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L’ampliarsi del dibattito: l’ingresso di Habermas nella controversia sul positivismo e la querelle con Hans Albert.

La lunga digressione in merito al congresso di Tubinga e alla contrapposizione tra Adorno e Popper ha creato le condizioni per poter comprendere le motivazioni che hanno portato Habermas a prendere parte attivamente alla discussione in corso e che, successivamente, hanno determinato lo sviluppo autonomo nel suo pensiero della critica allo scientismo.

Un dato che colpisce relativamente al confronto delle relazioni presentate a Tubinga da Popper e Adorno è l’assenza di grandi contrapposizioni, quanto meno evidenti, tra le posizioni difese rispettivamente dai due relatori. Si è già sottolineato il fatto che in entrambi gli autori era emersa una forma di concordanza anche se solo apparente. Resta comunque il dato rilevato dai partecipanti al congresso in merito al “forte senso di delusione” lasciato dalla discussione di Tubinga, alla sensazione di una incapacità di far emergere con vigore i contrasti forti presenti in quegli anni tra i sociologi tedeschi1.

Ai fini di questa ricerca, tuttavia, la discussione finora analizzata riveste un ruolo fondamentale: essa è, infatti, il preludio a un discorso che grande rilievo assumerà nelle riflessioni teoretiche di Habermas. Da questo momento si apre un universo tematico che è destinato a essere il fulcro principale attorno al quale ruotano i testi principali habermasiani del periodo compreso tra gli anni Sessanta e Settanta, tanto in ambito sociologico, quanto in quello più propriamente filosofico. Come ha correttamente osservato Stefano Petrucciani, è proprio con l’ingresso di Habermas nella discussione tra epistemologi analitici e dialettici che “un salto qualitativo di notevole portata si compie per quanto riguarda la riflessione sullo statuto filosofico della critica”2. Ciò che emerge ora come dato decisamente significativo è l’esplicitarsi di quello che si configura come lo statuto stesso della teoria critica della società, che “viene attinto attraverso una via

1 R. DAHRENDORF, Anmerkungen zur Diskussion der Referate von Karl R. Popper und Theodor W.

Adorno, in Positivismusstreit, p. 151 (p. 152).

peculiare, e cioè attraverso l’esame critico di quelle posizioni, che Habermas e Adorno definiscono positivistiche”: non quindi una mera contrapposizione tra prospettive antitetiche, ma un’attenta analisi volta a rinvenire anche all’interno dell’approccio analitico, in particolare popperiano, alcune possibili soluzioni al contrasto3.

In questo contesto si delinea con maggior chiarezza il significato che Habermas attribuisce al termine scientismo. Esso è innanzitutto un metodo derivato dalle scienze empiriche e successivamente applicato ad altre sfere, che tuttavia non possono e non devono rientrare all’interno della categoria delle scienze esatte4. Le scienze sociali, ad esempio, appartengono ad un ambito che esula da quello naturale, che non ha nulla a che fare con l’applicazione di regole empiriche: il loro oggetto di studio è l’uomo e la realtà sociale all’interno della quale egli agisce.

§. 1. Epistemologia analitica e dialettica: il tentativo di mediazione di Habermas nella disputa Adorno-Popper.

Il saggio Analytische Wissenschaftstheorie und Dialektik. Ein Nachtrag zur

Kontroverse zwischen Popper und Adorno rappresenta il primo intervento di Habermas

nel dibattito sociologico tedesco, a qualche anno di distanza dal congresso di Tubinga5. Habermas si ricollega immediatamente ad un punto fondamentale della relazione di Adorno – che costituisce in realtà un argomento centrale del pensiero sociologico del maestro francofortese – ossia all’idea di totalità sociale. Come precedentemente visto, il concetto di totalità gioca un ruolo fondamentale per l’approccio dialettico allo studio della società e Habermas sottolinea come il significato di questo sia da rinvenire nella logica hegeliana: la totalità è essenzialmente dialettica, essa

3 Ivi, p. 23. 4

In occasione del colloquio con Habermas è emerso proprio questo aspetto della presa di posizione contro il positivismo, vale a dire l’intenzione di estremizzare, all’interno della scienze sociali, un’attitudine conoscitiva completamente modellata sull’esempio della fisica.

