critica, com’è noto, non si limita solo all’ambito delle discipline sociologiche, ma si estende su un’area decisamente più ampia che comprende in maniera molto profonda anche una sfera più genuinamente filosofica. Il quadro presenta, pertanto, una trama molto fitta tra settori disciplinari talvolta molto distanti tra loro e che tuttavia sono indagati secondo lo stesso sguardo antiscientistico. Ogni tentativo di separare tra di loro vari aspetti dell’indagine habermasiana risulta così permeato da numerose difficoltà che rischiano di evidenziare una serie di elementi di per sé sterili, privandoli del loro tratto costituivo e propriamente legato al modo di operare dell’autore, ossia al loro essere intimamente connessi, pur in relazione a questioni appartenenti ad ambiti diversi. Va dunque sempre considerata tanto la contemporaneità di testi che trattano di settori disciplinari differenti, quanto il sostrato teoretico entro cui tale presa di posizione viene a formarsi. Risulta insomma necessario, almeno in fase ricostruttiva, attenersi ad un andamento strettamente storico, secondo una progressione cronologica indispensabile sia per rendere conto della coerenza con cui Habermas affronta il problema dello scientismo, sia per rendere giustizia alla grande originalità che permea il suo pensiero complessivo, differenziandolo dalle posizioni di altri pensatori solo superficialmente analoghe. Per ricostruire con puntualità la genesi della contrapposizione habermasiana allo scientismo, è utile ricondurre innanzitutto l’indagine nel cuore della sociologia, ed in particolare al congresso della Società Tedesca di Sociologia, tenutosi a Tubinga nel 1961 dal titolo La logica delle scienze sociali. È infatti possibile individuare in questo preciso momento l’espressione più chiara della contrapposizione tra dialettici e scientisti, dove per la prima volta vengono confrontate due concezioni della sociologia. 18.

(14) ben distinte, riconducibili una alla figura di Theodor W. Adorno e l’altra a quella di Karl Popper. Come correttamente fa notare Rolf Wiggerhaus, il Seminario di Tubinga rappresenta il prosieguo di un dibattito risalente agli anni Cinquanta, durante il quattordicesimo Congresso dei Sociologi Tedeschi, svoltosi a Berlino nel 1959. Le relazioni principali, quella di Max Horkheimer, Soziologie und Philosophie, e quella di René König, Wandlungen in der Stellung der sozialwissenschaftlichen Intelligenz, indicano già chiaramente due concezioni della disciplina nettamente contrapposte. Horkheimer nel suo intervento, ribadisce la necessità di non tralasciare il compito fondamentale della sociologia come “riflessione della società su se stessa”, dal momento che il suo scopo primario consiste nella “giusta convivenza tra gli uomini”3; König, respingendo con vigore la posizione horkheimeriana, vi contrappone l’idea di una sociologia pura, come scienza rigorosamente specialistica. Secondo Wiggerhaus, sul terreno di questa nuova idea di sociologia come «scienza pura» e nel richiamo alla «realtà delle cose», possono ragionevolmente collocarsi tanto la “diagnosi tecnocratica dell’epoca contemporanea di Schelsky” quanto la “teoria scientifica neoliberale di Popper”4.. §. 1. Sociologia dialettica e sociologia empirica. La prospettiva di T. W. Adorno. Il seminario di Tubinga aveva visto – secondo le parole di Ralf Dahrendorf - la ricerca di posizioni “commensurabili” da parte dei due relatori principali, al punto tale da far apparire in taluni punti. le relazioni di entrambi pressoché prive di ogni. contrasto5. Tuttavia, queste stesse formulazioni comuni nascondevano in realtà “profonde differenze nella sostanza”6, rinvenibili in primo luogo nel differente riferimento alla filosofia, come ricorso esplicito per i «dialettici» o come interesse metodologico non ingenuo da parte dei «positivisti»7. Per Adorno, entrambe le fazioni 3. R. WIGGERHAUS, Die Frankfurter Schule. Geschichte, Theoretische Entwicklung. Politische Bedeutung, Carl Hanser Verlag, München 1986 (tr. it. di P. Amari e E. Grillo, La Scuola di Francoforte. Storia. Sviluppo teoretico. Significato politico, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 581). 4 Ivi, p. 582. 5 TH. W. ADORNO, K. R. POPPER, R. DAHRENDORF, J. HABERMAS, H. ALBERT, H. PILOT, Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Luchterland, Neuwied-Berlin 1969 (tr. it. di A. Marietti Solmi, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino 1972). Da qui Positivismusstreit. 6 ADORNO, Einleitung, in Positivismusstreit, p. 7 (p. 9). 7 Ho racchiuso tra virgolette i termini dialettici e positivisti perché tali definizioni, emerse proprio in occasione del Congresso di Tubinga, meritano una più ampia precisazione sul loro utilizzo. Mi riservo di. 19.