5 HABERMAS, Epistemologia analitica e dialettica. A proposito della controversia fra Popper e Adorno,

in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, tr. it. cit., pp. 153-187. Il testo in lingua originale Analytische Wissenschaftstheorie und Dialektik. Ein Nachtrag zur Kontroverse zwischen Popper und Adorno è apparso per la prima volta in Zeugnisse. Theodor W. Adorno zum sechzigsten Geburtstag, Europäische Verlaganstalt, Frankfurt a. M. 1963, volume curato da M. Horkheimer per l’Institut für Sozialforschung di Francoforte. Una versione leggermente modificata è apparsa in E. Topisch (a cura di), Logik der Sozialwissenschaften, Kipenheuer und Witsch, Köln-Berlin 1965. In lingua italiana questo testo, nella sua seconda versione, è stato tradotto anche da C. Donolo e inserito nel volume Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari 1967.

vieta di concepire organicamente il tutto, secondo la formula: il tutto è più della somma delle sue parti; ma la totalità è altrettanto poco una classe che si possa determinare – secondo la logica estensionale – come l’insieme di tutti gli elementi che essa comprende6.

Secondo Habermas, la totalità, così come è intesa dai dialettici, non si colloca né all’interno della critica contro i fondamenti logici delle teorie che vorrebbero sgombrare il campo dalle regole formali dell’impostazione analitica, né entro i confini della logica formale – “regno delle ombre” – che considera la dialettica nient’altro che una forma di illusione. Proprio questa autonomia che contraddistingue l’approccio dialettico è causa, secondo Habermas, della sua caratterizzazione come modello ideologico, formulata dalla controparte analitica: l’interesse che la sociologia dialettica riversa sulla vita sociale, sull’intero contesto sociale e in particolare sulla sua componente umana, tutto questo sarebbe ideologia. Secondo Habermas, ciò deriva dal fatto che le scienze sociali sono ormai totalmente modulate secondo i dettami della teoria analitica della scienza, cosicché quanto mantiene anche solo una parvenza dialettica è ritenuto come portatore di una qualche traccia di mitologia. In effetti, prosegue Habermas, l’illuminismo dialettico deriva proprio dal mito ciò che è rigettato dal positivismo, vale a dire “l’idea che il processo di ricerca organizzato dai soggetti appartiene a sua volta al contesto oggettivo che deve essere conosciuto, per il tramite di atti di conoscenza”7.

Il presupposto principale della sociologia dialettica, che si collega a quanto detto sopra – e come è stato ampiamente sottolineato a proposito di Adorno – è l’idea di totalità, quale campo d’indagine privilegiato e indispensabile all’interno delle scienze sociali. Habermas sottolinea come anche per la sociologia di tipo analitico debba esserci un riferimento ad un concetto di “tutto”, dal momento che anche le teorie sistemiche, in quanto teorie, devono riferirsi al complesso del sistema sociale. Ciò, tuttavia, non elimina la differenza sostanziale che separa i due approcci, poiché le scienze sociali di tipo empirico-analitico intendono lo svolgersi dei fatti sociali

6 Ivi, p. 155 (p. 153). 7 Ivi, p. 156 (p. 154).

come una connessione funzionale di regolarità empiriche; nei modelli sociologici le relazioni deduttive fra grandezze covarianti valgono, nel loro complesso, come elementi di una connessione interdipendente. Ma questo rapporto del sistema e dei suoi elementi che ha carattere ipotetico, secondo il modello di una connessione deduttiva delle funzioni matematiche, deve essere nettamente distinto da quel rapporto della totalità e dei suoi elementi che può avere soltanto uno sviluppo dialettico8.

Habermas sostiene che la differenza insita tra sistema e totalità non può essere direttamente definita, poiché tale divergenza dovrebbe essere dissolta dal linguaggio della logica formale e allo stesso tempo tolta e superata dal linguaggio dialettico. Proprio per ovviare a tale difficoltà, l’argomentazione habermasiana procede tentando di riavvicinare i due termini della contrapposizione da una prospettiva esterna ed essi, intraprendendo, come ha messo opportunamente in rilievo Wiggerhaus, “con tutta serietà quel tentativo di aggancio critico-immanente a Popper che Adorno aveva intrapreso con scarso entusiasmo”9. Habermas procede, quindi, enucleando e discutendo quattro differenze principali emerse nelle analisi di Adorno e Popper.