(15) contrapposte nel dibattito sulle scienze sociali non erano state in grado di varcare il limite dell’astrattezza, del discorso metodologico, attuando un effettivo passaggio alla discussione sulla sociologia in quanto tale. Un punto fondamentale della lunga Introduzione adorniana al testo che raccoglie le principali relazioni di Tubinga emerge proprio nelle prime pagine, dove il maestro francofortese, riferendosi alle difficoltà insite in un procedimento metodologico basato sulla logica formale, afferma che la tesi della priorità di quest’ultima è, a sua volta, il nucleo centrale della concezione positivistica, o (se vogliamo sostituire questa espressione forse troppo compromessa con un’altra che Popper dovrebbe accettare) scientistica di ogni scienza, sociologia e teoria della società comprese. Tra gli oggetti della controversia non deve essere eluso il problema se l’irrinunciabile logicità del procedimento procuri effettivamente alla logica una posizione di primato assoluto8.. Emerge chiaramente da questo passo il punto focale attorno al quale si snoda l’intero dibattito, nonché la questione sollevata da Adorno nei confronti dell’approccio popperiano. La tesi è che l’applicazione di una metodologia esclusivamente logica, sebbene condotta secondo un’autoriflessione critica, rischi di risultare in una posizione particolarmente svantaggiosa se messa in atto nell’ambito di “discipline di carattere contenutistico”9. La ricerca di un punto di equilibrio tra le due prospettive rischia, d’altra parte, di sortire un effetto paradossale, ossia quello di discutere di problemi complessi “senza pregiudizi logistici, ma anche senza dogmatismi”; per far fronte all’impasse, cui inevitabilmente si andrebbe incontro, è dunque fondamentale un cambio scenico, la ricerca di un campo neutro di confronto, un “luogo mentale” come luogo d’incontro alternativo, senza tuttavia che vi sia l’accettazione incondizionata di un sistema di regole che sottostà alla medesima discussione. Secondo Adorno, questo “luogo mentale” non costituisce una dimensione più astratta di quelle che sono pertinenti ai dialettici e ai positivisti: esso potrebbe invece rivelarsi come un terreno concreto e reale se si considerasse il fatto che la logica formale e la scienza nella sua valenza più ampia affrontare la questione nel corso del testo; qui basta ora ricordare che i termini indicano due precisi schieramenti nel dibattito sociologico di quegli anni in Germania, il primo facente riferimento a T. W. Adorno e più in generale alla Scuola di Francoforte, il secondo a K. Popper. 8 Positivismusstreit, p. 9 (p. 11). 9 Ibidem.. 20.

(16) costituiscono un “rapporto sociale di produzione”, e non solamente forza produttiva sociale. Nei confronti dei positivisti, così come sono intesi dal francofortese, tale affermazione rappresenta un affondo contro l’assunto che sostiene l’esclusiva autonomia della scienza, “del suo carattere costitutivo per ogni conoscenza”10. Adorno si interroga sull’esistenza di una reale dicotomia tra conoscenza e processo reale della vita, e si chiede se questi non debbano essere invece considerati come strettamente connessi, o se ancora non sussista la possibilità che la conoscenza, nella sua presunta autonomia, non si generi dalla sua funzione sociale: mantenendo inalterata tale duplicità si incorre nel rischio di creare un’antinomia rispetto al principio di non-contraddizione, poiché in tal modo la scienza apparirebbe, al tempo stesso, “autonoma e priva di autonomia”. Il contrasto tra le due prospettive, quella critica e quella positivista, insiste Adorno, si palesa nella pretesa di entrambe a presentarsi come l’unico approccio idoneo per un’indagine rigorosa all’interno delle scienze sociali:. la dialettica […] non ha qui più che altrove il diritto di atteggiarsi a «pensiero privilegiato»: di darsi l’aria di una facoltà soggettiva eccezionale, di cui l’uno sarebbe dotato e che sarebbe preclusa all’altro, o di atteggiarsi addirittura ad intuizionismo. Viceversa, i positivisti devono rinunciare all’atteggiamento che Habermas chiama del Kannitverstand [in olandese, non riesco a capire], e che consiste nel dichiarare incomprensibile e squalificare senza esitazioni come tale tutto ciò che non collima con categorie come i loro «criteri di senso»11.. Sembrerebbe qui che Adorno inviti a valutare come affatto scientifico e oggettivamente valido solo il metodo dei positivisti, negando che la filosofia tradizionale possegga i medesimi criteri di precisione metodologica, anche in forza della volgarizzazione del termine “speculativo”12, privato del suo rigore concettuale. Il tracollo del sistema hegeliano ha generato la deformazione di ciò che doveva invece 10. Ivi, p. 10 (p. 12). Ivi, pp. 10-11 (p. 13). 12 Qui Adorno intende due differenti concezioni del termine «speculativo», una rigorosamente hegeliana e l’altra di utilizzo “popolare”. L’accezione hegeliana del termine è quella utilizzata dall’autore, che pertanto rivendica un’autoriflessione critica dell’intelletto, attraverso la sua limitazione e autocorrezione; l’altra, quella comunemente e volgarmente adoperata, invece, considera il termine speculativo come l’esatto contrario di quello elaborato da Hegel, vale a dire “una sorta di pensiero a ruota libera, privo di rigore, vano, dove sono assenti l’autocritica logica, appunto e il confronto con le cose” (Ibidem). 11. 21.

(17) rappresentare la liberazione del pensiero dai propri limiti, il. raggiungimento. dell’obiettività. Ora, la prospettiva oggettiva cede il passo da un lato all’arbitrio soggettivo, dal momento che la speculazione non è più in grado di esercitare un controllo universalmente valido; dall’altro al soggettivismo, poiché proprio la speculazione sarebbe responsabile, a detta dei positivisti, del dissolversi del concetto di «fatto» insistendo sul «concetto», inteso come una sorta di regressione al realismo scolastico o ad una creazione ex novo del soggetto pensante al posto della realtà in sé. Secondo Adorno, la critica più energica contro tale presupposizione è insita nella stessa natura del positivismo, nella connaturata contraddizione che trae origine dalla sua pretesa di obbiettività. La purezza da ogni contraddizione e l’abbandono di ogni presupposto di proiezione soggettiva non sono in grado di rendere il positivismo effettivamente libero, mostrando al contrario come esso sia “tanto più prigioniero della particolarità di una ragione meramente soggettiva, strumentale”. In tal senso i positivisti “ipostatizzano il soggetto conoscente, non più – è vero – come creatore, assoluto, ma pur sempre come il tópos noetikós di ogni validità, del controllo scientifico”13. La stessa esasperazione dell’esigenza di oggettività dichiarata nel Tractatus di Wittgenstein14, secondo l’argomentazione adorniana, produce l’effetto di condurre inesorabilmente verso il paradosso della filosofia, verso una forma di soggettivismo latente. Gli scientisti, così come sono definiti da Adorno, si ostinano ad ignorare tale deriva del loro rinnegare la coscienza soggettiva e non sono in grado di mediare fatticità e concetto, i quali risultano essere logicamente incompatibili se privati della loro connessione. Per comprendere il trapasso da queste considerazioni generali alla questione chiave che interessa le scienze sociali è necessaria, secondo Adorno, una considerazione in merito all’assunto fondamentale del positivismo. Non è infatti possibile asserire la preminenza assoluta del dato empirico sulle idee e, allo stesso tempo, asserire l’autonomia della matematica, che altro non è se non una dimensione affatto ideale. Adorno rileva che, fintanto che si mantiene inalterato l’assunto berkeleyano “esse est percipi”, non emerge la base su cui la pretesa di validità delle scienze formali è fondata; contemporaneamente la logica formale è sempre postulata dalle operazioni mentali tese a stabilire connessioni. Per il francofortese, quindi, “questa semplice considerazione 13 14. Ivi, p. 12 (p. 14). L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, a cura di A. G. Conte, Einaudi, Torino 1968.. 22.

(18) dovrebbe essere sufficiente per indurre lo scientismo alla dialettica”15, anche se proprio la “cattiva astrazione” insita tra l’aspetto formale e quello empirico è ciò che si manifesta con maggior virulenza nelle scienze sociali. Seguendo l’interpretazione adorniana, la sociologia positivista può a ragione essere definita soggettiva, sia perché opera per mezzo di schemi applicati al materiale oggetto di studio, sia perché non ha come momento iniziale lo studio della società nel suo complesso, bensì l’analisi di opinioni e comportamenti dei singoli soggetti. Nel primo caso è indubbio che il materiale conservi la sua rilevanza nell’indagine, tuttavia è altrettanto evidente una divergenza qualitativa tra i due approcci, dal momento che i positivisti interpretano differentemente i fenomeni sociali, ossia in base alla “struttura che appartiene loro a priori”. La differenza è tuttavia solo apparentemente di carattere metodologico, perché celerebbe dietro questa parvenza una diversità a livello contenutistico, che attribuisce alle categorie analizzate il “valore di un dato assoluto e virtualmente immodificabile”16. Nel secondo caso la sociologia positivistica concepisce la società come “coscienza o l’inconscio medio – quale risulta dai rilievi statistici – dei soggetti socializzati e socialmente agenti, e non il medium in cui essi si muovono"17. Per la sociologia di tipo dialettico ciò che costituisce il terreno su cui fondare una “ragione soggettiva conoscente” è rappresentato dall’oggettività della struttura, quella stessa oggettività rifiutata dai positivisti. È proprio tale struttura a realizzare tanto la condizione quanto il contenuto dei fatti sociali accertabili nei soggetti singoli. È un dato di fatto inconfutabile, secondo Adorno, che, a prescindere dai dati e dai successi realmente ottenuti, la “concezione dialettica della società” tenga in considerazione maggiore l’esigenza dell’oggettività; molto più della sua controparte che misconosce tale esigenza, avvalendosi della sicurezza fornita da un’indagine oggettivamente valida. Ma il «progresso» che i positivisti si propongono di incarnare può avere anche l’effetto di far regredire, se viene negato il dibattito con ciò che è definito come «arcaico»:. L’esigenza di modernità non può essere altra che quella dell’illuminismo avanzato. Ma essa ha bisogno dell’autoriflessione critica della ragione soggettiva. Il progresso della quale – intrecciato fin nelle più intime fibre con la dialettica dell’illuminismo – non. 15. Positivismusstreit, p. 13 (p. 15). Ivi, p. 14 (p. 16). 17 Ibidem, (p. 17). 16. 23.