In primo luogo, secondo Habermas, è necessario un chiarimento circa ciò che il sistema rappresenta secondo l’impostazione empiristica. Esso è ciò che denota “la connessione interdipendente di funzioni che sono a loro volta interpretate ad esempio come rapporto fra variabili del comportamento sociale”10. Ogni procedimento empirico- analitico accoglie al suo interno sia regole logico-formali, indispensabili per la “costruzione di un complesso deduttivo di proposizioni ipotetiche”, sia la possibilità di “scegliere le assunzioni fondamentali semplificate in modo che esse consentano la deduzione di ipotesi nomologiche che abbiano empiricamente un senso”11. Conseguentemente la teoria è uno schema ordinatore, vale a dire una costruzione effettuata mediante ed internamente ad una “cornice sintatticamente vincolante”. L’applicabilità delle teorie è quindi possibile ogni qualvolta, in un determinato campo di

8 Ibidem.

9 Wiggerhaus affermas, inoltre, che Habermas in qualità di “teorico dell’opinione pubblica critica e della

prassi nel senso enfatico dell’agire etico-politico, poteva assumere nei confronti di Popper e della sua critica al positivismo un atteggiamento analogo a quello assunto da Marx nei confronti del liberalismo, in quanto all’idea ortodossa della pubblica opinione borghese aveva specularmente contrapposto le condizioni sociali di una possibile realizzazione non borghese”, in Id., La scuola di Francoforte, tr. it. cit., p. 585.

10 Positivismusstreit, p. 157 (p. 155). 11 Ibidem.

oggetti, esse siano in armonia con la molteplicità reale. È questo, secondo Habermas, l’elemento che permette alla teoria analitica di pensare e di sostenere incessantemente la possibilità di una scienza unitaria e, al contempo, di ritenere illegittima qualsiasi indagine che si discosti da questo procedimento.

In posizione del tutto antitetica si colloca la teoria dialettica, per la quale non è possibile che la scienza si rivolga allo studio del mondo, come prodotto dell’uomo, con la medesima “indifferenza con cui procede con successo nelle scienze esatte della natura”12. Secondo Habermas, nell’ambito delle scienze sociali si rende necessario un preliminare accertamento della conformità delle categorie agli oggetti d’indagine, dal momento che un eventuale accordo tra schemi ordinatori e grandezze covarianti può avvenire solo accidentalmente. Habermas non nega qui la possibilità che le relazioni istituzionalmente reificate si inseriscano all’interno di alcuni modelli sociologici con la stessa regolarità appartenente alle grandezze empiriche, e che in questo modo si possa realizzare un controllo tecnico su alcune grandezze sociali. Tuttavia,

non appena l’interesse che guida la conoscenza va al di là del dominio della natura, e cioè (in questo caso) al di là della manipolazione di settori di tipo naturale, l’indifferenza del sistema per il suo campo d’applicazione si rovescia in una falsificazione dell’oggetto. La struttura dell’oggetto trascurata a favore di una metodologia generale condanna all’irrilevanza la teoria in cui non può penetrare13.

Habermas parla di «vendetta dell’oggetto» per descrivere ciò che avviene all’interno delle scienze sociali qualora il soggetto impegnato nell’attività conoscitiva sia sopraffatto proprio dalla sfera che egli intende indagare. L’unico mezzo, prosegue l’argomentazione, in grado di eliminare questo giogo che limita il soggetto consiste nell’intendere la realtà sociale come totalità: è solo questa, infatti, a determinare l’andamento dell’intera indagine14. A partire dal concetto di totalità, che come si è visto rappresenta il cardine

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 158 (p. 156).

14 Contrapposta a tale prospettiva è quella popperiana, che Wiggerhaus sintetizza nei seguenti punti: “La

teoria della scienza di Popper infatti escludeva che singole osservazioni concrete fossero possibili soltanto in rapporto costante con una immagine sia pur provvisoria della totalità sociale. Escludeva che teorie non deduttive potessero essere la forma adeguata di conoscenza di società antagonistiche e ricche di contraddizioni. Escludeva che le esperienze di singoli individui potessero essere più esatte dei risultati ottenuti nell’attività scientifica ufficiale e organizzata. Escludeva l’idea che la valutazione in sociologia

dell’intera argomentazione adorniana precedentemente analizzata, Habermas prosegue indicando nel metodo dialettico l’unica via che permette l’adeguamento della teoria alla cosa sia nella costruzione del concetto, sia al suo interno, dando la possibilità all’oggetto di indagine di essere riconosciuto nel suo valore durante il processo d’analisi. L’accesso all’ente da analizzare può avvenire solo nel momento in cui esso è sottoposto ad una riflessione dialettica, che non spezzi la sua intrinseca relazione con l’ambiente sociale dal quale proviene, come al contrario è sostenuto e praticato dall’indagine empirica. L’approccio dialettico sostituisce l’ermeneutica del senso alla forma ipotetico-deduttiva delle proposizioni, permettendo in tal modo una chiarificazione di quelle categorie che ora sostituiscono “un’associazione univoca e reversibile di simboli e significati”; inoltre si rende possibile la sostituzione di concetti in grado di palesare la connessione di sostanza e funzione a “concetti relazionali”. Secondo Habermas, grazie a questa impostazione l’approccio dialettico acquisisce la consapevolezza di essere un momento di quel nesso oggettivo sottoposto all’analisi.