(19) può essere considerato senz’altro come superiore oggettività. È questo il punto focale della controversia18.. Alla luce di tali osservazioni, è possibile ricostruire con più precisione in che cosa consista precisamente l’approccio dialettico alle scienze sociali, per comprendere più profondamente le ragioni addotte da Adorno nel confronto-scontro con i positivisti. Innanzitutto la dialettica si mostra nella sua dipendenza dall’oggetto e pertanto essa non è un “per-sé”; in secondo luogo essa critica il criterio della definizione. Ciò che tuttavia la rende un facile bersaglio, tanto dei positivisti quanto della filosofia dominante, è l’assenza di un fondamento, un arché, quale supporto di una possibile costruzione delle sue componenti. Si tratta, come mette in rilievo Adorno, di una conseguenza del fallimento idealistico della possibilità di “rappresentare l’essere come interamente identico con lo spirito”, grazie alla sua non-identità con lo spirito medesimo. Il movimento dialettico come “scienza assoluta” assume le sembianze di un circolo chiuso e tale chiusura, da principio intesa come barriera protettiva in grado di escludere quanto di non necessario o ignoto potesse penetrare all’interno della dialettica, è ciò che è andato perduto assieme alla sua “coattività e univocità”. Ciò nonostante, secondo Adorno, la dialettica non perde la sua ragione d’essere, poiché “l’idea di un sistema oggettivo, esistente in sé, non è così chimerica come sembrava dopo la caduta dell’idealismo, e come assicura il positivismo”19. Secondo Adorno, infatti, esiste ancora la possibilità che essa si possa legittimare “ritraducendo quel contenuto nell’esperienza da cui esso scaturì”. Quello della «totalità» è un problema di rilevanza fondamentale per il metodo dialettico, che riporta ancora una volta l’argomentazione in termini hegeliani. La totalità per Adorno è sostanzialmente una “categoria critica”, non affermativa, e pertanto essa. cerca di aiutare a salvare o a produrre ciò che non appartiene alla totalità, che le si oppone, oppure, come potenziale dell’individuazione che non esiste ancora, si sta solo formando. L’interpretazione dei fatti guida alla totalità, senza che questa sia essa stessa. 18 19. Ivi, p. 15 (p. 17). Ivi, p. 16 (p. 18).. 24.

(20) un fatto. Non vi è nessun fatto sociale che non abbia il suo posto e il suo significato nella totalità20.. La totalità è il sostrato comune a tutti i soggetti ed è la loro stessa costituzione “monadologica” a configurarla. In questo senso, si può comprendere l’affermazione adorniana per cui la totalità è “l’essere supremamente reale”, poiché essa è ciò che accomuna tutti i soggetti determinandoli nella loro specificità. Essa, in altri termini, è ciò che realizza quel vincolo sociale che pone in relazione i soggetti costituenti la società; ma essa è anche ciò che non si mostra chiaramente ed evidentemente, perché, al contrario, si cela per non essere riconosciuta, divenendo parvenza, “ideologia”. Questo aspetto ambivalente, ma soprattutto contraddittorio, della totalità è ciò che conferisce al medesimo tempo lo status di libertà e di “illibertà” all’umanità, ed è anche ciò che viene duramente contestato dai positivisti come ambito d’analisi21. La totalità è per Adorno “la società come cosa in sé, con tutta la colpa della reificazione”22, come continuazione della natura e non ancora come soggetto sociale comune. Solo grazie a questa consapevolezza è allora possibile parlare di “fattuale”, così come fanno i positivisti; errato è però il ritenere la fattualità come funzione della società e come sfondo impenetrabile: “l’assoluta separazione di fatto e società è un prodotto artificiale della riflessione, che una seconda riflessione deve spiegare e revocare”23. Il fulcro su cui si impernia l’argomentazione adorniana comincia ora ad apparire più nitidamente, nel momento in cui si svela il dato di “non controllabilità” della società intesa nei termini di totalità avanzata dai positivisti. Questa non può essere valutata come un che di fattuale, solo i singoli fenomeni che la compongono rientrano in questa definizione. Albert e i positivisti in generale mettono in atto un’operazione di astrazione, che per Adorno si configura come «cattiva astrazione». Essa perviene specificamente alla società dello scambio: “è nell’esecuzione universale di questo, e. 20. Ivi, p. 19 (p. 21). Il riferimento è qui, come vedremo successivamente, al contrasto tra Hans Albert e Jürgen Habermas, dove il primo contesta la possibilità d’analisi della totalità, dal momento che questa si conclude con una “contraddizione oggettiva”, e il secondo si difende dall’accusa di “arbitrario decisionismo” negando che la totalità possa essere indagata attraverso un criterio fattuale che trascende il movimento stesso verso la categoria di totalità. 22 Positivismusstreit, p. 19 (p. 22). 23 Ivi, p. 20 (p. 22). 21. 25.

(21) non solo nel resoconto che ne dà la scienza, che ha luogo, oggettivamente, l’astrazione”24. Il valore di scambio come entità astratta si congiunge a priori, secondo Adorno, con quella peculiare forma di dominio dell’universale sul particolare che si concretizza nell’egemonia della società sugli individui che la compongono. L’intero processo di dominio così come si configura all’interno della società non è neutrale, ma al contrario, riducendo gli uomini “ad agenti e veicoli di scambio”, inasprisce maggiormente la medesima sfera coercitiva esercitata dagli uomini sugli uomini. Ancora una volta Adorno riprende il concetto di “totalità”, marcando quella che secondo il ragionamento da lui fin qui svolto costituisce la differenza sostanziale tra l’approccio dialettico e quello positivista:. appare radicale se si considera che il concetto dialettico di totalità ha carattere «oggettivo», è inteso nella comprensione di ogni accertamento sociale particolare, mentre le teorie sistematiche del positivismo vorrebbero semplicemente raccogliere gli accertamenti in un continuum logico non contraddittorio, attraverso la scelta di categorie quanto più generali possibile, senza riconoscere che i supremi concetti strutturali sono la condizione dei contenuti che sono sussunti sotto di essi25.. Il primato che in tal modo è conferito ai metodi della scienza, che come primo obiettivo hanno quello di eliminare completamente i residui “mitologici e prescientifici” legati alla totalità, rischia di ostacolare tanto il procedimento scientifico quanto l’oggetto stesso d’indagine. Ecco allora che si esplicita più precisamente in che cosa consista la critica adorniana al positivismo, vale a dire al suo opporsi all’esperienza della totalità dominante e contemporaneamente alla possibilità di un cambiamento effettivo, accontentandosi delle macerie svuotate di ogni senso che sono rimaste dopo la liquidazione dell’idealismo, senza cercare di interpretare la liquidazione e ciò che è stato liquidato e portarli così alla verità26.. 24. Ivi, p. 21 (p. 23). Ibidem. 26 Ivi, p. 22 (p. 24). 25. 26.

(22) Il positivismo, per Adorno, mescola indistintamente tanto il dato interpretato soggettivisticamente quanto le forme pure di pensiero, realizzando pertanto la forma stessa dello scientismo; questo, assemblando tali elementi eterogenei, riprende la stesso modo di operare della filosofia della riflessione, bersaglio critico della dialettica speculativa. Da tali considerazioni, Adorno giunge quindi a spiegare perché la dialettica risulti essere l’approccio migliore alla realtà effettiva delle cose: essa infatti, elimina “la parvenza di una qualche dignità naturale-trascendentale del singolo soggetto, […], è una realtà di carattere intrinsecamente sociale”27 e, grazie ai suoi criteri di senso, più realistica di qualsiasi forma di scientismo. Adorno descrive la società, in quanto oggetto d’analisi, come un qualcosa che al tempo stesso mantiene la caratteristica di commensurabilità e incommensurabilità, di comprensibilità e incomprensibilità. Essa è comprensibile nella misura in cui lo scambio, che determina oggettivamente le regole che le sono proprie, è anch’esso un’astrazione e quindi, nella sua oggettività, un atto soggettivo nel quale “il soggetto riconosce e ritrova veramente se stesso”28. A questo, nell’interpretazione adorniana, si riallaccerebbe il tentativo di Weber di ricondurre in termini di identità la relazione sussistente tra soggetto e oggetto, in modo tale da acquisire un’effettiva conoscenza della cosa indagata, in una prospettiva ricostruttiva anziché distruttiva. Il celeberrimo concetto weberiano di razionalità oggettiva della società, tuttavia, sembra staccarsi sempre più dall’archetipo della ragione logica, trasformando la società in un che di incomprensibile: essa diviene “solo la legge di questa autonomizzazione”29. Ciò che più di tutto, secondo Adorno, concorre a creare questa sfera di incomprensibilità è da ricercarsi non solo nella sua struttura, bensì nell’ideologia che essa innalza a muro difensivo nei confronti della critica alla sua irrazionalità. La scissione della razionalità, nelle sembianze di spirito, nella molteplicità dei soggetti come momenti particolari, si trasfigura in razionalizzazione, vale a dire in un movimento che si dirige contro i soggetti stessi. Per Adorno, quindi, la contraddittorietà del concetto di società porta inevitabilmente alla critica razionale della stessa e alla sua particolare forma di razionalità, che è proprio la razionalizzazione. Senza perdere di vista il punto focale. 27. Ibidem. Ibidem, (p. 25). 29 Ivi, p.23 (p. 25). 28. 27.