La relazione che intercorre tra la teoria e l’oggetto d’analisi influisce anche sul rapporto che lega la teoria all’esperienza, e quest’ultimo costituisce, secondo l’argomentazione habermasiana, un ulteriore elemento differenziante il metodo dialettico da quello empirico. Secondo il procedimento empirico è dato un solo tipo di esperienza, determinato da questo stesso procedimento; se è possibile il controllo di un dato, all’interno di un determinato campo d’analisi e di circostanze riproducibili, allora i giudizi che se ne possono trarre sono “intersoggettivamente validi”. Le scienze sperimentali quindi assumono come uno dei loro presupposti principali il fatto che debba essere esercitato un controllo, sia esso diretto o indiretto, su tutte le proposizioni oggetto di discussione, attraverso un tipo di esperienza fortemente regolata. È in questo punto che, secondo Habermas, si manifesta un ulteriore motivo di distacco da parte della teoria dialettica della società: la teoria, infatti, non può ammettere di costruirsi sull’oggetto d’analisi a posteriori, bensì deve preliminarmente modularsi su quell’oggetto che intende indagare. Non si nega qui il riferimento all’esperienza, perché ciò equivarrebbe alla negazione del contesto sociale entro cui si colloca di necessità la ricerca sociologica; la differenza, argomenta Habermas, si situa nell’identità di tale esperienza: essa è

non fosse qualcosa di neutralizzabile attraverso l’autoconoscenza ma un elemento costitutivo specifico della conoscenza”; in La scuola di Francoforte, tr. it. cit., p. 584.

un’esperienza prescientifica accumulata, che non ha ancora espunto, come costituita di elementi puramente soggettivi, la cassa armonica di un ambiente sociale accentrato intorno alla biografia della persona, e quindi la cultura conquistata dal soggetto nella sua interezza15.

La totalità di questo tipo di esperienza è ciò che, per Habermas, precede la costruzione di qualsiasi teoria, senza tuttavia rinunciare alla necessità dell’accordo; la teoria dialettica non può opporsi all’esperienza così costituita e, nel fare ciò, non è obbligata a rinnegare quei pensieri che si sottraggono al controllo perché non organizzati secondo la “forma di proposizioni ipoteticamente necessarie”. Concordemente a quanto espresso in proposito da Adorno nel testo Sulla logica delle scienze sociali, Habermas ribadisce l’idea secondo la quale non è possibile rendere in una forma di linguaggio ipotetico-deduttivo tutti i “teoremi” di cui si compone la teoria dialettica: l’accertamento empirico su di essi non sempre è possibile, e ciò nonostante la loro validità e veridicità non viene assolutamente inficiata16.

A sostegno della necessità dell’adeguamento tra strumenti analitici e strutture sociali, Habermas riprende il concetto dialettico di società come totalità: la rappresentazione della realtà sociale come ingranaggio, costituito da diverse parti solidamente strutturate, tra loro rende giustizia dell’idea portante dell’adeguamento reciproco tra le parti. L’esplicitazione ermeneutica del senso della totalità deve manifestarsi nella sua esattezza di concetto adeguato alla cosa indagata e non solo come valore strumentale. Questa impostazione comporta una conseguenza decisiva nel rapporto tra teoria ed empiria:

da un lato, nel quadro della teoria dialettica devono essere legittimati dall’esperienza quegli stessi strumenti categoriali che altrove rivendicano una validità puramente analitica; ma d’altro lato questa esperienza è identificata con l’osservazione controllata, cosicché un pensiero può avere una legittimazione scientifica anche senza essere nemmeno indirettamente suscettibile di falsificazione rigorosa17.

Da quanto appena sostenuto, Habermas deriva un ulteriore effetto che incide profondamente sul rapporto che lega teoria e storia. L’andamento metodologico che

15 Positivismusstreit, pp. 159-160 (p. 157).

16 Cfr. ADORNO, Zur Logik der Sozialwissenschaften, cit. 17Positivismusstreit, p. 160 (p. 159).

pertiene alla scienza in senso stretto ha un carattere fortemente generalizzante, assicurando entro una forma logica sempre identica i rapporti di dipendenza da questo posti. Per Habermas, infatti, “le prognosi condizionate di processi oggettivi o oggettivati” definiscono propriamente il compito della teoria nelle scienze sperimentali. “Prognosi condizionate” – sulla scorta del controllo empirico e dell’utilizzo di proposizioni o leggi universali – e “spiegazione causale” – derivata dalla corrispondenza, empiricamente verificata, tra una causa e un effetto – sono, secondo Habermas, espressioni equivalenti per descrivere le prestazioni delle “scienze teoriche”.

Habermas procede nella sua analisi proponendo il parallelismo tra scienze empiriche e scienze storiche avanzato da Popper nel testo The Open Society and its Enemies18. Secondo l’impostazione analitica, ciò che contraddistingue le discipline storiche è l’interesse che le guida nel raggiungimento del loro obiettivo: “non quello di dedurre e confermare leggi universali, ma quello di spiegare singoli eventi”19. Nel risalire da un determinato evento ad una causa ipotetica, gli storici, allo stesso modo degli scienziati, fanno uso di un apparato di leggi, consistenti per lo più in regole empiriche che mantengono forti caratteri sociologici e psicologici. Nel momento in cui l’interesse dell’analisi si indirizza verso “proposizioni ipotetiche generali” – o “leggi di comportamento sociale” –, tralasciando l’ambito di “leggi ipotetiche singolari”, avviene un importante mutamento relativamente alla figura stessa dell’“indagatore”, che, da storico diviene sociologo. Da ciò consegue un ulteriore cambiamento relativamente al tipo di approccio utilizzato nell’azione dell’analisi: essa è ora totalmente inserita all’interno di una scienza teorica. A partire da tale considerazione, prosegue Habermas, Popper asserisce l’impossibilità per le scienze storiche di esercitare un controllo delle ipotesi nomologiche20. Esiste una profonda differenza tra le condizioni iniziali poste alla

18 K. POPPER, The Open Society and its Enemies, London 1962; (tr. it. di R. Pavetto, a cura di D.

Antiseri, La società aperta e i suoi nemici, 2 voll., Armando, Roma 1975).

19

Positivismusstreit, p. 160 (p. 159).

20 Per chiarire il valore che in questo contesto assume l’aggettivo «nomologico», è necessario risalire a

quanto afferma Max Weber a proposito di “nomologia sociale” o “sapere nomologico”. Alla voce Nomologie dell’Historisches Wörterbuch der Philosophie si legge: “M. Weber spricht von sozialer Nomologie oder «nomologischem Wissen» im Blick auf methodische Konstruktionen der Soziologie, insbesondere im Zusammenhang mit seiner Lehre vom Idealtypus. Die soziale N. auf der Basis idealtypischer Konstruktionen unterliegt dabei allerdings den Postulaten der Sinn- und der Kausaladequänz: Sinnadequänz ist gegeben, wenn der soziologisch rekonstruierte Handlungssinn die Zustimmung der Handelnden findet (oder finden würde), die Kausaladäquanz ist – nach der sich an Weber anschließenden Definition von A. Schütz – gegebenen, «wenn die Chance dafür besteht, dass (…) nach Regeln der Erfahrung tatsächlich in einer Weise gehandelt wird, welche der typischen Konstruktion entspricht»”.

base degli eventi storici e la coerenza ed uniformità empirica che pertiene alle scienze analitiche, espressa nella forma di proposizioni universali: nella prospettiva popperiana, di conseguenza, “non si può quindi parlare di «leggi storiche». Le leggi che possono essere applicate nelle scienze storiche hanno lo stesso status di tutte le altre leggi naturali”21.

Di contro, la teoria dialettica non può ammettere un uso limitativo del concetto di legge, poiché in tal ottica i singoli fenomeni sono dipendenti dalla totalità. È vero, prosegue l’argomentazione habermasiana, che le scienze storiche non si avvalgono di quelle «regolarità dinamiche» che contraddistinguono i modelli temporali d’indagine delle scienze sperimentali; ma ciò non produce un difetto: al contrario, “le leggi dinamiche della storia pretendono a una validità insieme più ampia e più limitata”22. Da un lato, infatti, non potendo astrarre dai confini temporali di un’epoca o di una determinata situazione, esse non presuppongono alcuna validità generale: il riferimento a cui esse si rifanno è la concretezza di un circoscritto ambito d’azione,

che appartiene alla dimensione di un processo di sviluppo nel suo complesso unico e irripetibile, dove la successione delle fasi è irreversibile, e quindi non può essere definito in modo puramente analitico, ma solo dalla conoscenza della cosa stessa23.