(23) della diatriba dialettico-positivistica, Adorno ribadisce la correttezza dell’approccio critico, sostenendo ancora una volta che. La coscienza che non si benda gli occhi davanti alla natura antagonistica della società, neppure davanti alla contraddizione di razionalità e irrazionalità che le è immanente, deve procedere alla critica della società senza metábasis eis állo génos , senza usare mezzi diversi da quelli razionali30.. Adorno asserisce la volontà della dialettica di incontrare “lo scientismo sul proprio terreno”31, concordemente al suo obiettivo primario di conoscere effettivamente la realtà sociale del tempo presente; essa potrebbe così costituire un aiuto per la scienza, impegnata a fare breccia in una muro innalzato da lei stessa e che le impedisce di accedere effettivamente alla realtà. Il metodo classificatorio del positivismo, che elimina le opposizioni e le antinomie tra elementi della realtà spesso molto diversi tra loro, ben si coniuga con un’abilità armonizzante che rimane tuttavia inconsapevole e involontaria. Riprendendo il progetto di Talcot Parsons di realizzare una scienza unitaria, Adorno mostra nuovamente qual è secondo la sua prospettiva il limite intrinseco a questa pretesa. Essa infatti, nel tentativo di realizzare una macrocategoria che racchiude al suo interno tanto l’individuo quanto la società, si scontra violentemente con l’occultamento dell’innegabile frattura esistente tra particolare e universale, manifesta nell’intrinseco antagonismo che le contraddistingue; inoltre, l’idea di continuità mutuata dalle scienze naturali mal si coniuga con la necessaria manifestazione delle contraddizioni insite nell’oggetto di indagine. Pertanto, secondo Adorno, in questo ambizioso, ma al contempo illusorio progetto si rivela il tratto peculiare dell’oggetto d’indagine qui considerato: all’approccio unitario “sfugge il momento socialmente posto della divergenza di individuo e società, e delle rispettive discipline”32. Tale scissione tra individuo e società, che è un fatto storicamente oggettivo, non consiste per il francofortese in una totale diversità, bensì – e qui si colloca il nucleo più profondo della teoria critica – nella continua e reiterata non realizzazione delle promesse fatte dalla società stessa agli individui nel perseguimento di interessi; allo stesso modo, i. 30. Ibidem, (p. 25). Ivi, p. 24 (p. 26). 32 Ibidem. 31. 28.

(24) soggetti perseverano nel raggiungimento di interessi individuali, allontanando sempre più l’ideale della creazione di interessi comuni. Adorno passa quindi a considerare il progetto, cui anche Popper in un certo senso aderisce, di «scienza unitaria». Secondo la prospettiva del francofortese, tale programma ha come mira principale una forma di razionalizzazione organizzativa che inevitabilmente tralascia tutte le questioni di tipo epistemologico direttamente connesse alla società. Non è possibile ignorare la mediazione sociale alla quale la stessa scienza è soggetta, e tuttavia si permette a questa di monopolizzare i criteri di valutazione di vero e falso. Ciò che i positivisti presumono come indiscutibilmente certo è proprio il concetto di scienza come un’entità data, che tuttavia, sottolinea Adorno, mantiene dentro di sé un’innegabile dialettica storica, che non autorizza a parlare semplicemente di progresso nel momento in cui ci si rapporta al divenire storico. È con l’idealismo, in particolare a partire dalla Scienza della logica di Hegel, che la scienza assume una valenza nuova, come sapere assoluto o. come “il concetto dispiegato di ciò che è così e non. altrimenti”. Il bersaglio della critica all’idea di sviluppo sostenuta dai positivisti, argomenta Adorno, non è costituita da un attacco verso i metodi peculiari delle scienze particolari, bensì dal principio “che gli interessi extrascientifici sono estranei alla scienza, che gli uni e l’altra devono essere accuratamente distinti”33. Tuttavia, prosegue Adorno, gli interessi che pretendono di essere esclusivamente scientifici consistono nella neutralizzazione di interessi extrascientifici che continuano a permanere all’interno della stessa scienza; inoltre, lo strumentario scientifico, che rappresenta l’unità di misura in base alla quale si definisce ciò che è scientifico, rappresenta anche il mezzo risolutivo per questioni che nascono al di fuori della scienza e che necessariamente esercitano pressione all'esterno dei propri confini.. Finché la razionalità strumentalistica della scienza ignora il télos insito nel concetto di strumentalismo e fa di se stessa il suo unico scopo, essa contraddice alla propria strumentalità. Proprio questo la società pretende dalla scienza. In una società determinabile come falsa, che contraddice agli interessi dei suoi membri come a quelli. 33. Ivi, p. 26 (p. 28).. 29.

(25) del tutto, ogni conoscenza che si sottomette di buon grado alle regole di questa società coagulate in scienza partecipa della sua falsità34.. Adorno riprende la distinzione elaborata da Popper, e successivamente ripresa da Albert, tra ciò che è definito come scientifico e ciò che è considerato prescientifico, con l’intenzione di mostrare la precarietà di tale tesi e la sua intrinseca mendacia. Secondo l’argomentazione popperiana esistono questioni “scientifiche” e questioni “extrascientifiche”, sebbene sia impossibile eliminare ogni traccia di interessi extrascientifici dalla ricerca scientifica propriamente detta. È tuttavia basilare, in un procedimento corretto d’analisi, distinguere “quegli interessi che non appartengono alla ricerca della verità dall’interesse puramente scientifico per la verità”35. Parallelamente alla verità esistono altri valori scientifici significativi, quali l’interesse, la rilevanza di un’affermazione, ma anche la forza esplicativa, l’esattezza e la semplicità; tale constatazione porta Popper ad eseguire un’ulteriore suddivisione tra valori e disvalori propriamente inerenti alla scienza e valori e disvalori esterni alla scienza. Data l’impossibilità, quindi, di tutelare l’indagine scientifica dalle infiltrazioni dovute all’esistenza di valutazioni extrascientifiche, Popper ribadisce ancora una volta che. uno dei compiti della critica e della discussione scientifica è quello di lottare contro la confusione delle diverse sfere assiologiche, e, in particolare, di escludere dai problemi di verità le valutazioni extrascientifiche36.. Secondo Adorno è compreso all’interno dell’ordine prescientifico – o extrascientifico – non solo ciò che non è stato ancora sottoposto alla funzione autocritica delle scienze, bensì anche “quella parte di razionalità e di esperienza che viene scartata dalle determinazioni strumentali della ragione”37. Per il francofortese, tuttavia, la scienza non. può non considerare entrambi i momenti come parti. complementari e quindi necessariamente connesse tra loro: “la scienza che non accoglie in sé, trasformandoli, gli impulsi prescientifici, si condanna all’irrilevanza non 34. Ibidem, (pp. 28-29). POPPER, Die Logik der Sozialwissenschaften, in Positivismusstreit, p. 114 (p. 115). 36 Ibidem. 37 Ivi, p. 27 (p. 29). 35. 30.

(26) meno della mancanza di rigore dilettantesca”38. Paradossalmente, il continuo irrigidirsi della scienza entro i suoi propri confini fa sì che tutto ciò che è annoverato come prescientifico divenga il ricettacolo della conoscenza. Il misconoscere il contenuto di verità ricorrendo al relativismo della sociologia del sapere e il rifiutare la relazione connaturata con i fatti sociali conducono inesorabilmente la scienza a non essere in grado di realizzare proprio ciò che dovrebbe essere la sua peculiare competenza, limitandosi invece a mere illusioni. Si tratta, dalla prospettiva adorniana, di riconoscere la diversità dei due momenti, ma al contempo di osservarne la loro reciproca dipendenza; questo però è proprio ciò che manca alla scienza nella sua continua ricerca di oggettività, dal momento che essa necessita solamente del consenso di quelle mediazioni sociali ad essa immanenti, pur non essendo il consenso strumento di corrispondenze e interessi sociali. Solo l’assolutizzazione e la strumentalizzazione della scienza giungono a una reale integrazione, in modo tale che. impegnandosi unilateralmente per il momento dell’unità di individuo e società – per amore della sistematicità logica –, e riducendo ad epifenomeno privo di valore il momento antagonistico che non si adatta a questa logica, lo scientismo diventa falso rispetto a stati di cose d’importanza centrale39.. Per Adorno è proprio la riflessione della conoscenza sociale sul proprio ruolo, nel contesto di ciò che conosce, a generare la necessità di andare oltre questa semplice non-contraddittorietà.. §. 2. Più in profondità nel dibattito Adorno-Popper: due relazioni a confronto. Quanto finora detto relativamente all’introduzione di Adorno al testo Dialettica e positivismo in sociologia deve essere inteso come un ulteriore tentativo del francofortese di chiarire, attraverso un’argomentazione retrospettiva, il punto di vista dialettico, con l’intento non troppo velato di apportare giustificazioni e precisazioni. 38 39. Ibidem. Ivi, p. 27-28 (p. 30).. 31.

(27) aggiuntive a favore delle proprie tesi, e che non poche perplessità aveva suscitato negli altri partecipanti alla discussione.40 Il testo di Adorno Sociologia e ricerca empirica41 si apre con la distinzione, all’interno della comune appartenenza alla sociologia come disciplina, tra l’approccio dialettico – o di teoria della società – e l’approccio positivista – o di ricerca sociologica empirica. La prima è scaturita dalla filosofia, mentre nello stesso tempo cerca di riformulare e impostare diversamente i suoi problemi, individuando nella società quel sostrato che per la filosofia tradizionale era rappresentato dalle verità eterne o dallo spirito. […] La teoria vuole chiamare per nome ciò che tiene segretamente insieme tutto il meccanismo42.. A questo tipo di orientamento si contrappone quella che Adorno definisce “l’indagine sociologica dei fatti”, per la quale l’analisi della totalità, della società nel suo insieme come oggetto unitario e non scindibile nelle sue singole componenti, appare privo di senso e sostanzialmente inutile:. ciò che oggi si intende comunemente per ricerca sociologica empirica si richiama (dal positivismo di Comte in poi) in forma più o meno esplicita al modello delle scienze naturali. Le due tendenze non possono essere ridotte ad un comune denominatore43.. Questa seconda tipologia di indagine sociologica, servendosi del metodo impiegato dalle scienze empiriche, procede dal particolare all’universale, vale a dire muovendo da indagini su singoli elementi per poi giungere alla totalità della società; in tal modo, però, afferma Adorno, l’unico risultato ottenibile consiste in concetti generali classificatori che nulla esprimono circa la vita della società. Tuttavia, anche il 40. Si veda a proposito quanto afferma Albert nella sua Breve nota conclusiva a proposito di una lunga e sorprendente introduzione: “Anzitutto vorrei precisare che non sono soltanto colpito dal numero di pagine che sono state scritte dall’altra parte […], ma anche dal contesto delle integrazioni che sono state apportate alla discussione precedente, soprattutto (per esprimermi un po’ più chiaramente) dalla maniera in fondo relativamente semplice (nonostante il solito modo complicato di esprimersi) in cui Adorno riproduce tutti i malintesi che si sono annidati nell’area linguistica tedesca nel dibattito generale sul positivismo che si è sviluppato dopo l’inizio della nostra discussione e in parte sotto la sua influenza – malintesi che avrebbero potuto essere preliminarmente evitati, se non con la semplice lettura degli interventi a disposizione, certamente con lo studio di altri lavori dei propri interlocutori”. Ivi, p. 325. 41 ADORNO, Soziologie und empirische Forschung, in Positivismusstreit. 42 Ivi, p. 81 (p. 83). 43 Ivi, p. 82 (p. 84).. 32.

(28) procedimento opposto – quello che a partire dalla totalità procede verso il particolare – produce alcune limitazioni all’indagine sociologica. Secondo Adorno infatti, lo studio della totalità ha come presupposto un’ipotesi di partenza, ma proprio questa genera un’inevitabile modificazione interna della struttura della società. In tal modo la capacità di penetrazione e la profondità dell’analisi stessa si indeboliscono, e “ciò che si riferisce al principio viene appiattito, ridotto al fenomeno in base al quale viene controllato”44. Ne consegue, dunque, che entrambe le direzioni, lungo le quali i due versanti opposti della ricerca sociologica si muovono, non conducono alla realtà della ricerca sociale: entrambe astraggono dal reale oggetto d’indagine senza recuperarne il valore effettivo. Nella riflessione di Adorno, l’esito di quanto osservato si traduce in termini sostanzialmente negativi per quel che concerne la possibilità di una mediazione tra le due impostazioni contrapposte. Non ci sono, secondo il francofortese, i presupposti per pensare una possibile mediazione tra la teoria e la prassi scientifica: ancor meno si può sperare dalle promesse […] di operare una sintesi di teoria e empiria, dove queste promesse identificano falsamente la teoria con l’unità formale e non vogliono ammettere che una teoria della società epurata dell’elemento contenutistico sposta tutti gli accenti. […] La costruzione della teoria sociale secondo il modello dei sistemi classificatori costituisce il residuo concettuale più rarefatto di ciò che prescrive alla società la sua legge: empiria e teoria non possono essere riportate in un continuum45.. Quanto detto trova una giustificazione coerente all’interno della riflessione adorniana, dal momento che l’impossibilità di creare una sintesi armonica tra i due approcci è una conseguenza proprio del modo in cui la totalità sociale è pensata nell’impostazione dialettica. Una ricerca di tipo empirico sulla società è destinata a fallire a causa della sua organizzazione: la società non può essere intesa come una superficie liscia, sulla quale applicare regole d’analisi induttive. Al contrario, essa è un terreno composito, la cui caratteristica precipua è costituita da divergenze mai uguali, da conflitti sociali; compito della sociologia non è il livellamento degli urti interni,. 44 45. Ivi, p. 83 (p. 85). Ibidem.. 33.

(29) bensì il focalizzare l’attenzione su di essi poiché “le tensioni devono essere realizzate fino in fondo, per diventare feconde”46. Sicuramente il successo della sociologia di tipo empirico sulle altre – la sociologia intesa come scienza dello spirito e la sociologia formale – è da attribuirsi al metodo di cui essa si serve per l’indagine, un metodo che gode di una maggior forza di attuazione pratica, ma non di una superiorità di altro tipo. Adorno, tuttavia, mette in guardia dalla pretesa obiettività dei metodi empirici, rilevando al contrario un paradosso di fondo: questi rivolgono la loro attenzione non verso il materiale di carattere oggettivo, bensì verso quello di carattere soggettivo. Concordemente alla logica di mercato, da cui questo tipo di ricerca prende avvio, l’interesse si convoglia su dati soggettivi, quali opinioni e comportamenti dei singoli soggetti. Questa constatazione induce Adorno a sostenere che l’obiettività supposta non è quella dell’oggetto preso in analisi, quanto piuttosto quella dei metodi empirici impiegati per condurre l’indagine su comportamenti soggettivi. Ma il peso di tutta la sfera del soggettivo, che qui si mette in mostra, porta il francofortese ad un’ulteriore osservazione: nonostante la pretesa oggettività dei metodi impiegati per l’indagine dalla sociologia di tipo empirico, emerge l’idea che ciò che costituisce la possibilità della comprensione del processo sociale è l’“universo statistico” plasmato dall’insieme dei contenuti della coscienza e dell’inconscio degli uomini. Le opinioni considerate non si differenziano tra loro, sono potenzialmente tutte uguali poiché non è valutata come significativa la loro provenienza, vale a dire la loro portata sociale. Questo fa sì che, nonostante la netta presa di distanza della sociologia empirica dall’antropologia filosofica, le due discipline convergano in un punto centrale: secondo Adorno, infatti, emerge chiaramente come queste ritengano di potersi occupare dell’uomo in maniera immediata, senza considerarlo come “momento della totalità sociale”, senza una precedente valutazione del suo essere “individuo socializzato”. La cosalità del metodo, la sua innata tendenza a fissare stati di fatto, si trasferisce sui suoi oggetti, e cioè sugli stati di fatto soggettivi e accertati, come se questi fossero cose in sé, e non il prodotto di una reificazione. Il metodo minaccia sia di feticizzare la cosa a cui è rivolto che di degenerare a sua volta in feticcio47. 46 47. Ivi, p. 84 (p. 86). Ivi, p. 86 (p. 88).. 34.

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